Fuori dalla città... fuori dagli accampamenti...

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Introduzione

Un antico racconto. Un antico racconto parla di come una principessa, per il suo compleanno, ricevesse dal fidanzato un pesante pacco dall’insolita forma tondeggiante. Impaziente per la curiosità, lo aprì e trovò... una palla di cannone. Delusa e furiosa, scagliò a terra il nero proiettile di bronzo. Cadendo, l’involucro esterno della palla si aprì e apparve una palla più piccola d’argento. La principessa la raccolse subito. Rigirandola fra le mani, fece una leggera pressione sulla sua superficie. La sfera d’argento si aprì a sua volta e apparve un astuccio d’oro. Questa volta la principessa aprì l’astuccio con estrema facilità. All’interno, su una morbida coltre di velluto nero, spiccava un magnifico anello, tempestato di splendidi brillanti che facevano corona a due semplici parole: TI AMO.

Molta gente pensa: la bibbia non mi attira. Contiene troppe pagine austere e incomprensibili. Ma chi fa lo sforzo di rompere il primo "involucro", con attenzione e preghiera, scopre ogni volta nuove e sorprendenti bellezze. E soprattutto verrà presto colpito dalla chiarezza del messaggio divino inciso nella Bibbia: DIO TI AMA.

Un linguaggio da decifrare. La sofferenza e la morte del Signore Gesù sulla croce rappresentano per molti un’immagine tetra e di cattivo gusto. Non capiscono cosa ci possa essere in essa se non sconfitta, dolore, repulsione. La croce di Cristo è "dura", ma nasconde un messaggio meraviglioso. La sofferenza e la morte del Signore Gesù non hanno per la fede cristiana un valore accidentale. Anche il modo e le circostanze in cui Gesù ha sofferto ed è morto assumono un valore fondante per l’intera fede cristiana, senza il quale essa perde la sua autenticità.

Nell’ultimo capitolo della lettera ai cristiani di origine ebraica, lo scrittore, ispirato da Dio, mette in evidenza un particolare significativo della morte di Cristo. Al versetto 12 egli scrive: "Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori dalla porta della città". Che significa questo particolare, e perché è importante? Leggiamoci però il testo nel suo contesto immediato.

"I corpi degli animali il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario quale offerta per il peccato, sono arsi fuori dell’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori dalla porta della città. Usciamo quindi fuori dall’accampamento e andiamo a Lui portando il Suo obbrobrio. Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura. Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode: cioè il frutto di labbra che confessano il Suo Nome. Non dimenticate poi di esercitare la beneficenza e di mettere in comune ciò che avete; perché è di tali sacrifici che Dio si compiace" (Ebrei 13:11-16).

Per le orecchie moderne il linguaggio che questo scrittore usa ci appare difficile e forse sgradevole - la nostra cultura è lontana dalla sua - eppure dobbiamo cercare di comprendere, perché è proprio "decifrando" il messaggio nascosto nelle espressioni della Bibbia, che possiamo giungere a intendere ciò che Dio vuole comunicare a ciascuno di noi al riguardo di Colui che Egli ha mandato per la nostra salvezza, il Signore Gesù Cristo.

Due significati. Lo scrittore, dunque, afferma che Gesù soffrì e morì "fuori dalla porta della città", fuori dalle mura della città. Per lui questo fatto non è accidentale perché ne trae subito una conclusione importante e pratica per i suoi lettori, infatti dice: "Usciamo quindi fuori dall’accampamento e andiamo a Lui portando il Suo obbrobrio" (13), in altre parole: "usciamo anche noi fuori della città, andiamo verso di lui, portando la sua stessa umiliazione" (TILC). E’ una conclusione questa per noi non meno enigmatica della prima affermazione. Che significa?

Il fatto che il Salvatore abbia sofferto e sia morto "fuori dalle mura della città", assume nel contesto biblico almeno due significati:

(1) Il primo è il fatto non indifferente, che il nostro Maestro sia stato malamente respinto e cacciato fuori dal contesto della società civile e religiosa di quel tempo, come un estraneo, un sovversivo, un rifiuto... questo fatto ha delle implicazioni per chi segue Gesù.

(2) Il secondo è il fatto che i suoi nemici (i politici ed i religiosi del suo tempo), non si erano forse resi conto che, avendolo gettato fuori dalle mura della città, Gesù aveva avuto la stessa sorte dei resti degli animali che allora si usava sacrificare a Dio: la sofferenza e la morte di Gesù assumeva così, loro malgrado, un significato profetico e religioso.

1. Respinto come maledetto

Il Signore Gesù era stato portato per essere giustiziato della morte di croce al Golgotha, il luogo fuori dalle mura di Gerusalemme dove di solito venivano giustiziati i banditi, i criminali, gli assassini.

