Domenica 8 Maggio 2022 – Quarta domenica di Pasqua
(Culto completo con predicazione, 60′)
Introduzione alle letture bibliche
Letture bibliche: Salmo 23 – Ezechiele 34:1-16 – Atti 9:36-43 – Giovanni 10:22-30
La consapevolezza di un uomo che è stato strappato dalle forze oppressive dei dominatori di questo mondo e portato a far parte del popolo di cui Dio è provvedente pastore, è espresso dal famoso Salmo 23, la nostra prima lettura di oggi: “L’Eterno è il mio pastore, nulla mi mancherà”. Segue un episodio tratto dal libro degli Atti degli Apostoli, al capitolo 9, dove Pietro si fa solidale tramite delle immutate virtù di guarigione di Cristo in soccorso di una discepola di nome Tabita. Il popolo di Dio è indubbiamente una comunità solidale, ma rimaniamo membri di una società dominata da personaggi che pretendono di esserne pastori, mentre in realtà sfruttano e opprimono per i loro fini iniqui chi ne fa parte. Questo è espresso dalla terza lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, che esprime una ferma condanna dei falsi pastori e preannuncia l’avvento del vero e buon pastore, il Signore Gesù Cristo. Chiude le nostre letture di oggi una porzione del capitolo 10 del vangelo secondo Giovanni, che mette in evidenza la sicurezza che chi appartiene al gregge di Cristo riceverà sempre la Sua provvedente cura. Questa lettura sarà l’oggetto della nostra predicazione oggi.
Un gregge che trascende le realtà di questo mondo
Distinzioni da cancellare?
Il globalismo oggi incipiente vorrebbe cancellare ogni appartenenza e distinzione. Le forze politiche, ideologiche ed economiche che prevalgono nel nostro tempo esercitano forti pressioni a che ogni identità nazionale, storica, culturale e religiosa sia prima relativizzata e poi negata. Caduta ogni distinzione, tutti devono oggi essere resi parte di una massa amorfa, omogenea e indistinta di “uguali” nello stesso crogiolo. Con il pretesto che le distinzioni promuoverebbero solo conflitti ed esaltando malintesi ideali di “uguaglianza” e di “giustizia”, aspirano di fatto che tutto il mondo sia sottoposto a un’unica élite di “saggi” e “illuminati”. Si vorrebbero trasformare tutti in una massa indistinta di persone manovrabili e sfruttate dalle élite dominanti o resi semplici “consumatori” generatori di profitti e utili, i loro. Lo stesso linguaggio usato durante la recente pandemia parlava dell’auspicata creazione di una cosiddetta “immunità di gregge”. Questo termine tradisce, più o meno consapevolmente, l’idea che la società umana sia da considerarsi come un gregge di pecore, anzi di “pecoroni”, semplice “bestiame” da sfruttare nelle mani di chi lo domina e ne dispone, le élite politiche e religiose. Di questo “gregge” esse si ritengono “pastori”.
Vorreste far parte di “un gregge”? Indubbiamente c’è una naturale inclinazione umana a voler appartenere a raggruppamenti di vario tipo e a conformarsene. Tutto, però, dipende da chi, di questo gregge, ne è il pastore. Possiamo fidarcene?
Pastori o sfruttatori?
Rammentiamoci del severo atto di accusa fatto dall’antico profeta Ezechiele rivolto alle classi dominanti, politiche e religiose dell’Israele del suo tempo. Dio gli aveva detto: “…profetizza contro i pastori d’Israele; […] di’ a quei pastori: Così parla il Signore, l’Eterno: Guai ai pastori d’Israele, che non han fatto se non pascer se stessi! Non è forse il gregge quello che i pastori debbono pascere? Voi mangiate il latte, vi vestite della lana, ammazzate ciò ch’è ingrassato, ma non pascete il gregge. Voi non avete fortificato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella ch’era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su loro con violenza e con asprezza. […] Perciò, o pastori, ascoltate la parola dell’Eterno! Com’è vero ch’io vivo, dice il Signore, l’Eterno, poiché le mie pecore sono abbandonate alla rapina; poiché le mie pecore, essendo senza pastore, servono di pasto a tutte le fiere de’ campi, e i miei pastori non cercano le mie pecore; poiché i pastori pascono se stessi e non pascono le mie pecore, […] Eccomi contro i pastori; io ridomanderò le mie pecore alle loro mani; li farò cessare dal pascer le pecore; i pastori non pasceranno più sé stessi; io strapperò le mie pecore dalla loro bocca, ed esse non serviranno più loro di pasto. Poiché, così dice il Signore, l’Eterno: Eccomi! Io stesso domanderò delle mie pecore, e ne andrò in cerca. […]. Io stesso pascerò le mie pecore, e io stesso le farò riposare, dice il Signore, l’Eterno. Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, fortificherò la malata, […] Io le pascerò con giustizia. […] E susciterò sopra d’esse un solo pastore, che le pascolerà: il mio servo Davide; egli le pascolerà, egli sarà il loro pastore. E io, l’Eterno, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe in mezzo a loro. […] E fermerò con esse un patto di pace; farò sparire le male bestie dal paese, e le mie pecore dimoreranno al sicuro” [Ezechiele 34].
