Domenica 21 Marzo 2021- Quinta domenica di Quaresima
Testi biblici:Salmo 51:1-13; Geremia 31:31-34; Ebrei 5:5-10; Giovanni 12:20-33
Quali sono le vostre aspirazioni? Il vocabolario definisce “aspirazione” come “Vivo desiderio di conseguire un fine nobile, o comunque legittimo, da parte di singoli individui, di nazioni, di gruppi sociali: l’aspirazione alla virtù, alla perfezione, al benessere, all’elevazione sociale” come in “…è un giovane pieno di aspirazioni” o “le giuste aspirazioni di un popolo” (Treccani). La prima legittima aspirazione per tutti è quella di vedersi garantita la soddisfazione dei propri bisogni primari come i mezzi di sussistenza (cibo, vestiti, casa, lavoro, salute, buoni rapporti con gli altri, libertà, ecc.). Nella vita, però, questo non basta, anche se, per molti, aspirare a qualcosa di più che soddisfare ai propri bisogni primari “è un lusso”. Quel “di più” nella vita non è un optional. Vi sono cose altrettanto importanti delle cose materiali, se non più importanti. A capovolgere questo concetto è il Salvatore Gesù Cristo, che: “Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in più” (Luca 12:31).
La ricerca di quel “qualcosa di più” (spesso indefinibile) caratterizza ogni creatura umana. E’ forse questo anelito che un giorno, nel racconto del vangelo secondo Giovanni, aveva spinto alcuni greci a chiedere di poter vedere Gesù, ad avere con Lui un incontro privato. Ascoltiamone il testo chiedendoci poi il perché di tale aspirazione e come Gesù vi aveva risposto.
“Or tra quelli che erano saliti ad adorare durante la festa c’erano alcuni Greci. Costoro dunque, accostatisi a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, lo pregarono dicendo: «Signore, vorremmo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea; a loro volta, Andrea e Filippo lo dissero a Gesù. Ma Gesù rispose loro, dicendo: «L’ora è venuta, in cui il Figlio dell’uomo deve essere glorificato. In verità, in verità vi dico: Se il granel di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perderà, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, là sarà anche il mio servo; se uno mi serve, il Padre l’onorerà. Ora l’anima mia è turbata; e che dirò: Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo io sono giunto a quest’ora. Padre, glorifica il tuo nome!». Allora venne una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora». La folla dunque, che era presente e aveva udito la voce, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». E Gesù rispose e disse: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora sarà cacciato fuori il principe di questo mondo. Ed io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me». Or egli diceva questo, per indicare di qual morte egli doveva morire” (Giovanni 12:20-33).
La situazione che il testo descrive, si colloca dopo l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme durante le festività pasquali. Il Suo ingresso in città avviene in modo molto particolare: cavalcando un umile asinello, così come le antiche profezie avevano annunciato per l’arrivo del Messia. La fama di Gesù si era sparsa già dovunque a causa dei grandi segni miracolosi da Lui compiuti, e così una gran folla entusiasta lo accoglie piena di grandi aspettative. Non tutti, però, sono entusiasti dell’arrivo di Gesù. Le autorità sono molto preoccupate, perché, credendo che Gesù fosse un altro falso, fanatico ed illuso “aspirante messia”, temono, “con gran senso di responsabilità” un altro disastro, un ulteriore bagno di sangue per opera degli invasori romani. Non osano, però, intervenire perché, come dice il versetto precedente, a Gesù “il mondo gli corre dietro” (19).
1. “Vedere” Gesù
Che il mondo davvero “corra dietro”, a Gesù è messo ironicamente in evidenza proprio nei primi versetti del nostro testo, dove troviamo, appunto, la richiesta che alcuni greci fanno ai discepoli di Gesù, di poter avere con Lui un colloquio privato. Per soddisfare questo loro desiderio essi si rivolgono a Andrea e Filippo perché questi erano cresciuti in una zona ellenizzata e parlavano greco. Davvero la fama di Gesù aveva travalicato gli stretti confini d’Israele! A quel tempo molti stranieri (come testimoniano gli stessi vangeli) erano attratti dalla fede d’Israele e partecipavano al culto, benché non fossero formalmente integrati nel popolo d’Israele.
