Il potere dell’intercessione
La preghiera
Al centro della nostra attenzione
quest’oggi c’è l’importanza ed il privilegio della preghiera, ed in modo
particolare della preghiera di intercessione.
La preghiera: ecco una parola dolce e
desiderabile per il cristiano che, non solo ha ricevuto in Cristo la
stupefacente possibilità di essere riconciliato ed in pace con Dio, ma pure il
privilegio di considerarLo Padre e di potersi rivolgere a Lui con fiducia in un
dialogo personale che proviene dal cuore. La dimora di Dio a volte ci sembra
così lontana da noi: in realtà essa è solo "a distanza di voce". Se
la lettura e la meditazione della Parola scritta di Dio potrebbe essere
definita come "l’occhio attraverso il quale noi vediamo Iddio", la
preghiera potrebbe altresì essere considerata come "le ali con le quali la
nostra anima vola in cielo" (Ambrogio).
La preghiera però non è solo il cuore
del credente che si avvicina a Dio, in privato come in pubblico, per goderne la
comunione e la provvidente cura, ma pure il mostrare a Lui il nostro interesse
specifico per il bene di altre creature umane, affinché per loro Egli
intervenga. Qualcuno ha osservato come "E’ cosa grande parlare agli uomini
per Dio, ma è cosa ancora più grande parlare a Dio per gli uomini" (E. M.
Bounds). Intercedere significa "farsi da mediatore fra una persona e
l’altra": la preghiera di intercessione significa presentare noi a Dio il
caso di un’altra persona affinché per essa Egli operi in suo favore.
Il testo biblico
Nella Bibbia troviamo molti esempi
istruttivi di preghiera di intercessione. Fra questi vorrei oggi citare
l’intercessione operata da Mosè in favore del popolo di Israele, popolo che,
nel caso considerato, meritava il severo giudizio da parte di Dio. Leggiamone
il testo come riportato del libro dell’Esodo:
"Il SIGNORE disse a Mosè:
"Va', scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese
d'Egitto, si è corrotto; si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro
ordinato di seguire; si sono fatti un vitello di metallo fuso, l'hanno adorato,
gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: "O Israele, questo è il tuo dio
che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto"". Il SIGNORE disse ancora
a Mosè: "Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo
duro. Dunque, lascia che la mia ira s'infiammi contro di loro e che io li
consumi, ma di te io farò una grande nazione". Allora Mosè supplicò il
SIGNORE, il suo Dio, e disse: "Perché, o SIGNORE, la tua ira s'infiammerebbe
contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande potenza
e con mano forte? Perché gli Egiziani direbbero: "Egli li ha fatti uscire
per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per sterminarli dalla
faccia della terra!" Calma l'ardore della tua ira e péntiti del male di
cui minacci il tuo popolo. Ricordati di Abraamo, d'Isacco e d'Israele, tuoi
servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: "Io moltiplicherò la
vostra discendenza come le stelle del cielo; darò alla vostra discendenza tutto
questo paese di cui vi ho parlato ed essa lo possederà per sempre"".
E il SIGNORE si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo (Esodo 32).
I. Il contesto
A quale punto dell’esperienza storica
di Israele questo testo fa riferimento? Siamo presso il monte Sinai, Mosè si
assenta per salire sul monte e ricevere da Dio la rivelazione della Sua Legge
in favore del Suo popolo. Passa parecchio tempo. Il popolo di Dio, che vede
assentarsi per più di un mese il loro leader, si sente abbandonato e così
commette un atto di idolatria prendendosi come dio e rendendo culto
all’immagine fusa in oro di un vitello che si fanno fare da Aaronne (1-6). Sono
stanchi di aspettare. Si vedono privati del loro "canale di
comunicazione" con Dio, di cui non hanno esperienza diretta (Mosè è l’uomo
che parla "a tu per tu" con Dio) e si sentono allo sbaraglio. Hanno
bisogno di una "divinità protettrice" immediatamente loro
accessibile, di qualcosa che infonda loro sicurezza, quella che un tempo
ricevevano dalla presenza e dalle parole rassicuranti di Mosè. Si rammentano
così delle "sicurezze" che avevano gli egiziani e ne seguono
l’esempio facendosi un idolo "che cammini davanti a loro". Mosè
evidentemente è all’oscuro di questa situazione e così Dio ne informa Mosè
minacciando il severo castigo della distruzione del popolo (7-10). Così Mosè
intercede per loro in preghiera, chiedendo a Dio che Egli non disperda il
popolo (11-13), e Dio "si pente del male che aveva detto di fare"
(14). Esaminiamo così con attenzione questo testo traendone anche per noi le
lezioni.
