Il movimento evangelico
riformato di lingua italiana, nel corso dei secoli, vanta nomi di
predicatori, evangelisti e teologi che non solo sono rilevanti per la storia
della Chiesa cristiana nel nostro Paese, ma che pure hanno dato un
contributo considerevole alla storia del Protestantesimo internazionale. I
libri di storia ne rammentano i più famosi. Altri sono conosciuti solo dagli
specialisti nel settore. Anche i meno conosciuti, però, fanno parte del
nostro prezioso retaggio e sono da ricordare con riconoscenza. Le vicende
spesso avventurose della loro vita, i loro scritti, le predicazioni che ci
sono state tramandate, sono state usate da Dio non solo per diffondere
l’Evangelo, ma anche per elevare la cultura europea. Ancora oggi la
testimonianza della loro fede ci è di esempio, stimolo, ammonimento ed
incoraggiamento. Di molti fra questi personaggi possiamo dire come di Abele:“benché morto, egli parla ancora” (Eb. 11:4).
Due soprattutto sono i motivi per i quali
vorremmo ricordare Michelangelo Florio. Il primo è che egli,
dovendo fuggire dall’Italia a causa delle persecuzioni, ripara in
Inghilterra, dove conosce e collabora con i maggiori Riformatori di quel
paese ed è cappellano e maestro della famosa regina Lady Jane Grey,
lei stessa martire della fede evangelica. E’ lui a tramandarne la memoria
e gli scritti. Pastore per un tempo della comunità dei rifugiati italiani
di Londra, si dedica pure alla diffusione della lingua e letteratura
italiana in quel paese. Suo figlio Giovanni (John) diventa uno dei
maggiori letterati inglesi di quel periodo, e l’influenza che ha sullo
stesso Shakespeare, di cui pure era amico, è ormai indiscussa. Il secondo
motivo è che Michelangelo Florio, dopo essere fuggito anche
dall’Inghilterra a causa delle persecuzioni contro i Riformati al tempo di
Maria Stuarda [“Maria la sanguinaria”] è chiamato a diventare pastore [il
secondo dalla Riforma] della comunità evangelica riformata di Soglio, in
Bregaglia, dove svolge anche la funzione di notaio.
Michelangelo Florio
(conosciuto pure come “Michelagnolo Fiorentino, autore dell’Apologia”) nasce
probabilmente a Siena o Lucca,
da una famiglia d’origine ebraica convertitasi al Cattolicesimo. Orfano
all’età di circa 10 anni, è educato in Trentino (Venezia tridentina) e
diventa frate francescano.
Conosciuto come Fra’
Paolo Antonio, viene a contatto con la fede riformata, è persuaso dalle sue
argomentazioni (forse nel 1541) e ne diventa attivo sostenitore.
Uomo di grande istruzione ed eloquenza, benché, si dice, dalla spiritualità
piuttosto instabile, usa questi suoi talenti per predicare con coraggio e
franchezza l’Evangelo. La sua predicazione radicale, nonostante la relativa
tolleranza che riscuoteva a quel tempo il movimento riformatore in Italia,
suscita ben presto le reazioni delle autorità ecclesiastiche, che ne
ottengono l’arresto e l’incarceramento per “eresia” nel 1548. E’ proprio in
quel tempo che viene istituita l’Inquisizione per contrastare un movimento
riformatore sempre più “preoccupante” per le autorità ecclesiastiche.
Dopo 27 mesi di prigione
a Roma
riesce a fuggire, getta il saio di frate ed inizia così le sue
peregrinazioni prima in Italia, prima in Abruzzo, poi a Napoli, in Puglia,
poi, per mare a Venezia, poi ancora a Mantova, Brescia, Bergamo, Milano,
Pavia, Casale Monferrato (centri allora, della fede riformata in Italia)
protetto da circoli riformati nei quali riceve ulteriore istruzione
teologica. E’ durante questo periodo che conosce
Pietro Martire Vermigli ed altri riformatori italiani. Raggiunge poi
Lione, Parigi, e quindi l’Inghilterra.
Il primo novembre 1550
arriva come rifugiato a Londra (dopo aver lasciato Venezia in settembre),
rimanendovi fino al 4 marzo 1554. Probabilmente il suo contatto a Londra eraBernardino Ochino (1487-1564). Ivi è presente a
quel tempo pure Pietro Martire Vermigli. L’Inghilterra era allora, infatti,
un punto di riferimento per tutti coloro che, a causa della loro fede,
avevano di che temere per la loro vita, trovandovi, come profughi, la
calorosa protezione del Re Edoardo VI.
