Una relazione di vitale importanza (Giovanni 17:3)

Domenica 18 Agosto 2024, dodicesima domenica dopo quella dedicata alla Trinità

(Culto completo con predicazione, 54’46”)

(Solo predicazione, 27′ 09″)

Presentazione della predicazione

L’importanza della connessione

Religione. Il significato del termine italiano “religione” può avere diverse accezioni e far sorgere nella mente di chi l’ascolta impressioni differenti. Al di là, però, del significato, spesso negativo, che il termine “religione” può avere oggi in alcuni ambienti, comprenderne l’etimologia, il suo significato originale, fornisce una prospettiva più profonda e positiva sul concetto che ne sta alla base.

Religione deriva dal latino religio, religare, vale a dire legare, attaccare, connettere o riconnettere [1], in particolare, religione è il rapporto che intratteniamo con il divino, il trascendente [2], quello che va oltre alle limitazioni fisiche e materiali dell’esperienza umana. Questo rapporto può assumere espressioni variegate in culture diverse e lo si può valutare in varie maniere. Quello che, però, vorrei mettere in evidenza è che, sostanzialmente, il termine “religione” ha un carattere relazionale, è un rapporto con qualcosa o qualcuno a noi superiore, più potente, più elevato. Tutti gli esseri umani senza eccezione hanno da sempre cercato di rapportarsi a ciò che è loro ontologicamente superiore, fosse anche solo un principio assoluto. È qualcosa per tutti noi di innato e non circostanziale.

Questo bisogno insopprimibile di rapportarsi con il trascendente, la fede cristiana lo spiega chiaramente: noi siamo creature di Dio fatte per avere comunione con Lui, ma abbiamo perduto il nostro originale e consapevole rapporto che avevamo con Dio. Di questo qualcuno potrebbe persino rallegrarsene, immaginando che la nostra emancipazione dal divino sia espressione per noi di maturità, ma questa sconnessione da Dio, di fatto, costituisce la nostra rovina. È per questo che abbiamo in tutti noi quella che potremmo chiamare una “nostalgia congenita” di Dio che, insopprimibile e spesso inconfessabile, assume la forma di attaccamento religioso a false divinità. Esse, però, non ci soddisferanno mai. Non saremo mai pienamente soddisfatti fintanto che non ristabiliamo un rapporto autentico e fecondo con il Dio vero e vivente, il nostro Creatore, fintanto che non ci “riconnettiamo” con Lui. È in questo senso che il significato originale del termine “religione” bene si presta a ciò che si prefigge la missione del Salvatore Gesù Cristo, cioè quella di “riconnettere” la creatura umana al Dio vero e vivente e del coltivare questo rapporto in modo fruttuoso. Oggi comprendiamo l’importanza di essere “connessi alla rete”. Se l’Internet ci permette di essere in contatto con i nostri simili, anche a livello globale, ancor di più dovremmo apprezzare di stabilire e di rimanere in effettivo contatto con Dio, Colui per il quale siamo stati creati.

Il testo biblico

Un’affermazione che il Salvatore Gesù Cristo aveva fatto un giorno, è particolarmente significativa per indicare come vera religione sia molto più che un insieme di pratiche e di persuasioni, ma un rapporto vivo e costante con Dio. È questo che, di fatto, definisce l’essere umani nella sua pienezza ed è quello al quale tutti sono chiamati. Questo personale rapporto con Dio non solo è necessario, ma è quello che solo la persona e l’opera di Gesù rende di fatto possibile. Rivolgendosi in preghiera a Dio Padre, Gesù dice: Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Giovanni 17:3). Quest’affermazione la troviamo nel contesto di quella che è stata chiamata la “preghiera sacerdotale” di Gesù, che occupa l’intero capitolo 17 del Vangelo di Giovanni. Questa preghiera è considerata uno dei momenti culminanti di quel Vangelo e si colloca alla fine del lungo discorso di addio di Gesù ai suoi discepoli, iniziato in Giovanni 13 durante l’Ultima Cena. Ascoltatene i primi dieci versetti.

“Gesù disse queste cose, poi, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, perché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare. Ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date vengono da te, poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno veramente conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; e io sono glorificato in loro” (Giovanni 17:1-10).

Quali concetti principali vengono evidenziati nell’affermazione: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (3)?

Conoscenza come relazione personale 

Il versetto dice: Questa è la vita eterna: che conoscano te”. Il verbo “conoscere” (γινώσκω in greco) nella Bibbia non indica semplicemente una conoscenza intellettuale o teorica, ma una conoscenza esperienziale e relazionale. Questo tipo di conoscenza implica un rapporto continuo e profondo con Dio, che inizia nel presente e continuerà nell’eternità. In questo senso, la vita eterna, della quale Gesù qui parla, non è solo una realtà futura, ma una realtà presente per chi vive in comunione con Dio attraverso Gesù Cristo.

