Domenica 11 Settembre 2022 – Quattordicesima domenica dopo la Pentecoste
(Culto completo, 60′)
(Solo predicazione, 30′)
Introduzione alle letture bibliche
Testi biblici: Salmo 14; Geremia 4:11-12, 22-28; 1 Timoteo 1:12-17; Luca 15:1-10
È possibile ricuperare a Dio lo stolto che dice in cuor suo “Non c’è Dio”, uno che faccia cose abominevoli e ignori ciò che è bene? È possibile ricuperare per Dio una persona sviata che non cerca Dio, e che anzi, come si dice, “se ne sbatte” di Lui? Potrà mai diventare intelligente e invocare il Signore? Dovrà per sempre opprimere e bistrattare pure il prossimo? Se lo chiede implicitamente il Salmo 14 che descrive la condizione degli stolti che si avviano inesorabilmente verso la perdizione e questi contrapposti alle speranze dei miseri il cui unico rifugio è il Signore. La condanna finale degli stolti è evocata dalla seconda lettura, tratta dal profeta Geremia, stolti che capitano persino di far parte del popolo stesso di Dio: «Veramente il mio popolo è stolto, non mi conosce; sono figli insensati, non hanno intelligenza; sono saggi per fare il male, ma il bene non lo sanno fare». Può succedere, però, come nel caso della vita passata dallo stesso Apostolo Paolo, che, per grazia di Dio, persino qualche stolto malfattore si ravveda. Di sé stesso, infatti, egli dice (lo troviamo nella terza lettura): “… prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità, e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l’amore che è in Cristo Gesù”. Vero, il ravvedimento degli stolti è possibile in Gesù Cristo. Lo troviamo illustrato in due parabole di Gesù, in Luca 15 (la nostra quarta lettura), dove Egli parla di un pastore che va alla ricerca anche di una pecora del suo gregge che si era perduta e che non si dà pace finché non la ritrova. La massa dei perduti oggi rimane grande, ma i discepoli di un tale pastore ne vanno diligentemente alla ricerca perché v’è grande gioia in cielo anche per un solo peccatore che si ravvede. Quella della comunità cristiana e dei suoi ministri dev’essere così “l’operazione ricupero”. La condividiamo?
Vivere come se Dio non esistesse non paga
Vivere come se Dio non esistesse è ciò che sempre di più caratterizza la società contemporanea, dove le cosiddette “pratiche religiose” sono sempre di più neglette e ignorate. Più che di ateismo si dovrebbe forse meglio parlare di prevalente disinteresse o indifferenza verso ciò che si chiama “la religione”. Si tratta dell’agnosticismo di chi dice: “Non ne sento il bisogno e non intendo occuparmene: ne faccio benissimo a meno”. Molti ritengono questo fenomeno una “evoluzione naturale” dell’essere umano che apparentemente, così, “si libera dai condizionamenti religiosi”, dalla trascendenza, per focalizzarsi sul “concreto”, sul “materiale”, inteso come l’unica realtà che esista e della quale convenga occuparsene. Il fenomeno della “eclissi di Dio” e del sacro dalla consapevolezza e dalla vita della maggior parte delle persone è studiato dalle scienze sociali sotto la categoria di secolarizzazione o desacralizzazione. Sono state elaborate al riguardo della sua origine e significato diverse teorie.
Quello che vogliamo rilevare in questa sede è che, nonostante le apparenze che lo considerano come un fenomeno moderno, non si tratta affatto di qualcosa di nuovo! Per quanto oggi sia più diffuso che un tempo, questo fenomeno è stato presente da sempre perché fa parte dell’irrazionale ambizione umana all’indipendenza da Dio. Esso è stato l’oggetto delle investigazioni di antichi saggi come l’antico Salomone nella Bibbia, che, indicata con il nome di “empietà”, affermava: “Io mi sono applicato nel cuor mio a riflettere, a investigare, a cercare la sapienza e la ragione delle cose, e a riconoscere che l’empietà è una follia e la stoltezza una pazzia” (Ecclesiaste 7:25). Essi non avevano dubbio alcuno che la realtà di Dio è così palese e inequivocabile che vivere come se Egli non esistesse è nulla di meno di follia, stoltezza e pazzia.