I greci erano considerati, nel mondo antico, come gente impegnata alla ricerca della verità ed essi erano sempre disposti ad esaminare tutto ciò che compariva sulla scena del campo scientifico, filosofico e religioso. Per questo ci vien detto nel libro di Atti che: “Tutti gli Ateniesi e i residenti stranieri non passavano il loro tempo in altro modo che a dire o ad ascoltare novità” (Atti 17:21). Niente di negativo in questo, anzi, testimonianza delle loro nobili aspirazioni. Questi greci che avevano chiesto di vedere Gesù, avrebbero trovato in Lui la soddisfazione ultima della loro ricerca, perché lo spirito umano è e sarà sempre inquieto fintanto che non trova comunione con Dio, il suo Creatore. In Gesù avrebbero trovato l’eterno Figlio di Dio, mandato proprio come risposta ultima alle più profonde aspirazioni umane. Non sono “importuni”, quindi, nel volere incontrare Gesù, perché come Lui stesso dirà: “Tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori” (Giovanni 6:37).
Anche oggi molti sono sinceramente alla ricerca della verità. Quando odono il messaggio dell’Evangelo che parla loro di Gesù, a loro pure si rivolge l’appello: “Provate e vedrete quanto il SIGNORE è buono! Beato l’uomo che confida in lui” (Salmo 34:8). Quello di cui prima solo avevano sentito parlare, ora, “vedendolo”, ne hanno esperienza diretta. Erano saliti a Gerusalemme per la festa di Pasqua: incontrando Gesù questa festa non sarà più solo una celebrazione rituale, ma troveranno “la sostanza” della Pasqua. Tanti oggi dicono di essere “alla ricerca della verità”. Provano così piacere a provare “un po’ di questo, un po’ di quello”, fra ciò che offre questo mondo. Paradossalmente, però, “cercano sempre d’imparare e non possono mai giungere alla conoscenza della verità” (2 Timoteo 3:7). Perché? Perché per loro “il bello” è cercare, e non trovare! Come chi pratica la “pesca sportiva” il cui piacere principale è la pesca di per sé stessa. Se tirano su un pesce, lo ributtano in acqua… Così per chi capita di “trovare Gesù”. Sarebbe Lui la risposta al desiderio del loro cuore, ma non chiedono di incontrarlo personalmente. Preferiscono …continuare a cercare!
Il fatto che, in quest’occasione, questi greci fossero venuti a Gesù, diventa pure simbolo ed anticipazione di tutti quei pagani che giungeranno a adorare Dio per mezzo di Cristo. Egli, infatti, è Colui che rivela il vero volto di Dio e Colui che Iddio ha stabilito come mediatore fra Sé stesso ed ogni creatura umana. Attraverso Gesù, si conosce Dio e si realizza un personale e vivo rapporto con Lui: quello di cui tutti avrebbero bisogno per rendere realizzata la loro vita.
Qui è pure indicativo che questi greci, stranieri per gli Israeliti, vedano proprio loro, in Gesù, il compimento della fede d’Israele. Coloro che, invece, avrebbero dovuto vederlo, perché maggiormente familiari con le Sacre Scritture, le autorità religiose israelite, erano cieche a questo fatto o facevano finta di non vederlo. Quante volte succede anche oggi che molti abbiano udito più volte l’Evangelo, ed abbiano in casa più copie della Bibbia, eppure ancora non abbiano ancora “veduto” il Cristo come personale loro Signore e Salvatore.
2. La gloria di Gesù
La risposta di Gesù, quando gli riferiscono della richiesta di quei greci, assume per i Suoi discepoli, e per noi oggi, il valore di una nuova lezione da apprendere.
La prima lezione è sull’universalità della missione di Gesù, destinata a toccare gente d’ogni luogo e tempo. Egli, infatti, prevede l’abbondante raccolto della conversione delle genti al Dio vero e vivente, di cui questi greci sono, in una certa misura, “la primizia”. Gesù dice, infatti: “L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato” ed è come se avesse detto: “Ah, è proprio così? Ma guarda! Dei pagani cominciano a chiedere di me? Allora è davvero giunta l’ora in cui dovrò essere glorificato”. Non era una sorpresa per Gesù, ma un paradosso per coloro che allora Lo circondavano. La diffusione di coloro che sono attirati a Cristo è occasione di grande gloria per il Redentore. Sarebbe venuto il tempo in cui il Cristo sarebbe stato glorificato, e Gesù ne parla con grande esultanza. Gesù disse una volta: “Vi dico che così ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento” (Luca 15:7). Come, infatti, non esultare quando un peccatore apre gli occhi su se stesso, si ravvede, viene a Cristo con fede, ed è così strappato da un destino eterno di condanna e miseria?
