Spirito di risurrezione, spirito di evangelizzazione
Introduzione
Una delle conseguenze più notevoli
della fede nella risurrezione di Cristo e della potenza dello Spirito Santo
all’opera nei discepoli di Gesù è lo spirito, lo zelo evangelistico e
missionario che spinse loro - come pure ogni cristiano fedele di ogni tempo e
paese - ad andare per tutto il mondo ad annunciare l’Evangelo di Gesù Cristo,
ad annunciare la verità rivelata da Dio e a chiamare al ravvedimento ed alla
fede. Quello che Gesù lasciò ai Suoi discepoli come preciso mandato, si
realizza così con potenza dopo che i discepoli di Gesù fanno esperienza
personale della nuova realtà della risurrezione e dello Spirito Santo.
E’ l’esempio ed il messaggio perenne
della chiesa cristiana dei tempi apostolici. Comprendiamo noi lo spirito che li
animava e camminiamo sulla stessa strada da loro tracciata? E’ stato scritto: "Nessuna
chiesa può considerarsi ubbidiente se non è attivamente evangelistica", e
"Rifiutarsi di evangelizzare è tanto peccaminoso quanto commettere
adulterio o un omicidio" (J. Blanchard).
Il testo
Lo spirito missionario ed
evangelistico, come pure il contenuto del messaggio evangelico, lo troviamo
esemplificato nel libro degli Atti apostolici ed in particolare nell’episodio
che vede Paolo annunciare Cristo Gesù nella città di Atene. Ascoltiamone il
resoconto, cercando poi di intendere il significato ed il messaggio degli
elementi che vi troveremo.
"Quelli che
accompagnavano Paolo, lo condussero fino ad Atene, e, ricevuto l'ordine di dire
a Sila e a Timoteo che quanto prima si recassero da lui, se ne tornarono
indietro. Mentre Paolo li aspettava ad Atene, lo spirito gli s'inacerbiva
dentro nel vedere la città piena di idoli. Frattanto discorreva nella sinagoga
con i Giudei e con le persone pie; e sulla piazza, ogni giorno, con quelli che
vi si trovavano. E anche alcuni filosofi epicurei e stoici conversavano con
lui. Alcuni dicevano: "Che cosa dice questo ciarlatano?" E altri: "Egli
sembra essere un predicatore di divinità straniere"; perché annunziava
Gesù e la risurrezione. Presolo con sé, lo condussero su nell’Areopago,
dicendo: "Potremmo sapere quale sia questa nuova dottrina che tu proponi?
Poiché tu ci fai sentire cose strane. Noi vorremmo dunque sapere che cosa
vogliono dire queste cose". Or tutti gli Ateniesi e i residenti stranieri
non passavano il loro tempo in altro modo che a dire o ad ascoltare novità. E
Paolo, stando in piedi in mezzo all’Areopago, disse: "Ateniesi, vedo che
sotto ogni aspetto siete estremamente religiosi. Poiché, passando, e osservando
gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto:
Al dio sconosciuto. Orbene, ciò che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo
annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso,
essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani
d'uomo; e non è servito dalle mani dell'uomo, come se avesse bisogno di
qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa. Egli ha tratto
da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia
della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della
loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a
tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui
viviamo, ci muoviamo, e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto:
"Poiché siamo anche sua discendenza". Essendo dunque discendenza di
Dio, non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, ad argento, o a
pietra scolpita dall'arte e dall'immaginazione umana. Dio dunque, passando
sopra i tempi dell'ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo,
si ravvedano, perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con
giustizia per mezzo dell'uomo ch'egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a
tutti, risuscitandolo dai morti". Quando sentirono parlare di risurrezione
dei morti, alcuni se ne beffavano; e altri dicevano: "Su questo ti
ascolteremo un'altra volta". Così Paolo uscì di mezzo a loro. Ma alcuni si
unirono a lui e credettero; tra i quali anche Dionisio l'areopagita, una donna
chiamata Damaris, e altri con loro" (At. 17;16ss).
Il contesto
1. "Quelli che accompagnavano Paolo, lo
condussero fino ad Atene, e, ricevuto l'ordine di dire a Sila e a Timoteo che
quanto prima si recassero da lui, se ne tornarono indietro" (15).
Considerata "l’occhio del
mondo", perché si vantava per la sua cultura di vedere con chiarezza
tutte le cose, Atene era il centro della vita culturale del mondo di allora.
