Domenica 30 Giugno 2024 – Quinta domenica dopo quella della Trinità
(Servizio di culto completo con predicazione, 55′ 33″)
(Solo predicazione, 29′ 30″)
Al di là dei riti religiosi identitari
Nella chiesa del primo secolo c’era un grande dibattito soprattutto fra i cristiani di origine ebraica, sul valore da darsi a cerimonie religiose come ad esempio quella della circoncisione o dell’osservanza delle feste e regole dietetiche della tradizione mosaica. La circoncisione era un rito molto antico a cui venivano sottoposti i bambini nei loro primi giorni di vita per significare la loro appartenenza al popolo eletto di Dio, suggello delle responsabilità storiche che Dio gli aveva dato da svolgere in questo mondo. I cristiani dovevano conservare questo rito tradizionale oppure no?
Erano sorte molte polemiche al riguardo, soprattutto perché l’apostolo Paolo, autorevole esponente del cristianesimo, non dava tanta importanza a questi riti esteriori, nemmeno del battesimo cristiano! Una volta aveva detto: “Infatti Cristo non mi ha mandato a battezzare ma a evangelizzare; non con sapienza di parola, affinché la croce di Cristo non sia resa vana” (1 Corinzi 1:17). Quello che contava, per lui era la sostanza, il vissuto della fede, una fede che doveva essere espressa in tutte le sue implicazioni etiche e morali. Difatti, nella lettera che gli scrive ai cristiani della Galazia, egli mette fine una volta per sempre a questi dibattiti dicendo: “… Infatti in Cristo Gesù né la circoncisione né l’incirconcisione hanno valore alcuno; quello che vale è la fede operante per mezzo dell’amore” (Galati 5:6). Anzi, ancora più chiaramente afferma più avanti: “In Cristo Gesù, infatti, né la circoncisione né l’incirconcisione hanno alcun valore, ma l’essere una nuova creatura”.
Quel che più conta, egli afferma, non è la conformità esteriore a un popolo, con le sue tradizioni e caratteristiche identitarie sociali, né la semplice osservanza di cerimonie religiose. L’appartenenza ad un popolo, soprattutto se si tratta, in quel caso, degli israeliti, ha certo un valore se si è consapevoli che Dio gli ha affidato in questo mondo responsabilità storiche. Appartenergli può essere più o meno vantaggioso a livello personale, ma non è questo che conta. Non è questo che “salva” noi stessi e soprattutto gli altri. Quel che più conta, dovunque ci troviamo, è “fare differenza” a livello etico, morale e spirituale, avere una fede che opera mediante l’amore, fede ed amore che è risultato dell’essere “una nuova creatura”, dell’essere stati rinnovati in Cristo. Questo è il risultato dell’opera di Dio in noi allorché, molto praticamente, siamo discepoli del Signore e Salvatore Gesù Cristo, allorché come tali ci comportiamo nelle sue molteplici implicazioni.
E’ una questione di estrema importanza anche oggi in cui larga parte del cristianesimo tradizionale è scaduto in un superstizioso ritualismo. Molti danno grande importanza ai riti religiosi: battesimo, confermazione, matrimonio in chiesa, funerale, ma tutto questo davanti a Dio è del tutto secondario: quello che conta e serve veramente è essere una nuova creatura. Non ci si può “nascondere” (e illudere) dietro le osservanze rituali e pensare che questo “basti”, per quanto conveniente possa essere in determinati contesti così come lo è conformismo sociale.
Che cosa vuol dire così “essere una nuova creatura”, e, se questo è ciò che più conta davanti a Dio, come si diventa “una nuova creatura”? Analizziamo quest’espressione nel suo contesto.
“(11) Sapendo dunque il timore che si deve avere del Signore, noi persuadiamo gli uomini; e Dio ci conosce a fondo e spero che nelle vostre coscienze anche voi ci conosciate. (12) Non ci raccomandiamo di nuovo a voi, ma vi diamo l’occasione di gloriarvi di noi, affinché abbiate di che rispondere a quelli che si gloriano di ciò che è apparenza e non di ciò che è nel cuore. (13) Perché, se siamo fuori di senno, lo siamo per Dio e, se siamo di buon senno, lo siamo per voi; (14) infatti l’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono, (15) e che egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per loro stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. (16) Quindi, da ora in poi, noi non conosciamo più alcuno secondo la carne e, se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così. (17) Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. (18) E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ha dato a noi il ministero della riconciliazione; (19) infatti Dio riconciliava con sé il mondo in Cristo non imputando agli uomini le loro colpe e ha posto in noi la parola della riconciliazione. (20) Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. (21) Colui che non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto essere peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:11-20).
Che cosa vuol dire “essere in Cristo”?