In che modo, però, sarà raggiunto quest’entusiasmante risultato? E’ quello che pure Gesù rileva con la Sua risposta. I discepoli di Gesù sembrano molto impressionati dal fatto che il loro Maestro riscuota così tanta fama, non solo fra la loro gente, ma anche all’estero! Essi si sentono molto onorati d’essere discepoli d’Uno che riscuote così tanta fama, d’Uno che “l’intero mondo” glorifica. L’ora della “glorificazione” è giunta, e l’arrivo di questi stranieri ne costituisce un’ulteriore conferma. Che cosa intende esattamente, Gesù per “essere glorificato”? Equivale forse alla “gloria” alla quale molti aspirano in questo mondo? Non proprio: la gloria di Gesù sarebbe passata attraverso l’umiliazione dell’apparente sconfitta, la Sua sofferenza, morte in croce e sepoltura.
La “gloria della Croce” è uno dei paradossi della fede cristiana. Per la maggior parte delle persone, quella morte era considerata la massima umiliazione e sconfitta, ma per Gesù era il mezzo per entrare nella gloria, in ubbidienza a Dio Padre. Com’è possibile? Perché la salvezza ed il perdono che Gesù consegue per i peccatori, non è una “salvezza a buon mercato”. Essa prende in considerazione la serietà della Legge stabilita da Dio sull’intero universo. Il colpevole deve pagare, la giustizia deve essere soddisfatta. Il peccato è uno spaventoso affronto alla maestà ed alla santità di Dio, e comporta la morte del trasgressore. Questo noi meritiamo, perché siamo trasgressori della Legge di Dio. Giunge, però, il Salvatore Gesù Cristo, ed assume Lui stesso, in luogo del peccatore eletto per grazia alla salvezza, la conseguenza ultima del suo peccato. Egli prende il posto del trasgressore, morendo Lui stesso in vece sua. E’ così che Gesù acquisisce “gloria”. E’ questo che Gesù torna ad annunciare anche in questa circostanza ai Suoi perplessi discepoli. L’umiliazione è la via attraverso la quale il Cristo, il Mediatore, deve passare per raggiungere la gloria della risurrezione e dell’ascensione alla destra di Dio.
La stessa parola italiana “umiliazione” deriva dal termine latino “humus”, vale a dire terra, ed è proprio della terra di cui qui parla Gesù, la terra in cui, come un seme, Egli deve cadere, morire ed essere sotterrato, perché solo così il seme può produrre “molto frutto”. Ritenete che la sofferenza e la morte siano negative e da evitare il più possibile? Qui, però, troviamo come questa morte abbia un valore positivo e costruttivo, anzi, come in molti casi la morte sia necessaria, se essa è offerta volontaria di sé stessi, fatta con amore e per amore! Perché possa avvenire il raccolto, è necessaria una morte. Il seme è posto nella terra, lì si dissolve, come tale scompare. Dalla sua scomparsa, però, viene generata una piantina che cresce, fino a innalzarsi verso il cielo e produrre frutti. Non si piange la scomparsa e “lo spreco” di un seme, “gettato via” nella terra, ma ci si rallegra della sua scomparsa, perché senza di essa non si potrà ottenere alcuna pianta ed alcun frutto. La morte di Gesù in croce apre le porte della salvezza per gente d’ogni epoca e nazione, rendendola possibile e certa.
3. Sacrifici produttivi
Che il concetto di “morte utile e produttiva” sia un principio universale, valido sempre, è messo in chiara evidenza dalle stesse parole di Gesù che seguono.