II. Gli elementi della
situazione
A. Alienazione. "Il SIGNORE disse a Mosè: "Va',
scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è
corrotto" (7). Notate le
parole del Signore. Egli parla e riferisce a Mosè ciò che riguarda "il
tuo" popolo", quello che "tu", Mosè, hai fatto uscire
dall’Egitto. Dio è come se ora prendesse le distanze dal popolo di Israele, lo
ripudiasse. Perché? "si è tirato addosso una rovina, ha agito rovinosamente,
si è messo nei guai", in modo specifico si è pregiudicato ciò che aveva
acquisito, ha commesso qualcosa di grave e di vergognoso che va a sua e Mia
vergogna, dice il Signore.
Il peccato, e il peccato più grave,
cioè l’alienazione umana da Dio ha il potere di corrompere radicalmente
l’essere umano e di allontanarlo da ciò che era destinato ad essere. Coloro che
corrompono loro stessi non solo fanno vergogna a loro stessi, ma fan si che
persino Dio si vergogni di loro e della Sua disponibilità verso di loro. E’ la
condizione umana, forse la tua condizione: sei nel fango, fai disonore a Dio ed
a te stesso. Dio "si vergogna" di avere una creatura come te che pure
era destinata alla gloria!
La descrizione che Dio fa della
condizione del popolo è precisa ed impietosa:
B. La gloria di Dio ad altri. "Si sono presto sviati dalla strada che
io avevo loro ordinato di seguire; si sono fatti un vitello di metallo fuso,
l'hanno adorato, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: "O Israele,
questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto"" (8).
"Hanno lasciato la via loro
mostrata, hanno smesso di seguirmi, si sono distanziati da me, mi hanno voltato
le spalle, mi hanno tradito". L’onore e la gloria dovuta al Dio vero e
vivente è venuta meno nel loro cuore ed hanno elevato a loro presunto
protettore e liberatore un simulacro menzognero! Hanno dato ad altri la gloria
che spetta all’unico vero e vivente Iddio. Mancare di dare gloria a Dio è nella
Bibbia forse il peccato più grave che esista.
Il peccato potrebbe pure essere
descritto come lo sviarsi dalla retta via per incamminarsi su una falsa
scorciatoia. Quei peccati che sono celati agli occhi di chi ci governa, sono
ben presenti agli occhi di Colui che tutto vede. Quante provocazioni ed insulti
contro la Sua santa persona Dio vede ogni giorno, e per i quali, il più delle
volte, sta zitto!
C. Ostinazione. "Il SIGNORE disse ancora a Mosè: "Ho
considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro" (9). Il giusto Iddio non solo vede ciò che
facciamo, ma pure ciò che siamo. "E’ un popolo intrattabile, ostinato,
incorreggibile dai miei giudizi, ingovernabile da me o da qualsiasi
legge". "Collo duro" nella Bibbia è una metafora per quelle
bestie che non intendono piegare la testa per ricevere il giogo o le briglie
del loro padrone. Forse qualcuno potrebbe dire di non avere alcuna intenzione
di piegare il collo davanti a chicchessia per vedersi imposto un giogo! Proprio
qui sta il problema: l’arroganza umana che non intende essere quello che è, una
creatura di Dio sopra la quale sta un legittimo Signore a cui si deve
ubbidienza! Per questo il peccato è considerato dalla Bibbia una colpevole
ribellione.
