Quando diventiamo corresponsabili dei peccati  delle generazioni passate (Luca 11:45-54)

[Servizio di culto completo con predicazione, 60′ 46″]

[Solo predicazione, 29′ 48″]

Celebrazioni ipocrite 

Viviamo in un’epoca che guarda poco indietro nel tempo. Siamo presi dal presente, dal qui e ora, e spesso ci dimentichiamo che la storia ha molto da insegnarci, semmai ce la insegnino correttamente e ci premuriamo di conoscerla… E non è solo una dimenticanza innocente: è un vero problema. Perché, come è stato osservato: “Ciò che abbiamo imparato dalla storia è che non impariamo nulla dalla storia”. E un altro scrittore ha detto: “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”. E aveva ragione!

Siamo oggi chiamati a celebrare le grandi date del passato: la fine di una guerra, una vittoria, una liberazione. Questo è bene, ma… Quando ero studente a Cuneo, si andava con la bandiera della scuola alle celebrazioni della fine della prima guerra mondiale come pure della fine della seconda guerra mondiale e per onorare gli eroi della Resistenza e la vittoria contro la tirannia. Per questo si sospendevano le lezioni. Io vi partecipavo consapevolmente, ma molti dei miei compagni erano solo contenti di non andare a scuola quel giorno e …si ritrovavano invece al bar per divertirsi. Se glielo avessi contestato, avrebbero detto: “Quelle celebrazioni sono solo una grande ipocrisia”. In effetti è difficile pure dare loro torto… Di fatto molti politicanti celebrano la fine della prima e della seconda guerra mondiale, ma, con vari pretesti, ne stanno preparando la terza!

Già… ricordiamo i profeti e i giusti del passato… ma ignoriamo o perseguitiamo quelli del presente. Costruiamo monumenti agli eroi, ma continuiamo a ripetere i peccati che loro hanno denunciato e contro i quali hanno lottato. È come se onorassimo la memoria… solo per avere la coscienza a posto, mentre promuoviamo e viviamo l’opposto. Proprio così: siamo corresponsabili di nuove ingiustizie e tirannie.

La denuncia fatta da Gesù 

Questo fenomeno lo rilevava nel suo tempo il Salvatore Gesù Cristo con parole che ancora ci sconvolgono come quelle riportate dal vangelo secondo Luca al capitolo 11. Ascoltate:

“Allora uno dei dottori della legge, rispondendo, gli disse: “Maestro, parlando così, offendi anche noi”. Ed egli disse: “Guai anche a voi, dottori della legge, perché caricate la gente di pesi difficili da portare e voi non toccate quei pesi neppure con un dito! Guai a voi, perché edificate i sepolcri dei profeti e i vostri padri li uccisero. Voi dunque testimoniate delle opere dei vostri padri e le approvate, perché essi li uccisero e voi edificate loro dei sepolcri. Per questo la sapienza di Dio ha detto: ‘Io manderò loro dei profeti e degli apostoli; ne uccideranno alcuni e ne perseguiteranno altri’, affinché il sangue di tutti i profeti sparso dalla fondazione del mondo sia ridomandato a questa generazione, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso fra l’altare e il tempio; sì, vi dico, sarà ridomandato a questa generazione. Guai a voi, dottori della legge, poiché avete tolto la chiave della scienza! Voi stessi non siete entrati e l’avete impedito a quelli che volevano entrare”. Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a incalzarlo duramente e a fargli domande su molte cose, tendendogli insidie, per cogliere qualche parola che gli uscisse di bocca” (Luca 11:45-54).

Si tratta di una denuncia molto forte. Quando dice che “questa generazione” sarà ritenuta responsabile del sangue dei profeti, non sta solo parlando di un passato remoto. Sta parlando anche di noi. Della nostra tendenza a lavarcene le mani, a dire “non è colpa nostra”, quando invece siamo parte di un’umanità che continua a girare le spalle alla verità e alla giustizia.

Gesù dice: “…il sangue di tutti i profeti, sparso fin dalla fondazione del mondo, sarà chiesto conto a questa generazione: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria” (Luca 11:50-51). Come possiamo spiegare un’affermazione simile? Come può Gesù attribuire alla sua generazione — e implicitamente anche alla nostra — la responsabilità di un peccato commesso da altri, in un passato persino remoto?

