Domenica 21 Gennaio 2024 – Terza Domenica dopo l’Epifanìa
(Servizio di culto completo con predicazione, 47′ 10″).
(Solo predicazione, 28′ 09″)
Cause perse?
Ci sono persone, fra le quali potrei identificarmi in parte anche io, che sono definite “avvocati di cause perse”. Questa è un’espressione italiana che si riferisce ironicamente a un avvocato che sembra rappresentare solo clienti destinati a perdere le loro cause in tribunale, come spesso avviene per gli “avvocati di ufficio” che vengono assegnati ad imputati che non possono permettersi di pagarne uno. Ci sono diversi film che illustrano umoristicamente questi casi. L’espressione “essere avvocato di cause perse” indica in genere ironicamente la scelta di difendere o sostenere cause che sembrano avere poche possibilità di successo o che appaiono come inevitabilmente destinate alla sconfitta, l’idea di dedicarsi a impegni o battaglie apparentemente senza speranza.
In realtà, dietro questa espressione si cela spesso un elemento di sfida, idealismo o volontà di combattere per principi o valori che potrebbero essere trascurati o sottovalutati, oppure cause che, nonostante apparenze contrarie, col tempo si riveleranno vincenti. Un avvocato di cause perse potrebbe essere motivato dalla convinzione che ogni causa meriti difesa, indipendentemente dalle probabilità di successo, al fine di dare voce a ideali importanti o di promuovere cambiamenti sociali. Questa scelta può essere vista come una manifestazione di coraggio e determinazione nel perseguire ciò che si ritiene giusto, anche quando gli altri potrebbero scoraggiare o dubitare della validità della causa. Quindi, ironicamente, dietro il concetto di “avvocato di cause perse” si cela un forte impegno etico e una fiducia incrollabile nelle ragioni sostenute, nonostante le apparenze iniziali possano suggerire il contrario.
In un mondo come il nostro, dove il male sembra sempre prevalere, “valori nobili” come la pace, la giustizia, la concordia, o il rispetto dei diritti umani, sembrano ideali irraggiungibili, appunto “cause senza speranza”. Il credere negli “ideali del progresso”, infatti, sempre di più lascia oggi spazio a scenari di ritorno alla barbarie, morte e distruzione. Siamo passati dalle utopie alle distopie.
Impegnarsi politicamente, socialmente ed anche religiosamente potrebbe portare allo scoraggiamento, al perdersi d’animo, abbandonando fatalisticamente ogni coinvolgimento personale, soprattutto di fronte a ripetute delusioni, derisione e cinismo. “Che vada come vada, io mi ritiro” dicono molti.
La tentazione allo scoraggiamento
Ecco così come anche la causa del Regno di Dio, quella nella quale ci chiama ad impegnarci il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, sembra spesso ad alcuni che cadono nel pessimismo, una “causa persa”, che non ne valga la pena. La tentazione allo scoraggiamento, però, era ben presente anche agli apostoli di Cristo, che non di rado ne facevano essi stessi esperienza. Contro questa permanente tentazione essi ammonivano i primi cristiani, ne davano le motivazioni come pure la cura, perché non ce n’è motivo.
Ascoltiamo un testo biblico dell’apostolo Paolo dalla sua epistola ai cristiani della Galazia, al capitolo 6 dal versetto 7 all’11.
“7Non vi ingannate: non ci si può beffare di Dio, poiché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà. 8Perché chi semina per la propria carne, mieterà dalla carne corruzione, ma chi semina per lo Spirito, mieterà dallo Spirito vita eterna. 9E non ci scoraggiamo nel fare il bene, perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo. 10Così dunque, finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma specialmente ai fratelli in fede. 11Guardate con che grosso carattere vi ho scritto, di mia propria mano” (Galati 6:7-11).
Di questo testo ci concentreremo in particolare sul versetto 9 che dice: “E non ci scoraggiamo nel fare il bene, perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo”.
Due modi di vivere con le loro conseguenze
Notiamo in primo luogo come ogni azione umana comporti sempre delle conseguenze, sia in bene che in male. L’Apostolo guarda all’agire umano come ad un seminare. Questo suggerisce un’azione intenzionale, indicando che le persone hanno una scelta nel modo in cui conducono la propria vita. Dal seme che si semina nascerà una pianta, essa produrrà dei frutti e quindi ne avremo un raccolto: “Non vi ingannate: non ci si può beffare di Dio, poiché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà” (7). Nulla avviene “per caso”. Dio ha stabilito nel creato la legge di causa ed effetto o principio di casualità [1].
