Domenica 27 settembre 2020 – Diciassettesima Domenica dopo Pentecoste
Come gran parte dei profeti dell’Antico Testamento, Gesù di Nazareth non faceva parte delle istituzioni dell’establishment politico e religioso del suo tempo. Era una voce libera e critica, unica e non classificabile secondo i criteri di questo mondo. Quello che diceva e faceva dava parecchio fastidio perché metteva allo scoperto, denunciandola, la corruzione morale e spirituale dovunque si annidasse, per far ritornare istituzioni e singoli alla loro vocazione originaria, quella stabilita dal Creatore.
Le istituzioni politiche e religiose devono essere strutture di servizio. Non di rado, però, diventano corrotte e tiranniche. E’ capitato per le istituzioni dell’antico Israele in certi periodi storici e capita talvolta per la chiesa cristiana. E’ allora che Dio stesso le interpella chiamandole al ravvedimento e spesso lo fa attraverso voci profetiche libere, esterne al loro ambito. Questo loro non garba e se quelle voci profetiche non riescono a controllarle, cercano di farle tacere. Come molti antichi profeti Gesù non faceva parte dell’establishment politico e religioso. La sua predicazione ed opere davano parecchio fastidio. Lo vediamo oggi in un testo del vangelo secondo Matteo dove Gesù è in aperta polemica con gli esponenti delle istituzioni.
“Quando entrò nel tempio, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si accostarono a lui, mentre insegnava, e dissero: «Con quale autorità fai tu queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». E Gesù, rispondendo, disse loro: «Anch’io vi farò una domanda, e se voi mi risponderete, io pure vi dirò con quale autorità faccio queste cose. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Ed essi ragionavano tra loro dicendo: «Se diciamo dal cielo, ci dirà: “Perché dunque non gli credeste?”. Se invece diciamo dagli uomini, temiamo la folla, perché tutti ritengono Giovanni un profeta». E risposero a Gesù dicendo: «Non lo sappiamo». Allora egli disse loro: «Neanch’io vi dirò con quale autorità faccio queste cose». «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli e rivolgendosi al primo disse: “Figlio, va’ oggi a lavorare nella mia vigna”; ma egli rispose e disse: “Non voglio”; più tardi però, pentitosi, vi andò. Poi, rivoltosi al secondo gli disse la stessa cosa. Ed egli rispose e disse: “Sì, lo farò signore”, ma non vi andò. Chi dei due ha fatto la volontà del padre?». Essi gli dissero: «Il primo». Gesù disse loro: «In verità vi dico che i pubblicani e le meretrici vi precedono nel regno dei cieli. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto, mentre i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto; e voi, nemmeno dopo aver visto queste cose, vi siete ravveduti per credergli»” (Matteo 21:23-32).
Le istituzioni ufficiali di una nazione o di un’organizzazione religiosa sono utili strutture di servizio. Quando, infatti, chiamiamo chi le gestisce “ministri”, l’etimologia della parola stessa indica che si tratta di servitori. Come ogni altra cosa in questo mondo, però, le istituzioni possono corrompersi e diventare strutture dispotiche e dalle grandi pretese, assumere un potere eccessivo. Assumono così l’unico fine di auto-perpetuarsi riempiendosi spesso di “funzionari” che pensano, di fatto, soltanto a servire i propri interessi privati, potere e privilegi. Quando le istituzioni si corrompono, bisogna trovare la maniera per riformarle e, se questo non è possibile, di abbatterle e sostituirle, o almeno di scavalcarle. Le istituzioni, sia politiche che religiose non hanno un carattere sacro, anche se spesso pretendono di avere una loro “inviolabile sacralità”. E’ indubbiamente “conveniente” per loro pretendere sacralità, perché così si garantiscono una superstiziosa sottomissione da parte degli “amministrati” che non osano metterle in questione pena spiacevoli ritorsioni. Le istituzioni, sia politiche che religiose, grandi o piccole che siano, da strutture di servizio possono diventare simili ad una vera e propria “mafia”.