La Scrittura non ci insegna forse chiaramente come in Ezechiele 18, che “il figlio non porterà l’iniquità del padre”? Dunque, la responsabilità morale è individuale. Ma allora, Gesù contraddice forse questa verità? O ci sta dicendo qualcosa di più profondo?

La memoria storica come specchio morale 

Per capire meglio, guardiamo alla nostra epoca. Pensiamo a come molti giudicano ancora oggi, per esempio, il popolo tedesco per i crimini del nazismo, o i russi per gli abusi commessi sotto il comunismo. Nessuno, con giustizia, potrebbe dire che un giovane tedesco oggi sia colpevole dell’Olocausto solo per il fatto di essere tedesco, o discriminare i russi di oggi per gli abusi fatti dalla Russia tempo fa. Ma, se quel giovane nega, giustifica o minimizza quei crimini, egli ne diventa moralmente corresponsabile.

Allo stesso modo, non siamo colpevoli solo per appartenere a una certa cultura o tradizione. Ma se partecipiamo agli stessi peccati, se non ci dissociamo apertamente, se li giustifichiamo o li ripetiamo, allora ne diventiamo complici. Così accadeva nella generazione di Gesù.

La denuncia di Gesù: ipocrisia e continuità col male 

Nel passo di Luca 11, Gesù accusa alcuni dei capi religiosi di costruire monumenti ai profeti uccisi dai loro padri. Ma il loro onore postumo è una copertura ipocrita, perché in realtà rifiutavano il messaggio dei profeti esattamente come i loro padri. E non solo: stavano per compiere lo stesso crimine, rifiutando e complottando di uccidere il Figlio di Dio.

Nel parallelo di Matteo 23, Gesù è ancora più esplicito: “Voi testimoniate contro voi stessi, che siete figli di quelli che uccisero i profeti. Colmate dunque la misura dei vostri padri!” (v. 31-32).

La colpa non sta nel fatto di essere figli, ma nel seguire le stesse orme, nel rendere attuale l’antico peccato, nel trasmetterlo invece di spezzarlo.

 Il cuore del problema: la corresponsabilità volontaria 

Secondo la teologia riformata, l’essere umano non è solo peccatore per natura, ma anche attivamente peccatore, cioè responsabile delle proprie scelte. Come afferma Giovanni Calvino: “Non solo ereditiamo la colpa di Adamo, ma vi acconsentiamo ogni giorno, con pensieri, parole e opere” (Istituzione, II.1.8)

L’Apostolo Paolo scrive: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3:23). E ancora: Siccome non si sono curati di ritenere la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati a una mente perversa, perché facessero le cose che sono sconvenienti (Romani 1:28). C’è dunque un consenso personale, una partecipazione attiva al male che condanna anche noi. È come aver ereditato una cospicua fortuna frutto delle rapine dei nostri antenati, ma profittarne come se niente fosse, senza riconoscerne l’ingiustizia e investirle per risarcirle in una qualche misura, anzi, moltiplicarle con nuove ingiustizie sotto false apparenze.

Questa è la corresponsabilità morale: non ereditare semplicemente una colpa, ma ripeterla, giustificarla, non opporvisi.

La teologia cristiana parla di “peccato originale”, la ribellione a Dio ed alle sue leggi buone e giuste, dei nostri progenitori. C’è chi lo minimizza e chi lo nega. C’è chi crede di liberarsene con qualche cerimonia religiosa come una fallace concezione del battesimo. Non è “colpa nostra!” Si sente dire. Ma è una realtà operante in noi e siamo ben contenti di ripeterne la sostanza tanto da esserne del tutto corresponsabili e quindi meritevoli della condanna che comporta. L’opera di Gesù Cristo ce ne salverebbe, ma, quando ci viene presentata ridiamo di essa e la respingiamo. Perfino ci vantiamo delle nostre presunte “virtù” e giustifichiamo noi stessi.

L’apostolo Paolo scrive: Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi sei inescusabile, perché, nel giudicare gli altri, tu condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le stesse cose. Ora noi sappiamo che il giudizio di Dio su quelli che fanno tali cose è conforme a verità. Pensi tu, o uomo che giudichi quelli che fanno tali cose e le fai tu stesso, di scampare al giudizio di Dio? O disprezzi tu le ricchezze della sua bontà, della sua sopportazione e della sua pazienza, non riconoscendo che la bontà di Dio ti conduce al ravvedimento? Tu invece, seguendo la tua durezza e il tuo cuore impenitente, ti accumuli un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio” (Romani 2:1-5). 

