Domenica 15 Novembre 2020 – Ventiquattresima domenica dopo Pentecoste – Testi biblici: Salmo 123; Giudici 4:1-7; 1 Tessalonicesi 5:1-11; Matteo 25:14-30
La Scrittura dice: “quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati” (Romani 8:30). Coloro che Dio accoglie per grazia presso di sé, Egli pure li chiama a impegnarsi per l’avanzamento del regno di Dio in questo mondo. Li lascia però, a far questo, solo alle proprie forze ed iniziative? No, per questo lavoro Dio li fornisce di tutte le risorse necessarie per svolgere efficacemente i compiti ai quali li ha chiamati. Essi devono scoprirle, svilupparle e farle fruttare. Questo è ciò di cui tratta la parabola di Gesù che considereremo quest’oggi: la Parabola dei Talenti.
In alcuni saggi sistemi scolastici c’è la figura dell’orientatore professionale. Esamina l’andamento scolastico dello studente, guarda quali sono i suoi punti forti e dialoga con lui per scoprire quali siano i suoi desideri, quali cose sappia fare meglio, i suoi talenti ed inclinazioni ecc. Alla fine consiglia quali scuole o quali mestieri sarebbero più adatti per lui per il suo futuro. Quante volte, infatti, ci accorgiamo, magari dopo molto tempo, di avere frequentato una scuola od avere intrapreso una professione che proprio non faceva per noi? Ciascuno di noi, infatti, abbiamo talenti ed inclinazioni che segnalano la nostra vocazione e che vanno sviluppati, investiti. La parola “talento” è entrata a far parte del nostro vocabolario proprio a causa della parabola che un giorno Gesù aveva raccontato ai Suoi discepoli in Matteo, al capitolo 25. E’ quella che oggi è sottoposta alla nostra attenzione. Ascoltiamola.
“Inoltre il regno dei cieli è simile a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno; a ciascuno secondo la sua capacità; e subito partì. Ora colui che aveva ricevuto i cinque talenti, andò e trafficò con essi e ne guadagnò altri cinque. Similmente anche quello dei due ne guadagnò altri due. Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò, fece una buca in terra e nascose il denaro del suo signore. Ora, dopo molto tempo, ritornò il signore di quei servi e fece i conti con loro. E colui che aveva ricevuto i cinque talenti si fece avanti e ne presentò altri cinque, dicendo: “Signore, tu mi affidasti cinque talenti; ecco, con quelli ne ho guadagnati altri cinque”. E il suo signore gli disse: “Bene, buono e fedele servo; tu sei stato fedele in poca cosa; io ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo signore”. Poi venne anche colui che aveva ricevuto i due talenti e disse: “Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, con quelli ne ho guadagnati altri due”. Il suo signore gli disse: “Bene, buono e fedele servo; tu sei stato fedele in poca cosa; io ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo signore”. Infine venne anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, io sapevo bene che tu sei un uomo aspro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; perciò ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco te lo restituisco”. E il suo signore rispondendo, gli disse: “Malvagio e indolente servo, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; tu avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, al mio ritorno, l’avrei riscosso con l’interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha gli sarà tolto anche quello che ha. E gettate questo servo inutile nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor di denti” (Mt. 25:14-30)..
Questa parabola si colloca nella sezione del vangelo dove Gesù risponde alle domande dei Suoi discepoli al riguardo del Suo promesso ritorno. Gesù li ammonisce di stare in guardia perché nessuno, sul Suo ritorno, li inganni e li esorta ad esserne sempre pronti, perché il Suo ritorno è certo, ed avverrà nell’ora in cui meno se l’aspettano. Il cap. 25 si conclude con il discorso di Gesù sul giudizio finale, laddove sarà effettuata una cernita nell’ambito dell’umanità, come il pastore separa le pecore dalle capre. In mezzo a tutto questo, vii è la parabola dei talenti. L’uomo che “parte per un viaggio” rappresenta Gesù stesso. Colui che parte, però, è padrone di ogni cosa, e quello che è Suo lo affida, affinché frutti, ai Suoi servitori. Loro dovere è quello di amministrare le cose secondo le intenzioni del padrone. Quando il padrone ritornerà chiederà loro conto di ciò che hanno fatto con i suoi beni. Il cristiano prende molto sul serio che vi sarà per tutti un giudizio finale, in cui ciascuno renderà conto di sé stesso a Dio per il proprio operato, come ha vissuto, come ha usato le risorse materiali e spirituali che gli erano state affidate. Il cristiano non vive da stolto, ma da persona saggia.
