Domenica 19 settembre 2021 – Diciassettesima domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmo 1; Proverbi 31:10-31; Giacomo 3:13-4:3, 7-8; Marco 9:30-37
C’è sempre chi aspira a primeggiare, ad avere successo ed a ricevere pubblico riconoscimento. E’ bene o male? Dipende dai valori che sottende e dai metodi che usa per arrivarci. Che cosa significa avere successo in questo mondo? La nostra cultura ci dice che la persona di successo acquisisce, consegue, guadagna… Cosa acquisisce la persona di successo? Può essere denaro. O fama. O potere. E’ il caso delle celebrità che ci vengono mostrate nei maggiori media che vendono la propria immagine ai potenti che le pagano bene. Il fatto è che ciò che “acquisisce” la persona di successo è sempre qualcosa che può sfuggirgli di mano in ogni momento. Le fortune possono essere fatte e perdute. La fama arriva e poi se ne va: non è garantita per sempre…. Il potere passa dall’uno all’altro. Chiedete ad un politico che faccia un qualche errore e cada in disgrazia: teme il giorno delle elezioni. Perfino un’intera classe politica fa di tutto per far ritardare le elezioni e mantenere il potere, perché sa di aver fatto sbagli madornali ed abusi che non le saranno perdonati. Viene sempre “il giorno del giudizio” non solo alla fine dei tempi, ma anche durante il tempo.
Ciò che rende una persona di successo è di fatto sempre effimero e scivola facilmente via. Eppure, sorprendentemente, le persone sembrano sempre alla disperata ricerca di primeggiare, di avere successo poiché il mondo valuta molto il successo. Primeggiare, però, è diverso da eccellere. In regime di libera concorrenza, chi eccelle nella qualità dei suoi prodotti realizzati onestamente consegue meritati benefici – questo è buono – ma c’è chi vuole primeggiare facendolo con sotterfugi e inganni, e per motivazioni sbagliate. Magari ottiene quel che vuole, ma quanto durerà e a che prezzo? Vi sono valori effimeri e valori che durano e questi ultimi la maggior parte della gente li disdegna.
Il voler primeggiare per motivazioni e metodi moralmente sbagliati esiste anche fra i cristiani, e riguarda sia singoli credenti che opere. Ne è testimonianza ed insegnamento l’episodio evangelico che consideriamo oggi: la discussione che fanno un giorno i discepoli di Gesù su chi fra di loro fosse il più importante! Ascoltiamolo.
Il testo biblico
“Poi, essendosi partiti di là, traversarono la Galilea; e Gesù non voleva che alcuno lo sapesse. Poiché egli ammaestrava i suoi discepoli, e diceva loro: Il Figliuol dell’uomo sta per esser dato nelle mani degli uomini ed essi l’uccideranno; e tre giorni dopo essere stato ucciso, risusciterà. Ma essi non intendevano il suo dire e temevano di interrogarlo. E vennero a Capernaum; e quand’egli fu in casa, domandò loro: Di che discorrevate per via? Ed essi tacevano, perché per via avevano questionato fra loro chi fosse il maggiore. Ed egli postosi a sedere, chiamò i dodici e disse loro: Se alcuno vuol essere il primo, dovrà essere l’ultimo di tutti e il servitor di tutti. E preso un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo a loro; e recatoselo in braccio, disse loro: Chiunque riceve uno di tali piccoli fanciulli nel nome mio, riceve me; e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato” (Marco 9:33-37).
Al servizio della comunità
Mentre percorrono le strade della Galilea, Gesù insegna ai suoi discepoli – o almeno cerca di insegnare loro – che presto sarà tradito e ucciso e poi risorgerà dai morti. Loro, però, non capiscono il senso di quelle parole. Loro si immaginavano l’avvento del Regno di Dio secondo i criteri di questo mondo, una marcia inarrestabile, di successo, il costituirsi di una corte regale, la nomina di ministri… Che dice ora Gesù? Perché mai dovrebbe essere arrestato ed ucciso? Che senso ha? Vorrebbero udire da lui una un programma, una strategia vittoriosa. Ragionano, infatti, con i criteri di questo mondo.
Ciò di cui i discepoli stanno discutendo, così, è chi fra di loro siederà un giorno alla destra del Re come Suo primo ministro, chi occuperà questo o quel posto di potere… Camminano a pochi passi da Gesù e, credendo che lui non se ne avveda, questi discepoli disputano su chi è quello tra loro che avrebbe le maggiori probabilità di avere successo mondano. Ognuno di loro vuole la torta di prestigio affettata a proprio vantaggio. Questa visione del mondo gode di una popolarità perenne. Qualcuno finisce sopra, altri finiscono sul fondo. È meglio essere in cima.
