Servizio di culto Domenica 1 Maggio 2022 – Terza domenica di Pasqua
(Culto completo con predicazione, 58′)
(Solo predicazione, 28′).
Introduzione alle letture bibliche
Letture bibliche: Salmo 30; Atti 9:1-6; Apocalisse 5:11-14; Giovanni 21:1-19
Un uomo oppresso, insultato, in condizioni miserevoli per come lo trattano i suoi avversari è ormai al limite delle sue forze. Sembra che anche Dio lo abbia abbandonato. Nonostante tutto non si perde d’animo. Confida in Dio. Sa che nelle Sue mani sono tutti i suoi giorni. Invoca così Dio affinché lo liberi. Non ne rimarrà deluso ed esclama alla fine: “Benedetto il Signore, che ha fatto per me meraviglie di grazia in una fortezza inaccessibile”. Questo è ciò che esprime il Salmo 30, la nostra prima lettura. Si tratta di un potente incoraggiamento quando ci troviamo in condizioni disperanti: “Siate forti, riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore”. Verrà il giorno, anzi, è già venuto, quando tutti i figlioli di Dio eleveranno a Dio, all’unisono, un canto di lode e ringraziamento, espresso in maniera trionfante nella terza lettura, tratta dal capitolo 5 del libro dell’Apocalisse. Gli empi che si oppongono a Dio e al Suo popolo non prevarranno. Anzi, diversi di essi, come Saulo che “sempre fremente minacciava strage contro i discepoli del Signore” saranno convertiti da avversari ad attivi promotori della fede cristiana. La conversione di Saulo in Paolo viene menzionata nella nostra seconda lettura, tratta dal libro di Atti. Non c’è dunque motivo per scoraggiarsi. Scoraggiati e affranti lo erano molti discepoli di Gesù dopo la Sua violenta morte quando tutto sembrava perduto. Tornano alle loro precedenti occupazioni, ma anche in quelle falliscono. Incontrano, però, Gesù risorto. Egli li conforta e riabilita aprendoli così a nuove prospettive. E’ il racconto che troviamo nella quarta lettura tratta dal capitolo 21 del vangelo secondo Giovanni. Un incoraggiamento per noi tutti a perseverare in fiduciosa ubbidienza al Signore.
Quando pensi di essere uno “…che non combinerà mai nulla nella vita”
È possibile che un padre dica a suo figlio fin da piccolo, magari sostenuto da qualche parente compiacente: “Tu non combinerai mai nulla di buono nella vita!”? Sì, può succedere, e questa “maledizione” potrà condizionare negativamente tutta la vita del figlio. Perché alcuni padri dicono così ai propri figli? Perché quei figli magari non sono quelli che il padre si aspetterebbe da loro o non possono esserlo. In realtà un padre che dica così non è in grado di essere davvero padre e accompagnare il figlio, come dovrebbe, a essere sé stesso, non quello che lui vorrebbe, sovvenire così alle sue eventuali carenze e aiutarlo a sviluppare i suoi particolari talenti.
Di questi figli cosiddetti “falliti”, però, spesso è Dio che se ne prende cura, con la pazienza che i genitori terreni spesso non hanno. Ne troviamo numerosi esempi fra i discepoli di Gesù. Dal carattere più diverso, con maggiori o minori capacità, dal punto di vista umano, a causa dei loro limiti, sono “gli ultimi che uno sceglierebbe”. Per i loro fallimenti si potrebbe veramente dire che “non combineranno mai nulla di buono nella vita”, così come potrebbero aver pensato di essere andati dietro a un altro “fallimento”, Gesù stesso, che muore su una croce e “non trionfa”. Quel Gesù che, durante la Sua vita terrena si era anche lasciato scappare qualche espressione di frustrazione di fronte alla difficoltà d’insegnare loro, li avrebbe presi uno per uno con “santa pazienza”. Lo avrebbe fatto anche dopo la Sua risurrezione, quando i Suoi discepoli ritornano, delusi e amareggiati, alla loro professione di prima – che però neanche quella ora “funziona”… Ascoltiamo l’episodio dei vangeli che ne parla, nel capitolo 21 del vangelo secondo Giovanni:
“Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso or ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi»” (Giovanni 21:1-19).
Il condizionamento di esperienze negative
Erano un gruppo di sette uomini, e ognuno di loro era condizionato dalle esperienze negative che aveva fatto nel passato. Questo non va bene. Iddio ci dà la possibilità di superare i nostri passati fallimenti, quando li confessiamo onestamente ricevendo il Suo perdono e le nuove possibilità della Sua grazia. Gesù dice: “Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori” (Giovanni 6:37). Mai. Da questi condizionamenti possiamo esserne liberati!