La prima cosa che ci insegna questa parabola è che ciò che abbiamo non è nostro. Chi oggi parte per un viaggio chiede a qualcuno di dar da mangiare ai suoi animali domestici e di ritirare la sua posta. Qui fa di più: delega il controllo e l’aumento della sua ricchezza a degli impiegati fidati. Essi dovevano far si che ciò che era stato loro affidato, desse dei profitti. I beni sono del padrone ed i servi li tengono in usufrutto. Il loro compito era quello d’amministrare ciò che era stato loro affidato. Allo stesso modo, noi dobbiamo rammentarci di ciò che ci è affidato appartiene a Dio, e che va usato per i Suoi scopi. Dio è il padrone di ogni cosa e di quel che ho ed io sono solo l’amministratore. Questo principio di base permea la nostra vita? Tutto appartiene al Signore. Fintanto che non riconosceremo questa verità, non saremo mai buoni amministratori. I nostri giorni sono nelle Sue mani. I nostri doni e capacità sono solo “un prestito” che Lui ci ha fatto. Se crediamo altrimenti avremo un giorno delle sorprese!
Un secondo principio qui è che se qualcosa ci è stato dato, vuol dire che possiamo e
dobbiamo gestirlo per il meglio. .”A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì”. Il talento era una misura di peso, ma anche era usato per indicare una grande somma di denaro. Un lavoratore comune avrebbe messo 20 anni per guadagnarlo. Questa parabola, quindi, ha soprattutto a che fare con il modo con il quale spendiamo il nostro denaro, prim’ancora di come usiamo le capacità che Dio ci ha dato. Quelle indicate nella parabola sono cifre comunque ragguardevoli. Questo ci rammenta quanto abbondanti siano i doni che Dio ci fa! Ogni servitore, però, aveva ricevuto “secondo la sua capacità” di gestire adeguatamente quella cifra. La nostra responsabilità è legata alle nostre capacità. I propositi del regno di Dio non operano secondo ciò che è “giusto”, ma secondo quel che è meglio per la persona in questione. A ciascuno
di noi Iddio affida un compito. Qual è il vostro? Noi dobbiamo essere fedeli in ciò che ci è stato dato. Dio si aspetta che noi gestiamo i Suoi doni nei limiti delle capacità che ha messo in noi, e se Dio ci ha dato qualcosa, vuol dire che abbiamo la capacità di gestirlo per il meglio. Ad ogni comunità cristiana Dio ha dato ciò che le serve per vivere e prosperare spiritualmente. Se non lo fa, sicuramente c’è qualcuno che non fa il suo dovere, quello che dovrebbe e potrebbe fare, per sua negligenza, non per mancanza di capacità. Il nostro compito è l’essere fedeli con qualsiasi somma ci sia stata data per operarvi.
Terzo principio. Ciò che ci è stato dato, poi, lo dobbiamo “investire”. Chi aveva qui ricevuto 5 talenti: “…andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque”. Non ha
sprecato tempo, ed immediatamente è andato a far fruttare il suo denaro, giungendo
a raddoppiarlo. Lo stesso aveva fatto quello che n’aveva ricevuti 2. Non così fa il terzo servitore: “Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone”. La pratica di nascondere il denaro sotto terra era comune, come chi mette i suoi soldi oggi “nel materasso”. Era il modo più sicuro per proteggere i valori. Il nostro potenziale è il dono che Dio ci ha fatto: ciò che ne facciamo è il nostro modo di essergli riconoscenti e di dare così il nostro contributo alla Sua gloria.