Ciononostante, con tutto il suo sapere, non aveva raggiunto quella conoscenza
che davvero può salvare. Dice infatti la Scrittura ai sapienti di questo mondo:
"Perché, pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato come Dio,
né l’hanno ringraziato; ma si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore
privo di intelligenza si è ottenebrato. Benché si dichiarino sapienti, sono
diventati stolti" (Ro. 1:21,22). Oggi l’Africa viene considerata
"l’ombelico del mondo" (vedasi la canzonetta di Giovannotti), perché
è la culla dell’umanità. Oggi è l’Occidente che potrebbe essere considerato,
con la sua scienza e la sua tecnica, "l’occhio del mondo". Però, ci
"vede" davvero? O è piuttosto il terzo mondo, dove maggiore è la
crescita della fede cristiana fra , a "vederci" e a dirci qualcosa
che noi stiamo dimenticando?
2. "Mentre Paolo li aspettava ad Atene,
lo spirito gli s'inacerbiva dentro nel vedere la città piena di idoli"
(16).
Paolo, nel vedere la città piena di
idoli, ne rimane sconcertato, e sorgono in lui forti e diversi sentimenti: a)
Afflizione, per essere in un posto di così grande cultura, e tuttavia cieco e
miserabile. b) Un grande e zelante desiderio di istruirli e di informarli. c)
Rabbia ed indignazione contro l’idolatria ed il peccato che vi abbondava.
Di fronte a certi spettacoli di
moderna idolatria, superstizione, ignoranza e stupidità come rimanerne
indifferenti! Sono certo che questa esperienza anche voi, conoscendo la verità
della Parola di Dio, l’abbiate avuta anche voi: tristezza, rabbia, voglia di
reagire... Paolo quel giorno era solo "di passaggio", ma non poteva
tacere. E noi? Così...
3. "Frattanto discorreva nella sinagoga con
i Giudei e con le persone pie; e sulla piazza, ogni giorno, con quelli che vi
si trovavano" (17).
Paolo avrebbe dato comunque allora
priorità ai Giudei perché, come membri "storici" del popolo di Dio,
avrebbero trovato in Gesù il compimento ideale della loro fede, ma anche per
lui quella sarebbe stata un’occasione per parlare ai proseliti "le
persone pie" d’origine pagana ivi presenti. Non si limita però al
chiuso di un locale di culto. L’Evangelo lo vuole pure annunziare sulla piazza
del mercato, là dove si raccoglie maggiormente la gente, come il pescatore che
getta la sua rete dove vi è grande quantità di pesce. Paolo coglieva ogni
occasione ed era pronto ad andare in qualsiasi luogo pur di annunciare
l’Evangelo. Al discepolo Timoteo diceva: "predica la Parola, insisti in
ogni occasione, favorevole e sfavorevole" (2 Ti. 4:2). Ed ecco che chi
incontra?
4. "E anche alcuni filosofi epicurei e
stoici conversavano con lui. Alcuni dicevano: Che cosa dice questo ciarlatano?
E altri: Egli sembra essere un predicatore di divinità straniere; perché‚
annunziava Gesù e la risurrezione" (18).
Queste due scuole di pensiero
filosofico, molto popolari allora, erano entrambe avverse al cristianesimo, ma
Paolo non si lascia intimidire neppure davanti a dei filosofi. E noi, sappiamo
difendere la concezione cristiana del mondo davanti agli intellettuali del nostro
tempo?
(1) Gli epicurei, dal loro
fondatore Epicuro, negavano generalmente che il mondo fosse stato fatto da Dio
o che Dio lo governasse, che vi fosse un giudizio finale, ricompense e castighi
dopo la morte. Per loro "bene" era ciò che poteva soddisfare i loro
sensi, e quindi il concetto cristiano di moralità era ben lungi dalla loro
prospettiva: tutto per loro era ammissibile se causava loro piacere. (2) Gli stoici,
invece, erano chiamati così dal luogo dove solevano originalmente riunirsi, la stoà
o il portico. Negavano che i saggi di fatto fossero inferiori ai loro
dei e di fatto privilegiavano qualunque sapienza umana rispetto a quella
divina. Aspiravano ad una vita virtuosa, ma non aveva riferimento alcuno ad un
essere supremo. Quel giorno aderenti a queste filosofie avevano udito Paolo
predicare e, scuotendo la testa, con atteggiamento di superiorità, lo avevano
considerato un primitivo ciarlatano o meglio un "balbuziente
ignorante di idee diverse", "uno che raccoglie qui e là frammenti di
informazione", un eclettico privo di un sistema filosofico coerente e
certamente inferiore al loro. Non era vero, ma alle loro orecchie Paolo
sembrava uno dei tanti predicatori di divinità straniere, scambiando i
frequenti riferimenti di Paolo a Gesù e alla risurrezione come se si
trattasse di una coppia divina (Gesù e Anastasi...). Di fronte ai sistemi
filosofici alla moda le parole della predicazione cristiana spesso sono prive
di senso, destinate ad essere equivocate, ma è un rischio da correre che ci
stimola ad un dialogo più approfondito con il mondo.