Questo vale anche per le chiese. Come afferma la Confessione di fede di Westminster: “Anche le chiese più pure sulla terra sono soggette sia a mescolanza che ad errori; ed alcune sono tanto degenerate da diventare non chiese di Cristo ma sinagoghe di Satana. Cionondimeno, vi sarà sempre sulla terra una chiesa per rendere culto a Dio secondo la Sua volontà” (CFW 25:5), e quella non identificabile necessariamente in un’istituzione organizzata.
Il tempio di Gerusalemme, anche al tempo di Gesù, era il centro della vita cultuale di Israele. Era l’istituzione ufficiale che gestiva tutto ciò che riguardava la fede di Israele. Come tale era l’autorità dell’ebraismo che autorizzava e regolava ogni sua espressione. Coloro che il testo chiama “i capi dei sacerdoti” erano gli alti funzionari del tempio. Costituivano parte del Sinedrio, il consiglio dirigente nel giudaismo. Quelli che il testo chiama “gli anziani” erano laici che rappresentavano le famiglie principali in Israele e avevano anche una rappresentanza nel Sinedrio. In quel momento nella storia di Israele, però, questi funzionari religiosi erano nominati e controllati dalle autorità dell’impero romano, che dominava su Israele, e che di fatto intendevano essere l’autorità ultima.
Il Signore e Salvatore Gesù Cristo non era esponente dell’istituzione religiosa né tanto meno di quella politica. Indubbiamente, non aveva ricevuto alcuna autorizzazione a fare quel che faceva. Predicava ed insegnava nel cortile del tempio o forse sotto uno dei colonnati che lo circondavano, ma non aveva per quello alcun titolo di studio riconosciuto, né mandato per farlo. “Si era permesso” di scacciare i cambiavalute e i commercianti nel tempio – che svolgevano una funzione riconosciuta. Guariva i malati, ma senza avere una qualifica sanitaria ufficiale. Era entrato trionfalmente a Gerusalemme acclamato come Re, ma senza avere alcuna connessione politica e senza forze armate che eventualmente lo avessero potuto appoggiare. Lo acclamavano come Messia, ma come tale non era riconosciuto dalle autorità religiose.
Non sorprende, quindi, che le autorità gli contestassero: «Con quale autorità fai tu queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» “Che autorità (in greco exousìa) hai di fare quel che fai, quale diritto ne hai?” Di fatto: “Chi ti credi d’essere?”, “Noi siamo i legittimi rappresentanti di Israele, autorizzati persino da Roma”. Si trattava, evidentemente, quella che rivolgevano a Gesù, di una domanda retorica, perché Gesù per loro era un “estraneo”, pretenzioso e fastidioso, da eliminare in un modo o in un altro. Di fatto, è quello che avrebbero fatto.
Come risponde Gesù? «Anch’io vi farò una domanda, e se voi mi risponderete, io pure vi dirò con quale autorità faccio queste cose. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?”. Gesù, di fatto, metteva in rilievo che pure nel caso di Giovanni, i profeti non erano, nella stragrande loro maggioranza, esponenti delle istituzioni, ma persone libere ed uniche che Dio aveva chiamato e consacrato direttamente. Quei capi religiosi avrebbero dovuto saperlo, o forse convenientemente lo trascuravano. Giovanni chiamava al ravvedimento ed il battesimo che egli chiedeva di fare, come simbolo di purificazione, era il segno che, dopo la confessione dei peccati, il ravvedimento si era effettivamente verificato.
La maggior parte dei capi religiosi aveva snobbato la predicazione di Giovanni ritenendo, magari, di essere “a posto” e di non aver bisogno del ravvedimento dai loro peccati – che pure erano considerevoli. Vedevano pubblicani e meretrici che abbandonavano i loro peccati e che si erano fatti battezzare. “Bene!”, ma essi certo “non si sarebbero mescolati” con gente simile! Anche di fronte alla domanda di Gesù “cincischiavano” e rivelavano che il loro solo criterio di comportamento era quello che ritenevano più “conveniente” fare. “Ed essi ragionavano tra loro dicendo: «Se diciamo dal cielo, ci dirà: “Perché dunque non gli credeste?”. Se invece diciamo dagli uomini, temiamo la folla, perché tutti ritengono Giovanni un profeta»“. Ipocritamente, così, dicono di “non sapere” da dove sorgesse l’autorità morale e spirituale di Giovanni.