Diventa amico
dell’arcivescovo Thomas Cranmer ed è sostenuto daSir William Cecil che subito ne apprezza le doti.
Diventa pastore della Chiesa riformata di lingua italiana di Londra,
incoraggiata e protetta dalle autorità, una delle diverse comunità straniere
allora esistenti.
Per questo, Florio riceveva dalle autorità reali uno stipendio di 20
sterline all’anno. Oltre a questo, la comunità si obbligava a provvedere al
suo alloggio ed alle altre sue necessità. Un rigido regolamento
ecclesiastico era stato introdotto sotto la guida del polaccoJan Laski, che aveva assunto il coordinamento, come
una sorta di sovrintendente, delle comunità riformate straniere.
Il suo stile oratorio
molto appassionato non è sempre visto di buon occhio. Pare che il Florio
predicasse tali veementi sermoni anti-papisti che non pochi ne erano persino
scandalizzati.
Lavora
in casa di William Cecil, futuro segretario di gabinetto della principessa
Elizabeth e diventa cappellano e mentore di Lady Jane
Grey insegnandole pure l’italiano, il latino ed il francese. Le sue
lunghe conversazioni con lei sono riportate nel libro che Florio scrive
sulla sua vita e morte.
Al Florio sembra da addebitarsi la riconosciuta maestria linguistica della
Grey. Con la svolta del 1553 Maria la Sanguinaria assume il potere. Lady
Jane viene decapitata un anno dopo. Più tardi Florio, in un suo libretto,
avrebbe descritto con quale calma la sua giovane allieva – diciassettenne -
era andata incontro alla morte, diffondendone le lettere ed altri scritti.
Pare che la sua
onorabilità fosse anche, ad un certo punto compromessa a causa di una
relazione irregolare con una donna inglese colta e benestante (forse
conosciuta in casa dello stesso Cecil). Sembra che si sia potuto salvare da
un processo solo dichiarandosi disposto al matrimonio.
Da questa relazione nasce, in Inghilterra, Giovanni (John) Florio, nel 1553.
Questa storia, insieme ad
una certa insofferenza per gli stretti regolamenti imposti alle comunità
riformate straniere (che critica apertamente), ed una certa propensione per
le idee eterodosse dell’Ochino, lo porta in conflitto con quelle autorità,
tanto da vedersi licenziato dall’ufficio pastorale (1552). Nel 1553 il
Riformatore zurighese Bullinger scrive in una
sua lettera che un predicatore (che non nomina) sospeso dal suo incarico
aveva criticato i riti della comunità dei rifugiati. Deve lasciare la casa
del Cecil e per vivere impartisce lezioni di italiano. Scrive un libro di
regole grammaticali dedicate a due dei suoi allievi, Henry Herbert, duca di
Penbroke e Lady Jane Grey,
come pure un saggio sui principi della traduzione, benché egli voglia essere
solo e sempre considerato un predicatore: “In
questa piccola opera non pretendo essere uno scrittore di puro Toscano, ma
solo un sincero espositore della Parola di Dio”.
E’ pure possibile che il
Florio sia stato in contatto come insegnante dell’ancora più famosa
principessa Elizabeth, appassionata dell’italiano ed intellettualmente
interessata alla dottrina sulla predestinazione come esposta dall’Ochino.
E’ ampiamente
riconosciuto come sia da addebitarsi proprio ai Florio (padre e figlio) la
grande influenza che la cultura italiana ha avuto nel forgiare il
Rinascimento inglese.
Ad Oxford, forse in
rapporto con Pietro Martire Vermigli, si interessa delle dispute teologiche
che vi avvengono, in particolare quelle di Nicholas
Ridley con i papisti. Di questo scrive pure nel libro dove parla della
vicenda di Lady Jane. Il Florio si dimostra pure un imparziale cronista dei
tragici avvenimenti politici dell’Inghilterra in quel periodo.
Nel 1555 dopo che Maria
la sanguinaria accede al trono (e che causa il martirio di Cranmer,Latimer e Ridley ad Oxford), insieme ad altri
rifugiati fugge dall’Inghilterra
e soggiorna brevemente a Strasburgo. Qui incontra il nobile Federico Von
Salis di Soglio che giunge ad apprezzarlo tanto da invitarlo a divenire
pastore della Chiesa evangelica riformata dei Grigioni nello stesso
villaggio di Soglio, in Bregaglia. E’ probabile, altresì, che Michelangelo
avesse, nella stessa Chiavenna, un parente, pure predicatore evangelico, un
certo Simone Florio.
