E’ saggio investire tutto quel che abbiamo nelle promesse di grandi guadagni che qualcuno ci potrebbe far fare? No, in questo mondo meglio non rischiare troppo. Può andarci relativamente bene, ma può andarci anche male e perdiamo tutto. Meglio differenziare. La testimonianza, però, degli antichi discepoli di Gesù e tanti dopo di loro nel corso dei secoli è unanime: sì, ne vale la pena ad investire tutta la nostra vita nel Signore e Salvatore Gesù Cristo. Pietro, Giacomo, Giovanni e tutti gli altri lo hanno fatto, e non ne sono stati delusi. Anche quando Pietro risponde all’ “impossibile” invito di Gesù di scendere dalla barca sulle acque di un mare in tempesta. E’ quello che vediamo oggi leggendo e commentando Matteo 14:22-33.
Un operaio del comune stava lavorando per far passare una tubatura coperta accanto ad un campo. Durante lo scavo si imbatte in un baule sotterrato li vicino in quel campo, lo apre e scopre che quel baule è pieno di antiche monete d’oro. Non lo dice a nessuno e lo ricopre di nuovo con la terra. Il giorno dopo raccoglie tutti i soldi che lui e sua moglie possiedono e acquista quel campo. Il tesoro che vi aveva trovato diventa così legalmente suo. Per quel campo aveva investito tutto ciò che aveva. All’inizio sua moglie era rimasta perplessa e protestava incredula, ma ora sono ricchi. Non so se questo sia possibile in questi termini, ma questa storia ricalca una parabola che Gesù un giorno aveva raccontato ai suoi discepoli sulla lungimiranza di investire tutta la loro vita nei valori del regno di Dio, di fatto in Gesù stesso. Ne era valsa per loro la pena investire tutta la loro vita al seguito di Gesù Cristo? Sì, certo.
Questa lezione “teorica”, però, Gesù non la riteneva per loro sufficiente. Gesù li avrebbe messi ben presto alla prova facendo in modo che essi si trovassero in una situazione di vita o di morte dalla quale ne sarebbero usciti solo affidandosi completamente al Signore e Salvatore Gesù Cristo. E’ quanto troviamo nell’episodio del vangelo secondo Matteo conosciuto come: “Gesù cammina sul mare”. I discepoli di Gesù si sarebbero trovati in una situazione “impossibile”, ma con Gesù ciò che è umanamente impossibile diventa possibile. Scopriranno che devono e possono fidarsi di Gesù, in ogni circostanza della vita – e non ne sarebbero stati delusi. Ascoltiamo questo racconto e poi ci chiederemo che cosa esso insegna anche a noi.
“Subito dopo Gesù costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo all’altra riva, mentre egli licenziava le folle. Dopo averle congedate, salì sul monte in disparte per pregare. E, fattosi sera, era là tutto solo. La barca intanto si trovava al largo, in mezzo al mare, ed era sbattuta dalle onde perché il vento era contrario. Alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sul mare. I discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: «È un fantasma!». E si misero a gridare dalla paura; ma subito Gesù parlò loro, dicendo: «Rassicuratevi; sono io, non temete!». E Pietro, rispondendogli disse: «Signore, se sei tu, comandami di venire da te sulle acque». Egli disse: «Vieni!» E Pietro, sceso dalla barca, camminò sulle acque, per venire da Gesù. Ma, vedendo il vento forte, ebbe paura e, cominciando ad affondare, gridò dicendo: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo prese e gli disse: «O uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Poi, quando salirono in barca, il vento si acquietò. Allora quelli che erano nella barca vennero e l’adorarono, dicendo: «Veramente tu sei il Figlio di Dio!»“ (Matteo 14:22-33).