L’Apostolo, poi, dice che le azioni delle creature umane, le loro “seminagioni”, possono avvenire secondo due princìpi: secondo “la carne” oppure secondo “lo Spirito”: “Perché chi semina per la propria carne, mieterà dalla carne corruzione, ma chi semina per lo Spirito, mieterà dallo Spirito vita eterna” (8). Nel pensiero di Paolo specialmente, tutte le parti del corpo costituiscono una totalità conosciuta come “la carne” (σάρξ), che è corrotta e dominata dal peccato a tal punto che nessuna cosa buona può provenire da essa se non per singolare provvidenza di Dio. La “carne” è caratterizzata da desideri, passioni e concupiscenze che si contrappongono a ciò che è giusto davanti a Dio ed al movimento del Suo Spirito: “Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra loro, in modo che non potete fare quello che vorreste” (Galati 5:16-17). Già l’Antico Testamento insegnava: “Chi semina iniquità miete sciagura” (Proverbi 22:8). “Poiché costoro seminano vento e raccoglieranno tempesta; la semenza non farà stelo, i germogli non daranno farina (…) Voi avete arato la malvagità, avete mietuto l’iniquità, avete mangiato il frutto delle menzogne” (Osea 8:7; 10:13).
Tutto questo priva la creatura umana, nella condizione in cui oggi si trova, di ogni capacità di meritarsi alcunché davanti a Dio se non la Sua giusta condanna, di conseguire quella giustizia che la renderebbe accettabile agli occhi di Dio. Vivere “secondo la carne” genera inevitabilmente corruzione e morte. L’apostolo dice: “Ora le opere della carne sono manifeste e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, gozzoviglie e altre simili cose circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio” (Galati 5:19-21).
In che modo, però, la creatura umana potrebbe ottenere risultati diversi da quelli? Affidandosi alla Persona ed opera del Signore e Salvatore Gesù Cristo. Difatti: “Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze” (Galati 5:24). In Cristo e con Cristo riceviamo del Suo Spirito e … “Il frutto dello Spirito (…) è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:22). Dunque, “Seminare per la carne” si riferisce a vivere in conformità con desideri mondani, egoismo e inclinazioni peccaminose, ma “seminare per lo Spirito” implica una vita guidata dai principi dello Spirito, quella che porta ad un raccolto di vita significativa ed eterna.
Lo scoraggiamento e come vincerlo
Se abbiamo dunque ben presente davanti a noi questo principio comprenderemo la realtà di questo mondo, perché le cose sono come sono. Sapremo pure che l’unico modo per evitare corruzione e morte è ricevere la grazia dello Spirito di Cristo e vivere condotti da esso. Il futuro del mondo può essere e sarà diverso solo su quella base, come dice il versetto seguente: “E non ci scoraggiamo nel fare il bene, perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo” (9): il raccolto di vita e di pace sarà sicuro su quella base, perché il Regno di Dio, grazie a Lui, trionferà. Questo ci permette di non scoraggiarci mai, non stancarci mai, di non venire meno nell’animo in nessuna circostanza, di perseverare perché la vittoria di Dio in Cristo è certa.
Eppure capita che spesso ci sentiamo esausti, esauriamo le nostre forze nel fare ciò che è bene – non è vero? Talvolta “non abbiamo più benzina nel serbatoio” o, come dice la Scrittura: “veniamo meno nell’animo”, perdiamo di forza e determinazione, perdiamo fiducia e coraggio.