La similitudine del seme di frumento illustra, per Gesù, un principio generale: dalla morte, a certe condizioni, può nascere la vita. E’ la dedizione completa e sacrificale alla missione affidatagli da Dio Padre, che Gli permetterà di raggiungere il Suo obiettivo: la salvezza eterna di molti. Accade sempre: pensate, ad esempio, al contadino: è attraverso un duro lavoro che alla fine potrà ottenere “molto frutto”, un buon raccolto. Gesù, infatti, dà completamente se stesso per “raccogliere” alla fine la salvezza degli eletti. Lo stesso principio, così deve valere per i Suoi discepoli: “Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna” (25). Il discepolo deve “odiare la sua vita in questo mondo”, vale a dire essere talmente dedicato a Cristo da mettere le cose di questo mondo in secondo piano, e persino, se necessario, rinunciare ad esse, se questo vuol dire conseguire ciò che è gradito a Dio. Il discepolo di Cristo deve essere pronto a “odiare la sua stessa vita”, il suo comodo, il suo tornaconto ed interesse immediato. Talvolta è proprio non considerando per nulla i nostri interessi, che noi, alla fin fine, possiamo davvero servirli. Trascurare i nostri interessi immediati, può significare garantirci quelli ultimi e ,permanenti. Molti sono così affaccendati a garantirsi beni terreni e transitori, tanto da pregiudicarsi quelli celesti e permanenti. Chi è tanto “innamorato” del mondo tanto da respingere Cristo, alla fin fine perde tutto. Chi, invece, investe la Sua vita nei beni spirituali ed eterni, checché ne pensi o ne dica il mondo, sarà colui che alla fine, avrà guadagnato più di tutti! Il cristiano “muore a se stesso”. Coloro che sono tutti assorbiti dagli interessi della vita sulla terra e servono solo sé stessi, non otterranno ciò che sperano, e andranno incontro a bancarotta morale e spirituale, mentre coloro che sanno staccarsi dagli interessi mondani, relativizzandoli, per concentrarsi nell’adempimento della volontà di Dio per loro, raggiungeranno, attraverso l’opera di Cristo, alla vita significativa ed eterna. Si tratta di un paradosso la cui verità si potrà comprendere solo ponendosi con fedeltà al servizio di Cristo e rimanendo in comunione con Lui. Per servire Gesù bisogna seguirlo: qualunque cosa esso significhi.
4. Un premio sicuro
Il sacrificio di se stessi, per amore di Cristo e del prossimo, sarà ampiamente ricompensato, dice il versetto finale: “Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà” (26). Chi è pronto a seguire Gesù nell’umiliazione di questo mondo, sarà pure con Lui nell’onore e nella gloria! L’apostolo Paolo scrive: “Certa è quest’affermazione: se siamo morti con lui, con lui anche vivremo; se abbiamo costanza, con lui anche regneremo” (2 Timoteo 2:11-13).
Qual è la ricompensa che Gesù promette ai Suoi servitori? La gioia della comunione con Lui! Essi saranno felici con Lui: Gesù intende, senza dubbio, l’essere con Lui in paradiso. Cristo parla della gioia del cielo, come se già vi si trovasse, dice: “Dove io sono” perché di questo era sicuro ed a questo era vicino. La stessa gioia e gloria Egli considera ricompensa sufficiente per tutti i servizi e sofferenze che Egli propone ai Suoi servitori. Coloro che Lo seguono su quella alla fine saranno con Lui. Com’è, infatti, possibile essere con Lui un giorno, nella gloria del paradiso, se, in questo mondo, noi non l’abbiamo seguito per la via sulla quale Egli camminava? Essi saranno, poi, onorati da Dio Padre, il quale compenserà le loro sofferenze e perdite conferendo loro onore, ben di là da quanto quelli del mondo si aspettano di ricevere. Il premio è l’onore, vero e durevole onore, il più alto onore, quello che proviene da Dio. Coloro che onorano Cristo saranno onorati da Dio. Coloro che onorano Cristo accettano di essere umiliati e sviliti dal mondo: a tempo debito saranno compensati.
Che cosa è avvenuto a quei greci di cui il nostro testo parla, non ci è detto, ma abbiamo le basi per essere certi che presso Cristo hanno trovato la risposta ultima e più soddisfacente alle loro aspirazioni. Hanno trovato il senso ultimo della loro vita, come vivere e come morire in comunione con Dio. Hanno trovato la certezza che, con Lui, la vita non sarà mai sprecata, ma fruttuosa e dal valore eterno. In Cristo le loro sante e giuste aspirazioni sono state soddisfatte. Questo vale per me e per tutti voi. E’ la testimonianza della Scrittura, eterna Parola di verità. E’ la testimoniamza di innumerevoli persone di ogni tempo e paese. Che pure possa essere la vostra.
Riduzione di una mia predicazione del 28/3/2003