Il loro Maestro se n’era andato, dunque, portato a morire su una croce senza che Lui opponesse resistenza. Loro così se n’erano fuggiti tutti, spaventati. Sì, è vero, testimoni avevano detto che Lui era risorto dai morti. Era apparso ad amici e familiari, ma troppo pesante era il loro senso di colpa per ciò che avevano fatto e questo impediva loro di partecipare all’entusiasmo della risurrezione e passare all’azione. La memoria del passato li aveva come paralizzati.
Prima di tutto c’era PIETRO. Ancora soffriva dei postumi del fatto che avesse rinnegato Gesù. Pietro era rimasto fuori dal luogo dove stavano processando Gesù per vedere che sarebbe successo. Dei servi lo avevano riconosciuto come discepolo di Gesù, ma lui per ben tre volte nega di averlo mai conosciuto, quel Gesù… Più tardi confessa amaramente di essere stato un codardo. Sarebbe stato un “fallito a vita”? Egli lo pensa.
Anche TOMMASO aveva i suoi problemi... Era insanabilmente scettico e pessimista. Lo conosciamo come l’incredulo. In ogni cosa vedeva il peggio. Quando Gesù stava per mettersi in una situazione pericolosa, Tommaso aveva alzato le braccia disperato, dicendo: “Andiamo anche noi, per morire con lui!” (Giovanni 11:16). Anche quando Gesù risorge dai morti, lui mette in questione la cosa: “Se non tocco non crederò”. Tommaso si ritirava sempre nella sua conchiglia. Era la sua protezione. Era sotto il controllo e ossessionato dai suoi passati dubbi. Un altro “fallito” disutile per il movimento cristiano? Egli lo pensa.
Poi, c’era NATANAELE. Si può dire che stesse dalla parte di Tommaso: era un altro che, scettico, dubitava. Quando l’amico Filippo gli parla di Gesù, gli risponde: “Può forse venir qualcosa di buono da Nazareth?” (Giovanni 1:46). La sfida della fede di ciò che andava contro la comprensione corrente delle cose non l’avrebbe potuta mantenere. Egli lo pensa.
C’erano anche I DUE FIGLI DI ZEBEDEO, Giacomo e Giovanni. Stavano sempre assieme. Erano tipi molto fieri, pronti a pronunciare giudizi di condanna su quelli che facevano opposizione a Gesù. Giacomo, però, non si sapeva mai dove fosse quando le cose diventavano difficili e gli avversari facevano pressione sul gruppo.
Sono poi menzionati altri due discepoli di Gesù. Tutti loro avevano qualcosa nel loro passato, tale da paralizzarli e fiaccare la loro energia. Il nostro passato lo può fare. Il senso di colpa ci blocca a tal punto che non riusciamo nemmeno ad accogliere la generosa offerta di grazia di Dio in Gesù Cristo. Invece di ricevere la grazia di Dio cerchiamo, magari, di “rimediare” nascondendoci o impegnandoci in altre cose che ci impediscano di pensare e ci facciano illudere che …non vi sia problema con la nostra situazione!
Fuggire e dimenticare non risolve nulla. No. Il problema dei nostri passati fallimenti è che non vogliono rimanere nel passato, ma si ostinano a riaffiorare. Viaggiano con noi nel presente, e vi portano solo ulteriori frustrazioni e sconfitte! Far finta che non sia successo niente, come se non avessimo mai incontrato Gesù, non risolve affatto il problema! Quei discepoli di Gesù, così, si illudevano che tornando alla loro vita precedente di pescatori avrebbero potuto dire: “Non è successo nulla! Torniamo alla solita vita, l’unica che esista! Abbiamo sbagliato a diventare discepoli di Gesù. Immergersi nel lavoro avrebbe fatto loro dimenticare Gesù? Pietro, così, dice: “Ragazzi, non so che cosa voi ave te deciso di fare voi, ma io ho preso la mia decisione: io torno a pescare! Gli altri che cosa rispondono? “Sì, ci sembra la cosa migliore da fare. Veniamo anche noi!”. Ogni qual volta le cose non vanno come ci saremmo aspettati, ci guardiamo indietro e ci chiediamo se n’era valsa la pena. Vogliamo solo fuggircene via. Fuggire non ci servirà.
Un comportamento ricorrente
Quest’atteggiamento, per altro, non era nulla di nuovo nemmeno per Israele. Quando il popolo d’Israele si era trovato a dover attraversare un deserto, dovevano imparare che cosa volesse dire la fede nelle promesse della terra promessa davanti a loro. Quando sembrava che non vi dovessero mai arrivare perché le difficoltà erano troppe, avevano detto: “Torniamo indietro. Torniamo in Egitto”. Volevano “il conforto” dell’Egitto: è vero, c’era la schiavitù, ma almeno c’era da mangiare e della sicurezza. Almeno quella è una certezza!