Anche nel Regno di Dio valgono questi criteri? No, il Regno di Dio viene stabilito ed opera sulla base di criteri ben diversi da quelli di questo mondo.
Quando Gesù chiede loro di che cosa stessero discutendo per via si sentono in imbarazzo e non rispondono. Gesù ben lo sapeva e non gliela lascerà passare senza impartire loro una lezione importante. Dice loro cosa significa essere grandi agli occhi di Dio.
Notate, però, che cosa Gesù non fa. Non discute il fatto che avere delle aspirazioni personali non sia buono. Puntate al primo posto sul podio, ma secondo le regole. “Se vuoi essere il primo”, dice Gesù, “allora mettiti al servizio della comunità, al servizio soprattutto di chi nel mondo meno conta.
Ci sono solo così tanti soldi, fama e potere in giro per il mondo. Afferrali ma alla fine li perderai. Le opportunità per servire gli altri, però, rimangono sempre in abbondanza. Ognuno di noi è una persona bisognosa in un modo o nell’altro, non importa quanto sembri autosufficiente. La dipendenza reciproca aiuta a definire la nostra condizione umana.
Non vertici da raggiungere ma cerchi di inclusione
La scala del successo si restringe quando raggiunge la cima. Siamo tentati di salire in alto arrampicandoci sulle spalle degli altri. E se raggiungiamo la cima, potremmo scoprire che la scala è appoggiata al muro sbagliato. Al posto della scala del successo, Gesù propone piuttosto un cerchio di inclusione, che si espande indefinitamente man mano che più persone vi si uniscono. Là ciascuno si arricchisce degli altri e li arricchisce a sua volta.
La scala del successo insiste sul fatto che pochi possono essere importanti e nessuno può rimanere importante per sempre. Il “cerchio dell’inclusione” fa capire come tutti possano essere importanti, come ognuno di noi possa essere il primo agli occhi di Dio, ma a certe condizioni… La scala del successo annuncia chi è importante nella via del mondo, e lo fa con una faticosa prevedibilità. Chi siede sopra è importante; tutti gli altri no.
Il cerchio dell’inclusione è diverso. Guardati intorno in quel cerchio e rimarrai sorpreso da tutte le persone presenti. E rimarrai sorpreso dal modo in cui le persone arrivano a essere lì, dai molteplici modi in cui esprimono la loro fede attraverso l’amore.
Un esempio. Elizabeth Kubler-Ross è diventata famosa in tutto il mondo per aver promosso nuovi e migliori atteggiamenti nei confronti della morte e delle persone che affrontano la morte. Nel corso del suo lavoro in un ospedale, Kubler-Ross aveva notato che una donna sembrava avere un modo speciale con i pazienti che stavano morendo. Questa donna non era una persona con responsabilità diretta per i pazienti: il suo lavoro consisteva nel pulire le stanze e rifare i letti e svuotare le padelle. Eppure i pazienti morenti sembravano sempre più tranquilli quando c’era lei. Kubler-Ross ha chiesto alla donna quale fosse il suo segreto. Questo è quello che ha detto la donna: “Beh, sono stato su per la montagna e giù per la montagna. Ho vissuto in molte valli. Il peggio è stato quando sono andato in una clinica pubblica con mia figlia di tre anni tra le braccia, e prima che potessimo vedere un dottore, è morta di polmonite”. La donna ha continuato: “Avrei potuto diventare cinica e arrabbiata, ma invece ho deciso di usare il mio dolore per aiutare gli altri. Non sono estranea alla morte, ed è per questo che non ho paura di parlare e toccare coloro che stanno morendo. Cerco di dare loro speranza”.
Prendere il nostro posto nel cerchio dell’inclusione può richiedere un viaggio attraverso la valle più oscura possibile. Gesù non è risorto trionfante senza sperimentare il tradimento e la morte. Una certa addetta alla manutenzione dell’ospedale era diventata una vera amica dei morenti perché il suo stesso cuore era stato spezzato dal dolore.
Ci sono innumerevoli modi in cui la nostra fame di successo ordinario viene frantumata come un guscio d’uovo in modo che emerga una nuova ambizione. Per quanto temibile possa sembrare questo processo mentre lo attraversiamo, non sono immaginabili termini migliori. Perché ci allontaniamo dal successo che non potremo mai conservare per guadagnare una vita che non potremo mai perdere.
