Quelli che sono reputati prìncipi delle nazioni le signoreggiano e i loro grandi le sottomettono al loro dominio” (Marco 10:42). Gesù non insegnava a sottomettersi acriticamente ad ogni autorità terrena, ma stabiliva il primato di Dio su qualunque autorità umana che a Lui dovrà rendere conto degli abusi che pèrpetrano. Lo vediamo oggi nell’episodio biblico dove Gesù pronuncia la famosa frase: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. La dice in risposta ai suoi oppositori che, gelosi della sua popolarità, lo ritenevano una minaccia per il loro ingiusto potere e coglievano ogni occasione per coglierlo in fallo, discreditarlo ed accusarlo di fronte alle autorità.
La famosa espressione di Gesù: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» appare in tutti e tre i vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca). La comunità apostolica lo considerava la base di un insegnamento importante riguardante il nostro rapporto con le autorità politiche e il nostro rapporto con Dio. Come capirlo e applicarlo precisamente, però, non è specificato. E’ proprio qui che sorgono problemi per chi nella storia ha voluto e vuole comprenderlo rettamente. Perché problemi? Perché a seconda della teologia politica dell’interprete, questa enigmatica risposta di Gesù a una domanda politica posta in malafede dai suoi avversari è stata presa per sostenere o sottoscrivere posizioni molto diverse fra di loro!
C’è chi da essa ha dedotto, per esempio, una gerarchia di autorità visibili, due regni (uno di questo mondo e uno di Dio), la sovranità delle sfere, la resistenza fiscale, il fervore patriottico, l’obbedienza ai dittatori, i “cristiani tedeschi” (i Deutsche Christen, che si sottomettevano a Hitler) e i redattori della Dichiarazione di Barmen (che a quel regime si erano opposti). Queste posizioni non possono essere ritenute ugualmente valide: solo dei relativisti potrebbero sostenerlo.
I testi sinottici chiariscono che la domanda posta a Gesù e che aveva suscitato quella risposta, era per lui intesa come una trappola. Rispondere pubblicamente con un semplice “sì” o “no” sarebbe stato un suicidio politico nella Giudea occupata. Matteo e Marco rilevano come gli interlocutori farisei fossero uniti agli “erodiani”, un gruppo o movimento non ben definito che – qualunque fosse la loro precisa identità sicuramente erano compagni ben strani per chi, come i farisei, si dichiaravano campioni dell’osservanza della Torah. Leggiamo il testo e poi cercheremo di trarne delle lezioni.
“Allora i farisei, allontanatisi, si consigliarono sul modo di coglierlo in fallo nelle parole. E gli mandarono i propri discepoli, con gli erodiani, per dirgli: «Maestro, noi sappiamo che tu sei verace e che insegni la via di Dio in verità, senza preoccuparti del giudizio di alcuno, perché tu non riguardi all’apparenza delle persone. Dicci dunque: Che te ne pare? È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: «Perché mi tentate, ipocriti? Mostratemi la moneta del tributo». Allora essi gli presentarono un denaro. Ed egli disse loro: «Di chi è questa immagine e questa iscrizione?». Essi gli dissero: «Di Cesare». Allora egli disse loro: «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Ed essi, udito ciò, si meravigliarono e, lasciatolo, se ne andarono” (Matteo 22:15-22).
La maggior parte delle persone che usano la frase “date a Cesare” non considerano il resoconto biblico nel suo contesto, né biblico, né storico. Questo causa tra i cristiani un considerevole malinteso e confusione riguardo alla questione a cui Gesù si riferisce, quella della legittima autorità. Gli avversari di Gesù speravano di cogliere Gesù in fallo in modo da poterlo far arrestare. Ma egli, ancora una volta, rovescia le loro macchinazioni.
Lo scontro avviene sullo sfondo di una più ampia narrativa riguardo all’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemmei la sua “purificazione del tempio” e la contestazione che gli oppongono: “Chi ti ha dato l’autorità di fare queste cose?”. Dal punto di vista formale sacerdoti, scribi, farisei ed erodiani avevano autorità su Israele, ma essi non avevano capito o non potevano capire che Gesù era il vero sommo Sacerdote e il vero pastore d’Israele. Così, essi erano venuti ai ferri corti con lui sulle questioni della Sovranità e dell’Autorità. Essi non vedevano la differenza fra una superiore autorità celeste e l’autorità terrena. Questa è esattamente la questione che Gesù usa per confondere questi rappresentanti di Israele quando gli chiedono di rendere conto della sua autorità. Da dove infatti proveniva l’autorità del suo precursore, Giovanni Battista, da dove proviene quella di Gesù? Rispondere a queste domande non conveniva a chi sfruttava e corteggiava il potere politico. La questione qui è che il Cielo ha autorità che l’uomo non ha e non può avere; l’autorità dell’uomo impallidisce se paragonata a quella di Dio perché è al massimo solo derivata da Lui. Queste questioni, insieme alla parabola dei malvagi vignaioli malvagi tanto umilia questi capi che cominciano a complottare, “si consigliarono sul modo di coglierlo in fallo nelle parole”. Saranno loro, però, a cadere in fallo!
