La comunità cristiana può essere paragonata ad una scuola o ad un laboratorio dove operano degli apprendisti. La comunità cristiana, infatti, la chiesa, per sua stessa natura, deve essere persone che stanno imparando a vivere secondo la volontà di Dio. Gesù ci mette in comunione con Dio e ci fa vivere nell’ambito di una comunità, quella cristiana. Come ci si deve, però, comportare con Dio? Come ci si deve comportare con gli altri? Secondo i criteri che Gesù stesso ci insegna e che spesso sono molto diversi da quelli comuni in questo mondo ed ai quali siamo abituati. In questo mondo, per esempio, prevale il pensare solo e sempre a sé stessi, ai propri interessi, vantaggi e comodi. “Non così dovrà essere tra voi”, dice Gesù. In questo mondo ciascuno pensa per sé, e non si ha scrupoli nel danneggiare gli altri, umiliarli, ferirli, calpestarli, sfruttarli per fare i nostri interessi a loro danno. “Non così dovrà essere tra voi”, dice Gesù. In questo mondo prevalgono i conflitti, la concorrenza spietata, i rapporti di potere e di forza. “Non così dovrà essere tra voi”. dice Gesù. In questo mondo si ritiene umiliante ammettere di avere sbagliato e chiedere perdono. Quando ci fanno dei torti, si coltiva il risentimento, si rompono i rapporti e si pensa “a fargliela pagare”. “Non così dovrà essere tra voi”, dice Gesù. Certo, la comunità cristiana è chiamata a distinguersi consapevolmente dal modo di pensare, parlare ed agire, comune in questo mondo.
Nella parte centrale del capitolo 18 di Matteo troviamo Gesù che ci istruisce al riguardo ciò che dobbiamo fare quando qualche nostro fratello in fede ci fa un torto, ci offende, o, in qualche modo ci danneggia. Che dobbiamo fare? “Tenergli il broncio”, non parlargli più, coltivare in noi il risentimento e pensare a “fargliela pagare”?
«Ora, se il tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e riprendilo fra te e lui solo; se ti ascolta, tu hai guadagnato il tuo fratello; ma se non ti ascolta, prendi con te ancora uno o due persone, affinché ogni parola sia confermata per la bocca di due o tre testimoni. Se poi rifiuta di ascoltarli, dillo alla chiesa; e se rifiuta anche di ascoltare la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità vi dico che tutte le cose che voi avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo; e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra saranno sciolte nel cielo. Ancora io vi dico che, se due di voi si accordano sulla terra per domandare qualunque cosa, questa sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»” (Matteo 18:15-20).
In questo testo Gesù stabilisce quelle che potremmo considerare delle “misure di protezione” dei deboli o comunque di quanti, nella comunità cristiana, subiscono abusi e prevaricazioni.
E’ realistico considerarlo possibile persino nella comunità cristiana, perché essa è pur sempre fatta di peccatori che Dio sta salvando, persone che, per grazia di Dio, “stanno camminando verso il cielo”, ma che talvolta “inciampano e cadono”. Infatti, come Iddio dice nella Genesi a Caino, “Il peccato sta alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te ma tu dominalo!” (Genesi 4:7).
Qui Gesù istruisce i Suoi discepoli sul modo per preservare e ristabilire la pace, la purezza e della comunità cristiana che deve essere segno e testimonianza, nel mondo, del Regno di Dio. Se qualcuno ha mancato contro di noi, dobbiamo fare il primo passo, andargli incontro, per cercare di ricuperarlo, perdonarlo. Se ha sbagliato va messo a confronto con quanto ha fatto e ricuperato alla giustizia. con tatto e delicatezza, e darli la possibilità di spiegare. Per Gesù è importante cercare di ricuperare anche chi sbaglia. Gesù dice: “il Padre vostro che è nei cieli vuole che neppure uno di questi piccoli perisca” (Matteo 18:14). Se poi, chi sbaglia, ostinatamente persiste nell’errore, Gesù prevede una particolare prassi. Vediamo.
1. A tu per tu. Il primo versetto dice: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello” (15). Se un tuo fratello in fede ti fa un torto, ti insulta e ti attacca ferendo il tuo onore e dignità, se abusa di te e della tua fiducia, se danneggia il tuo buon nome accusandoti falsamente, se viola i tuoi diritti, se ti sottrae o danneggia quel che ti appartiene, se ci ha fatto del male, se ha commesso una palese ingiustizia verso di te, se ti causa afflizione, ti offende, ferisce la tua coscienza, c’è qualcosa che Gesù dice che devi fare. Se hai un problema con qualcuno, il primo passo da fare è prendere l’iniziativa di andare da lui e parlargliene a tu per tu. Non deve sorprenderci se queste cose purtroppo accadono nella comunità cristiana. Siamo umani e sbagliamo.