Ritroviamo questo concetto nel Salmo 14, di Davide, il testo biblico che consideriamo quest’oggi e che dice, in forma poetica:
“1Lo stolto ha detto nel suo cuore: “Non c’è Dio”. Si sono corrotti, si sono resi abominevoli nella loro condotta; non c’è nessuno che faccia il bene. 2L’Eterno ha riguardato dal cielo sui figli degli uomini per vedere se vi fosse qualcuno che avesse intelletto, che cercasse Dio. 3Tutti si sono sviati, tutti quanti si son corrotti, non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno. 4Sono dunque senza conoscenza tutti questi malvagi, che divorano il mio popolo come se fosse pane e non invocano l’Eterno? 5Ma ecco, sono presi da grande spavento perché Dio è con la gente giusta. 6Voi cercate di confondere le speranze del misero, perché l’Eterno è il suo rifugio. 7Oh, chi recherà da Sion la salvezza d’Israele? Quando l’Eterno ricondurrà dalla cattività il suo popolo, Giacobbe festeggerà, Israele si rallegrerà” (Salmo 14).
Esaminiamo punto per punto questi versetti.
I. “Lo stolto ha detto nel suo cuore: ‘Non c’è Dio’. Si sono corrotti, si sono resi abominevoli nella loro condotta; non c’è nessuno che faccia il bene”.
Questa dichiarazione non è tanto l’affermazione filosofica che Dio non esista, una dichiarazione d’ateismo, ma la loro sicumera di tanti che Dio, se c’è, non si preoccupa di come essi vivano moralmente ed eticamente. Ritiene che Dio sia lontano e indifferente a ciò che facciamo così come lontani da Lui e indifferenti sono loro stessi. Il concetto è simile a ciò che afferma il Salmo 10: “L’empio, nell’alterezza della sua faccia, dice: L’Eterno non farà inchieste.Tutti i suoi pensieri sono: Non c’è Dio! (…) Egli dice in cuor suo: Dio dimentica, nasconde la sua faccia, non lo vedrà mai” (Salmo 10:4,11). E’ meglio tradotto con: “Pensano tra sé gli incoscienti: «Ma dov’è Dio?»” (TILC).
Chi pensa così il Salmo lo definisce “uno stolto”, in ebraico: nabal. La parola nabal (stupido, sciocco) è plurale e indica l’intera categoria delle persone stolte. La parola nabal, però, denota qualcosa di più che sciocco. La persona nabal è perversamente sciocca, rozzamente sciocca, malvagiamente sciocca. È il tipo di persona che pochi coltiverebbero come amico. 1 Samuele 25 racconta la storia di un uomo ricco e senza scrupoli di nome Nabal, noto perché si comportava con durezza e malvagità (1 Samuele 25:3). Quando Davide fa avvicinare pacificamente i suoi uomini a Nabal, chiedendo provviste, Nabal li insulta. Davide si prepara a liberarsi di Nabal, ma la moglie di Nabal, “Abigail, donna di buon senso” interviene ricordando a Davide che il nome di suo marito era proprio all’altezza del suo carattere. Convince Davide a risparmiarlo, ma “l’Eterno colpì Nabal, ed egli morì” (v. 38). Il giudizio di Dio, infatti, verso tali persone, benché sembri tardare, sarà altrettanto duro e senza appello. La stupidità di queste persone è non rendersi conto che la giustizia di Dio cadrà immancabilmente su di loro, non la potranno evitare.
II. “Si sono corrotti” (v. 1b). Non conformarsi ai principi morali e spirituali stabiliti da Dio nella Sua Legge vuol dire degradare la natura umana che così si decompone, “va in putrefazione”, e causa inevitabilmente attorno a sé rovina e devastazione. Lo fa come una mela marcia che trasmette putrefazione alle mele sane che le stanno accanto. Tanto grave era giunta a essere l’umanità primordiale che la Bibbia dice: “Or la terra era corrotta davanti a Dio; la terra era piena di violenza … tutti erano diventati corrotti sulla terra”. Quello era esattamente il motivo per cui “Dio disse a Noè: «Nei miei decreti, la fine di ogni essere vivente è giunta poiché la terra, a causa degli uomini, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò, insieme con la terra” (Genesi 6:11-13). Ad un simile fenomeno di corruzione era giunta la società di Sodoma e Gomorra.