Il Buon Pastore
Questa profezia annuncia l’avvento dell’unico degno di essere considerato pastore, il pastore per eccellenza, il Buon Pastore, il Signore e Salvatore Gesù Cristo. Nel capitolo 10 del vangelo secondo Giovanni Gesù si presenta come tale: Colui che toglie “le pecore” dal controllo dei mercenari che ne fanno scempio e che le raccoglie sotto la Sua buona conduzione. Se Lui ne è il pastore, ben volentieri voglio far parte di un tale gregge! Di questo capitolo ne consideriamo oggi i versetti che vanno da 22 al 30. Ascoltiamoli.
“In quel tempo ebbe luogo in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno, e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei dunque gli si fecero attorno e gli dissero: Fino a quando terrai sospeso l’animo nostro? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente. Gesù rispose loro: Ve l’ho detto, e non lo credete; le opere che faccio nel nome del Padre mio, son quelle che testimoniano di me; ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle di mano al Padre. Io e il Padre siamo uno” (Giovanni 10:22-30).
In questo nostro brano Gesù rivela di essere uno, insieme a Dio Padre, che raccoglie, protegge e benedice eternamente uomini, donne e bambini come il popolo di Dio. Si tratta di una realtà spirituale che trascende le identità di questo mondo e che è l’unica che veramente debba essere per noi importante. In questo testo siamo messi a confronto con il carattere divino della signoria di Cristo e incoraggiati a rispondere con fede opponendoci a ogni identità “penultima”. E’ l’unico “gregge” che possa renderci veramente liberi!
Pastori in concorrenza
“In quel tempo ebbe luogo in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno, e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone” (22-23). Troviamo così Gesù a Gerusalemme durante la festa della Dedicazione (la Chanukkah) in cui gli israeliti celebravano l’inaugurazione del nuovo altare nel Tempio di Gerusalemme, dopo la liberazione della Giudea dall’occupazione siriana ellenica di Antioco IV Epifane. I Maccabei avevano dovuto ripulire il Tempio dagli idoli che vi erano stati posti e costruire un nuovo altare perché quello precedente era stato profanato. Era la celebrazione della vittoria della vera religione rivelata sulla corruzione del culto promosso dai sincretisti omologatori del potere ellenista. Antioco aveva soppresso l’adorazione unica di Jahvè e l’aveva fatta accompagnare dall’adorazione di Zeus. La vittoria di Giuda Maccabeo nel 164 a.C. aveva ripristinato l’adorazione del vero Dio in un tempio purificato e ristrutturato. Così, il popolo celebrava, ma mentre Gesù cammina nei cortili del tempio, il vento gelido invernale che gli soffiava intorno illustrava bene i cuori freddi di un Israele che rimaneva sottomesso a falsi pastori, formalmente nazionalisti e ortodossi, ma di fatto mercenari. Il culto, infatti, doveva conformarsi a quanto Dio prescrive, ma ancora diventava una semplice formalità quando era gestito da funzionari privi di autentico amore per Dio e per il Suo popolo e che nascondevano altri interessi.
Era stata sconfitta un’elite politico-reigiosa compromessa con la cultura ellenista e si era insediata una nuova classe dirigente nazionalista. Era forse meglio della precedente? Formalmente sì, ma era altrettanto corrotta, alleata con i nuovi padroni che avevano rimpiazzato i greci, vale a dire i romani. Gelosi dei privilegi che erano stati loro accordati, guardavano con sospetto e preoccupazione l’ascesa della notorietà di Gesù di Nazareth. Gli chiedono così: “Fino a quando terrai sospeso l’animo nostro? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente” (24). Vogliono capire se Gesù rappresenti per loro una minaccia. Vogliono “vederci chiaro”. Gesù si presentava, infatti, come un personaggio ambiguo. Gesù non aveva infatti mai detto apertamente di essere il Messia, il Salvatore del mondo. Vogliono capire: “Dice di essere “luce del mondo” e pastore dei Suoi fedeli, ma è lui il Messia nazionale che attendevano? Se pretende di esserlo potrebbe costituire una minaccia per il loro potere? Potrebbe scalzarli come autorità e sostituire a loro una diversa classe dirigente formata da galilei? Vogliono un’affermazione chiara che possano usare come un’accusa contro di lui perché evidentemente ciò che Gesù è e fa non piace loro per nulla.