La prima cosa che troviamo in questo testo è che Gesù spinge i suoi discepoli ad assumersi le loro responsabilità: “Subito dopo Gesù costrinse i suoi discepoli a salire su una barca e a precederlo all’altra riva, mentre egli licenziava le folle” (22). Gesù ha appena sfamato migliaia di persone, l’opera però non è finita, né per lui, né per i suoi discepoli. Lui deve ancora sbrigare alcune cose: che i discepoli però comincino ad andare avanti da soli. Ecco così che Gesù “li costringe” a farlo, spingendoli ad assumere le loro responsabilità nella missione che stavano portando avanti con Gesù. La barca è qui simbolo della comunità cristiana, comunità di persone pronte ad obbedire al loro Signore, cosciente di avere una missione da compiere. Non basta, infatti, essere spettatori dell’opera di Gesù: i suoi discepoli devono porsi consapevolmente al servizio della sua causa. I discepoli di Gesù erano forse stati colti dall’ansia dell’andare avanti da soli senza Gesù, eppure:
Gesù vigila. “Dopo averle congedate, salì sul monte in disparte per pregare. E, fattosi sera, era là tutto solo” (23). Anche Gesù desidera star solo, per entrare in colloquio con il Padre, il solo che lo possa ristorare e permettergli come uomo di acquisire le energie necessarie alla sua missione. Spesso Gesù, il maestro, si ritira per pregare. Dio è comunicazione, la triplice natura di Dio comporta un “consiglio” fra Dio Padre, Dio Figlio, e Dio Spirito Santo, una sinergia fra di loro. I discepoli potevano forse pensare di essere stati abbandonati a sé stessi. Gesù, anche da lontano, avrebbe però continuato a pregare per loro. L’apostolo Paolo scrive: “Cristo è colui che è morto, e inoltre è anche risuscitato; egli è alla destra di Dio, ed anche intercede per noi” (Romani 8:34). Mentre i discepoli vengono sbattuti sul mare agitato di questo mondo, Gesù è davanti al Padre “sul monte dell’intercessione”. I discepoli devono imbarcarsi da soli per il mondo, ma il sostegno di Gesù non mancherà loro. Un salmo dice: «Colui che ti protegge non sonnecchierà. Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchia e non dorme» (Salmi 121:3,4).
Il contesto della missione cristiana è pure rappresentato dalla situazione in cui si erano trovati i discepoli di Gesù. “La barca intanto si trovava al largo, in mezzo al mare, ed era sbattuta dalle onde perché il vento era contrario” (24). Per loro la situazione futura del loro mandato sarà simile a quella. La comunità cristiana procede con difficoltà soprattutto perché la situazione in cui si trova sarà sempre inevitabilmente sfavorevole. Non dovrà esserne sorpresa: quello è il contesto “normale” in cui devono perseverare con fede. “Il vento era contrario”, ma dovevano resistere: sarebbe stato più facile seguirlo o non imbarcarsi nemmeno, ma l’ordine di Gesù non ammette discussioni: Gesù “li costringe” a partire, quali ne siano le condizioni “atmosferiche”. L’obiettivo da raggiungere deve essere prioritario. Ubbidire al Signore Gesù non è “tutto rose e fiori”. Facciamo esperienza del potere di salvezza di Gesù solo quando siamo pronti ad andare controcorrente.
Gesù, poi, non solo prega per loro da lontano, ma viene loro incontro: “Alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sul mare” (25). Egli arriva in un momento inatteso, “alla quarta vigilia”, cioè nottetempo fra le tre e le sei. L’ora più buia è sempre quella più prossima dell’alba. Egli sopraggiunge nel momento del loro bisogno più grande – quando la loro forza stava per venire meno, quando ogni speranza era perduta. Egli arriva non solo in un momento inatteso, ma anche in modo inatteso, “camminando sul mare”. La Bibbia dice: «Bisogna infatti che egli regni finché non abbia messo tutti i nemici sotto i suoi piedi» (1 Corinzi 15:25). Gesù compie un miracolo. Ma che cos’è un miracolo? Non un’arbitraria trasgressione di una “legge naturale”, ma ogni evento così stabilito per far breccia nella nostra insensibilità o disperazione e per convincerci della presenza e del potere di Dio.