Il nostro testo dice: “Se dunque uno è in Cristo”. L’Evangelo chiama ciascuno di noi ad essere “in Cristo” come unica base della nostra eterna salvezza e sicurezza. “Essere in…” significa dichiarare qual è l’ambiente in cui viviamo, la sfera della nostra attività, il circolo in cui ci muoviamo, l’atmosfera che respiriamo. Dire: “Io abito in …” significa specificare qual è il luogo in cui vivo, la gente con la quale mi rapporto più spesso, i privilegi di cui godo, i doveri a cui sono sottoposto. Dire “stare in casa” significa specificare di essere sotto un tetto che mi protegge, in un ambiente caldo ed accogliente che mi è congeniale, di avere rapporto con le persone che mi sono più care e vicine.
“Essere in Cristo” non ha tanto a che fare con il far parte di una comunità cristiana, sebbene normalmente sia importante. Significa coltivare un rapporto privilegiato con Colui che solo Dio ha mandato come nostro Signore e Salvatore, tanto che l’intera costituzione della nostra vita si permea del Suo spirito, del Suo carattere, dei Suoi propositi. Siamo chiamati ad essere “in Cristo”, a rapportarci con Lui come Colui che determina tutto il nostro modo di pensare, di parlare, di agire, perché questo è l’unica base sulla quale possiamo essere accettevoli e utili a Dio. Cristo, mediante il Suo sacrificio di espiazione ha fornito la sola base mediante la quale Dio ci accorda il Suo favore. In noi stessi siamo perduti per Dio, ma dobbiamo essere trovati “in Lui” circondati dai Suoi meriti come un muro che ci difende, protetti da essi come una volta che ci ripara.
L’apostolo Paolo parla della grazia che Dio ci dona, “avendoci predestinati a essere adottati, per mezzo di Gesù Cristo, come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà: a lode della gloria della sua grazia, che egli ci ha concesso nell’Amato suo” (Efesini 1:6). Siamo chiamati ad essere “in Cristo” perché Egli solo è sorgente per noi di vita spirituale, di vita significativa ed eterna. Gesù dice: “Dimorate in me e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” (Giovanni 15:4-5).
In che senso si può dire che chi è in Cristo è “una nuova creatura”?
Possiamo però osservare come -soprattutto nella nostra società irreligiosa- coloro che veramente vivono la loro vita “in Cristo” siano davvero pochi! Si, ha davvero del miracoloso che una persona abbandoni la moderna mentalità atea ed egocentrica per vivere nella prospettiva del Signore Gesù Cristo. Difatti, l’apostolo afferma che chi è “in Cristo”: “è una nuova creatura”. Che cosa intende dire? Si può parlare di “nuova creatura” quando nasce un bambino: è venuta al mondo una nuova creatura, è il miracolo della vita che nasce che non cessa mai di sorprenderci. Come però si può dire lo stesso per una persona che diventa credente in Cristo? Certamente non in senso fisico, ma c’è un senso in cui si può veramente dire che chi ha avuto l’esperienza di una conversione sa di non essere più la stessa persona di prima.
L’apostolo Paolo pensava qui certamente anche a quanto era avvenuto nella sua propria vita, cioè un cambiamento radicale, un nuovo inizio, una nuova nascita. Egli infatti scrive: “prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ma misericordia mi è stata fatta, perché lo facevo ignorantemente nella mia incredulità e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l’amore che è in Cristo Gesù” (1 Timoteo 1:13-14).
Mi potrete dire: quella era la sua esperienza, non riproducibile. Eppure egli stesso aggiunge: “Certa è questa parola e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me per primo tutta la sua pazienza e io servissi di esempio a quelli che in avvenire avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1 Timoteo 1:15-16). Si, la conversione di Paolo è un modello per noi. Essere “in Cristo”, diventare cristiani sul serio è il risultato di una rigenerazione spirituale.
Un padre ed una madre generano un nuovo essere umano; similmente Iddio prende un essere umano peccatore come noi, egocentrico, alieno ed ostile a Dio, ribelle per natura alle Sue leggi, e lo rigenera spiritualmente affinché possa credere in Cristo. E’ davvero un miracolo quando una persona come noi, arriva alla vera fede ed al vero amore. L’apostolo Giacomo, rivolgendosi ai cristiani dispersi nel mondo dice: “Egli ci ha di sua volontà generati mediante la parola di verità, affinché siamo in certo modo le primizie delle sue creature” (Giacomo 1:18). Egli afferma che un cristiano autentico può essere tale solo in virtù di una rigenerazione spirituale, che Egli opera attraverso la predicazione della parola di verità.
Quali “cose vecchie” sono passate e quali sono diventate nuove?