Si tratta però anche della
"testa dura" di chi, dopo aver visto le grandi opere del Signore in
suo favore, ancora non comprende, oppure dimentica quello che sembrava avere
imparato. "Dopo tutto quel che ho fatto per loro, è possibile che ancora
non intendano?". La cecità del cuore umano, del nostro cuore, è spesso del
tutto sorprendente. Davanti a tutto questo la giustizia di Dio deve fare il
suo corso, e così il Signore dice:
D. Una giustizia da eseguire. "Dunque, lascia che la mia ira s'infiammi
contro di loro e che io li consumi, ma di te io farò una grande
nazione"" (11). Si,
quasi ad anticipare la reazione di Mosè che - pur scandalizzato dal
comportamento del suo popolo - pure sarebbe disposto ad un ennesimo perdono, il
Signore dice: "Non cercare di giustificare ora questo popolo, intercedendo
per esso, lascia che subiscano il meritato castigo. Li scioglierò come popolo,
li disperderò. Da te però, farò uscire un popolo che mi sia fedele. Mosè
sarebbe stato non solo risparmiato per la sua fedeltà, ma pure premiato.
III. La supplica di Mosè
Mosè però osa intervenire ugualmente
verso Dio. Preghiera è anche osare. Un puritano ha scritto: "La preghiera
è la pistola con la quale spariamo, il nostro fervore il fuoco che fa partire
il colpo, e la fede è la pallottola che perfora il trono della grazia"
(John Trapp). E’ l’insistenza importuna che Dio gradisce, come dimostra Gesù
nella sua famosa parabola. Dio non è sordo alle nostre preghiere, ma vuole che
con la nostra perseveranza Egli veda quanto veramente ci sta a cuore ciò che
chiediamo.
Mosè sa di essere gradito a Dio e
vorrebbe quasi fare appello proprio a questo fatto per intercedere per il suo
popolo. Avrebbe potuto già essere soddisfatto della promessa che da Dio per lui
stesso aveva ricevuto. Non pensa però a sé stesso. Il popolo ha sbagliato, ma
continua ad amarlo. Non è già questo un riflesso dei sentimenti di Dio,
sentimenti che pedagogicamente Egli nasconde sotto la Sua apparente
inflessibilità? Si, in realtà Dio, pur sembrando dichiarare inutile
l’intercessione, la stava di fatto incoraggiando, mostrando quale potere possa
avere verso Dio la preghiera della fede. Dio si compiace che si insista verso
di Lui in preghiera, dell’umile e fiduciosa importunità degli intercessori.
Qual è la preghiera di Mosè?
A. Caratteristiche della preghiera
di Mosè. "Allora Mosè
supplicò il SIGNORE, il suo Dio, e disse: "Perché, o SIGNORE, la tua ira
s'infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto
con grande potenza e con mano forte?" (12).
(a) Notate come Dio rimanga il suo
Dio "personale". Mosè non aveva perduto il suo interesse per Dio, a
differenza di Israele. Non invoca il "Dio di Israele", ma "il
suo Dio". Che grande cosa quando per un uomo od una donna Dio diventa -
pur nel dovuto rispetto - non un Dio astratto, ma un Dio personale. Dio si
compiace di chiamare Mosè "il mio amico".
(b) Notate come Mosè riconosca la
giustizia di Dio. Mosè non si lamenta dei giudizi di Dio: ne riconosce la
legittimità e la giustizia. Egli non oserebbe criticare Dio. Lo conosce. Mosè
comprende che il Signore avrebbe ben ragione di disperdere questo popolo, di eliminarlo
come tale, di farlo sciogliere come cera al fuoco, solo vuole che la Sua ira
non li consumi totalmente, che gli usi ancora misericordia.