È ironico che, quando tirano il loro primo fendente, la questione dell’imposta da pagare a Cesare, siano essi stessi a proporre una separazione tra l’autorità celeste e quella terrena. Lo scopo, comunque, era come minimo quello di discreditare Gesù. I farisei erano un movimento popolare rivolto alle persone comuni, le masse, che combinava religione e politica. Quando il popolo comincia a seguire in massa Gesù, egli aveva tanto pubblicamente confuso i farisei che così correvano il rischio di perdere i loro seguaci. Erano gelosi della popolarità di Gesù ma non potevano farlo arrestare perché temevano il popolo. Fanno così questo complotto in parte per rivincita perché Gesù l’aveva spuntata su di loro pubblicamente, ma anche perché stava loro rubando il loro uditorio e gli applausi.
L’obbiettivo principale, però, è ancor più insidioso: per liberarsene volevano metterlo nelle mani del governatore come “nemico pubblico”. Qui si vede chiaramente la loro ipocrisia: questi uomini, molti dei quali in privato avrebbero biasimato l’occupazione romana e il tributo, trovavano tuttavia conveniente far leva su quel sistema per sbarazzarsi di Gesù. I farisei denigravano l’occupazione pagana, – ciononostante, trovavano utili i collaborazionisti, gli erodiani. Le due parti saranno amiche fino alla fine e, infatti, Erode e Pilato metteranno da parte i vecchi rancori e diventeranno persino amici nell’occasione del processo a Gesù.
Così, questo gruppo di farisei, sacerdoti, scribi ed erodiani mettono finalmente in atto il loro stratagemma: “Maestro, noi sappiamo che tu sei verace e che insegni la via di Dio in verità, senza preoccuparti del giudizio di alcuno, perché tu non riguardi all’apparenza delle persone. Dicci dunque: Che te ne pare? È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Nella loro domanda caratterizzano Gesù come uno fedele solo a Dio, che non è intimorito da nessuno e non fa partigianerie di convenienza. Riconoscono che Gesù è in linea con la Legge e i Profeti. Si tratta forse di semplice adulazione? No, Gesù aveva dimostrato ampiamente di non andare alla ricerca di superficiali riconoscimenti. Non stavano cercando di adularlo, stavano cercando di intrappolarlo con la parola di Dio. E’ la stessa strategia di Satana nelle tentazioni, usare la stessa Parola di Dio per incastrarlo. E’ come se avessero detto: “Tu servi veramente Dio solo, e rifiuti di inchinarti ad alcun uomo secondo la legge. Perciò: È giusto dare il tributo a Cesare? Se la via di Dio comanda di non rispettare la condizione sociale delle persone, piccole o potenti che siano, è quindi giusto pagare le imposte al potente Cesare che è uomo?”. Questa è la natura della sfida.
In secondo luogo, gli avversari di Gesù pongono una domanda giuridica: “E’ lecito o no…”. Non è chiaro se si riferissero qui alla legalità romana o israelita, ma poiché era già legge romana pagare la tassa, la domanda puntava certamente alla legge di Dio. La domanda rende chiaro che la questione ruota intorno all’autorità fondamentale. Cesare possiede legittima autorità per richiedere il tributo? Abbiamo autorità da Dio per pagare a Cesare?
In terzo luogo, il riferimento non è a “tasse” o tributo in generale, ma ad una tassa particolare chiamata “il censo”. Aveva a che vedere con la “capitazione” o “testatico” che era basato sul censimento della popolazione e doveva essere pagato con un ammontare fisso per ciascuna persona, donne e schiavi inclusi. E che per legge doveva essere pagato in moneta romana.
Gesù risponde immediatamente chiamandoli ipocriti ovviamente perché la domanda non era sincera. Gli erodiani in particolare, agivano da ipocriti perché erano il partito che sosteneva uno dei più spietati collettori di tasse nella storia della Giudea: Erode. Erode il grande aveva tassato il popolo giudaico così pesantemente che Cesare stesso aveva comandato che fosse fatto un censimento nel reame, quello che compare nella storia della nascita di Gesù.