Gesù, nella Sua divina sapienza, ci insegna di cercare di appianare la cosa in privato. Forse si tratta solo di un equivoco che può esse facilmente risolto. Forse quella persona non si rende conto che ha fatto del male dicendo o facendo qualcosa senza riflettere. Gesù ci insegna a cominciare a risolvere il conflitto o il disaccordo prima fra le persone direttamente interessate. La cosa era richiesta persino dalla legge di Mosè: “Non odierai tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera pure il tuo prossimo [va e rimproveralo], ma non ti caricare di un peccato a causa sua” (Le. 19:17). L’altro, così, avrà un’opportunità per spiegare la sua condotta. Tutto questo pure ci aiuta nel processo del perdono impedendo che in noi cresca il risentimento o l’amarezza. L’Apostolo Paolo scrive: “Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria” (Efesini 4:31). Così facendo avrai preservato, ristabilito l’altro come cristiano coerente. Ti sei riconciliato con lui, hai ristabilito un buon rapporto. Un rapporto danneggiato causa malumore, è imbarazzante, suscita sensi di colpa. La comunità cristiana ne soffre.
Gesù si rende conto che questo potrebbe anche “non funzionare” e che l’altro potrebbe non darvi ascolto e non ammettere l’errore fatto. Se quello è il caso, si può fare un’altra cosa, quella descritta dal versetto successivo.
2. I testimoni. Il secondo passo da fare, se necessario, in caso di conflitto, è questo:
“…ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni” (16). In un mondo ideale ogni conflitto potrebbe essere risolto dall’incontro e dal dialogo fra i diretti interessati. Questo, però, potrebbe non essere il caso. La persona con la quale hai un problema potrebbe non volere parlare con te e persino sbatterti la porta in faccia! Se ti respinge con sdegno e disprezzo, se non ne vuole sapere di riconoscere quel che ha fatto, se ancora ti insulta e non vuole cambiare, cerca dei testimoni della sua condotta di fronte alla comunità che possano confermare e dare maggiore forza all’azione, che possano conoscere quanto è avvenuto, confermare della buona volontà di superarlo e prendere nota della resistenza che l’altro pone alla risoluzione del problema. La legge di Mosè dice: “Un solo testimone non sarà sufficiente per condannare un uomo, qualunque sia il delitto o il peccato che questi ha commesso; il fatto sarà stabilito sulla deposizione di due o tre testimoni” (De. 19:15). Questo affinché possa essere indotto ad ascoltarli. Possono essere persone di influenza o d’autorità, i suoi amici, o quelli di cui ha fiducia. La Scrittura dice: “È possibile che non vi sia tra di voi neppure una persona saggia, capace di pronunciare un giudizio tra un fratello e l’altro?” (1 Co. 6:5). Gesù vuole che la questione sia risolta in ogni modo. Vuole che si realizzi la confessione, il perdono e la riparazione. I conflitti non risolti sono un male peggiore del conflitto stesso. Il nemico di Dio gode quando vede nella nostra vita conflitti non risolti. Può così piantare il seme del peccato, dell’amarezza e del non perdono.
Se la persona si convince, lodiamo Dio per avere appianato le differenze. Se non bastiamo noi, coinvolgiamo pure due o tre altre persone. E se non serve neanche quello?
3. La comunità. Gesù dice: “Se rifiuta d’ascoltarli, dillo alla chiesa (17a). Se la questione non si risolve a livello personale, se non sembra servire neanche il coinvolgimento di terze persone, allora deve essere coinvolta la comunità cristiana. Qui si parla di conflitti e di questioni che coinvolgono membri della comunità cristiana, non estranei. Le dispute fra i membri della comunità vanno risolte al suo interno. Ne va della buona testimonianza della chiesa cristiana. La disciplina è una delle caratteristiche che contraddistinguono la vera chiesa. Una comunità cristiana che non faccia nulla per conservare al suo interno “un minimo” di disciplina e di coerenza morale non può sussistere. Se non lo fa, mette le
basi per la sua alienazione, per il suo “scioglimento” in questo mondo, per la sua distruzione.
La comunità cristiana deve dare gloria a Dio nel mondo, essere testimone di Dio e delle Sue leggi e caratteristiche morali e spirituali. Gesù disse: “Il sale, certo, è buono; ma se anche il sale diventa insipido, con che cosa gli si darà sapore?” (Luca 14:34). Se non ha “un minimo” di coerenza, la comunità cristiana “perde la faccia” di fronte al mondo, non è più nulla. Il versetto 17 dice chiaramente che se non c’è altro modo per appianare il torto subito o il conflitto, bisogna sottoporre la cosa ai responsabili della comunità. Per il bene della stessa testimonianza cristiana, non si può, infatti, tollerare che un conflitto non risolto la danneggi.