“Gesù rispose loro: Ve l’ho detto, e non lo credete; le opere che faccio nel nome del Padre mio, sono quelle che testimoniano di me” (25). Naturalmente, nel Suo modo tipico, dato che la domanda è probabilmente ostile, Gesù risponde indirettamente. Per coloro che hanno occhi per vedere, per coloro che cercano, sia gli insegnamenti di Gesù che le sue opere dichiarano chiaramente chi Egli sia. Quanto ai suoi avversari che sentono e vedono, hanno deciso da tempo di non credere, di opporsi a qualsiasi potenziale minaccia che possa mettere in questione il loro potere.
“…ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono” (26-27). Il motivo per cui gli oppositori di Gesù non ascoltano, non comprendono, non Gli credono e non Lo seguono, è perché non sono membri del suo gregge – che è una realtà spirituale. Gesù sta usando le sue immagini del pastore e delle pecore che si trovano all’inizio del capitolo 10. Quelle che sono le sue pecore, che appartengono a Lui, che fanno parte del Suo gregge, ascoltano la Sua voce e Lo seguono. Sentendo le parole di Gesù, ci si può chiedere come faccia una persona a diventare parte del gregge. Gesù in realtà non ne spiega qui il processo, ma è abbastanza semplice: rinunciare al potere mondano e poi chiedere, cercare e bussare per entrare nella nuova realtà di cui Gesù è pastore. Perché coloro che chiedono ricevono, coloro che cercano trovano e coloro che bussano si vedranno aprirne la porta. “Tutto quel che il Padre mi dà, verrà a me; e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori” (Giovanni 6:37). Siamo infatti salvati per grazia mediante il ravvedimento e la fede.
“…e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle di mano al Padre” (28-29). Riassumendo il Suo insegnamento sul pastore e sulle pecore, Gesù sottolinea ancora una volta che coloro che sono le sue pecore vengono eternamente benedetti nel dono della vita significativa ed eterna basata su principi diversi da quelli mondani, una vita spirituale piena, abbondante ed eterna. Entrati così in questo nuovo ambito spirituale, le pecore di Cristo possiedono il dono della sicurezza eterna; nessun nemico potrà mai sopraffare il gregge di Gesù e strappare da esso chi vi appartiene. Il gregge non può essere sopraffatto perché Dio Padre, con il quale Gesù ci riconcilia e tramite Lui con il quale ci pone in comunione, è molto più forte di qualsiasi suo nemico. In Cristo siamo al sicuro. Gesù dice, infatti, “Io e il Padre siamo uno” (30). Questa sicurezza è garantita perché sia il Padre che il Figlio sono uniti, unanimi, quando si tratta di raccogliere, proteggere e benedire il Suo gregge.
Una benedetta assicurazione
La questione della sicurezza di chi appartiene al gregge spirituale di Cristo è molto importante. Se appartieni a esso niente e nessuno potrà separartene, proprio perché il Pastore è Cristo e giammai lo permetterà. Abbiamo noi questa certezza incrollabile?
Spesso in noi serpeggia il dubbio a questo riguardo, il sospetto che non sia veramente così. Quando si scalfisce, infatti, la superficie della fede di un credente, spesso si evidenzia una mancanza di sicurezza. Dubitiamo costantemente della nostra sicurezza eterna. Le nostre vite cristiane sono deboli e talvolta persino ribelli, quindi dubitiamo facilmente della sicurezza del nostro posto nell’eternità perché temiamo di scivolarne fuori. Potrebbe accadere? No, il Pastore non lo permetterà, perché quand’anche tu perdessi la via dell’ovile Egli verrebbe a cercarti e ti ricupererebbe. Questo passaggio ci ricorda quanto possiamo essere sicuri. Il raduno del gregge, la protezione di quel gregge e la sua eterna benedizione, è nelle mani della Sua divinità, della Sua diligente azione pastorale. Sia Dio Padre che Dio il Figlio agiscono in sintonia quando si tratta della sicurezza della nuova comunità di Cristo.