La trappola della domanda è di facile comprensione: Se Gesù avesse detto “No” si sarebbe messo nei guai con le autorità romane per aver incoraggiato l’evasione fiscale e la ribellione confronti di Cesare (e questi suoi nemici avrebbero sicuramente fatto in modo che le autorità romane lo venissero a sapere). Se Gesù avesse detto “Sì” avrebbe per certo perso il sostegno del popolo che vedeva in lui il Messia che li avrebbe liberati dall’occupazione romana. In entrambi i casi i farisei e gli erodiani avrebbero vinto; così fanno e vogliono che tutti udissero bene la risposta.
Il testatico in particolare poteva essere pagato solo con moneta romana; pertanto Gesù chiede che gli fosse mostrata quella particolare moneta — la “moneta del tributo”, il denarius. Gesù dice: “Di chi è questa immagine e questa iscrizione?”. Si rendono così conto immediatamente di essersi messi da soli nei guai. Gesù non tira in ballo le parole “immagine” o “somiglianza” casualmente. Si tratta del termine “icona”, un termine che ha un posto ben specifico nell’Antico Testamento: “Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra” (Esodo 20:4). Gesù inoltre fa loro notare specificamente l’iscrizione sulla moneta. Questa probabilmente li condannava più ancora dell’immagine. Il denarius stesso portava non solo la sua immagine ma un’iscrizione che diceva in modo abbreviato: “Tiberio Cesare Augusto Figlio di Augusto Dio”, e il retro continuava dicendo “Sommo Pontefice”. Se questa non era una scultura o un’immagine di un falso dio, niente altro avrebbe potuto esserlo; e Gesù puntualizza che questo fatto ….fosse messo agli atti. Questo confronto avviene dentro al tempio. C’era un tabù particolare riguardo all’introdurre idoli nel tempio stesso. Israele non era forse stato mandato in esilio per una simile infrazione? Come mai questi santi uomini d’Israele, farisei ed erodiani adesso hanno idoli nel tempio? Com’è che furono così prontamente capaci di produrre un denarius quando Gesù chiede di vederlo? Ipocriti di fatto!
Questo è un colpo durissimo per i farisei che si gloriavano della loro purezza e separazione da pratiche non bibliche. Guardate tutti i “puri” e “santi” farisei che stanno portando falsi dèi dentro al loro stesso Tempio! E questo viene chiaramente visto e sentito da tutti!
Gesù avrebbe potuto veramente divertirsi qui a spese in particolare dei Sadducei che erano titolari della carica di Sommo Pontefice del tempio, incluso il Sommo Sacerdote. Cosa state facendo che portate in giro per il tempio una moneta che porta un’iscrizione che chiama Cesare il “Sommo Sacerdote”? Tu dovresti essere il Sommo Sacerdote di Dio! Da quando hai abdicato la tua carica in favore del governatore pagano?
Certamente non era un incidente isolato, perché un po’ tutti portavano con sé monete romane. Per esempio, il tempio stesso aveva un testatico annuale che tutti i giudei dovevano pagare, ed era un mezzo siclo d’argento. Ma era loro proibito pagare quella tassa con monete romane. Questo spiega i cambiamonete nel tempio. Essi avevano un virtuale monopolio su monete speciali d’argento che erano accettabili per il pagamento della tassa per il tempio; e, come con qualsiasi monopolio, si può star sicuri che il tasso di cambio fosse alto: questi tizi estorcevano la gente per della moneta particolare che erano costretti ad acquistare. Questa è una delle ragioni per cui Gesù li aveva chiamati ladroni: letteralmente estorcevano denaro dalla gente.
Si può immaginare, dunque, che avessero tavoli e sacchetti pieni di denari romani lungo tutto il cortile del tempio. Di fatto, i cambiamonete spesso portavano una di queste monete all’orecchio come segno del loro mestiere! Si può immaginare che i passanti e i pellegrini vedevano un’abbondante spettacolo di queste immagini proprio lì nel tempio stesso. Si può immaginare anche che quando Gesù rovescia sedie e tavoli e sparpaglia il denaro, il lastricato aveva risuonato col tintinnio delle monete che rotolavano giù. Israele allora si era sottomessa all’uso delle idolatriche monete romane. La valuta romana era la base del loro commercio. Avevano in questo modo, malgrado quale che fosse il grado d’idolatria che avevano giudicato fosse implicita, accettato il beneficio sociale del governo di Cesare, l’avevano legittimato.
