Domenica 3 settembre 2023
Pessimisti o ottimisti?
Dennis Praeger, popolare conduttore radiofonico, opinionista e scrittore israelita statunitense, alla domanda se lui fosse pessimista o ottimista risponde di non essere particolarmente interessato alla questione, perché entrambe le cose conducono all’inazione. Perché darsi da fare per ciò che è bene, infatti, se finirà comunque tutto male? Perché, poi, darsi da fare se finirà tutto bene? Tanto “tutto si aggiusterà” lo stesso. La sua risposta, quindi, è “Non ti preoccupare, tu datti comunque da fare, lotta. Questo è l’unico nostro dovere”. Solo questo è indubbiamente da persone responsabili.
Non so se lui vedesse la questione, in particolare, dal punto di vista della fede, ma nella prospettiva biblica cristiana, il credente si impegna fiduciosamente a compiere ciò che è buono secondo la volontà rivelata di Dio lasciandone i risultati a Dio stesso, sapendo che, in ogni caso, i propri sforzi, il proprio contributo all’opera di Dio, non saranno mai vani, non andranno mai sprecati, com’è scritto. “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58). Perché questo? Perché Dio, in ogni caso, trionferà sul male nonostante ogni apparenza del contrario. Se si parla di ottimismo o pessimismo, quindi, si tratta certamente di ottimismo in Dio, perché Dio sempre trionferà e Lui ci chiama ad essere coinvolti, a condividere, a partecipare a questo suo trionfo ultimo, lasciando che questo determini il nostro agire, il nostro darci da fare, le nostre lotte, fin da oggi, perché la Sua vittoria non è riservata solo ad un futuro più o meno lontano!
Trionfo in Cristo
Con Dio, l’Onnipotente, siamo destinati a trionfare: chiamiamolo pure ottimismo questo, ma che vuol dire? Un testo dell’apostolo Paolo ci dice espressamente che Dio ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo. Nella sua seconda epistola egli afferma:
“Ma grazie siano rese a Dio che sempre ci conduce in trionfo in Cristo e che per mezzo nostro spande dappertutto il profumo della sua conoscenza. Poiché noi siamo dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che sono sulla via della salvezza e fra quelli che sono sulla via della perdizione; a questi, un odore di morte che conduce a morte; a quelli, un odore di vita che conduce a vita. E chi è sufficiente a queste cose?” (2 Corinzi 2:14-16).
Il famoso canto “Noi trionferemo” (“We shall overcome”) era stato originariamente adottato come un inno di protesta durante il movimento per i diritti civili degli afro-americani, guidato da leader come Martin Luther King Jr. Tuttavia, questo canto aveva radici più antiche. Era stato, infatti, adattato da un canto gospel del XIX secolo intitolato “I’ll Overcome Someday” (Un giorno trionferò). Nel corso degli anni, era diventato un simbolo della lotta per i diritti civili e dell’uguaglianza e un potente stimolo a non darsi per vinti, ma a persistere a lottare con fiducia. Che cosa ci vuol dire l’Apostolo quando parla di Dio che sempre ci conduce in trionfo in Cristo?
Il trionfo del conquistatore
L’apostolo Paolo, in questa parte della sua seconda lettera ai cristiani di Corinto paragona l’irresistibile progresso dell’Evangelo in quel tempo, nonostante i temporanei insuccessi, ai cortei trionfali che avvenivano nell’antica Roma quando un leader militare tornava vittorioso nella capitale dopo aver conquistato per l’impero un nuovo territorio ed assoggettato i suoi abitanti.
Questo accostamento potrebbe essere piuttosto discutibile oggi, ma l’apostolo ne fa un’interpretazione spirituale: Cristo è il Conquistatore e noi condividiamo un trionfo che non è nostro. Paolo parla di essere condotto nel corteo del trionfo di Cristo; e poi prosegue parlando di essere il dolce profumo di Cristo, un profumo che per alcuni è profumo di morte e per altri profumo di vita. Che intende? Il significato di questo si collega sempre agli antichi cortei trionfali di Roma.
L’onore più alto che poteva essere conferito a un generale romano vittorioso era il Trionfo. Prima di poterlo vincere doveva soddisfare determinate condizioni. Doveva essere il comandante in capo sul campo. La campagna doveva essere completamente terminata, la regione pacificata e le truppe vittoriose riportate a casa. Almeno cinquemila nemici dovevano essere caduti in uno scontro. Bisognava ottenere un’estensione positiva del territorio, e non semplicemente rimediare ad un disastro o respingere un attacco. E la vittoria doveva essere stata ottenuta su un nemico straniero e non in una guerra civile.