5. "Presolo con sé lo condussero su
nell’Areopago, dicendo: Potremmo sapere quale sia questa nuova dottrina che tu
proponi? Poiché‚ tu ci fai sentire cose strane. Noi vorremmo dunque sapere che
cosa vogliono dire queste cose"
(19,20).
Lo convocano così a spiegarsi meglio
di fronte all’accademia riunita degli intellettuali sulla collina di Atene, il
luogo stesso dove era stato condannato Socrate, il luogo dove ideologie e
religioni venivano giudicate. Difficile dire se si trattasse di un onesto
desiderio di capire meglio, oppure di un’occasione per prendersi gioco di lui.
Comunque sembrano dire: "Quale nuova proposta filosofica e religiosa ci
porti? Quello che predichi ci sembra nuovo, strano, curioso. Come rapporti le tue
convinzioni alla scienza stabilita?".
Non sorprende che il messaggio
dell’Evangelo possa apparire nuovo ed inaudito a chi è abituato alle filosofie
ed alle religioni di questo mondo. Essi avrebbero dovuto riconoscerlo, perché
Dio pone una chiara testimonianza di Sé stesso nella coscienza di ogni
creatura umana tanto da rendere ogni uomo inescusabile. L’umana conoscenza
naturale, però, viene repressa dal peccato che ci pervade, il quale produce in
noi concezioni del mondo di comodo, false e devianti che finiamo poi per
credere, "dimenticandoci" della verità che così ci sembrerà del tutto
nuova!
6. "Or tutti gli Ateniesi e i residenti
stranieri non passavano il loro tempo in altro modo che a dire o ad ascoltare
novità" (21).
Atene era il centro culturale più
rinomato del mondo antico. Ivi proliferavano scuole di ogni tipo e studenti da
ogni dove venivano a frotte alla ricerca della verità, del meglio delle
conoscenze a loro disponibili. Se si voleva pubblicare una nuova tesi, far
conoscere qualche nuova ipotesi religiosa o ideologia, quello era il posto dove
andare. Atene era così diventata il teatro di ogni novità e la presentazione di
nuove idee, con il contraddittorio che ne seguiva, era diventato un vero e
proprio spettacolo. Anche la nostra generazione sembra a perenne caccia della
verità senza mai trovarla. Se la trovasse, però, la getterebbe via, trovando
molto più divertente continuare a cercarla esaminando le ipotesi più
stravaganti.
Come avrebbe potuto Paolo, in un
contesto simile, presentare l’Evangelo di Gesù Cristo? Come non dare
l’impressione che l’Evangelo non fosse che una nuova religione fra tante, una
semplice curiosità?". Come fare nel nostro contesto a presentare la
verità?
7."E Paolo, stando in piedi in mezzo
all’Areopago, disse: Ateniesi, vedo che sotto ogni aspetto siete estremamente
religiosi Poiché passando, e osservando gli oggetti del vostro culto, ho
trovato anche un altare sul quale era scritto: Al dio sconosciuto. Orbene, ciò
che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio" (22,23).
Agli ateniesi certo non mancavano le
religioni: ne avevano per tutti i gusti! L’Evangelo non sarebbe stato
considerato una nuova? Essi avevano tutto ciò che la loro fantasia avesse
potuto escogitare, ma mancavano di quell’antica e verace conoscenza di Dio che
avevano soppresso in favore dei loro idoli. Era una "conoscenza
soppressa", ma nel loro cuore ancora albergava, nonostante i loro idoli,
una latente nostalgia per il Dio vero e vivente che li rendeva insoddisfatti
dei loro idoli e che li aveva indotti a edificare un altare a questo "dio
sconosciuto".
Si racconta che in tempo di epidemie gli ateniesi - come ogni
popolo, per poterne essere liberati - invocassero i loro rispettivi dei. Visto
poi che erano muti ed impotenti, avevano eretto un altare appunto al "dio
sconosciuto" quello che davvero sarebbe stato capace di guarirli ...nel
caso si fossero sbagliati.