Così, la sola risposta che gli oppositori di Gesù poterono dare fu: “Di Cesare.” Non solo il puro fatto della moneta stessa richiedeva con ovvietà questa risposta, ma si collegava anche al totale dominio che l’Imperatore manteneva sulla vita politica ed economica. Coniare moneta è simbolo di potere. L’accettazione di quella moneta come valuta comune è sottomissione a quel potere da parte del popolo. “È legittimo?” “Perché chiedete? Lo fate già tutti i giorni”.
Ma ora che Gesù li aveva sotto i riflettori, sferra loro il colpo fatale: “Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio.” Importante qui, nella risposta di Gesù è il verbo: “Rendete”. Gli oppositori avevano formulato la domanda in modo errato: È legittimo “dare” o “pagare”? La parola è diversa. Gesù non dice “dare” ma “dare indietro” o “saldare.” È un termine usato per pagare ciò ch’è dovuto a qualcuno, o ciò che gli appartiene fin dal principio. Questo era un riconoscimento di diverse cose, ognuna delle quali avrebbe fatto adirare i giudei che le avessero dovute ammettere: 1) Cesare è il proprietario della moneta, essa è sua; 2) l’utilizzo della proprietà di Cesare a vostro proprio profitto implica il vostro debito verso di lui che è la misura in cui gli siete asserviti, e 3) l’imposizione da parte di Cesare del rientro dei suoi soldi (l’imposta stessa) significava che il popolo giudeo non era così libero come fingevano essere, ma ancora sotto schiavitù (una chiara implicazione che il giudizio di Dio era ancora su di loro).
Essi traevano profitto dal mezzo, perciò non avevano diritto di rifiutare la tassa sul mezzo su basi economiche. Godevano l’ordine dell’Impero Romano perciò non avevano diritto di rifiutare le sue basi politiche. Portavano il suo denaro fin dentro al tempio malgrado le implicazioni, perciò non avevano diritto di rifiutare su basi teologiche (quantomeno non senza pentimento). Era così che i farisei avanti a Gesù e davanti alle folle rimangono intrappolati dalle sue parole: “Rendete a Cesare ciò ch’è di Cesare”.
Ma, anche, rendete “a Dio ciò che è di Dio”. Gesù implica un chiaro argomento dal minore al maggiore — se è vero per il caso minore dell’uomo Cesare, quanto più vero sarà per il maggiore, Dio. Se Cesare ha autorità per richiedere il pagamento, quanta più autorità ne ha Dio. Non c’è qui una separazione, una dicotomia fra due sfere diverse come se si affermasse che lo stato possiede autorità da questa parte e Dio possiede autorità dall’altra (i vostri pensieri, emozioni ed energie). Queste sono le due cose sulla quali Gesù ha richiamato l’attenzione in relazione alla moneta. Sono ambedue chiari concetti teologici.
La legge di Dio proibisce l’immagine di divinità. Perché questo era un comandamento? L’uomo non deve farsi scultura o immagine di divinità e cose viventi. Perché no? Perché la creazione di cose viventi è il territorio esclusivo di Dio; e il porre la sua immagine è territorio esclusivo di Dio. L’uomo che crea immagini in questa maniera sta sminuendo Dio stesso mediante una rappresentazione inadeguata e sé stesso cercando di fare la parte di Dio diventando Creatore e datore di Immagine. In contrasto, Dio è colui che colloca la propria immagine: la colloca sull’uomo, o meglio, Egli crea l’essere umano a propria immagine e somiglianza. Tutti gli uomini portano questa immagine.
Lo stesso vale per l’iscrizione di Dio. Noi portiamo la sua parola scritta sui nostri cuori, uomo naturale compreso, benché la caduta abbia avuto delle conseguenze su questo. Questo valeva in modo speciale per i farisei: essi letteralmente indossavano la parola di Dio sulla loro fronte e sulle loro braccia, quelle che vengono chiamate “filatterie” e i farisei di esse facevano gran mostra. Una filatteria è una minuscola scatolina nella quale vengono tenute piccole porzioni di Scritture su pergamena. Alcuni dei giudei prese il comando alla lettera: “queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore. Le legherai come un segno alla mano, saranno come fasce tra gli occhi” (Deuteronomio 6:6,8). Così essi indossavano letteralmente quella sezione delle Scritture tra gli occhi e sul braccio. I farisei a questo riguardo esageravano usando scatoline più grandi di chiunque altro per mostrare quanto più solerti essi fossero a ricordare la Parola di Dio.