(c) Notate come Mosè si riempia la
bocca di "ragioni", non per smuovere un Dio "sordo ed
inflessibile", ma per esprimere la propria fede e suscitare in sé maggiore
fervore nel pregare. Spesso abbiamo bisogno non di rammentare a Dio, ma di
rammentare a noi stessi quale sia la base del perdono che otteniamo da Dio e
dell’accettazione della nostra persona da parte Sua: non i nostri meriti, ma la
Sua infinita misericordia. Difatti dice: "Se tu li hai liberati nonostante
i loro peccati in Egitto, non continueresti ad averne misericordia nel
deserto"?
(d) Notate come umilmente
"faccia notare" al Signore se un simile gesto da parte Sua sarebbe
veramente per il Suo onore e gloria oppure no. La gloria di Dio per Mosè
è la cosa più importante, e come egli non dica più "il mio" popolo,
ma "il Tuo" popolo, il popolo che Dio ha rivendicato come proprio e
riscattato davanti a Faraone e per la cui liberazione ha manifestato così
grande potenza. Le opere di Dio sarebbero state frustrate se il giudizio
implacabile avesse avuto il suo corso.
B. Il contenuto della preghiera di
Mosè. "Perché gli
Egiziani direbbero: "Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per
ucciderli tra le montagne e per sterminarli dalla faccia della terra!"
Calma l'ardore della tua ira e péntiti del male di cui minacci il tuo
popolo" (12).
(a) Incalza Mosè: "Gli egiziani
direbbero: Vedi, non ne valeva proprio la pena di fare quello che hai fatto, ti
sei dimostrato proprio uno stupido, un illuso, quella gente non è che semplice
mano d’opera, priva di dignità e di intelletto. Avevamo ragione noi. Perché
prima liberarli e poi sprecarne così l’utilità nel deserto?’. Ne vale la pena,
o Signore, di farli ragionare così? Dove andrebbe la Tua onorabilità? Se un
popolo così stranamente salvato, avesse dovuto essere improvvisamente rovinato,
che cosa direbbe il mondo che ha un tale odio implacabile sia per Israele che
per il loro Dio?". Direbbero: "Dio o era debole o non poteva, o era
capriccioso tanto da non portare a termine la salvezza che aveva
iniziato". E’ la gloria di Dio ad essere posta in questione.
(b) Così Mosè dice: "Pentiti, o
Signore, cambia verso di loro la Tua sentenza. Abbi compassione di loro, siine
dispiaciuto della loro sorte. Attenua il rigore della sentenza". Forse che
Dio si sarebbe dimostrato meno misericordioso di Mosè? No, non certo il Dio di
Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Difatti, Mosè soggiunge:
C. La coerenza con le promesse del
Signore. "Ricordati
di Abraamo, d'Isacco e d'Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso,
dicendo loro: "Io moltiplicherò la vostra discendenza come le stelle del cielo;
darò alla vostra discendenza tutto questo paese di cui vi ho parlato ed essa lo
possederà per sempre"""
(13). Mosè sembra dire: "No, questo popolo non merita nulla se non la
condanna, ma salvalo sulla base della fedeltà che Tu, o Signore, hai rispetto
alle Tue promesse. Rammentati delle Tue promesse verso Abramo. L’onorabilità di
chi mantiene le Sue promesse val più dell’altrui infedeltà". Lo stesso
vale per noi: la nostra salvezza non dipende dai nostri meriti, ma sulla
fedeltà di Dio e del Suo Cristo alle promesse di grazia da Lui fatte.
IV. Le conseguenze
Ed ecco così l’epilogo, il lieto fine
di questa vicenda: "E il SIGNORE si pentì del male che aveva detto di
fare al suo popolo" (14).
(a) Mosè altera i piani di Dio? Quale
uomo potrebbe mai aspettarsi attraverso la preghiera di far si che Dio alteri i
Suoi decreti? Quale uomo, per quanto santo, potrebbe avere un simile potere?
