Domenica 23 luglio 2023 – Ottava domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmo 139: 1-11, 23; Genesi 28:10-19; Romani 8:12-25; Matteo 13:24-30,36-43
(Servizio di culto completo con predicazione, 51′ 47″)
(Solo predicazione, 23′ 15″)
Dove posare il capo
In tre anni circa di intenso ministero in questo mondo, Gesù non aveva “dove posare il capo”. Lo aveva affermato Lui stesso una volta in risposta a qualcuno che gli aveva detto di volerlo seguire ovunque sarebbe andato. Gesù, però, avvertendolo, gli risponde: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Luca 9:58). Momenti e luoghi per ritirarsi e riposare, Gesù ne aveva avuti veramente pochi, se non in qualche oliveto in collina oppure in casa di amici, come quella di Marta, Maria e Lazzaro a Betania.
Gesù certo capiva l’importanza di staccarsi dalle attività quotidiane e di trovare momenti di tranquillità e di ristoro spirituale. Una volta aveva detto ai Suoi discepoli: “Venitevene ora in disparte, in luogo solitario, e riposatevi un po’”. Difatti era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure tempo di mangiare” (Marco 6:31). Gesù insegnava ai Suoi discepoli che il riposo e la solitudine erano pure cruciali per rinnovare le forze e per mantenere il proprio equilibrio – e quello proprio mentre si dedicavano al ministero a cui li aveva chiamati.
Il sonno ristoratore non solo è necessario per riposare dopo il lavoro, ma è anche importante proprio in momenti di tensione emotiva e perplessità dovute alle preoccupazioni, proprio quelle che “non ci fanno dormire”. In quel caso, è importante non lasciarcene tormentare ma affidarle a Dio chiedendogli indicazioni per venirne a capo proprio tramite il sonno ed il sogno! C’è chi dorme per fuggire dalle proprie responsabilità, ma, in positivo, il sonno può essere “ristoratore” per trovare ispirazione e guida. È un po’ come lo studente che deve affrontare un esame importante. Ha studiato e se ne preoccupa, ma è attraverso un sonno ristoratore che potrà presentarsi all’esame “con la mente fresca” e superarlo!
Il sonno e il sogno di Giacobbe
Questo tipo di sonno ristoratore e ispiratore lo troviamo nel libro della Genesi quando parla del difficile rapporto fra il giovane Isacco e suo fratello Esaù. Dopo che Giacobbe aveva sottratto ad Esaù il diritto di primogenitura, è scritto che: “Esaù iniziò a odiare Giacobbe a causa della benedizione data da suo padre; e disse in cuor suo: ‘I giorni del lutto di mio padre si avvicinano; allora ucciderò mio fratello Giacobbe’” (27:41). Per questo la madre Rebecca dice a Giacobbe: “Ecco, Esaù, tuo fratello, vuole consolarsi a tuo riguardo, proponendosi di ucciderti. Ebbene, figlio mio, ubbidisci alla mia voce: àlzati, e fuggi a Caran da Labano mio fratello; e trattieniti lì qualche tempo, finché la furia di tuo fratello sia passata” (42-44).
Il perdurante comportamento di Esaù, però, l’avrebbe reso indegno delle responsabilità anche spirituali della primogenitura e Dio stesso si sarebbe preso cura di Giacobbe rivelandosi a lui e gradualmente educandolo a portare avanti il mandato di legittimo patriarca del popolo di Dio.
Troviamo così Giacobbe, turbato e spaventato che fugge solitario verso il paese di Caran. Si chiede che ne sarà di lui e, soprattutto, dov’è quel Dio che suo padre Isacco e suo nonno Abraamo consideravano così importante per la loro famiglia. Giunge in un certo luogo, fuori da un abitato chiamato Luz dai canaaniti che allora controllavano quella regione, e lì si accampa per passare la notte. Immaginiamolo, dopo aver acceso un fuoco, in una piccola tenda che, stanco, poggia la testa su una pietra avvolta da dei panni e si copre con il mantello. Chissà se prenderà sonno con tutte le preoccupazioni che gli passano per la testa. La stanchezza per il cammino, però, prende in lui il sopravvento e si addormenta. Fa così uno strano sogno e sarà proprio in quel sogno che Dio si rivelerà a lui confermandogli le responsabilità che si era assunto e la sua vocazione. Ascoltiamone il racconto, in un frammento del capitolo 28 della Genesi.