E’ uno spunto prezioso, per Paolo,
iniziare il suo discorso partendo proprio da quel misterioso e significativo
altare. Lo stesso vale anche oggi: anche il mondo moderno è pieno d’idoli
d’ogni tipo; nel fondo del cuore di ognuno, però, ancora permane il ricordo e
il desiderio di quello che definiamo "un Dio sconosciuto", un
"Dio autentico", il desiderio di "qualcosa" che soddisfi di
più di ciò che questo mondo offre. E’ importante che - allo stesso modo -
l’evangelista moderno possa far appello a questa misteriosa "conoscenza
soppressa e nostalgica", un Dio ed una "religione" radicalmente
diverso da quelli che questo mondo offre, anche se è vero che la fede cristiana
possa corrompersi e trasformarsi in "una fra le tante".
Un’evangelizzazione teocentrica
Ecco così che l’apostolo incomincia a
trasmettere agli ateniesi ciò che Dio ha rivelato di Sé stesso, e lo fa appunto
in ubbidienza al mandato missionario di Gesù che disse: "Fate discepoli
tutti i popoli ... insegnando loro ad osservare tutte quante le cose che vi ho
comandate" (Mt. 28:18-20).
8. "Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le
cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in
templi costruiti da mani d'uomo; e non è servito dalle mani dell'uomo, come se
avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni
cosa" (24,25).
Notate come il suo messaggio non
abbia a che fare con i bisogni umani, sui luoghi comuni di astratti sentimenti
umanistici e sociali, ma come sia incentrato assolutamente su Dio, suo onore e
suoi diritti. Non è un messaggio antropocentrico, ma teocentrico. Egli
presenta una chiara immagine del Dio vivente e vero e delle conseguenze che la
fede in Lui comporta.
1) Sembra dapprima rivolgersi agli Epicurei, che
sostenevano come il mondo fosse eterno, senza inizio: è Dio che ha fatto il
mondo, ed Egli è sovrano su ogni cosa. Poi dice: 2) Dio è trascendente e
non abita in templi costruiti dall’uomo, non può essere né contenuto da
qualsiasi cosa l’uomo abbia fatto, né può essere da lui manipolato a suo
piacimento. Certo, aveva voluto che Gli fosse edificato a Gerusalemme un
tempio: quello però era il luogo dove Egli aveva scelto di manifestarsi e
doveva essere come la figura delle realtà celesti. Inoltre 3) Dio non ha
bisogno né di essere servito da sacerdoti, né di ricevere offerte e sacrifici
perché già ogni cosa Gli appartiene. Il culto è un dovere che spetta all’uomo
perché esprime l’onore che Gli è dovuto e all’uomo soltanto torna di vantaggio.
E soprattutto: 4) Dio sta all’origine della vita dell’uomo, la nostra
vita sta nelle Sue mani. Come all’antico re pagano Baldassar, il messaggio di
Paolo agli ateniesi è: "Tu hai lodato gli dei d’argento, d’oro e di
bronzo, di ferro, di legno e di pietra, i quali non vedono, non odono e non
comprendono, e non hai glorificato il dio che ha nella sua mano il tuo soffio
vitale, e dal quale dipendono tutte le tue vie" (Da. 5:23). Ecco poi
un’altra argomentazione:
9. "Egli ha tratto da uno solo tutte le
nazioni degli uomini perché‚ abitino su tutta la faccia della terra, avendo
determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione
affinché‚ cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché‚
egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui viviamo, ci muoviamo,
e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto: "Poiché‚ siamo anche
sua discendenza". Essendo dunque discendenza di Dio, non dobbiamo credere
che la divinità sia simile a oro, ad argento, o a pietra scolpita dall'arte e
dall'immaginazione umana"
(26-29).
La verità su Dio è di notevoli
conseguenze pratiche sulla vita umana: 5) Iddio non solo è genitore
della razza umana, ma è pure Colui che è ha stabilito le differenze ed i
confini delle varie componenti dell’umanità. Da questo ne deriva l’amore e la
compassione che dobbiamo avere l’uno per l’altro, come pure i vincoli di solidarietà
che a tutti ci legano. 6) Egli è il Dio della provvidenza, e Paolo
afferma questo contro i filosofi ateniesi negando che le cose avvengano per
caso o per il concorso fortuito degli atomi. Dio è in ogni cosa, sebbene gli
uomini non lo sappiano o non lo vogliano considerare. E’ la dottrina insegnata
da Mosè che esortando a scegliere la vita, a scegliere Dio, dice: "amando
il Signore, il tuo Dio, ubbidendo alla sua voce e tenendoti stretto a lui,
perché egli è la tua vita e colui che prolunga i tuoi giorni" (De.