III. “…si sono resi abominevoli nella loro condotta” (v. 1c). Abominevole significa suscettibile di una infamante condanna morale, orribile, esecrabile. Le opere abominevoli sono quelle che violano la giustizia di Dio e che Gli sono offensive come l’idolatria, perché vuol dire farsi un falso Dio a proprio piacimento per servire i propri presunti interessi.
IV. “… non c’è nessuno che faccia il bene” o “ciò che è buono”, quello che era stato dichiarato “molto buono” alla creazione (Genesi 1:31). Gli stolti, però, non fanno nulla di buono. Le loro opere non sono come dovrebbero essere agli occhi di Dio. Per Lui non valgono nulla. Questi sciocchi e le loro opere non hanno alcun valore sociale o spirituale: servendo i loro apparenti interessi seminano solo squilibri, morte e distruzione.
V. “L’Eterno ha riguardato dal cielo sui figli degli uomini” (2). I “figli degli uomini” in questo contesto sono il genere umano, tutte le creature umane. Dio sta considerando tutta l’umanità. Queste parole rimandano a ciò che Dio aveva fatto “scendendo dal cielo” per vedere cosa stava facendo l’umanità a Babele (Genesi 11:5) e poi a Sodoma e Gomorra (Genesi 18:21). Queste due occasioni servono da avvertimento. In entrambi i casi, Dio pronuncia un giudizio sulla malvagità che ha scoperto.
VI. “… per vedere se vi fosse qualcuno che avesse intelletto”. Per “intelletto” qui si intende saggezza, buon senso, comprensione spirituale. Dio spera di trovare una persona “giusta”, dotata di buon senso fa venire. Dio la trova in Noè e la sua famiglia e fa loro la grazia di sopravvivere al grande diluvio (Genesi 6) attraverso la costruzione di un’arca di salvezza che dovrà pure ospitare coppie di animali. Lo stesso troviamo nella disponibilità di Dio a non distruggere Sodoma e Gomorra se di giusti là ne avesse trovati almeno cinquanta, quindi quarantacinque, poi trenta, poi venti, poi dieci (Genesi 18).
VII. “qualcuno … che cercasse Dio”: qualcuno che comprendesse l’importanza vitale di essere in comunione con Dio e quindi si accostasse a Lui per trovarvi sapienza, e con la Sua sapienza vita, perché solo in comunione con il Creatore, che l’ha creato, lo sostiene ed ha disposto regole per la sua vita, l’essere umano realizza sé stesso.
VIII. “Tutti si sono sviati, tutti quanti si son corrotti, non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno” (3a). “Sviati” significa “fuori strada”, essere usciti dalla via retta per prendere altre strade che ritenevano migliori, ma che non portano alla destinazione sperata. Vuol dire “voltare le spalle” a Dio, “disertare”. Camminando su una strada sbagliata sono finiti in una palude, sono affondati nella melma e si sono sporcati di fango – moralmente e spiritualmente. “Non c’è nessuno che faccia il bene” ripete il concetto espresso prima, ma vi aggiunge “neppure uno”, per evidenziare come non vi siano trovate eccezioni. Dio ha guardato dal cielo sperando di trovare una persona giusta e buona, ma non ne ha trovata alcuna. Troviamo esposta questa verità nella lettera dell’apostolo Paolo ai Romani.
IX. “Sono dunque senza conoscenza tutti questi malvagi, che divorano il mio popolo come se fosse pane e non invocano l’Eterno?” (4). “Malvagi” può essere anche tradotto come: “operatori d’iniquità”, nel senso di un lavoro che non produce risultati positivi. Dio sembra stupito che gli operatori d’iniquità non abbiano conoscenza – nessuna comprensione – nessuna capacità di discernere il bene e il male – nessuna capacità di trovare la via d’uscita dall’infelice labirinto in cui si sono cacciati.