Certo Gesù era molto di più di un profeta, ma il principio rimaneva: Dio sovranamente e liberamente, quando lo reputa necessario, parla al di fuori dalle istituzioni politiche e religiose. Dio non si lega necessariamente ad istituzioni. Le istituzioni politiche e religiose servono se fanno il loro dovere davanti a Lui, ma Dio non mostra alcuna esitazione a rinnegare le istituzioni, quand’anche affermassero di servirlo – e si serve di altri. Questo non aggrada ai loro funzionari e servi. Rammentate il discorso di Stefano, primo martire cristiano, di fronte alle autorità religiose di Gerusalemme? “Uomini di collo duro ed incirconcisi di cuore e di orecchi, voi resistete sempre allo Spirito Santo; come fecero i vostri padri, così fate anche voi. Quale dei profeti non perseguitarono i padri vostri? Essi uccisero anche coloro che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale ora voi siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la legge promulgata dagli angeli e non l’avete osservata!» (Atti 7:51-53).
Ecco, così, che Gesù “disse loro: «Neanch’io vi dirò con quale autorità faccio queste cose»”. Gesù rifiuta di rispondere e neanche sta lì a discutere con altezzosa gente in malafede. Anzi, racconta loro una parabola – l’abbiamo sentita – dove parla loro dell’umile riconoscimento dei propri peccati, di ravvedimento e di ubbidienza – di fronte alla Parola di Dio predicata anche da canali non ufficiali… La sua denuncia è molto severa: “Gesù disse loro: «In verità vi dico che i pubblicani e le meretrici vi precedono nel regno dei cieli. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto, mentre i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto; e voi, nemmeno dopo aver visto queste cose, vi siete ravveduti per credergli»”.
Tutto questo è avvenuto anche nel corso della storia dei cristianesimo. Un’autorità religiosa – la chiesa cattolica romana – pretendeva (e ancora spesso pretende) di dominare in regime di monopolio, su tutta la cristianità. In questo pretende di avere l’avallo di Dio stesso e persino, ingannevolmente, una base biblica. Di fronte alla sua corruzione e peccati Dio l’ha chiamata più volte e la chiama al ravvedimento – anche attraverso voci profetiche come l’antico movimento valdese e molti riformatori che non facevano parte dei suoi quadri, persone che indubbiamente essi non avevano “autorizzato” a predicare. Non li hanno ascoltati, anzi, perseguitati senza scrupoli. Quale sarà la fine di chi non vuole udire il chiaro annuncio della Parola di Dio?
L’arroganza e la corruzione delle istituzioni politiche e religiose ricorre anche in altri contesti e persino in raggruppamenti la cui conduzione diventa autoritaria e tirannica. E’ indubbiamente “un fenomeno sociologico”. Le istituzioni servono, servono a Dio e servono ai fedeli. Esse però non sono “sacre”. Se non fanno il loro dovere, se non servono Dio fedelmente, Dio ne fa a meno e le sostituisce. Non siamo sempre tenuti ad ubbidire loro. Questo, naturalmente, non giustifica “l’anarchia” e l’individualismo, perché la dimensione sociale della fede cristiana fa parte della sua stessa essenza e va debitamente onorata. Giammai, però, potrà essere “ubbidienza assoluta”, ma dovrà sempre essere critica e le istituzioni stesse sempre pronte a “mettersi in gioco”, a confrontarsi con istanze critiche senza volerle condizionare o limitare.
Per questo anche noi dobbiamo chiederci: “Viene da Dio o viene dagli uomini?”. Se viene da Dio (e questo è il più delle volte riconoscibile”, perché, per usare un’espressione biblica, “le pecore riconoscono la voce del loro pastore”), il chiaro ammonimento biblico è: “Guardate di non rifiutare colui che parla, perché se non scamparono quelli che rifiutarono di ascoltare colui che promulgava gli oracoli sulla terra, quanto meno scamperemo noi, se rifiutiamo di ascoltare colui che parla dal cielo” (Ebrei 12:25).
Letture bibliche:Salmi 78:1-16; Esodo 17:1-7; Filippesi 2:1-13; Matteo 21:23-32