Aree ancora da convertire
Un altro aspetto della questione. Poco prima i discepoli di Gesù avevano ammesso di non aver compreso il senso delle parole di Gesù quando preannuncia loro la Sua sofferenza, morte e risurrezione. La discussione che avviene fra di loro e che Gesù li sorprende a fare, lo dimostra ulteriormente: ancora ragionano come la gente di questo mondo. Vi sono aree della loro vita che ancora non sono convertite al modo di pensare, parlare ed agire che Gesù esemplifica ed insegna loro.
La conversione, infatti, non è qualcosa che avviene una volta per sempre all’inizio del nostro cammino cristiano, ma qualcosa di permanente, allorché sottoponiamo la nostra vita a costante analisi critica e la conformiamo all’immagine di Cristo, alla Sua signoria sulla nostra vita. “…fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo, finché tutti siamo arrivati all’unità della fede e della piena conoscenza del Figliuol di Dio, allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo” (Efesini 4:13).
Possiamo immaginarli mentre discutono – è così “umano” che lo facciano… – chi fra di loro occupa il posto di preminenza fra gli apostoli: sarà forse Pietro, “il principe degli apostoli”? “Eh no, aspetta un momento… anche noi, Giacomo e Giovanni, siamo importanti: non ha forse Gesù dato anche a noi il privilegio di farsi vedere nella Trasfigurazione in tutta la Sua gloria?”. “Ma che dite, sono io, Giuda, che gestisco la cassa della comunità, ad essere il più importante. Senza uno che sapesse amministrare il denaro come me, nessuno di voi e nemmeno Gesù potrebbe svolgere la Sua missione!”. Che potrebbe poi dire Giovanni, “il discepolo che Gesù amava” (Giovanni 21:20)? Oppure Paolo, al quale Iddio affida la redazione della maggior parte degli scritti del Nuovo Testamento? Iddio, però, aveva provveduto anche per Paolo qualcosa che non lo facesse insuperbire, che lui chiama “spina nella carne”. Una disabilità limitante? Non sappiamo esattamente di che cosa si trattasse. Egli infatti afferma: “E perché io non avessi ad insuperbire a motivo della eccellenza delle rivelazioni, m’è stata messa una scheggia nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi ond’io non insuperbisca” (2 Corinzi 12:7). Dio gli fa dono di una malattia cronica? Beh, anche quella può servire per la sua santificazione.
Anche noi avremmo, in effetti, spesso bisogno che qualcuno spesso “ci schiaffeggiasse” per tenere a bada la nostra umana presunzione. Ci dimentichiamo forse che ciò che siamo, abbiamo e facciamo dipende solo dalla grazia di Dio, è dono Suo?
I discepoli qui, alla domanda di Gesù, tacciono, perché si rendono conto quanto inopportune siano le loro discussioni su quest’argomento. Quanto spesso anche oggi leader cristiani, predicatori, conferenzieri, comunità, opere educative vorrebbero primeggiare quanto ad influenza e potere. Una “sana competizione” è necessaria, ma dobbiamo competere quanto all’eccellenza del nostro umile e non ostentato servizio.
Che c’entrano i bambini?
«Prese un bambino e lo pose in mezzo a loro» (v. 36). Potremmo vedere questo bambino qui solo come un’illustrazione del punto che Gesù sta cercando di fare.
Gesù spiega che, se i discepoli vogliono sapere chi è veramente grande nel regno di Dio, dovrebbero guardare questo bambino. Prende il bambino tra le sue braccia. Il gesto di Gesù deve essere stato inquietante per i discepoli perché, in quel tempo e in quel luogo, i bambini hanno così poco status, a metà tra le donne e gli schiavi. Per un rabbino prendere in braccio un bambino era qualcosa di ben insolito.
“Chiunque riceve uno di tali piccoli fanciulli nel nome mio, riceve me; e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato” (v. 37). Nella versione di Matteo, Gesù chiama i discepoli a “diventare come bambini” (Matteo 18:3 ), ma nel racconto di Marco chiama i discepoli a “ricevere” il bambino. Questa parola significa accogliere una persona nella propria cerchia. Ricevere un bambino implica sia amorevole rispetto che cure pratiche (alimentazione, alloggio, ecc.). Gesù lega il bambino a sé e sé stesso a Dio, stabilendo così un legame tra il bambino e Dio. La persona che onora un bambino ha il merito di aver accolto Gesù, e la persona che accoglie Gesù ha il merito di aver accolto Dio. Qui Gesù chiama i discepoli ad accogliere i bambini come accoglierebbero Gesù o Dio.