L’apparizione di Gesù li sorprende fino a spaventarli! “I discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono, e dissero: “E’ un fantasma!” E si misero a gridare dalla paura” (26). Sicuramente l’apparizione di Gesù è fuori dal comune, e questo li terrorizza. Gesù spesso sfida la nostra ragione e il nostro buon senso per rivelarsi in modo imprevisto. Qui i discepoli non sono senza fede, ma la loro fede è poca, la loro fiducia in Lui non è abbastanza per fare loro accettare ciò che è umanamente impossibile. Interessante però notare come il miracolo avvenga in tempo di crisi, quando ormai si sono superati i limiti delle risorse e aspettative umane. Noi attendiamo fiduciosamente il secondo avvento di Gesù, quando Egli comparirà, nel momento meno prevedibile, per giudicare i malvagi e per prender con se i suoi fedeli.
In quell’esperienza Gesù si rivela ulteriormente. “…ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Rassicuratevi, sono io, non temete!” (27). E’ Lui il Dio del possibile, come il possaggio di Israele attraverso il Mar Rosso. Quell’ “Io sono” di Gesù, poi, ricorda la rivelazione di Dio a Mosè nel roveto ardente, e l’adorazione da parte dei discepoli lo conferma. Notiamo come Gesù non rimuove subito la causa dei loro problemi (vento ed onde), ma dà loro rassicurazione nel mezzo della tempesta
E’ a questo punto, però, che, di fronte a Gesù rivelato, Pietro fa un’ardita richiesta: “E Pietro, rispondendo, disse: “Signore, se sei tu, comandami di venire da te sulle acque” (28). Pietro qui rappresenta i discepoli in generale, non è l’eroe che spicca per la virtù della sua fede. Pietro praticamente implora Gesù di dargli un ordine. Tutto dipende dall’invito (incoraggiamento) di Gesù; il discepolo non vuole intraprendere nulla che non gli sia espressamente ordinato. Pietro qui diventa per noi con quel suo “camminare come Gesù”, parabola di una verità più profonda. Dice la Bibbia: «Chi dice di dimorare in lui, deve camminare anch’egli come ha camminato Lui” cioè, deve vivere anche lui come visse Gesù» (1 Giovanni 2:6). Il nostro amore per Cristo non dovrebbe pure portarci a camminare noi stessi come Egli ha camminato? Chi pure ha il coraggio di fare al Signore una simile preghiera: “Voglio vivere come te”? Eppure è un privilegio camminare con Lui, pure laddove la sapienza ed i sentimenti umani non ardirebbero farci poggiare i piedi!
Gesù lo invita a fare quel passo di fede: “Ed egli disse: “Vieni!”. E Pietro, sceso dalla barca, camminò sulle acque, per venire da Gesù” (29). Ora Pietro viene invitato a camminare dove nessun altro che i piedi della fede oserebbero andare. Il cristiano osa un modo di vivere fuori dal comune. Cammina per fede, e camminare per fede, per i sapienti di questo mondo è come camminare sul mare. Impossibile! Ogni credente viene invitato da Cristo a camminare con Lui dove Lui ha camminato. Pietro risponde con fiducia all’invito e questo “funziona veramente!” A Pietro basta una sola parola di Gesù per avventurarsi con totale fiducia e averne successo. Bisogna osare per riuscire. La vita di fede implica un completo abbandono di ogni altra fonte di fiducia.
Pietro ha fede, ma non per molto: infatti lo coglie il panico: “Ma, vedendo il vento forte, ebbe paura e, cominciando ad affondare, gridò dicendo: “Signore, salvami!” (30). Pietro è al tempo stesso coraggioso e codardo: comincia bene, ma quando vede la tempesta, viene sopraffatto dal terrore. Forse si aspettava che la tempesta cessasse nell’avvicinarsi a Gesù. I nostri problemi non spariscono all’istante quando riponiamo in Gesù la nostra fede. Pietro ha paura e comincia ad affondare perché era più preoccupato per sé stesso che della Parola del suo Maestro. Obbedire al Signore può diventare terrorizzante quando i nostri occhi non sono fissi in Cristo. Pietro però non esita ad invocare soccorso dal Signore. Pietro era stato saggio ad invocare il Signore non appena aveva cominciato ad affondare. Non vergogniamoci di pregare chi ha promesso di essere sempre pronto in Cristo ad ascoltarci!