La misura colma e il giudizio divino 

Gesù parla di una misura che si colma. Non è solo un’espressione poetica: è la rivelazione di un principio divino. Quando una generazione accumula, perpetua e consacra il peccato di quelle precedenti, Dio manifesta contro di essa il suo giudizio. Questo è ciò che avviene nella distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., come annunziato nei Vangeli: non solo una punizione storica, ma anche una profezia escatologica.

Il peccato collettivo non è punito arbitrariamente. Ma quando i figli si fanno complici dei padri, quando la ribellione diventa tradizione, allora il giudizio si manifesta.

Dio è paziente, ma non indifferente. Quando il peccato si radica nella cultura, quando l’ingiustizia diventa normalità, l’idolatria consuetudine, allora il giudizio divino non tarda a venire. In Genesi 15:16, Dio dice che gli Israeliti entreranno nella terra promessa solo dopo quattro generazioni, perché «l’iniquità degli Amorei non ha ancora raggiunto il colmo». Quando però il peccato diventa sistemico, tramandato, strutturato… allora il tempo della misericordia cede il passo al tempo della giustizia. Così era stato per Israele nel deserto: la loro continua incredulità e ribellione era diventata abitudine, cultura — e non sarebbero entrati nella terra promessa (Numeri 14). E Gerusalemme, che uccide i profeti e non riconosce “il tempo in cui è stata visitata” (Luca 19:44), finisce per non distinguere più la voce di Dio.

Anche oggi la storia si ripete: quando, ad esempio, l’aborto diventa un diritto inviolabile, la menzogna strategia politica, la guerra uno strumento di pace, e persino il nome di Dio viene usato per coprire la violenza — siamo davanti a una ribellione divenuta cultura. E Dio non resta a guardare. Per questo le parole di Gesù sono così forti: perché la generazione che celebra i profeti morti ma rifiuta la verità presente si rende colpevole di tutto il sangue versato.

Cristo come Colui che spezza la catena 

In Romani 5, Paolo mette in parallelo Adamo e Cristo. Come per mezzo di un uomo il peccato è entrato nel mondo, così per mezzo di un altro uomo — Cristo — viene la giustificazione: dove il peccato è abbondato la grazia è sovrabbondata (Romani 5:20).

Cristo è venuto per rompere la catena del peccato, per offrirci non solo perdono, ma anche liberazione dalla complicità con il male. In Lui, possiamo essere spiritualmente rigenerati e dire no alla menzogna, all’ingiustizia, all’idolatria, alla violenza.

Come afferma la Confessione di Fede di Westminster (XV.2): “Non vi è peccato così piccolo da non meritare la dannazione, né peccato così grande che possa superare la grazia di Dio nel ravvedimento sincero.”

Conclusione: La scelta davanti a noi 

Oggi ci viene indubbiamente posta davanti una scelta. Possiamo vivere come figli che ripetono il peccato dei loro padri, magari giustificandolo, travestendolo con buone intenzioni o frasi religiose. Oppure possiamo riconoscere il male, confessarlo, e camminare in una via nuova, in Cristo.

Pensiamo di nuovo al giovane tedesco o russo, e certamente italiano, perché di crimini storici non siamo immuni. Non è colpevole per nascita, ma per scelta: se rifiuta la verità, se giustifica il male, se ripete l’errore. Così è per noi. Non siamo condannati per il peccato dei nostri padri, ma saremo condannati se lo facciamo nostro, se rifiutiamo il ravvedimento.

Gli interlocutori di Gesù nel brano che consideriamo si erano sentiti offesi dalle sue parole. Gesù non parla per offendere, ma per salvare. E per salvare, talvolta bisogna denunciare con verità ciò che è male. Oggi, Egli ci chiama non solo a ravvederci dai nostri peccati, ma anche a spezzare l’alleanza col peccato della nostra generazione.

“Voi colmate la misura dei vostri padri”, dice Gesù con amarezza. Noi possiamo invece fermarci prima che la misura sia colma.

Che Dio ci dia luce per riconoscere il male, coraggio per rinnegarlo, e fede per camminare con Cristo nella giustizia.

Paolo Castellina, 17 aprile 2025