Ciò era vero e pure ancor più rilevante per i sacerdoti: il Sommo sacerdote indossava una piastra d’oro sul suo copricapo che diceva SANTITÀ ALL’ETERNO (Esodo 28:36). Anche lui portava letteralmente l’iscrizione di Dio in quanto rappresentante dell’intero popolo di Dio. Perciò letteralmente, esternamente, di chi era l’iscrizione su questi individui? Le implicazioni teologiche sia dell’immagine sia dell’iscrizione sarebbe stata ovvia a chiunque stesse ascoltando. L’impatto della lezione avrà fatto dei farisei lo zimbello della gente!
Sì, il debito che il popolo aveva nei confronti di Cesare era un qualcosa di legittimo, ma la lezione di Gesù era molto lontana dal dire che l’autorità dello stato è separata sottratta in qualche modo dall’autorità di Dio, e che noi dobbiamo attendere sino alla fine dei tempi perché lo stato giunga sotto l’autorità e il giudizio di Dio. La lezione qui è molto più impegnativa, molto più completa.
La lezione è che tutte le persone portano l’immagine di Dio e la sua iscrizione. Siamo tutti usciti dal conio di Dio. Tutti apparteniamo completamente a Dio. Tutte le persone devono “rendere a Dio ciò che è di Dio”. Tutte! I farisei, i sadducei, gli Erodi, le masse, e perfino Cesare stesso. Cesare ha lo stesso obbligo di “rendere a Dio” — chinarsi e sottomettersi a Dio — di chiunque altro. Ha lo stesso obbligo di amare il proprio prossimo e di obbedire la legge di Dio di chiunque altro. Cesare non è un dio o un sommo sacerdote, non è la fonte della legge e la scaturigine della provvidenza; egli, come tutte le persone, è una persona sottoposta alla provvidenza di Dio onnipotente, e alla legge di Dio, e al Sommo Sacerdote di Dio, Gesù Cristo. Egli ha altrettanto obbligo d’obbedire, di fatto, ha maggior obbligo d’obbedire perché nella sua carica pubblica rappresenta una molteplicità di persone.
Rendete a Dio. Tutti quelli che avevano udito Gesù non solo avranno compreso i concetti coinvolti, avranno immediatamente compreso la natura teologica dell’idea di rendere a Dio. Compare attraverso molti salmi della liturgia giudaica e perfino nella legge levitica: quando i leviti venivano separati per il servizio nel tempio, venivano presentati davanti al Sommo Sacedote e “offerti” o “resi” a Dio come un’offerta, interamente.
L’essere umano è libero perché Dio lo ha creato così. L’uomo non è libero al punto da non dover rendere tutto a Dio; e le società sono vincolate nella stessa misura. Pertanto, dove le istituzioni umane calpestino la legge di Dio dobbiamo decidere fra due autorità in competizione tra loro. Dobbiamo obbedire a Dio e non agli uomini, fino alla morte se necessario su questioni imprescindibili. Però possiamo denunciare e resistere la tirannia in altre questioni come espressione della nostra fedeltà a Dio, e del posto assegnato da Dio al governo umano.
Non è improprio, pertanto, che altre persone chiamino Cesare a rendere conto di sé a Dio. Dobbiamo resistere la tirannia, benché mai mediante la rivoluzione violenta, e ci sono molti modi non violenti di farlo.
Con quale Autorità fai queste cose? Quale credente in Dio dovrà mai discutere di Autorità? “La terra è del Signore e tutto ciò che contiene, il mondo e i suoi abitanti” (Salmi 24:1). Dio dice: “Mie infatti sono tutte le bestie della foresta; mio è il bestiame che sta a migliaia sui monti. Conosco tutti gli uccelli dei monti; e tutto ciò che si muove nei campi è mio. Se avessi fame, non te lo direi; perché il mondo e quanto esso contiene è mio” (Salmi 50:10-12).
Rendete a Cesare ciò ch’è di Cesare, sicuramente. Ma rendete a Dio ciò ch’è di Dio.
Riduzione ed elaborazione da un articolo di Joel McDurmon in: https://www.cristoregna.it/teologia/dare-a-cesare-la-questione-della-vera-sovranita/
Domenica 18 Ottobre 2020 – Ventesima domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche:Salmo 99; Esodo 33:12-23; 1 Tessalonicesi 1:1-10; Matteo 22:15-22