Le espressioni qui sono certamente poetiche, ma il significato è chiaro: “divorano il mio popolo come se fosse pane”. Essi opprimono il popolo umile e giusto con la stessa disinvoltura con la quale si consuma il pane. È il messaggio dei profeti d’Israele che denunciavano i predatori che si approfittano di persone vulnerabili, come le vedove, gli orfani e i poveri. Grandi gruppi finanziari oggi, complici politici corrotti, non hanno scrupolo alcuno d’impoverire e rovinare intere popolazioni per servire ai propri profitti e ambizioni di potere sempre più grandi. Si mangiano le risorse vitali d’intere nazioni e se non riescono ad arraffarle con i giochi sporchi delle speculazioni, non esitano a farlo con la guerra. L’apostolo Giacomo scrive: “Da dove vengono le guerre e le contese fra voi? Non è forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere; voi contendete e guerreggiate” (Giacomo 4:1-2)·
X. “… e non invocano l’Eterno” (4c). Questa è la linea di fondo: il punto di questo Salmo. I problemi sopra delineati non esisterebbero se gli “operatori d’iniquità” avessero invocato l’Eterno Dio. “Invocare” significa non solo accostarsi a Dio in preghiera ma anche investigare la Sua volontà per ubbidirvi. Questo li avrebbe aiutati a prendere decisioni illuminate che avrebbero giovato a loro così come a tutti gli altri.
XI. ”Ma ecco, sono presi da grande spavento perché Dio è con la gente giusta” (5). Quando succederà che questa gente iniqua che pensa di poter vivere indisturbata come se Dio non esistesse, gente priva del timore di Dio, sarà “presa da grande spavento”? Questa frase sembra rammentare il giorno in cui Dio aveva chiamato Adamo a rendergli conto della sua trasgressione all’espressa volontà di Dio e, in rappresentanza dell’umanità, lo aveva interpellato direttamente. La voce di Dio gli aveva chiesto: “’Dove sei?’ E quegli rispose: ‘Ho udito la tua voce nel giardino, e ho avuto paura, perché ero nudo, e mi sono nascosto’” (Genesi 3:9-10). Adamo si era nascosto, pieno di paura e vergogna, smascherato dalla Parola di Dio. Almeno aveva vergogna… Oggi gli “operatori d’iniquità” di questo mondo hanno perduto ogni vergogna, agiscono in modo svergognato. Nel giorno del giudizio rimarrà loro solo più il terrore. Così lo descrive il libro dell’Apocalisse: “I re della terra e i grandi e i capitani e i ricchi e i potenti e ogni servo e ogni libero si nascosero nelle spelonche e nelle rocce dei monti; e dicevano ai monti e alle rocce: Cadeteci addosso e nascondeteci dalla presenza di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il gran giorno della sua ira, e chi può resistere?” (Apocalisse 6:15-17). Che cosa saranno queste “spelonche”? I rifugi sotterranei dove spereranno di salvarsi la vita? Forse, ma non serviranno loro. Dovranno rendere conto delle loro iniquità.
XII. Oggi, come dice il versetto 6 del Salmo: “Voi cercate di confondere le speranze del misero, perché l’Eterno è il suo rifugio”. Oggi “i grandi” della terra sfidano i miseri che hanno oppresso dicendo loro che niente e nessuno potrà trascinarli di fronte a un giudizio per rendere conto dei loro misfatti. Essi si sentono, infatti, superiori a ogni legge di giustizia, immuni da ogni giudizio di tribunali umani e ancor meno quello di Dio. Il loro gloriarsi, però, è vano, perché per quanto riescano a confondere i miseri con le loro pretese e astute macchinazioni, non potranno sfuggire a Dio. Gli oppressi, infatti, dicono, con le parole del Salmo 140: “Io so che l’Eterno sosterrà la causa dell’afflitto e renderà giustizia ai poveri” (Salmo 140:12). Il Signore Gesù stesso lo ribadisce: “Dio non renderà forse giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti?” (Luca 18:7). Il giudizio, però, nessuna illusione, non sarà limitato solo al grande e finale giorno dell’ira di Dio, perché anche nella storia vi sono e vi saranno “tribunali di Norimberga” dove “i grandi impuniti” dovranno rendere conto dei loro misfatti e giustizia sarà fatta. La giustizia, per quanto soppressa, trionferà sempre, nel tempo e nell’eternità.