Accetta l’incarico e vi
si trasferisce con la moglie inglese e il figlioletto John, nato in
Inghilterra. Diventa così il secondo pastore riformato di Soglio dopo la
Riforma, succedendo a Michele Lattanzio, di Bergamo, già ivi rifugiato.
E’
a Soglio che Michelangelo educa il figlio non solo nella fede riformata, ma
gli insegna pure pure latino, francese, greco, insieme all’italiano ed
all’inglese. Dalle opere posteriori di Giovanni Florio risulta come la loro
vita in quel villaggio fosse frugale, ma feconda, provvista di libri,
musica, buone maniere, e dove si coltivava la conoscenza delle lingue. E’
pure a Soglio che Giovanni vede il padre scrivere sermoni e libri, e dove
impara l’amore per le lettere, cosa che poi trasmetterà alla cultura
inglese.
La nuova attività a
Soglio conosce, però, altre difficoltà. Florio aveva avuto il compito di
ammaestrare nella fede una popolazione montanara che soltanto da poco tempo
si era decisa per la Riforma. Al tempo stesso si trovava a dover
fronteggiare la potente famiglia Salis, che avrebbe fatto volentieri a meno
“del passaggio alla nuova fede”.
Qui si rivela ancora il
suo spirito inquieto che lo porta a simpatizzare per la corrente teologica
antitrinitaria, in particolare la corrente dei Sociniani (daFausto Sozzini), che già aveva causato tensioni e
scissioni nella vicina Chiavenna. Un’accentuata tendenza antitrinitaria è
riscontrabile, infatti, nella Riforma italiana. Gli storici osservano come
Michelangelo Florio sarebbe venuto meno alla sua indole se avesse trovato la
pace a Soglio. Accanto alla sua attività di predicatore si impegna, così, in
discussioni teologiche che, però, escono molto al di là degli orizzonti ed
interessi di una comunità di montagna. Il Florio, per esempio, era del
parere che fosse inammissibile affermare che Cristo avesse espiato sulla
croce i peccati degli uomini mediante un sacrificio perfetto. I peccati
dell’umanità erano stati piuttosto vinti per il fatto che Dio, nel la sua
grazia, aveva dichiarato e accettato la morte di Cristo come un sacrificio
espiatorio sufficiente. Di conseguenza non poteva considerare anche la Santa
Cena nient’altro che come un richiamo esteriore alla grazia di Dio.
Tre anni dopo il suo
arrivo (1557) scrive la sua “Apologia”,
risposta polemica agli attacchi di un suo ex-confratello francescano
Bernardino Spada. In essa difende le sue idee riformatrici e si esprime su
temi come la vera e la falsa chiesa, il problema della messa, la presenza di
Cristo nel sacramento del la Cena del Signore, il primato di Pietro e
l’autorità dei Concili. E poiché era stato attaccato dallo Spada sul piano
personale, parla pure della sua vita e delle sue personali esperienze.
Per
le sue tendenze teologiche più liberali si ritrova ben presto in conflitto
con lo stesso Sinodo Retico di Coira, che, difendendo rigorosamente
l’ortodossia riformata, stava avendo già moti problemi a Chiavenna. Il
Sinodo riteneva che, soprattutto in un periodo come quello, si dovesse
conservare l’unità dottrinale con il complesso del movimento riformato,
senza aumentare così i problemi che già si aveva con la violenta reazione
cattolico-romana.
Nel 1561 è, così,
convocato di fronte al Sinodo della Chiesa Retica per rendere conto delle
sue idee eterodosse, come pure per il fatto che egli si opponesse a che la
chiesa avesse una confessione di fede obbligatoria, firmata sia dai pastori
che dai membri di chiesa.
Ancor prima che il Sinodo
si fosse riunito, Florio e i suoi amici fanno un tentativo di tirare dalla
propria parte i ministri di Zurigo. Il 24 maggio 1561 una delegazione porta
una lista di 26 questioni sulle quali si desiderava avere l’opinione dei
pastori zurighesi. Lo scopo di tali questioni erano nient’ altro che una
perorazione per una maggiore libertà. «Deve la Confessione decisa da una
comunità essere accettata da tutti senza riserve?». «Deve essere scomunicato
chiunque sia irretito in errore sulla dottrina della Trinità, il cui mistero
non può essere compreso neppure dagli angeli, anche se esso sia
irreprensibile sotto ogni altro punto di vista, se conduce una vita lodevole
e incontra amorevolmente i poveri?». I postulanti non hanno, però, successo.