No, Mosè non aveva alterato i propositi eterni di Dio, ma questa esperienza
sarebbe stata per lui e per noi sommamente pedagogica. Attraverso di essa
avrebbe compreso meglio sia Dio, sia la creatura umana, sia ciò che Dio ci
richiede come membri del Suo popolo.
(b) La funzione del mediatore. Dio
ha determinato di mostrare in ogni tempo la Sua grazia verso i peccatori, ma
Egli manifesta la Sua grazia solo attraverso l’umiltà della preghiera. Ora,
quando Israele stesso trascura di pregare per il perdono di Dio verso i propri
misfatti, è Mosè si pone nella posizione del peccatore. Non appena lo fa, egli
ottiene il perdono di Dio per tutti loro. Non è anche questa un’immagine del
Mediatore per eccellenza, il Signore Gesù Cristo, che si frappone fra noi
peccatori condannati e la giusta esecuzione della nostra sentenza, prendendo su
di Sé il compito non solo di intercessore, ma anche di Colui che espia per noi
la sentenza che noi meritiamo? Egli, il giusto per gli ingiusti?
(c) La grazia non è impunità. Qui
c’è un ultima importante cosa da osservare. Mosè prega per la grazia, ma la
grazia non implica impunità, e Mosè stesso è cosciente che la nazione deve
espiare il suo peccato, anche quando non riceve secondo i suoi peccati. Dice un
Salmo: "Tu li esaudisti, Signore, Dio nostro! Fosti per loro un Dio
clemente, pur castigandoli per le loro cattive azioni" (Sl. 99:8).
Come tale il popolo di Dio sarebbe stato risparmiato, ma una parte d’esso
avrebbe pure pagato lo scotto. Dio avrebbe tagliato via dal suo popolo un
centinaio di persone, fra i diretti responsabili del peccato del popolo, agendo
come il chirurgo che toglie via la parte incancrenita per evitare che la
cancrena si diffonda ulteriormente e salvare così il corpo. E’ doloroso, ma è
per la salvezza dei più.
Conclusione
Già, che cos’è che la preghiera non
possa fare - umile, fiduciosa, fervente, perseverante? Che cos’è che non possa
fare la preghiera di intercessione? Essa apre i tesori nascosti nel cuore
paterno di Dio, e chiude le cataratte dei Suoi giudizi penali; porta
benedizioni sulle teste già aggravate della maledizione del peccato. La
preghiera non ha perso il suo potere, sebbene la bocca di colui che la
pronuncia certo non è degna.
La stessa storia biblica è colma di
illustrazioni della verità che Dio desidera essere supplicato, non solo dal suo
popolo, ma per il suo popolo, affinché ne abbia pietà.
Che cosa trattiene la scure del
persecutore dal tagliare la testa di Pietro, quando già essa era caduta su
quella di Giacomo? E’ la comunità dei credenti che prega affinché Pietro non
cada. Chi deve ringraziare la chiesa cristiana per il suo grande maestro
Agostino? Le preghiere di Monica, sua madre, perché un figlio per il quale
aveva versato così tante lacrime non poteva possibilmente andare perduto. Se
desideri la salvezza di tuo fratello e la tua, persevera nella preghiera! Ecco
l’importante messaggio che ci proviene dal testo biblico di oggi, che è Parola
di Dio. Qualcuno ha scritto: "Facciamo in modo che le nostre preghiere non
muoiano proprio quando vive l’Intercessore", ed ancora: "La
preghiera, così come viene dal credente è debole e languente; quando però la
freccia della preghiera del credente è posta nell’arco dell’intercessione di
Cristo, essa perfora il trono della grazia" (Thomas Watson).
[Paolo Castellina,
giovedì, 9. maggio 1996. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente
indicato, sono tratte dalla Versione Nuova Riveduta, società Biblica di
Ginevra, 1994].