XIII. Il versetto finale del Salmo 14 dice: “Oh, chi recherà da Sion la salvezza d’Israele? Quando l’Eterno ricondurrà dalla cattività il suo popolo, Giacobbe festeggerà, Israele si rallegrerà” (7). Si tratta di una preghiera profetica dello stesso Davide su come l’Eterno Dio salverà il Suo popolo eletto, il popolo dei credenti (Israele, secondo il nuovo nome che Dio aveva dato a Giacobbe) dall’asservimento (cattività) al peccato e alle sue conseguenze. Questa salvezza verrà da Sion, “dimora di Dio”, cioè da Gerusalemme. La parola “salvezza” (in ebraico yesuah) significa liberazione. Indubbiamente vi è qui una somiglianza semantica fra yesuah (salvezza) e yehosu (Giosué), che significa “Yahvé salva”. È il nome stesso di Gesù, il Salvatore Gesù Cristo. Così, infatti, Dio aveva detto a Giuseppe “Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati” (Matteo 1:21).
C’è ancora speranza?
C’è ancora speranza – ci domandiamo. Stolti, sviati, corrotti, abominevoli, che non operano il bene, senza conoscenza, malvagi, e incamminati verso una sicura condanna nel tempo e nell’eternità: questa è la descrizione impietosa fatta dal Salmo degli operatori d’iniquità che vivono come se Dio non esistesse e che credono di rimanere impuniti. Potrebbe onestamente essere anche la descrizione di noi stessi – chi più chi meno – prima che… Prima di che cosa? Prima di essere stati chiamati alla grazia della salvezza dall’Evangelo di Gesù Cristo e di essere stati rigenerati da Dio stesso, convertiti a Lui! Era stata l’esperienza di conversione dell’apostolo Paolo, quella che egli descrive in modo persuasivo di fronte al re Agrippa dopo essergli stato portato davanti per rendergli conto della sua fede e attività. Paolo non si vergogna di descrivere quale fosse stata la sua condizione prima di avere incontrato il Salvatore Gesù Cristo. È una descrizione simile a quella che avrebbe fatto nella sua prima lettera a Timoteo quando scrive: “Io ringrazio colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù, nostro Signore, per avermi stimato degno della sua fiducia, ponendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità, e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l’amore che è in Cristo Gesù” (1 Timoteo 1:12-17).
Di fronte ai suoi accusatori: “Mentre egli diceva queste cose a sua difesa, Festo disse ad alta voce: Paolo, tu vaneggi; la molta dottrina ti mette fuor di senno. Ma Paolo disse: Io non vaneggio, eccellentissimo Festo; ma pronunzio parole di verità, e di buon senno. Poiché il re, al quale io parlo con franchezza, conosce queste cose; perché son persuaso che nessuna di esse gli è nascosta; poiché questo non è stato fatto in segreto. O re Agrippa, credi tu ai profeti? Io so che tu ci credi. E Agrippa disse a Paolo: Per poco non mi persuadi a diventar cristiano. E Paolo: Piacesse a Dio che per poco o per molto, non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventaste tali, quale sono io, all’infuori di queste catene” (Atti 26:24-29).
Paolo “vaneggiava”? No, le sue erano parole di verità e di buon senno. Lo stesso rimane oggi l’appello dell’Evangelo di Gesù Cristo, anche a voi che oggi mi ascoltate: «Salvatevi da questa perversa generazione» (Atti 2:40) attraverso il ravvedimento e la fede in Lui.
Paolo Castellina, 3 settembre 2022.