Si trovava appunto: (a) fuori dalla città, perché fosse ben chiaro il concetto che chiunque avesse infranto le leggi stabilite sarebbe stato escluso dall’umano consesso. (b) Era su una collina, da dove poteva essere visto da una certa distanza e potesse servire come monito a coloro che eventualmente avessero voluto dar retta a quelle persone, e (c) era pure vicino ad una strada di accesso alla città, a che parimenti fosse chiaro a tutti che cosa sarebbe successo a chiunque avesse tentato di opporsi alle autorità costituite. (d) Il posto non era lontano da una discarica pubblica, laddove la città gettava i propri rifiuti, ed (e) anche vicino ad un’area usata come cimitero.

Un anticonformista. Non vi sfugge quindi il significato simbolico di tutto questo, non è vero? Gesù era un sovversivo, uno che "dava fastidio", uno che metteva in questione l’ordine costituito, sia quello religioso che quello civile. Indubbiamente Gesù era un anticonformista. Egli non aveva nulla a che fare con le istituzioni ufficiali e le tradizioni umane. Gesù era un uomo libero: libero dalla politica corrente (egli non apparteneva ad alcun partito o fazione politica), e libero sia dalla religione costituita che dai vari gruppi religiosi e sétte del tempo.

Egli era "fuori". Sia i collaborazionisti dell’ordine costituito dall’invasore romano, sia i rivoluzionari terroristi che lo avversavano avevano tentato di accaparrarsi Gesù e di portarselo dalla loro parte. Gesù non si era messo, però, né con i sadducei né con gli zeloti. Anche i vari gruppi religiosi avevano tentato di portarselo dalla loro parte, ma Gesù non si era unito né ai farisei, né ai sadducei, né agli scribi né ai sacerdoti, e nemmeno era membro di gruppi monastici come gli esseni. Di lui la folla diceva: "la folla stupiva del suo insegnamento, perché egli insegnava come uno che ha autorità e non come i loro scribi" (Mt. 8:4).

Un’assoluta novità. Il fatto che Gesù fosse "al di sopra delle parti" e che parlasse con la forza di chi ha davvero autorità è sia un indizio che Egli fosse veramente Dio fra di noi, Parola fatta carne, sia che quello che Gesù portava era "un’assoluta novità". Sbaglia la "scienza" della storia delle religioni ad equiparare Gesù a un qualsiasi movimento a lui precedente o contemporaneo. Gesù è un "unicum", il "vino nuovo" che supera tutto ciò che appartiene alla "tradizione umana", un elemento di rottura con il vecchio, non assimilabile né strumentalizzabile, come purtroppo spesso è stato fatto vanamente. Gesù "va stretto" a chiunque lo voglia usare ai propri fini. Non ha senso parlare di un "Gesù socialista" né di un Gesù "campione del liberismo politico o religioso". Non è possibile che un’istituzione, per quanto porti l’etichetta di "chiesa cristiana" possa monopolizzare Gesù e rendersene unico rappresentante ufficiale ed autorizzato. Anche oggi Gesù vuole rimanere libero persino dalle chiese stabilite. Questo non vuole dire che le chiese, i gruppi religiosi od i partiti ed i movimenti politici non debbano esistere, o che non se ne debba appartenere. Gesù però, rispetto a chiunque, anche al meglio intenzionato, rimane alla dovuta "distanza critica".

Andare "fuori", con Lui. Stupisce quindi che tutti, alla fine, politici e religiosi, non essendo riusciti a conquistarselo, abbiano respinto Gesù come un estraneo, lo abbiano abbandonato e sconfessato? No. Le istituzioni lo hanno sconfessato e consegnato agli aguzzini, i vari gruppi religiosi, anche loro, di Gesù "se ne sono lavate le mani", e persino i rivoluzionari della politica, impersonati dal traditore Giuda, lo avevano "venduto al migliore offerente".

Di questo Gesù, "respinto dal consesso umano" e gettato fuori dalla città, il nostro testo dice: "Usciamo quindi fuori dall’accampamento e andiamo a Lui portando il Suo obbrobrio. Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura" (13).

Nel corso della storia ed ancora oggi molti cristiani che vogliono seguire Gesù seriamente sono anche loro sconfessati e respinti dalle istituzioni politiche e religiose del "consesso civile". Per esempio la sorte che era toccata ai cristiani riformati in Italia: non solo perseguitati e respinti, ma espropriati e costretti ad espatriare per poter continuare a praticare la loro fede, fede alla quale non avevano voluto rinunciare. Avrebbero rinunciato alla vita, ma non avrebbero rinnegato Cristo.