Dovremmo poter riposare al sicuro nella meravigliosa affermazione di Gesù, affermazione che è in piena armonia con il Padre, che “Io do loro la vita eterna e non periranno mai. Nessuno me le rapirà di mano”. Eppure, dietro questa promessa spesso c’è la nostra paura che potremmo essere persino espulsi dal gregge per comportamento scorretto. Come credenti conosciamo la dottrina fondamentale dell’eterna sicurezza. Eppure anche noi abbiamo i nostri demoni con cui lottare che vorrebbero metterla in dubbio. Pensiamo magari di essere solo “capre” al seguito e non veramente “pecore”. Ci vediamo carenti e incoerenti. Dato che nessuno può affermare di seguire perfettamente Gesù, potrebbe questo pregiudicare la nostra appartenenza al gregge?
Tali demoni ci riempiono di paura, ma non c’è nulla da temere. Quando il vento gelido dell’incredulità soffiava contro Gesù nel Portico di Salomone, egli poteva affermare che i Suoi oppositori non appartenevano alle sue pecore perché le intenzioni malvagie del loro cuore ne rendevano testimonianza. Se vi appartenessero, non cercherebbero di convincerlo a incriminare Sé stesso nei loro piani omicidi. Il gregge si fida del pastore e fiduciosamente Lo segue.
Allora, che dire della nostra “imperfezione”? La nostra imperfezione ci potrebbe far allontanare dal gregge? No, perché, come dice il testo del profeta Ezechiele: “Io stesso pascerò le mie pecore, e io stesso le farò riposare, dice il Signore, l’Eterno. Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, fortificherò la malata”.
Un gregge che trascende le realtà di questo mondo
Il globalismo oggi incipiente vorrebbe cancellare ogni appartenenza e distinzione. Le forze politiche, ideologiche ed economiche che prevalgono nel nostro tempo esercitano forti pressioni a che ogni identità nazionale, storica, linguistica, culturale e religiosa sia prima relativizzata e poi negata. Ci vogliono tutti indistintamente soggetti al potere delle élite globaliste, vogliono che facciamo parte del gregge globale di cui loro vogliono essere gli unici pastori. Dobbiamo opporre strenua resistenza a questi loro piani, smascherare e respingere le loro pretese. Il ricupero e la difesa delle nostre identità nazionali, storiche, culturali, linguistiche e religiose, però, per quanto siano valori da salvaguardare, non può essere l’unica risposta, la nostra identità ultima. Siamo infatti chiamati ad avere un’identità che trascende anche quelle distinzioni. I “pastori” del globalismo sono mercenari e padroni spietati. I “pastori” delle identità particolari più piccole, però, spesso non sono necessariamente migliori. La Parola del Signore ci dice: “Cessate di confidarvi nell’uomo, nelle cui narici non è che un soffio; poiché qual caso se ne può fare?” (Isaia 2:22). La nostra identità ultima non potrà che trovarsi nel “gregge” di cui solo Cristo è il pastore. Mentre i signori umani globali o locali asserviscono e sfruttano, solo il Buon Pastore, il Signore per eccellenza, espressione unica della sovranità di Dio, può farci vivere come persone veramente libere. Egli è il solo che possa garantirci cura e protezione e noi essere completamente al sicuro nelle Sue mani.
Egli è il solo che ci possa dire, secondo la profezia: “Eccomi contro i pastori [di questo mondo]; io ridomanderò le mie pecore alle loro mani; li farò cessare dal pascer le pecore; i pastori non pasceranno più sé stessi; io strapperò le mie pecore dalla loro bocca, ed esse non serviranno più loro di pasto. Poiché, così dice il Signore, l’Eterno: Eccomi! Io stesso domanderò delle mie pecore, e ne andrò in cerca”.
Strappati dai nostri oppressori possiamo dire di essere al sicuro nel Suo gregge, sotto la Sua amorevole cura. Non abbiamo nulla di cui temere. Con le parole del Salmo 23 possiamo dire: “L’Eterno è il mio pastore, nulla mi mancherà. Egli mi fa giacere in verdeggianti pascoli, mi guida lungo le acque chete. Egli mi ristora l’anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amor del suo nome. Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga son quelli che mi consolano. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca. Certo, beni e benignità m’accompagneranno tutti i giorni della mia vita; e io abiterò nella casa dell’Eterno per lunghi giorni”.
Paolo Castellina, 2 maggio 2022