La “vita eterna”, bisogna insistere ad evidenziarlo, della quale Gesù qui parla, è una relazione intima e personale con Dio. Come dice un Salmo: “ … poiché in te è la fonte della vita, e per la tua luce noi vediamo la luce” (Salmi 36:9). Fuori dalla comunione personale e continua con Dio noi siamo come batterie che si scaricano. Come i telefoni cellulari, noi abbiamo bisogno regolarmente di “ricaricarci” connettendoci alla rete elettrica, altrimenti non funzioniamo e diventiamo inutili.

Perché poi, il nostro versetto aggiunge: “… e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” associandolo inscindibilmente a Dio? Perché Gesù è, per così dire, “il cavo” che può collegarci con Dio, il Mediatore, l’unico che si adatti perfettamente sia a noi umani come a Dio. Egli è vero uomo e vero Dio: nessun altro è come Lui. Come per i telefoni cellulari, il cavo di ricarica deve essere quello adatto al nostro modello e adatto per inserire nella rete elettrica. Non tutti i cavetti in commercio andranno bene! Provare per credere! Gesù dice: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6).

Qualità della vita, non solo durata 

In secondo luogo il termine “vita eterna” indica nella Bibbia qualità della vita, non solo durata. Qualcuno che si crede spiritoso direbbe: “Che noia stare seduti su una nuvoletta a suonare l’arpa per l’eternità: quello sì che sarebbe inferno!”. Chi dice così non capisce che “vita eterna” nel vangelo di Giovanni non si riferisce solamente a una vita senza i limiti che abbiamo oggi, ma piuttosto a una vita di qualità, qui e nell’eternità. Non c’è modo e non ci sarà modo di “annoiarsi” della vita che Dio offre.

Gesù dice: Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano a esuberanza”. Il termine “esuberanza” in Giovanni 10:10 traduce il termine greco “perissós” (περισσός). Questo termine ha il significato di qualcosa che è abbondante, sovrabbondante, o che va oltre il necessario. Non si tratta semplicemente di una vita in quantità, ma di una vita di qualità, una vita piena, completa, ricca sotto ogni aspetto. Il contesto del versetto riguarda la missione di Gesù, che si presenta come il “buon pastore” in contrasto con i falsi pastori (o ladri) che vengono per rubare, uccidere e distruggere. La sua venuta, quindi, ha l’obiettivo di donare una vita che non solo soddisfa i bisogni fondamentali, ma che è anche caratterizzata da una pienezza spirituale e una gioia profonda. La “esuberanza” della vita che Gesù promette va quindi interpretata come un’esperienza di vita che trascende le normali aspettative umane, una vita arricchita dalla presenza di Dio, piena di pace, amore, e gioia spirituale. Non si limita a una semplice esistenza terrena, ma include la prospettiva della vita eterna e la partecipazione alla comunione con Dio. Questa idea di vita sovrabbondante è centrale nell’insegnamento cristiano riguardo alla salvezza e alla redenzione. È la vita che scaturisce dalla partecipazione alla natura divina. Questa vita è qualitativamente diversa da quella che si vive al di fuori della comunione con Dio, e rappresenta l’esperienza della pienezza e del compimento umano in Dio.

Compimento della rivelazione divina 

In terzo luogo, la vita eterna della quale il vangelo parla è vista anche come il compimento della rivelazione di Dio attraverso Gesù Cristo. La conoscenza di Dio e di Gesù è il mezzo attraverso il quale si ottiene vita di valenza eterna. Questo legame tra conoscenza e vita eterna riflette il tema della rivelazione, quello sul quale molto insiste l’apostolo Giovanni: conoscere Dio significa conoscere la verità rivelata da Gesù, e questa verità porta alla vita di valenza  eterna. In altre parole, la vita eterna è il risultato del riconoscimento e dell’accoglienza della rivelazione divina nella persona ed opera del Salvatore Gesù Cristo.