In Valtellina, al tempo della Controriforma: "...la vecchia contadina Lena Moneta, la quale, dopo ripetute intimazioni di ritornare alla vecchia fede e di salvare con ciò la propria vita, rispose impavidamente: "Giammai. Io sono già con un piede nella tomba e non voglio nei miei vecchi giorni abbandonare Gesù Cristo, mio Signore. Io non voglio ritornare ad adorare delle creature ed anteporre la tradizione umana alla luminosa parola di Dio". La buona vecchia pagò il suo coraggio e la sua fede con la vita".

Forse questo non accadrà a noi, ma, chiediamoci, quale "distanza critica" abbiamo noi come cristiani dalle istituzioni politiche e religiose dei nostri tempi oppure da gruppi o movimenti vari? Siamo noi semplicemente dei "gregari" o abbiamo la libertà interiore che aveva il Signore Gesù di contrapporci al conformismo?

Relativizzare il presente. Il cristiano relativizza le istituzioni ed assolutizza la Parola di Dio e il Suo Cristo. Il cristiano sa che le istituzioni di questo mondo sono solo "un accampamento" provvisorio. Il cristiano guarda ed attende la "città stabile" e futura che Dio realizzerà e che supera radicalmente il presente. Noi siamo chiamati a far parte di quella schiera di fedeli testimoni che hanno pagata cara la loro "differenza" e di cui parla la stessa lettera agli Ebrei: ""Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra. Infatti, chi dice così dimostra di cercare una patria; e se avessero avuto a cuore quella da cui erano usciti, certo avrebbero avuto tempo per ritornarvi! Ma ora ne desiderano una migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, perché ha preparato loro una città" (Eb. 11:13-16); "furono lapidati, arsi sul rogo, uccisi di spada... bisognosi, afflitti, maltrattati (di loro il mondo non ne era degno), erranti per deserti, monti, spelonche e per le grotte della terra..." (Eb. 11:37).

Di loro il mondo non era degno... La condotta che lo scrittore prescrive a coloro che sono stati convertiti a Cristo era quella che essi dovessero professare la loro fede in Gesù, respinto come maledetto, nonostante le critiche a cui tale professione li avrebbe esposti; e che dovessero pubblicamente aderire al Suo culto e servizio senza vergogna davanti ai loro concittadini non credenti e sprezzanti. Dovevano uscire da un mondo incredulo e ribelle senza volere più avere parte delle sue opere. L’apostolo Paolo così esorta: "Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto, denunciatele" (Ef. 5:11).

Respinto come un sacrificio

Il secondo è il fatto che i suoi nemici (i politici ed i religiosi del suo tempo), non si erano forse resi conto che, avendolo gettato fuori dalle mura della città, Gesù aveva avuto la stessa sorte dei resti degli animali che allora si usava sacrificare a Dio per implorare il Suo perdono: la sofferenza e la morte di Gesù assumeva così, loro malgrado, un significato profetico e religioso. Dice il nostro testo: "Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori dalla porta della città".

Il capro espiatorio. Il popolo di Israele aveva sempre avuto una forte consapevolezza di essere moralmente e spiritualmente manchevole di fronte a Dio, aveva coscienza di infrangere la legge di Dio e di essere lungi dal modello di una vita santa, buona e giusta che Dio esige. Non mancava così occasione di confessare i propri peccati pubblicamente e di implorare il perdono da parte di Dio sacrificando degli animali sull’altare del tempio. Essi ritenevano così di dover pagare a causa dei propri peccati privandosi di qualcosa di prezioso per la loro vita che essi possedevano. Dio avrebbe apprezzato l’offerta e perdonato il loro peccato. C’era però un’altra usanza in Israele, quella del "capro espiatorio". Il sacerdote avrebbe "posato tutte e due le mani sul capo del capro vivo, confessando su di lui tutte le iniquità dei figli di Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati" mettendoli così simbolicamente sulla testa del capro, poi "per mano di un uomo che ha questo incarico" l’avrebbero mandato via nel deserto. La parola del Signore diceva: "Quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in una regione solitaria; esso sarà lasciato andare nel deserto" fuori quindi dall’accampamento (Le. 16:21,22). Anche i resti del sacrificio di espiazione non sarebbero stati consumati, ma sarebbero stati distrutti fuori dall’accampamento: "Si porterà fuori dall’accampamento il toro del sacrificio per il peccato e il capro del sacrificio espiatorio, il cui sangue sarà stato portato nel santuario per farvi l’espiazione; e se ne bruceranno le pelli, la carne e gli escrementi" (Le. 16:27,28).