L’esclusione. “…e, se rifiuta d’ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano”.
Se l’ostinazione è tale che la persona in questione non vuole dare ascolto neppure a quelli, come ultima istanza la comunità potrà decidere di prendere le distanze da quelli che rifiutano di comportarsi come ci si deve aspettare da ogni cristiano, ma solo in ultimissima istanza. “Pagani” e “pubblicani” venivano considerati dagli Israeliti gli estranei al loro popolo, gente con la quale avere nessun contatto religioso o comunione. Quindi non riconoscerlo più come fratello in Cristo, almeno fintanto che non si ravveda. Questo non significa cessare di essere gentile con lui ed aiutarlo in caso di afflizione o prova, perché questo è sempre richiesto verso tutti, ma significa trattarlo come un estraneo. In fondo, con il suo comportamento già si comporta come coloro che vivono in aperta ribellione alla volontà di Dio. Il suo comportamento ostinato lo pone palesemente in contraddizione con ciò che si esige da un discepolo di Cristo. Sarebbe dannoso al Corpo di Cristo far circolare in esso veleno che, col passare del tempo, lo renderebbe sempre più debole. Dio vuole proteggere il corpo e non lasciare che Satana profitti da questa situazione. Solo a partire da tutto questo si può essere certi di conoscere la vera chiesa ed è dovere di ognuno di non esserne separato»(Confessione di fede belga, art. 29). La decisione ponderata di escludere qualcuno dalla comunità potrebbe da qualcuno essere considerata “estrema”, ma non è così. Essa sarà sanzionata anche da Dio. Dice infatti il testo: “Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo” (18). Ciò che verrà intrapreso per difendere la comunità cristiana dagli abusi, se fatto in conformità a queste istruzioni, sarà ratificata dal Signore.
Il testo conclude, dicendo: “…E in verità vi dico anche: se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli” (19). Quando ci si accorda, si conviene, si hanno sentimenti ed opinioni comuni su come gestire la chiesa o ciò che è bene per il suo benessere, e lo sottoporranno a Dio in preghiera, questo sarà loro concesso. L’accento sulla preghiera è quanto mai pertinente, sia perché ogni decisione della comunità deve essere presa solo dopo diligente preghiera ma anche perché la comunità pure si impegna a pregare per il trasgressore e per il ritorno dell’armonia. Se c’è la comune determinazione di avere pace, le azioni ad essa finalizzate ad essa saranno benedette dal Signore. “Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (20). Gesù è in mezzo a noi non tanto per spiare i nostri peccati, o per segnarsi le imperfezioni del culto, ma per illuminare, rafforzare, confortare e salvare.
Conclusione. La comunità cristiana, secondo i criteri biblici che la definiscono e che descrivono come deve essere, è, dicevamo all’inizio, una comunità di “apprendisti”, cioè di persone che imparano a pensare, a parlare, a vivere ed a rapportarsi agli altri, secondo l’insegnamento di Cristo. I rapporti con gli altri, cristiani compresi, sono talvolta difficili, nonostante la migliore volontà di viverli secondo amore e giustizia. Quando avvengono casi in cui un fratello in fede ci offende, ci ferisce, ci danneggia e ci fa del male, dimostrandosi incoerente con ciò a cui Cristo ci chiama, Gesù ci insegna a risolvere al più presto la questione senza coltivare risentimento, per giungere alla riparazione, al perdono ed alla riconciliazione. Egli ci insegna che la parte ferita deve fare il primo passo e riprendere a tu per tu, in spirito cristiano, il trasgressore, e questo per ricuperarlo alla giustizia. Se non ne vuole sapere abbiamo il diritto ed il dovere di coinvolgere, fare intervenire terze persone, dei saggi che ci aiutino a risolvere la questione, e persino i responsabili della nostra comunità cristiana, se ancora non bastasse. In caso di persistente ostinazione, la comunità ha il diritto di escludere dal suo seno queste persone che, così facendo, ne pregiudicherebbero la testimonianza guastando la vita comunitaria, senza per questo rinunciare al ricupero. Essa lo farà pregando il Signore che persuada Egli stesso chi non si vuole adeguare allo stile di vita che deve essere l’impegno di ogni membro della comunità cristiana.
Sì, la chiesa cristiana è qualcosa di serio… è un progetto di vita che deve dimostrare almondo che cosa significa il Regno di Dio. Anche nel caso di conflitti, il principio su cui deve funzionare è: “Ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine” (1 Corinzi 14:40).
Domenica 6 settembre 2020 – Quattordicesima Domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmo 149; Esodo 12:1-14; Romani 13:8-14; Matteo 18:15-20