Gesù allora prese a dire a quei Giudei che avevano creduto in lui: ‘Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi’” (Giovanni 8:31-32). Questo mette in evidenza che conoscere la verità non è un semplice atto intellettuale, ma implica un impegno profondo e continuo nel seguire gli insegnamenti di Gesù. Quindi, la verità di cui parla non è solo una verità filosofica o morale, ma è la verità rivelata da Dio attraverso Gesù Cristo. Conoscere la verità significa conoscere per esperienza Cristo, i Suoi insegnamenti e la Sua opera redentrice. La verità di Gesù libera l’uomo dalla schiavitù del peccato, dell’ignoranza spirituale e dalla morte spirituale. La vera schiavitù è quella al peccato, e la vera libertà si ottiene attraverso la conoscenza e l’accoglienza della verità che Egli rappresenta. Questa libertà permette una relazione autentica con Dio, libera dal timore, dalla condanna e dalla schiavitù del peccato. La libertà cristiana non è anarchia o autonomia morale, ma una vita vissuta nella verità e nell’amore di Dio. La verità che rende liberi è quella che trasforma l’essere umano, conducendolo a una vita nuova e autentica in Cristo.

Dimensione escatologica 

In quarto luogo, in una prospettiva più escatologica, la vita eterna può essere vista come il dono che si realizza pienamente nel regno futuro di Dio. Pur essendo una realtà presente per coloro che oggi seguono il Cristo come Suoi discepoli, essa troverà il suo compimento definitivo quando Dio darà inizio al promesso nuovo cielo e nuova terra, dove la comunione con Dio sarà perfetta e senza impedimenti. L’apostolo Giovanni scrive: Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati” (Apocalisse 21:1). Oggi il cristiano, oggetto dell’opera dello Spirito di Dio, assapora le primizie della nuova realtà che Dio stabilirà un giorno: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:22). La primizia è il frutto, l’ortaggio maturato per primo e quindi considerato come prodotto raro e particolarmente pregiato. La persona rigenerata moralmente e spiritualmente per fede in Cristo, è essa stessa primizia, ancora imperfetta, di quel che sarà. L’apostolo Giacomo scrive: “Egli ci ha di sua volontà generati mediante la parola di verità, affinché siamo in certo modo le primizie delle sue creature” (Giacomo 1:18), come pure Giovanni: “Diletti, ora siamo figli di Dio e non è ancora stato manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è” (1 Giovanni 3:2). La vita definita come eterna ci fa guardare al compimento futuro delle promesse di Dio.

Cristocentrismo della vita eterna 

In quinto e ultimo luogo, l’enfasi posta su Gesù Cristo in questo versetto indica che la vita eterna è inestricabilmente legata a Lui. Non è possibile avere la vita eterna senza riconoscere e accogliere Gesù come il Messia inviato da Dio. In questo senso, Giovanni 17:3 sottolinea quello che si potrebbe definire “il cristocentrismo” della salvezza, indicando che la conoscenza di Dio passa necessariamente attraverso Gesù Cristo. L’apostolo Pietro non temeva di predicare esplicitamente: In nessun altro è la salvezza, poiché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12). Poco importa che dire così non sia “politicamente corretto”. Noi ci rifiutiamo di cincischiare con i soliti sì, ma, già e però usati da alcuni per giustificare posizioni diverse. Con le Sacre Scritture noi diciamo: “Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? Esso è l’anticristo, che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non ha neppure il Padre; chi confessa il Figlio ha anche il Padre” (Giovanni 2:22-23).

Conclusione  

Allora sì, vera religione è rapporto vivo, costante e fruttuoso con Dio, come dice Gesù: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo”. La vita che Egli definisce eterna, frutto di questo rapporto con lui è una realtà presente e futura che coinvolge una conoscenza relazionale e intima con Dio e con Gesù Cristo, una vita di qualità impostata ai Suoi valori, che trascende il tempo e che è frutto della rivelazione divina. Vita eterna è profondamente radicata nel riconoscimento della centralità di Cristo come mediatore della salvezza e della comunione con Dio.

Il profeta Geremia, rivolgendosi a coloro che, nel popolo di Israele falsamente dicevano di conoscere e servire Dio, diceva: “… Tendono la lingua, che è il loro arco, per scoccare menzogne; sono diventati potenti nel paese, ma non per agire con fedeltà; poiché procedono di malvagità in malvagità e non conoscono me”, dice l’Eterno (…) Così parla l’Eterno: “Il saggio non si glori della sua saggezza, il forte non si glori della sua forza, il ricco non si glori della sua ricchezza; ma chi si gloria si glori di questo: che ha intelligenza e conosce me, che sono l’Eterno, che esercita la benignità, il diritto e la giustizia sulla terra; perché di queste cose mi compiaccio”, dice l’Eterno” (Geremia 9:3,23-24). Conoscete voi Dio, conosco io Dio in questo senso?

Paolo Castellina, 9 Agosto 2024

Note

[1] Cfr. https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Teopedia/Religione  

[2] Trascendenza, cfr. https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Teopedia/Trascendenza