Possiamo così comprendere come il nostro testo possa affermare: “le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove”. Il vecchio orgoglio, la vecchia ignoranza, la vecchia malizia sono cose del passato per chi è “in Cristo”. Prima sentivo parlare di Dio, ma era qualcosa di astratto e lontano che non incideva minimamente nella mia vita, ora è la realtà più sicura che determina tutta la mia esistenza. Prima non vedevo alcuna bellezza o attrattività particolare in Cristo, né vedevo perché mai io dovessi diventare Suo discepolo, ora però non c’è persona alla quale io non tenga di più. Prima non davo alcuna importanza a quello che la Bibbia chiama “peccato”, ridevo di tutto questo e lo ignoravo, ora mi appare in tutto il suo orrore. Prima non vedevo alcuna bellezza nella santità, la ritenevo qualcosa per sciocchi e ipocriti, che toglieva solo “il bello” dalla vita, ora essa mi appare come la grazia più desiderabile. Prima le inclinazioni del mio cuore e della mia mente erano rivolte solo a quello è materiale ed immediatamente godibile, ora aspiro alle “cose di lassù”.
Quello che un tempo detestavo, ora io amo, e quello che un tempo amavo ora lo detesto. Quello che un tempo mi rattristava era la perdita delle cose di questo mondo e della vita stessa, mentre ora sono pronto a rinunciare a qualsiasi cosa pur di non perdere la mia comunione con Cristo. Prima confidavo nella creatura, ora confido nel Creatore. Prima non concepivo di nulla oltre questo mondo, ora aspiro ad essere per sempre accanto a Dio nella Sua dimensione. Le cose che prima mi spaventavano erano le minacce e il rifiuto degli uomini, ora temo il dispiacere di Dio più di ogni altra cosa, e sto bene attento ad evitare ciò che Dio considera peccato. Prima non potevo sopportare tutto ciò che mi rammentava dei miei doveri verso Dio e verso il prossimo, ora io amo tutto questo, perché mi è di stimolo a fare sempre meglio.
Si, coloro che sono “in Cristo” e che Dio ha rigenerato non vivono più in ciò che la Bibbia chiama peccato. Paolo può così dire di coloro che hanno avuto l’esperienza della conversione: “ Non mentite gli uni agli altri, perché vi siete spogliati dell’uomo vecchio con i suoi atti e vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a immagine di colui che l’ha creato” (Colossesi 3:9-10). Questo cambiamento e riforma è talvolta così notevole, che non può non essere notata ed anche ammirata dagli altri, perché essi vivono praticando il loro dovere verso Dio, verso gli altri, e verso sé stessi.
Quel che più conta
Ecco allora che possiamo capire come quello che davvero più conta davanti a Dio non sia tanto un rito religioso o la conformità esteriore ma l’essere una nuova creatura. Senza una rigenerazione spirituale della nostra persona la Bibbia chiaramente dice che siamo odiosi a Dio e tutte le nostre migliori opere per lui sono come l’aspro frutto di una vite selvatica.
Se Dio non vedrà il marchio di Cristo sulla nostra vita, Egli un giorno ci dirà: “Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi tutti operatori d’iniquità” (Matteo 7:23), e questo marchio non è tanto un segno esteriore come la circoncisione o il battesimo, ma la sostanza di una vita vissuta veramente “in Cristo”, nella sua prospettiva. Certo, abbiamo anche bisogno di segni esteriori, ma essi devono essere la manifestazione di una vita rinnovata dallo Spirito Santo di Dio. Portare un bambino in chiesa all’inizio della sua vita per chiedere su di lui la benedizione di Dio ha senso soltanto quando c’è un’autentica famiglia cristiana che vive “in Cristo” e lo accompagna a far si che – con la parola e con l’esempio – anch’egli conosca Gesù Cristo come proprio Signore e Salvatore. Una confermazione o un battesimo di persone adulte ha senso solo quando è un’autentica professione di fede in Cristo. Un matrimonio in chiesa ha senso solo quando è fatto da una coppia di sposi che seriamente si impegnano a vivere il loro matrimonio “in Cristo”. Un funerale cristiano ha senso solo se sancisce una vita già vissuta “in Cristo” e che continua in Lui. Quel che conta è “essere una nuova creatura”.
Riconosciamo allora la nostra miseria ed il nostro peccato che ci separa per sempre da Dio, riconosciamo che meritiamo solo la Sua riprovazione e condanna, come la Bibbia chiaramente afferma, e chiediamoGli la grazia di essere rigenerati spiritualmente e di essere innestati per fede “in Cristo”. Faremo allora esperienza di una svolta radicale nella nostra vita, il che è ciò che più conta davanti a Dio. Il messaggio oggi rimane lo stesso che predicava l’apostolo Paolo. Egli diceva: “Io non mi sono tratto indietro dall’annunciarvi e dall’insegnarvi in pubblico e per le case cosa alcuna di quelle che vi fossero utili” (Atti 20:19-20).
(Paolo Castellina, 20 giugno 2024, adattamento della mia predicazione del 30 aprile 1993).
Punti chiave
- Ciò che conta non sono i riti religiosi identitari, ma avere una fede che opera mediante l’amore.
- Essere “una nuova creatura” in Cristo significa essere rinnovati interiormente e comportarsi come discepoli di Gesù.Non ci si può “nascondere” dietro le osservanze rituali per illudersi di essere “a posto”, quello che conta è il cambiamento interiore.