Quarto principio. La parabola di Gesù mette molto bene in evidenza che verrà sicuramente il giorno della resa dei conti. Dovremo rendere conto all’Onnipotente di come abbiamo usato quello che ci era stato dato. Gesù ritornerà e vi sarà la resa dei conti. Se pensassimo maggiormente al Suo ritorno, saremmo maggiormente impegnati a sfruttare per la Sua gloria ciò che ci è stato dato. Era dovere di quei servitori rammentarsi sempre che il padrone sarebbe tornato ed avrebbe loro chiesto di rendere conto del loro lavoro. Gesù tornerà, lo ha promesso. Siamo dunque fedeli nel fare tutto ciò che ci ha dato da fare. Il nostro compito può essere grande o piccolo. Qualunque sia, però, dobbiamo svolgerlo il meglio possibile ed essere pronti quando dovremo “fare rapporto” a Lui. Non è terribile il solo pensiero d’essere sorpresi dal Suo ritorno, e doverci vergognare per non avere fatto ciò che da noi ci si aspettava? Ci aiuterebbe a farci l’abitudine di chiederci sempre: “Come apparirebbe al Suo ritorno il modo in cui io gestisco ora la mia vita, il mio denaro, le mie risorse, il modo in cui opero delle decisioni?”.
Quinto principio. Ciò che facciamo con ciò che abbiamo rivela l’idea che ci siamo fatta di Dio L’uomo che aveva ricevuto 5 talenti, ne aveva guadagnati altri 5. E’ come se gli dicesse: “Vedi come sono stato bravo?”. Era ansioso d’investire ciò che gli era stato affidato ed ora è eccitato nel mostrare al suo padrone che cos’è riuscito a realizzare. Lo stesso avviene con il secondo servitore. Ad entrambi, così, il padrone dice: “Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore”. Gesù dice in Luca 6:38: “Date, e vi sarà dato”. Questi due servi fedeli ricevono anche “una promozione”: “Dato che avete fatto così bene, vi darò ancora di più privilegi, responsabilità ed opportunità di crescita” come pure di gioia. Essi sono stati fedeli perché avevano avuto una giusta immagine del padrone. Allo stesso modo, quando vediamo Dio per ciò che Egli è, vogliamo essergli fedeli e focalizzarci sul fare cose buone. Dio vuole persone fedeli, gente che sappia amministrare le risorse per gli scopi del Suo regno. Quando saremo responsabili per ciò che ci è stato dato, ne riceveremo ancora di più.
Il tipo che aveva, però, ricevuto un solo talento, arriva in modo più riluttante. Aveva, infatti, un’immagine errata del suo padrone, presumeva di lui cose che non erano vere. Pensava che fosse duro e severo, non amorevole e pieno di grazia. Lo stesso avviene oggi. Molti pensano che Dio sia un ingiusto tiranno. Qualcuno può essere segretamente irato con Dio perché pensa che Lui gli abbia fatto chissà che, o che non gli abbia dato ciò di cui pensava avere diritto. Ne risulta così un’immagine distorta. Un’idea sbagliata di Dio può condurci a giustificarci con molte inutili scuse, come questo terzo servitore. “Non ho fatto quello che mi chiedevi perché…”. Un’idea sbagliata di Dio conduce sempre ad aver paura: “…ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra”. Un atteggiamento giusto verso Dio conduce, però, sempre alla fede. Se avete timore di Dio, dovete assolutamente giungere a conoscerlo meglio, ed allora la vostra fede e la vostra ubbidienza crescerà. I primi due servitori qui avevano la determinazione di guadagnarci un giusto profitto, il terzo solo di non avere delle perdite. I primi due hanno coraggio, il terzo è solo un fifone. I primi due erano pronti ad assumersi dei rischi, il terzo non voleva minimamente rischiare. I primi due ricevono il dono, il terzo rifiuta il dono. I primi due volevano far progredire gli interessi del padrone, il terzo non aveva interesse alcuno per ciò al padrone maggiormente importava. I primi due vedono il denaro come un’opportunità, il terzo solo come un problema! I primi due permettono al dono del padrone di cambiare la loro vita, il terzo si era rifiutato che il dono cambiasse la sua vita. I primi due investono, il terzo spreca. I primi due vedono una benedizione, il terzo vede solo un fardello. I primi due conoscevano il padrone, il terzo non ne aveva idea alcuna.