Prefigurazione di Cristo. Tutto questo avrebbe significato l’allontanamento del peccato dalla città o dall’accampamento, sede della loro vita, l’allontanamento del peccato via dalla loro vita. Tutto questo, però, non era che la prefigurazione di quello che sarebbe avvenuto con il sacrificio cruento della persona del Salvatore. Pensate, non ne avevano coscienza, ma quel giorno, uccidendo il Signore Gesù Cristo, e portandolo fuori dalla città avrebbero realizzato proprio quello che gli antichi sacrifici avevano prefigurato. Il Signore Gesù avrebbe preso su di sé tutte le loro trasgressioni e sarebbe diventato Egli stesso il vero, autentico e finale sacrificio per il perdono dei peccati del popolo. Non più il sangue di tori od agnelli, ma il sangue purissimo del Messia stesso, non più un capro su cui simbolicamente sarebbero stati deposte le trasgressioni del popolo, e poi allontanato, ma la santa persona del Messia stesso allontanato dalla città per pagare Lui il prezzo del peccato di molti. Come disse il profeta Isaia: "Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la sua propria via: ma il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti... Come l’agnello condotto al mattatoio..." (Is. 53:5,6).

Remissione perpetua. Non è impressionante questo? Pensavano di liberarsene così di un impostore, di uno scomodo sovversivo, in realtà sotto i loro occhi - e malgrado loro - stava avvenendo il sacrificio del Messia, il sacrificio vero, ultimo, autentico, mediante il quale tutti coloro che avrebbero in Lui riposto la loro fede, in ogni tempo e paese, sarebbero stati perdonati dei loro peccati e santificati tanto da poter comparire alla santa e pura presenza di Dio. Dice infatti il nostro testo: "I corpi degli animali il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario quale offerta per il peccato, sono arsi fuori dell’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori dalla porta della città".

Ci pensate? Il sangue versato di Cristo non era il sangue di un omicida che subiva così la sua giusta sentenza di morte, ma il sangue di un innocente che stava pagando per i peccati di altri, dei nostri peccati!

Con fiducia verso di Lui. Per questo il nostro testo dice: Usciamo, andiamo a Lui con fiducia, perché Lui è lo strumento che Dio ha stabilito per il perdono dei nostri peccati. Usciamo, andiamo senza vergogna verso Colui che ci può ristabilire presso Dio. Usciamo verso di Lui, che importa se qualcuno volesse prendersi gioco di noi quando confidiamo in un Messia appeso ad una croce? Che importa? Porteremo "il suo obbrobrio".

Andiamo a Lui, il vero ed efficace sacrificio per i nostri peccati, ed offriremo a Dio questo sacrificio: "Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode: cioè il frutto di labbra che confessano il Suo Nome".

Andiamo a Lui, "uscendo" dai templi e dalle chiese dove avvengono inutili riti religiosi, vane chiacchiere, ipocrite cerimonie che aggiungono peccato a peccato e certo non li tolgono. Dichiareremo a tutti con forza che l’unica cosa che veramente valga davanti a Dio è aderire con fiducia ed ubbidienza al Signore Gesù Cristo, Colui che avevano respinto, Colui che è stato definito la pietra che i costruttori hanno buttato via come inutile, in realtà è la pietra più importante della costruzione della nostra vita. Non solo questo, ma in riconoscenza verso Dio imiteremo proprio quel Cristo nei fatti della solidarietà verso coloro che soffrono e sono nel bisogno.

Conclusione

Vedete allora come il fatto che il Salvatore Gesù abbia sofferto e sia morto "fuori dalle mura della città", assume nel contesto biblico almeno due precisi significati che non possiamo lasciarci sfuggire nonostante il fatto che questo testo biblico si esprima con termini lontani dalla nostra cultura.

(1) Il primo è il fatto non indifferente, che il nostro Maestro sia stato malamente respinto e cacciato fuori dal contesto della società civile e religiosa di quel tempo, come un estraneo, un sovversivo, un rifiuto: per noi che seguiamo Gesù è un invito a relativizzare le istituzioni politiche e religiose umane, mantenere verso di loro una "distanza critica" perché noi guardiamo ad una città migliore, la sola che veramente abbia fondamenta, quella celeste. E’ un invito al coraggio dell’anticonformismo al seguito del Signore Gesù.

(2) Il secondo è il fatto che i suoi nemici (i politici ed i religiosi del suo tempo), non si erano forse resi conto che, avendolo gettato fuori dalle mura della città, Gesù aveva avuto la stessa sorte dei resti degli animali che allora si usava sacrificare a Dio: la sofferenza e la morte di Gesù assumeva così, loro malgrado, il valore eterno di un autentico e definitivo sacrificio per il perdono dei peccati di chiunque ripone in Cristo Gesù la propria più incondizionata fiducia.

Saremo anche noi annoverati fra coloro che avranno avuto il coraggio di "uscire dall’accampamento" per dirigerci con decisione verso Cristo?

[Paolo Castellina, sabato, 23. marzo 1996. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Versione Nuova Riveduta, società Biblica di Ginevra, 1994].

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