In un vero e proprio trionfo il corteo del generale vittorioso marciava per le strade di Roma fino al Campidoglio nel seguente ordine. Prima venivano i funzionari statali e il Senato. Poi venivano i trombettieri. Poi vi venivano trasportate le spoglie, il bottino di guerra, sottratte alle terre conquistate. Ad esempio, quando Tito conquistò Gerusalemme, il candelabro a sette bracci, la tavola d’oro dei pani della presentazione e le trombe d’oro erano stati portati per le strade di Roma.
Poi arrivarono le immagini delle terre conquistate e i modelli delle cittadelle e delle navi conquistate. Seguiva il toro bianco per il sacrificio che sarebbe stato compiuto come ringraziamento agli dei.
Poi camminavano i miserabili prigionieri, i principi nemici, i capi e i generali in catene, che presto sarebbero stati gettati in prigione e con ogni probabilità quasi immediatamente giustiziati. Poi vennero i littori [ufficiali giudiziari minori] che portavano le loro verghe simbolo del potere di Roma, seguiti dai musicisti con le loro cetre. Poi venivano i sacerdoti che dondolavano i loro incensieri su cui bruciava l’incenso dal dolce odore.
E poi, finalmente, arrivava il generale in persona. Stava su un carro trainato da quattro cavalli. Era vestito con una tunica viola ricamata con foglie di palma dorate, e sopra una toga viola decorata con stelle dorate. In mano teneva uno scettro d’avorio con in cima l’aquila romana, e sopra la sua testa uno schiavo teneva la corona di Giove. Dopo di lui veniva la sua famiglia, e infine arrivava l’esercito indossando tutte le loro decorazioni e gridando il trionfo! Mentre il corteo si muoveva per le strade, tutto addobbato e inghirlandato, tra la folla urlante e festante, si celebrava un giorno straordinario!
Questa è l’immagine che è nella mente di Paolo. Vede il Cristo vittorioso marciare trionfante in tutto il mondo, e sé stesso in quel corteo vittorioso. È un trionfo che, Paolo ne è certo, nulla potrebbe fermare.
Un odore ambivalente
Abbiamo visto come in quella processione c’erano i sacerdoti che dondolavano gli incensieri pieni di incenso. Ora per il generale e per i vincitori il profumo degli incensieri sarebbe il profumo della gioia, del trionfo e della vita; ma per i miserabili prigionieri che camminavano per una distanza così breve era il profumo della morte, perché rappresentava la sconfitta passata e la loro imminente esecuzione. Quindi Paolo pensa a se stesso e ai suoi compagni apostoli che predicano l’Evangelo del Cristo trionfante. Per coloro che lo accetteranno è il profumo della vita, come lo era per i vincitori; per chi lo rifiuta è profumo di morte come lo era per i vinti. Infatti: “Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Giovanni 3:18).
Di una cosa Paolo era certo: il mondo non avrebbe potuto sconfiggere Cristo. Paolo, nonostante tutte le difficoltà che aveva patito, non viveva nella paura pessimistica, ma nel glorioso ottimismo che conosceva l’invincibile maestà di Cristo.
Questo slancio di lode scaturiva dalla profonda convinzione di Paolo che l’opera di Dio in lui e attraverso di lui, nonostante l’apparenza dell’insuccesso che aveva appena menzionato, procedesse trionfalmente. Questo punto di vista è uno dei grandi accenti di questa epistola. Gesù Cristo continua senza eccezione a progredire nella Sua opera. Sta costruendo il Suo inarrestabile movimento, la Sua chiesa e le porte dell’inferno non potranno prevalere contro di essa (Matteo 16:18). Dio compirò ogni suo proposito per la salvezza dei Suoi eletti e lo stabilimento completo del Suo Regno. Paolo e i Corinzi erano in Cristo, e sapevano di partecipare a questo trionfo.
Paolo paragona lo spargimento di incenso profumato, mentre il trionfo procedeva per le strade di Roma, a Dio che diffondeva la conoscenza di Se stesso attraverso gli apostoli. La metafora è indubbiamente allo stesso tempo trionfale e anti-trionfale. È mentre Dio guida i suoi servitori come prigionieri di guerra in una parata vittoriosa, che Dio diffonde ovunque la conoscenza di Cristo attraverso di loro. Mentre in tali cortei vittoriosi i prigionieri sarebbero abbattuti e amareggiati, dalle labbra di questo prigioniero esce solo il ringraziamento a Dio, il suo “carceriere”. Qui viene riproposto il tema del potere debole (cfr 1:3-11) che pervade la lettera.
Anche Paolo paragona gli apostoli all’aroma dell’incenso. Coloro che predicano l’Evangelo piacciono a Dio indipendentemente dalla risposta di coloro che lo ascoltano. “Di morte in morte” significa probabilmente dalla morte di Cristo che gli apostoli predicarono nel Vangelo fino alla morte eterna di coloro che lo rifiutano. «Di vita in vita» significa probabilmente dalla risurrezione di Cristo, che predicavano nel Vangelo, alla vita eterna dei credenti. Il ruolo di annunciatore di Cristo è una vocazione alta, e nessuno è sufficiente da solo per questo compito. Tutti abbiamo bisogno della grazia di Dio.