Sesto principio. Ciò che abbiamo dobbiamo usarlo, altrimenti lo perderemo
Il padrone ci aveva visto giusto attraverso le scuse insostenibili del servo, quando disse: “”Servo malvagio e fannullone…”. La parola “malvagio” significa “cattivo, dannoso, pieno di cattivi sentimenti”. In altre parole, gli dice: “Stai mentendo. Nel tuo cuore sei solo egoista e sfaticato. Se veramente volevi fare qualcosa, avresti almeno
messo il denaro in banca. Ho visto giusto su che pasta sei fatto”. Sono parole dire. Dio giudicherà non semplicemente perché abbiamo fatto qualcosa, ma anche per ciò che non abbiamo fatto, pur avendolo potuto e dovuto fare! Il terzo servitore era malvagio perché deliberatamente aveva dipinto un’immagine sbagliata sia del padrone che di sé stesso. Sorprendentemente, invece di riconoscere le sue colpe, si comporta come se il padrone avesse dovuto ringraziarlo per essere stato così prudente. Cattiveria e pigrizia sono sempre compagne nell’impedire di svolgere con fiducia il nostro dovere verso Dio. Mentre i primi due si erano dati da fare, questo fannullone trova che sia più semplice inventarsi delle scuse per non aver fatto
fruttare il denaro. Era egoista e scansafatiche, ed anche cattivo ed ingiusto per aver
considerato in quel modo il suo generoso padrone. Pigrizia ed egoismo portano oggi molta gente pure a mandare in rovina la propria anima. Tutti noi siamo pigri in una certa misura, ed anche negligenti, passivi. La pigrizia è estremamente pericolosa per la nostra vita spirituale. Se pensiamo sempre di poter rimandare ciò che dobbiamo fare, scopriremo che un giorno sarà tragicamente troppo tardi. Proprio perché il terzo servitore non usa ciò che gli era stato dato, lo perde del tutto. O l’usiamo o lo perdiamo. Quello che abbiamo dobbiamo usarlo, svilupparlo, moltiplicarlo…
Settimo principio. Ciò che facciamo ha sempre conseguenze eterne, o nella sovrabbondanza o nella miseria. Coloro che hanno ubbidito con fiducia al Signore servendolo generosamente riceveranno persino maggiori opportunità. D’altro canto, coloro che seppelliscono le loro benedizioni, finiranno davvero male. Gesù conclude la parabola dicendo di quel servo disutile: “E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti”. In altri luoghi della Scrittura questa descrizione riguarda l’inferno! Coloro che non conoscono Dio non Lo servono. Mancanza di servizio può indicare che una persona non è mai stata veramente convertita. Ecco perché Gesù definisce quel servo come “servo inutile”. Un credente ha valore per la sua fede in Cristo. Questo servo viveva nella casa del suo padrone, ma non lo conosceva né lo amava. Segno distintivo del vero cristiano è la sua disponibilità al servizio ed a dare. Mancanza di spirito di servizio tradisce un cuore in cui Gesù non dimora davvero. Un cristiano che non usi quel che Dio gli ha dato, è una contraddizione in termini. Per concludere: Una buona definizione del servizio che dobbiamo rendere a Dio è l’uso delle risorse che Dio ci ha dato per la realizzazione degli obiettivi che Dio ci ha posto innanzi. Come ci rapportiamo ai principi che abbiamo oggi delineato? Quello che abbiamo non è nostro. Quello che ci è stato dato noi lo possiamo gestire al meglio. Dobbiamo investire ciò che ci è stato dato. Verrà sicuramente il giorno della resa dei conti. Ciò che facciamo con ciò che abbiamo rivela la concezione che abbiamo di Dio. Ciò che abbiamo, lo dobbiamo usare, altrimenti lo perderemo. Ciò che conosciamo ci porterà, nella vita futura o all’abbondanza oppure alla perdizione. Comprendiamo noi il valore di ciò che Dio ci ha dato e sappiamo che dobbiamo investirlo per il suo regno? Se però sappiamo che cosa abbiamo, quanto vale, chi ce l’ha dato e a che cosa deve servire, e non siamo scansafatiche, ma investiamo quel dono per la gloria di Dio, allora scopriremo che Dio ci ricompenserà con molto più ancora. Gesù abbia posto i Suoi affari nelle nostre mani; ne siamo all’altezza? Siamo Suoi collaboratori o solo tiriamo fuori un sacco di scuse per non fare quel che dovremmo?