Gesù così gli tende la mano, ma non senza una riprensione. “E subito Gesù stese la mano, lo prese e gli disse: ‘O uomo di poca fede, perché hai dubitato?'” (31). Il grido di Pietro riceve risposta: Gesù non tarda ad aiutarlo, ma non è rispedito al sicuro della sua barca. Gesù così “afferra” Pietro, il quale trova rifugio fra le Sue braccia. Le Sue braccia sono per noi ancora disponibili. Dice un salmo: «Anche se cammino in mezzo all’avversità, tu mi conserverai in vita; tu stenderai la mano contro l’ira dei miei nemici, e la tua destra mi salverà» (Salmi 138:7). Gesù però lo riprende, anche se con gentilezza. Non doveva affatto dubitare di Gesù. ‘Dubitare’ significa ‘andare contemporaneamente in due direzioni, pensare lungo due linee diverse, avere due anime in conflitto in sé stessi, l’una incline ad andare in una direzione, l’altra nell’altra”. E’ come avere un piede sull’acqua e un piede ancora sulla barca. La fede che Gesù richiede deve essere incondizionata, totale. Alla fede è promesso tutto, ma quando comincia a vacillare fra il comando del Signore e evidenti pericoli personali, essa cede. Perché Pietro fallisce? Perché nel momento più difficile Egli guarda più alla minaccia della tempesta che alla sicurezza che dà Cristo. Quando ci si arrampica in montagna bisogna guardare in alto, e non in basso, rischiando le vertigini. La Bibbia dice: “…tenendo gli occhi fissi su Gesù, autore e compitore della nostra fede, il quale, per la gioia che gli era posta davanti, soffrì la croce disprezzando il vituperio, e si è posto a sedere alla destra del trono di Dio” (Ebrei 12:2).
E’ così abbiamo una felice conclusione. “Poi, quando salirono in barca, il vento si acquetò” (32). Ora Pietro “cammina con Gesù”- è stato salvato dalla paura, laddove prima aveva temuto e stava affondando. Il suo camminare verso Gesù era un momento di prova, ma il suo camminare con lui è ora tempo di calma e di pace. Il vento potrà anche essere terribile, ma egli non teme alcun male, perché il Signore è con Lui. La vicinanza della comunione con Gesù è il segreto per una vita cristiana serena e trionfante. Quando Gesù entra in barca, il vento cessa. E’ così nell’esperienza cristiana: subentra pace nel cuore quando ci affidiamo a Gesù.
L’episodio evangelico termina con un atto di confessione di fede e di adorazione “Allora, quelli che erano nella barca vennero e l’adorarono, dicendo: “Veramente tu sei il Figlio di Dio” (33). I discepoli di Gesù hanno appreso una delle tante lezioni indimenticabili che si hanno alla Sua scuola. L’hanno appresa dagli eventi nei quali Gesù li ha spinti e l’hanno appresa per esperienza diretta, quando hanno “esercitato praticamente” ciò a cui Gesù li chiamava. Ancora una volta hanno riconosciuto chi è Gesù e con gratitudine l’hanno adorato.
Più tardi Pietro farà una domanda a Gesù: «Ecco, noi abbiamo abbandonato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?». Gesù gli risponderà pure con: “Chiunque ha lasciato casa, fratelli, sorelle, padre, madre, moglie, figli o campi per amore del mio nome, ne riceverà il centuplo ed erediterà la vita eterna” (Matteo 19:27-29). Vale dunque la pena di investire nel Signore e Salvatore Gesù Cristo tutto ciò che abbiamo? Indubbiamente: la voce di tanti discepoli di Gesù nel corso dei secoli si alza all’unisono: “Sì, certamente”. E’ per questo che essi invitano anche noi ad “imbarcarci” in questa “avventura”, e non ne saremo delusi.
Domenica 9 agosto 2020 – Decima Domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmo 105:1-22; Genesi 37:1-4,12-30; Romani 10:5-15; Matteo 14:22-33