È posto davanti a noi qui nel pensiero di questi prigionieri conquistati che vengono condotti come trofei e testimoni del Suo potere vittorioso. Sono coloro che sono stati conquistati dall’Evangelo, ma non per essere asserviti, ma liberati! Pochi o tanti che siano, essi sono coloro a cui Dio dall’eternità ha accordato la grazia della salvezza e ci arriveranno! Questa idea è suggerita da entrambe le metà del nostro verso. Sia l’emblema dell’Apostolo che marcia nel corteo trionfale, sia l’emblema dell’Apostolo che emette dal suo cuore ardente l’odore fragrante e visibile dell’incenso ascendente, trasmettono la stessa idea, vale a dire. che il grande scopo di Gesù Cristo nel conquistare persone per Sé e nel legarle alle ruote del Suo carro, è che da essi possa uscire la testimonianza della Sua potenza e la conoscenza del Suo nome.
Il fatto che Gesù Cristo, con la Sua Croce e la Sua Passione, sia capace di conquistare le volontà di uomini e donne e di legare a Sé i loro cuori, è la prova più alta della Sua potenza. È una cosa assolutamente unica nella storia del mondo. Non c’è niente di simile da nessun’altra parte. L’attaccamento appassionato che Gesù, “figura minore della Galilea” riesce a suscitare nei cuori di uomini, donne e bambini a tutti questi secoli dalla sua morte, è una cosa inaudita e senza precedenti. Tutti gli altri maestri servono le loro generazioni e poi i loro nomi cadono nell’oblio e scompaiono. Ma il tempo non ha potere sull’influenza di Cristo. Il legame che ci lega secoli dopo la Sua morte è identico in qualità e in grado è spesso molto più profondo e più forte del legame che univa a Lui coloro che Lo avevano visto. È un fatto unico nella storia del mondo che da Cristo di Nazareth si irradi attraverso tutti i tempi la forza spirituale che si impadronisce assolutamente di creature umane, le libera e ne fa suoi organi e strumenti.
Potremmo forse essere pessimisti?
Questa generazione si vanta di mettere alla prova tutte le cose con un test utilitaristico, e di ogni sistema dice: “Bene, vediamo se funziona”. La fede cristiana non si sottrae alla prova. Con tutte le sue imperfezioni, il lungo corteo di uomini e donne che, per secoli e secoli hanno marciato attraverso la storia, riconoscendo in Cristo il loro conquistatore e ascrivendogli tutta la loro bontà, è una testimonianza del suo potere di influenzare e soddisfare creature umane, la forza della cui testimonianza è difficile da rovesciare. Egli guida per il mondo il corteo dei Suoi “prigionieri”, la prova delle Sue conquiste.
Noi siamo tenuti a vivere, esponendo chi siamo e cosa Egli ha fatto per noi. Proprio come il corteo trionfale risaliva la Via Appia e lungo il lato del Foro fino all’altare del Campidoglio, avvolto da nuvole di incenso profumato, così dovremmo marciare per il mondo avvolti dal dolce e fragrante odore di Il Suo nome, testimoniando per Lui con le parole, testimoniando per Lui con il carattere, parlando per Lui e vivendo come Lui, mostrando nella nostra vita che Egli ci governa e professando con le nostre parole che lo fa; e così dovrebbe manifestare la Sua potenza.
Che ruolo stiamo avendo noi in quel grande corteo trionfale? Ma c’erano due gruppi di persone nel vecchio trionfo. C’erano coloro che erano stati conquistati a forza e invitti nel cuore, e nei cui occhi brillavano malizia e odio inestinguibili, sebbene le loro armi fossero spezzate e le loro braccia incatenate. E c’erano quelli che, avendo condiviso la lotta del comandante, condividevano il suo trionfo e si rallegravano del suo governo. E quando il corteo raggiunge la porta del tempio che succederà a coloro che, prigionieri, lo odiano? Ve lo lascio immaginare. Per coloro, invece, che Gli hanno ceduto anima e cuore nell’amore e nella sottomissione, verrà la parola benedetta: ‘Chi vince erediterà ogni cosa’.
A quale delle due parti del corteo appartenete voi? Fra quello dei Suoi leali alleati che condividono il Suo trionfo, o quello dei Suoi nemici, che, sopraffatti dal Suo potere, non si lasciano sciogliere dal Suo amore. L’uno vive, l’altro perisce. L’immagine potrà essere sgradita oggi a qualcuno, ma è quella che ci offre la Parola di Dio. Meglio prenderla sul serio e lasciare che essa determini il nostro ottimismo o pessimismo!
Paolo Castellina, 25 agosto 2023