Il profeta Elia era riuscito a sbaragliare i profeti del falso dio Baal. La regina Izebel, però vuole vendicarsi di lui. Lo minaccia di morte ed Elia se ne fugge via il più veloce possibile. Non credeva che Dio l’avesse continuato a proteggere?
Lo stesso capita al profeta Giona. Iddio gli comanda di andare a Ninive e predicarvi il giudizio sulle loro iniquità. Giona, però, ritiene che la cosa sia troppo pericolosa, non vuole guai e cerca di fuggire lontano dalla voce di Dio. È inutile, però, viene colto da una violenta tempesta. È spesso così nella vita: giungono le “tempeste”, e ci sentiamo sbattuti come tappi di sughero in un oceano. Il nostro presente è fonte per noi di confusione e frustrazione. Questo, però, succede perché stiamo fuggendo.
Nella loro frustrazione, così, quei discepoli cercano di fare buon viso a cattivo gioco: tornano a pescare, di notte. Le luci della lanterna avrebbero attratto il pesce nella rete. Si era sempre fatto così: perché preoccuparsi? È ironico, ma quella notte non prendono nulla! Non gli era mai successo prima! Avrebbero almeno aver dovuto un qualche successo! Non avevano forse esperienza nel campo? Talvolta Iddio ci porta proprio là dove dobbiamo toccare con mano che …le cose non dipendono da noi, anche quando pensiamo d’avere sufficiente esperienza per tenere la cosa in pugno! …tutta la notte a pescare e per niente!
Quando voi e io non siamo dove Iddio ci vorrebbe, non vi saranno mai buoni risultati. Come l’avrebbero chiamato i discepoli? Sfortuna? Quando i pescatori prendono qualcosa, lo chiamano “competenza”, “capacità”. Quando non prendono nulla, è sempre colpa di qualcosa o qualcun altro. Come vi sentireste se, dopo essere stati per mare tutta la notte senza prendere nulla, vi accogliessero in casa con: “Che hai preso per il nostro pranzo oggi?”. Probabilmente racconterete che avevate preso un pesce grosso così ma che la sfortuna ve l’ha fatto scivolare di nuovo in acqua! I discepoli non avevano neppure potuto dire quello. Il mattino, frustrati e abbattuti, stavano per scendere a terra a testa bassa… Ora i primi raggi di sole stavano arrivando dall’orizzonte. Guardano sulla spiaggia e vedono un uomo che sembra attenderli. Che strano!
L’instancabile grazia di Dio
Non lo riconoscono da lontano. Noi sappiamo che era Gesù. Iddio si dimostra ancora una volta instancabile nella Sua pazienza e generosa misericordia. Gesù continua a portarli nel Suo cuore e nella Sua volontà di grazia.
Fa loro prendere coscienza della loro situazione. Comincia a fare loro una do manda: “Figlioli, avete del pesce?”. Iddio ci fa delle domande per farci vedere dove stiamo, la nostra reale situazione. Come quando Dio aveva chiamato Adamo e gli dice: “Dove sei?” (Genesi 3:9). È allora costretto ad ammetterlo: “Sto cercando di nascondermi da Te”. Così anche per altri personaggi biblici. Il Signore ce lo chiede proprio ora: “Dove sei? Che stai facendo?”.
La domanda che Gesù fa ai discepoli è molto diretta: “Beh, allora? Non avete preso neanche un pesce, vero?“. Ciò che chiede loro, in realtà, è: “Dove sono i risultati? Dove sono i prodotti della vostra decisione di ritornare alla vostra vecchia vita? Mostratemeli!”.
Un’onesta ammissione. La risposta che essi danno a Gesù mostra tutta la loro frustrazione. Gli rispondono semplicemente “No”. Anche noi talvolta dobbiamo ammettere di non essere riusciti a combinare niente. La nostra rete è vuota. È duro ammetterlo. Non parliamone neppure: ci siamo tanto affannati, ma il risultato è zero! Non abbiamo il coraggio di confessare che avevamo pensato che le misure prese avessero funzionato, e invece: niente! Eppure, veri e propri miracoli iniziano sempre con UN’ONESTA CONFESSIONE, con l’ammettere di esserci incamminati su una strada sbagliata. Ammettere di aver fallito è l’inizio della soluzione.