I pastori di Zurigo lo rimproverano in una dettagliata loro lettera . Il
Sinodo, che si riunìsce a Coira dieci giorni più tardi, si presenta, così in
partenza per Florio sotto un cattivo auspicio. Florio presenta le sue
richieste con la nota veemenza. I membri del suo gruppo si difendono
dapprima affermando che essi avevano già sottoscritto la Confessione retica
e che, quindi, non c’era alcun bisogno di avere un’altra Confessione. Poi,
però, quando uno dei suoi compagni, Lodovico Fieri, giunge a sostenere
opinioni chiaramente eretiche, il dibattito si sposta su questioni
teologiche.
Florio e Torriani sono
costretti a ritirare le posizioni dottrinali. Lodovico Fieri è estromesso
dal ministero. Le discussioni erano tuttavia ben lungi dall’essere terminate
e si infiammano nuovamente al principio degli anni settanta. Infatti, anche
se Florio e Torriani avevano accettato la censura del Sinodo, essi rimangono
— almeno nel segreto — fermi nelle loro convinzioni.
La contiguità del Florio
al movimento spiritualista si nota anche nel solo fatto che amici di
Bernardino Ochino, dopo la sua espulsione da Zurigo, cercano di sondare se
Florio o Torriani siano disposti ad accogliere in Bregaglia il fuggiasco. La
lettera, però, è sequestrata e quindi egli non può rispondere. L’Ochino si
reca a Mähren passando per Basilea, Francoforte e Norimberga. Nell’epidemia
di peste muoiono tre dei suoi bambini ed egli stesso muore nel 1564 in
estrema miseria.
Alcuni anni più tardi il
Sinodo tratta nuovamente la questione (1572), ma Florio mantiene, nelle
discussioni, un basso profilo, e questo, probabilmente, per non pregiudicare
la carriera del brillante suo figlio Giovanni, raccomandato dal Vergerio.
Torriani, arnico del Florio, Camillo Sozzini e Niccolò Camulio sono sospesi
dal ministero. Florio stesso a quel tempo, non viene più menzionato perché
probabilmente già deceduto.
A Soglio il Florio
conserva i suoi legami con l’Inghilterra. Nel 1563 dedica una sua opera alla
regina Elisabetta I, quasi per ricordarle di essere stato il suo tutore
italiano e sicuramente per preparare la strada in Inghilterra al figlio
Giovanni. Si tratta dell’opera dell’Agricola sulla metallurgia (De
Re Metallica),
un’opera davvero massiccia, molto probabilmente scritta durante i lunghi
inverni di Soglio. In questo libro compare un’epistola dedicatoria firmata
da Michelangelo e datata “Da Soy de la Rethia” 12 marzo 1563, dove dice:
“Alla serenissima e potentissima Lisabetta, per Dio grazia Regina di
Inghilterra, di Francia, e d’Hibernia, Salute”.
Il
9 maggio 1563, sollecitato dal Vergerio. manda suo figlio Giovanni, che
conosceva molto bene l’italiano, l’inglese, il francese ed il latino,
all’università di Tubinga in Germania. Non pare che Giovanni visitasse o
vivesse mai in Italia. Suo padre l’aveva ammonito che non era possibile
vivere nelle città italiane “senza dimenticare Dio”. Il figlio Giovanni
ritorna poi in Inghilterra dove vi risiederà stabilmente. Forse non consegue
a Tubinga lo sperato titolo di studio. Il suo protettore, Vergerio, muore
nel 1565. Probabilmente Giovanni è nel Württemberg che ricupera i contatti
con l’Inghilterra, perché le istituzioni universitarie e religiose di questa
regione ne hanno costanti contatti.
A Soglio il Florio assume
pure la funzione di pubblico notaio. Una serie di libri notarili degli anni
1564-66, depositati oggi nella biblioteca di Coira, portano la sua firma.
Ebbe altri figli. Muore
dopo il 1566 probabilmente a Soglio, perché dopo quella data non si trova
più menzionato il suo nome.

Lady Jane Grey,
nobildonna inglese (Bradgate, Leicestershire, 1537-Londra 1554).
Pronipote di Enrico VII, il duca di Northumberland la diede in sposa a
suo figlio con lo scopo di persuadere il moribondo Edoardo VI a
designarla erede. Regnò soltanto nove giorni perché il 19 luglio 1553
Maria Tudor la Sanguinaria si faceva proclamare regina e condannava a
morte lady Jane e il marito lord Dudley. L'esecuzione avvenne ben presto
oggetto delle violente persecuzioni dell’Inquisizione. Suscita infatti
le ire del Cecil, che riesce nel febbraio 1554.