“Giacobbe partì da Beer-Sceba e se ne andò verso Caran. Capitò in un certo luogo dove passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, la pose come suo capezzale e si coricò lì. Fece un sogno: una scala appoggiata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; ed ecco gli angeli di Dio, che salivano e scendevano per la scala. L’Eterno stava al di sopra di essa, e gli disse: “Io sono l’Eterno, l’Iddio di Abraamo tuo padre e l’Iddio d’Isacco; la terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza; e la tua discendenza sarà come la polvere della terra, e tu ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione; e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. Ed ecco, io sono con te, e ti guarderò ovunque tu andrai, e ti riporterò in questo paese; poiché io non ti abbandonerò prima di aver fatto quello che ti ho detto”. Appena Giacobbe si svegliò dal suo sonno, disse: “Certo, l’Eterno è in questo luogo e io non lo sapevo!”; ebbe paura, e disse: “Com’è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!”. Allora Giacobbe si alzò la mattina di buon’ora, prese la pietra che aveva posta come suo capezzale, la eresse come pietra commemorativa e vi versò dell’olio sulla cima. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora, il nome della città era Luz” (Genesi 28:10-19).
Con il capo posato su lla pietra della fede
Giacobbe cercava Dio, Colui che aveva fatto un patto con suo nonno Abraamo e suo padre Isacco. Voleva una rassicurazione che Dio l’avrebbe protetto, una conferma della sua vocazione di famiglia, sottoporgli le sue preoccupazioni e perplessità. Dove avrebbe trovato “la porta del cielo”, l’accesso in preghiera a Dio, una “udienza” con Lui? Dorme e sogna e proprio lì Dio, con il capo poggiato su quel duro cuscino, Dio gli si rivela, tanto che egli esclama: “Certo, l’Eterno è in questo luogo e io non lo sapevo!” (Genesi 28:16). Giacobbe così “localizza” la presenza di Dio proprio lì, come facevano i pagani quando la identificavano in un santuario, un tempio o in una “città santa”. Dio non c’era perché il luogo fosse santo; il luogo era santo perché Dio era anche lì – e lui non lo sapeva!
L’eterno Iddio, l’Onnipresente si rivela, nella Sua misericordiosa condiscendenza, come risposta ad un sincero e profondo desiderio di incontrarlo – non importa dove o in quale circostanza. E soprattutto si rivela a un membro del popolo a cui si era legato da un patto, perché Dio è fedele alle Sue promesse. Attraverso il profeta Isaia Dio dice: “Io non ho parlato in segreto: in qualche luogo tenebroso della terra; io non ho detto alla discendenza di Giacobbe: “Cercatemi invano!” (Isaia 45:19). Ancora Dio dice attraverso Isaia: “Cercate l’Eterno mentre lo si può trovare; invocatelo mentre è vicino” (Isaia 55:6). Quello che Giacobbe non sapeva era che Dio gli era vicino e che si sarebbe a lui rivelato quando, umilmente posato il capo sulla pietra della fede (che sicuramente spesso è dura), avesse cercato un sonno ristoratore e risolutore. Giacobbe avrebbe incontrato Dio nella sua umiliazione di fuggiasco allorché egli avesse rimesso a Lui ogni sua preoccupazione. Come dice a noi l’apostolo Pietro: “Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli v’innalzi a suo tempo, gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (1 Pietro 5:6-8).
Riposare su Colui che vede
Dio, presente in ogni luogo e che vede ogni cosa, ha così riguardo dell’afflizione di Giacobbe e sovranamente gli si rivela in quel modo particolare.
Uno dei nomi con il quale Dio si rivela è “Colui che vede” (“El Roì”). Ci è rivelato sempre nel libro della Genesi in riferimento al personaggio di Agar, in fuga dalla sua padrona Sara, moglie di Abramo. Dio vede la sua afflizione e le sue necessità, e la esorta, attraverso la mediazione di un angelo, a ritornare prospettandole la nascita del figlio Ismaele e la discendenza che questi avrebbe avuto. Dopo l’incontro con l’angelo, Agar vi riconosce la presenza di Dio al quale attribuisce il nome di “El-Roi che significa: “Tu sei un Dio che vede” (Genesi 16:13).