Gesù significa chiaramente che dobbiamo accordare ai bambini grande onore, ma il bambino è anche un simbolo per chiunque sia nel bisogno, indifeso o di umile condizione. I versetti 42-47 ci dicono che sono inclusi anche i “piccoli che credono in me”, persone di qualsiasi età che sono tuttavia immature nella fede. Per estensione, dovremmo considerare che Gesù ci sta chiamando ad accogliere i senzatetto, i disabili, i malati di mente, i malati, gli ignoranti… e chiunque altro non possa ripagare la nostra ospitalità o renderla “degna del nostro tempo”.
Con questo insegnamento, Gesù non abolisce l’ambizione, ma la re-indirizza, insegnandoci ad essere ambiziosi per l’altro invece che per noi stessi. Il movimento cristiano è stato sempre molto colpito da questo brano. Ha dato da mangiare agli affamati, ospitato i senzatetto, curato gli orfani, fornito cure mediche ai malati, insegnato a leggere e soddisfatto molti altri bisogni di base. La chiesa ha amato gli indifesi e i disperati. Tuttavia, la chiesa ha bisogno di essere costantemente ricordata della chiamata di Gesù ad accogliere i “piccoli”. Siamo tentati di accattivarsi il favore dei ricchi e dei potenti nella speranza che finanzino il nostro ministero o appianano i nostri percorsi. Siamo tentati di portare il nostro ministero a persone belle e di ignorare quelle non amabili. Siamo tentati di desiderare titoli come “chiesa influente” e “leader di chiesa di spicco”. Se i discepoli originari avevano bisogno di pentirsi per aver discusso tra loro su chi fosse il più grande qui si evidenzia il valore più importante del servizio e dell’estroversione.
Siete dunque “ambiziosi”? Sono io ambizioso? Lo possiamo essere, ma non per noi stessi, ma per servire gli altri e, servendo gli altri, servire il vangelo di Cristo, e servendo Cristo, servire Dio dandogli l’onore, la gloria, il primato che Gli spetta.
Paolo Castellina, 12 settembre 2021
Introduzione alle letture
Salmo 1; Proverbi 31:10-31; Giacomo 3:13-4:3, 7-8; Marco 9:30-37
Di chi seguite voi “i consigli”? Il più delle volte …di nessuno, facciamo ciò che noi stessi riteniamo meglio o “andiamo dove ci porta il cuore”. Altre volte seguiamo che cosa ci dicono gli amici o “la maggioranza”, l’opinione pubblica prevalente o …il nostro psicanalista. C’è da fidarsi? Raramente. Beati sono coloro, però, che seguono ciò che autorevolmente insegna Dio nella Sua Parola. Questo è ciò che raccomanda la nostra prima lettura biblica, il Salmo 1. Si parla dell’uomo saggio, ma vi è anche l’esempio di ciò che fa la donna saggia, forte, laboriosa e intraprendente, quella che rispetta Dio e di cui il marito, se è sposata ha piena fiducia. Lei è soprattutto onesta e di una donna così tutti si possono fidare. Ce ne parla il secondo testo, quello di Proverbi 31. Da dove, infatti, proviene la vera sapienza per vivere secondo quello che è oggettivamente vero, buono e giusto? Sicuramente “dall’alto”, cioè da Dio. Esiste certo una “sapienza terrena, carnale e diabolica”. Quella porta solo alla rovina. Pochi hanno il necessario discernimento per distinguere l’una dall’altra. Per questo l’apostolo Giacomo, nella terza lettura, ci dà utili indicazioni. A volte la sapienza di Dio ci porta su strade difficili, che non ci sembrano buone e “produttive”. Come quando Gesù prospetta per Lui stesso sofferenza e morte. I Suoi discepoli non riuscivano a capirlo, ma era la via giusta, che avrebbe portato alla Sua risurrezione, vittoria sul male. Nella quarta lettura ne troviamo l’annuncio, che termina nella Sua esortazione di accogliere i piccoli fanciulli come i favoriti nel Regno di Dio. Perché? Forse perché sapevano di poter avere piena fiducia di Gesù. Quella che dovevano avere allora i Suoi discepoli, e che dobbiamo avere anche noi oggi.
Musiche utilizzate
- Preludio e fuga n. 1 in Maggiore (J. S. Bach) – Sviatoslav Richter
- Salmo 1 (Ginevrino) – Daniela Michelin-Salomon
- Celebriamo il Signore
- Alleluia, la tua Parola (Pasquale Dargenio)
- Tu non mi lascerai mai
Predicazione
- Momentary (Olafur Arnalds, Voces8)
- Il dono più grande (Francesco Buttazzo)