Una possibilità di riscatto. Ecco così che, una volta ammesso di non avere preso nulla, ricevono un’indicazione preziosa: «Gettate la rete dal lato destro della barca e ne troverete». Che suggerimento ridicolo, penseremmo noi. Gesù vuole, però, dare loro una lezione. Fidatevi di Gesù, sa che cosa sta facendo e chiedendo. Il pesce era sempre stato sotto la barca. Le benedizioni sono proprio sotto di noi e noi non le cogliamo! Agitati e preoccupati vogliamo darci da fare e non combiniamo niente lo stesso! Nella Sua grazia, però Iddio ci dà una preziosa indicazione: Fate come io vi dico!”. Così, quello che non erano stati capaci a fare per tutta la notte, Dio lo provvede loro la mattina. Iddio vuole benedirci proprio là dove ci sentiamo maggiormente frustrati. Seguiamo ciò che Dio ci dice, non ciò che ci suggerisce la nostra “sapienza”!
Gesù, premuroso, li nutre. Essi pescano 153 grandi pesci. Era un peso veramente considerevole. Quintali! Non sappiamo il perché di quel numero così preciso. Non stiamo a specularci sopra. Perché i pescatori contano il numero dei pesci pescati? Forse per potersene vantare? La gloria, però, doveva essere data solo a Gesù, non a loro. Il record è il suo! Lo stesso era avvenuto tre anni prima, quando Pietro, Giacomo e Giovanni erano in società per pescare. Anche allora non avevamo preso nulla tutta la notte, ma alle istruzioni dateci da Gesù, erano tornati con la barca stracolma di pesci, tanto che stava per affondare. Gesù è il solo a sapere come e dove trovare ”pesce”, per così dire.
I discepoli non riconoscono Gesù nella notte in cui non prendono nulla, lo riconosco solo quando la rete è piena! Iddio ci chiama fuori dalla nostra frustrazione e ci dà le Sue benedizioni. Egli è in controllo sia dei tempi difficili che dei tempi facili, sia del bene che del male. Nella prospettiva di Dio, si ottengono risultati solo quando si ubbidisce a Lui, anche se ci sembra illogico… Pietro comprende: non rimane sulla barca con le sue benedizioni!
Ora che ha riconosciuto che si tratta di Gesù, si getta in mare e Gli va incontro. Il benefattore, per Lui, è più importante delle benedizioni. Ora non gli importa più del pesce, quel che più gli importa è seguire Gesù. Erano andati a pescare, erano ritornati delusi alla solita (e frustrante) vita, ma ora che Gesù gli conferma di essere il Vivente, la ”solita vita” non gli interessa più. Con Gesù aveva scoperto qualcosa di molto meglio, meglio ancora del successo materiale.
Tutto è provveduto
Quando arrivano a terra trovano la colazione già pronta. Non si fanno domande su come sia possibile. Gesù sa sempre ciò che ci serve in tempo di crisi. Egli supplisce, Egli provvede. Così prepara loro da mangiare e un’occasione per stare bene insieme. Gesù, così, li invita ad avere comunione con Lui: “Gesù disse loro: «Venite a far colazione»”. Questo avrebbe rammentato loro le parole del Salmo 23: “Per me tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo; la mia coppa trabocca” (Salmi 23:5).
Quel che è ancora più importante nel testo è che Gesù “riabilita” Pietro. Lo aveva rinnegato in precedenza. Quello era un peso che non poteva sopportare. Aveva fallito. Era solo “un buono a nulla”. Così pensava, ma non solo Gesù lo perdona, ma gli dà nuove responsabilità, affinché, con altrettanta pazienza, lui si prenda cura degli altri discepoli di Gesù. Pietro avrebbe suggellato egli stesso nel martirio il suo impegno cristiano.
C’è qualcuno oggi, così, che continua a essere condizionato da chi gli aveva detto: “Tu non combinerai mai nulla di buono nella vita!”? Oppure che pensi che il peso dei ripetuti fallimenti nella vita abbiano fatto sì che Dio ci abbia abbandonato “al nostro destino”? Non se siamo discepoli di Gesù e lo amiamo di tutto cuore! Ci sarà sempre posto per noi nel Suo cuore e al Suo servizio. Che pazienza deve avere con noi Dio, non è vero? E’ la stessa pazienza che noi siamo chiamati ad avere con gli altri, figli, amici, fratelli in fede. Questa è la via di Cristo – non quella “degli scribi e dei farisei”, che ancora oggi sono tanti. Loro non perdonano, né ammettono fallimenti… Il Signore Gesù è l’unico che possa trasformare i nostri fallimenti in vittorie!
Paolo Castellina, 23-4-2022, rielaborazione di una predicazione del 5-4-2003