Ricordate pure che cosa racconta il vangelo di Giovanni sulla vocazione del discepolo di Gesù Natanaele? Gesù lo aveva “visto” prima ancora che giungesse a Lui. Ascoltiamone il breve racconto perché è rilevante al nostro discorso:
“Filippo trovò Natanaele e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù figlio di Giuseppe, da Nazaret”. E Natanaele gli disse: “Può forse venire qualcosa di buono da Nazaret?”. Filippo gli rispose: “Vieni a vedere”. Gesù vide Natanaele che gli veniva incontro e disse di lui: “Ecco un vero israelita in cui non c’è frode”. Natanaele gli chiese: “Da cosa mi conosci?”. Gesù gli rispose: “Prima che Filippo ti chiamasse, quand’eri sotto il fico, io ti ho visto”. Natanaele gli rispose: “Maestro, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re di Israele”. Gesù rispose e gli disse: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, tu credi? Tu vedrai cose maggiori di queste”. Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico che vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” (Giovanni 1:45-51).
Gesù gli dice così: “Prima che Filippo ti chiamasse, quand’eri sotto il fico, io ti ho visto”. Come poteva averlo visto? Perché Gesù è Dio con noi. Anche nel caso di Natanaele Dio identifica i Suoi e li chiama a Sé. Gesù disse: “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto sia permanente; affinché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, egli ve lo dia” (Giovanni 15:16).
Con il capo posato sul petto di Cristo
Il vangelo di Giovanni, come avete sentito, espressamente si riferisce all’episodio del sogno di Giacobbe per indicare come sia Gesù stesso la “porta di Dio”, “la scala” o “la rampa” attraverso la quale si accede infallibilmente a Dio, il “canale di comunicazione” per eccellenza della Parola di Dio, della Sua Rivelazione. Scartato e nascosto ai più (che cercano altrove) Gesù è “la pietra angolare” su cui dobbiamo “poggiare il nostro capo” per udire le “parole ineffabili” (2 Corinzi 12:2) di Dio. “Egli è la pietra che è stata da voi edificatori sprezzata, ed è divenuta la pietra angolare” (Atti 4:11).
L’evangelista Giovanni, “quello che Gesù amava” ne aveva avuto esperienza diretta quando, durante l’ultima sua cena, egli poggia il capo sul petto di Gesù per poter avere (in quel caso) la rivelazione di chi sarebbe stato a tradire Gesù: “Ora, a tavola, inclinato sul petto di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che Gesù amava. Simon Pietro quindi gli fece cenno di chiedergli chi fosse quello del quale parlava. Ed egli, chinatosi così sul petto di Gesù, gli domandò: “Signore, chi è?” (Giovanni 13:23-25).
Gesù è la via fra cielo e terra
È sprezzato e nascosto ai più, ma “c’è un gran traffico” in Gesù, che congiunge “cielo e terra”, Dio e la creatura umana. Gesù dice espressamente: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6). La comunicazione è “bidirezionale” perché è lì che dobbiamo deporre le nostre preoccupazioni, ansie, perplessità, domande (di qualunque genere) per ricevere la Parola ristoratrice e risolutiva della quale abbiamo bisogno. E sarà proprio lì la via dalla quale passerà la nostra anima per ricongiungerci con Dio alla nostra dipartita da questo mondo. La lettera agli Ebrei dice: “Avendo dunque, fratelli, libertà d’entrare nel santuario in virtù del sangue di Gesù, via recente e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne (…) accostiamoci di vero cuore, con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica dalla cattiva coscienza e il corpo lavato d’acqua pura. Riteniamo fermamente la confessione della nostra speranza, senza vacillare, perché fedele è colui che ha fatto le promesse” (Ebrei 10:19-23).
Dove andate voi per contattare Dio? Dove “poggiate voi il vostro capo”? L’Apostolo scrive: “Non dire in cuor tuo: ‘Chi salirà in cielo?’ (…) né: ‘Chi scenderà nell’abisso?’ (…)”. Ma che dice invece? “La parola è presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore”; questa è la parola della fede che noi proclamiamo, perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato” (Romani 6:6-9).
Era su quella pietra che Giacobbe aveva avuto la sorpresa di incontrare Dio. Sarà pure la vostra?
Paolo Castellina, 15 luglio 2023