Johann Heinrich Bullinger nacque nel 1504 a Bremgarten, nel
cantone di Argovia, in Svizzera. Studiò per quattro anni con i monaci
certosini ad Emerich (Germania), ma fu successivamente convertito alla
Riforma da Ulrich Zwingli, di cui divenne un fervente seguace,
sposandone la figlia e subentrando a questi nella guida della Chiesa
riformata di Zurigo, dopo la tragica morte di Zwingli durante la
battaglia di Kappel del 1531. Il suo principale impegno fu quello di
evitare il riassorbimento del pensiero del suo maestro nel più popolare
calvinismo, di cui non condivideva la dottrina della predestinazione
(non che lo rifiutasse in toto, ma non poteva credere che Dio volesse la
dannazione dei peccatori), i rapporti troppo stretti con l'autorità
civile, e il concetto di una partecipazione reale di Cristo
nell'Eucaristia. A proposito di quest'ultimo argomento, nel 1549 B.
firmò il Consensus Tigurinus assieme a Calvino e Farel: nell'accordo non
si faceva menzione del termine substantia, (sebbene il termine presenza
reale fosse rimasto nel testo) un successo comunque per B, che era
riuscito a portare Calvino su posizione più vicine all'interpretazione
simbolica dell'Eucaristia, cara a Zwingli. Tuttavia resta sempre il
dubbio che i riformatori ginevrini abbiano accettato il compromesso
dottrinale per un'opportunità politica: quella di non isolare la loro
città dal resto della Svizzera riformata. Nuovamente, dopo la morte di
Calvino, anche il suo successore, il diplomatico Théodore di Béze,
impegnato in una disputa sull'Eucaristia con B., preferì non insistere
sulle sue posizioni per mantenere l'unità della Chiesa riformata. Nel
1563 B. fu favorevole al Catechismo di Heidelberg (1563): questo testo,
benché scritto dai calvinisti Caspar von der Olewig (Olevianus o Olevian)
(1536-1585) e Zacharias Beer (Ursinus) (1534-1583), non faceva menzione
alla dottrina delle predestinazione e per quanto concerne l'Eucaristia,
si allineava più sulle posizioni zwingliane. Il Catechismo di Heidelberg
influenzò poi il testo della Seconda Confessio Helvetica del 1566,
scritto da B. stesso, in risposta ad una richiesta
dell'Elettore-Palatino Federico III, detto il Pio (1559-1576), che aveva
annunciato la sua adesione al calvinismo nel 1563. B., saggio e
moderato, godeva di grande prestigio all'estero, presso la Chiesa
riformata scozzese di John Knox, in Francia con l'amico filosofo Pierre
de la Ramée (Ramus) (1515-1572), nei Paesi Bassi, dove i suoi scritti
erano molto popolari, e, grazie all'amico John Hooper, negli ambienti
anglicani: quando Pio V (1566-1572) confermò la scomunica di Elisabetta
I d'Inghilterra (1558-1603), fu B. ad aiutare la regina inglese a
preparare un'adeguata risposta. Del resto proprio il riformatore
zurighese ospitò alcuni vescovi riformati inglesi profughi in Svizzera,
in occasione delle persecuzioni durante il regno della sorella cattolica
di Elisabetta, Maria Tudor, detta la Sanguinaria (1553-1558).
L'atteggiamento di B. nei confronti delle frange radicali fu non sempre
costante: da una parte amico dell'antitrinitariano Lelio Sozzini,
dall'altra dapprima ammiratore, ma successivamente avversario del
movimento anabattista, soprattutto dopo le atrocità compiute a Münster.
B. morì a Zurigo nel 1575.
Hugh Latimer, vescovo e riformatore anglicano (Thurcaston ca.
1485-Oxford 1555). Dapprima avversò la Riforma protestante, poi,
rifiutatosi di predicare contro Lutero, si procurò l'amicizia di Enrico
VIII e di Cromwell e divenne vescovo di Worcester (1534). Inviso alle
gerarchie ecclesiastiche, trascorse molti anni in carcere o in esilio,
finché, richiamato a Londra sotto il regno di Maria la Cattolica, fu
condannato come eretico e morì sul rogo.
Due saggi integrativi
Continua in: Giovanni Florio
Vedi anche: Questo
testo in *.pdf;Michelangelo Florio: tra Italia, Inghilterra e
Val Bregaglia, di Lukas Vischer (File MSWord) |