30:20).
Un messaggio di ravvedimento
Ecco così il punto culminante del
messaggio di Paolo:
10. "Dio dunque, passando sopra i tempi
dell'ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano,
perché‚ ha fissato un giorno, nel quale giudicherà… il mondo con giustizia per
mezzo dell'uomo ch'egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti,
risuscitandolo dai morti"
(30,31).
I tempi dell’ignoranza sono finiti. Dio rivela chiaramente Sé stesso ora in
Cristo e nella Sua Parola scritta annunciata dagli apostoli. Nessuno da ora in
poi potrà giustificarsi dicendo che non essere stato informato o di essere
stato lasciato da parte da Dio, nessuno potrà sentirsi giustificato a
continuare nella propria incredulità ed errore. Siamo chiamati a convertirci: a
lasciarci alle spalle i nostri idoli, errori, false religioni e filosofie di
vita, comportamenti sbagliati e peccati. Dio è pronto a perdonare e a
dimenticare tutto il passato di chi si converte, o meglio, si riconverte
a Lui. Il messaggio è rivolto a tutti e dovunque, senza eccezione di tempo e di
luogo. Siamo chiamati a ravvederci e a volgerci al Dio vero e vivente: chi mai
preferirebbe dopo questo rimanere nell’ignoranza e nella maledizione del
peccato?
Tutti siamo ora personalmente responsabili
davanti a Dio di che ne abbiamo fatto della nostra vita e di come avremo
risposto alla sovrana proclamazione dell’Evangelo della grazia di Dio in Gesù
Cristo. Il tempo è già stato fissato in cui dovremo presentarci di fronte a
Colui che prima era Salvatore, ma che un giorno sarà il nostro giusto, Colui la
cui dignità divina è stata confermata nella risurrezione dai morti. Colui che
l’umanità aveva giudicato, condannato e sentenziato a morte, sarà nostro
Giudice. Dio l’ha glorificato e, come dice Paolo in Romani, "dichiarato
Figlio di Dio in potenza secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione
dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale abbiamo
ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede fra
tutti gli stranieri" (Ro. 1:4,5). Qual è la reazione di questo
uditorio al discorso di Paolo? Lo troviamo nell’ultima sezione.
La risposta dell’uditorio
"Quando sentirono parlare di
risurrezione dei morti, alcuni se ne beffavano; e altri dicevano: Su questo ti
ascolteremo un'altra volta. Così Paolo uscì di mezzo a loro. Ma alcuni si
unirono a lui e credettero; tra i quali anche Dionisio l'areopagita, una donna
chiamata Damaris, e altri con loro" (32-34).
All’udire parlare di risurrezione e
di giudizio, di spirito e di responsabilità morale nei confronti dell’oggettiva
legge di Dio gli Epicurei si mettono a ridere: ...che sciocchezze! Molti
reagiscono lo stesso oggi. Altri, forse gli stoici, che non consideravano
impossibile la risurrezione e il giudizio, rimandano le questioni ad altra
data. Chissà poi a quando! Quanti oggi rimandano di prendere posizione anche se
il discorso evangelico paia loro sensato. Dio, però, è sovrano e potente e può
sottomettere a sé chi, come, quando e dove vuole. Diversi sono i suoli su cui
il seme e gettato, e Paolo lascia i risultati della sua predicazione a Dio. Uscendo
di mezzo a loro Paolo lascia ciò che ha detto alla benedizione di Dio ed
alla loro ulteriore riflessione. Il risultato però non è del tutto negativo:
alcuni credono alle parole di Paolo ed il fatto che il nostro testo li menzioni
indica come sarebbero state persone ben conosciute, forse le fondatrici stesse
della comunità cristiana di Atene.
Ecco dunque ciò che pure a noi oggi
il Signore vuole comunicarci? Seguiremo noi le autorevoli esperienze degli
apostoli, o ci conformeremo allo spirito dei nostri tempi, vanificando il
messaggio evangelico. Un evangelista moderno scrisse: "Dobbiamo
evangelizzare non perché sia piacevole, non perché sia facile, non perché
riscontri grandi successi, ma perché Cristo ci ha chiamato a farlo. Egli è il
nostro Signore. Non abbiamo altra scelta che ubbidirgli" (Leighton
Ford).
[Paolo Castellina,
venerdì, 19. aprile 1996. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente
indicato, sono tratte dalla Versione Nuova Riveduta, società Biblica di
Ginevra, 1994].