Ci sono diversi motivi per cui una persona può perdere fiducia e coraggio, come per esempio: (1) Tradimento e delusione. Essere traditi da una persona di fiducia, o persino da una comunità cristiana, può far perdere fiducia nelle relazioni umane e minare il coraggio di fidarsi degli altri come nel successo stesso della causa di Cristo. (2) Cattivi risultati. Fare l’esperienza di fallimenti ripetuti può minare la fiducia in sé stessi e nel divino potenziale, portando a una perdita di coraggio nel perseguire obiettivi futuri. (3) Critiche costanti. Essere soggetti a critiche costanti e demotivanti da parte di altri può minare la fiducia in sé stessi e ridurre il coraggio di esprimere le proprie opinioni o perseguire determinati fini. (4) Esperienze traumatiche come abusi, violenze o incidenti gravi possono minare profondamente la nostra fiducia e il nostro coraggio. (5) La mancanza di sostegno sociale e il sentirsi soli possono portare a una perdita di fiducia e coraggio nel rapportarsi con gli altri e affrontare le sfide quotidiane. Questi sono solo alcuni esempi, e le ragioni per cui una persona può perdere fiducia e coraggio possono essere molteplici e complesse.
Era però anche l’esperienza stessa degli apostoli e delle prime comunità cristiane. Ciononostante l’Apostolo ci dice: “Quanto a voi, fratelli, non vi stancate di fare il bene” (2 Tessalonicesi 3:13). Qualcuno ha scritto: “Il servo che aspetta la venuta del suo Signore deve lavorare come il suo Signore gli ha ordinato. Se siamo oziosi, il diavolo e un cuore corrotto ci troveranno presto qualcosa da fare (…) Continuate il vostro cammino e tenetelo fino alla fine. Non dobbiamo mai arrenderci o stancarci nel nostro lavoro. Ci sarà tempo per riposare quando arriveremo in cielo!
Anche Gesù stesso ci dice: “Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi” (Luca 18:1). Perché? Perché il Signore è fedele alle Sue promesse e, facendo noi uso fedele dei mezzi della grazia, vedremo anche a suo tempo le risposte di Dio alle nostre preghiere.
Ascoltate poi che cosa scrive l’apostolo Paolo nella sua seconda lettera ai cristiani di Corinto: “Perciò, avendo questo ministero in virtù della misericordia che ci è stata fatta, noi non veniamo meno nell’animo, ma abbiamo rifiutato le cose nascoste e vergognose, non procedendo con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma mediante la manifestazione della verità raccomandiamo noi stessi alla coscienza di ogni uomo davanti a Dio (…) Perciò noi non veniamo meno nell’animo ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Corinzi 4:1-2; 4:16).
L’apostolo Paolo avrebbe avuto ben motivo di scoraggiarsi nell’adempimento della missione che Dio gli aveva affidato ed era stato persino tentato ad abbandonarla come una “causa persa”, sforzi inutili. Egli contrappone il suo apparente fallimento al successo di falsi apostoli. Questi ultimi, infatti, non avevano scrupoli a “fargli concorrenza” perseguendo fama personale, potere e profitti. Come lo facevano? Facendo appello alle voglie carnali della gente promettendo loro benefici immediati con l’inganno delle loro indubitabili abilità retoriche. L’Apostolo, però, “non predicava sé stesso” ma annunciava e viveva la verità con assoluta integrità. Da questo non si sarebbe smosso. Inoltre, nello svolgimenti della sua missione l’apostolo era sottoposto ad ogni sorta di tribolazioni, perplessità, persecuzioni e battiture, come pure l’abbandono di chi credeva essergli amico. Egli diceva: “… siamo sempre esposti alla morte per amore di Gesù” (4:11). Il suo “uomo esteriore”, oltre tutto, si andava “disfacendo” con l’avanzare dell’età, debolezza, malattia e varie infermità. Con tutto questo, però, egli non si perdeva d’animo, non si scoraggiava.
L’Apostolo usa l’esempio della bilancia: su un piatto metteva le molte difficoltà di ogni genere che doveva affrontare, e sull’altro piatto “il peso eterno di gloria” che era maggiore del primo, “sapendo che colui che risuscitò il Signore Gesù risusciterà anche noi con Gesù e ci farà comparire con voi alla sua presenza” (4:14). Il suo sguardo era fisso “alle cose che non si vedono (…) mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne” (2 Corinzi 4:18).
Il “venir meno nell’animo” non era solo dell’apostolo, ma anche della comunità cristiana consapevole delle grandi difficoltà patite dall’apostolo e da molti altri cristiani. Nella lettera ai cristiani di Efeso egli scrive loro: “Vi chiedo, perciò, che non veniate meno nell’animo a causa delle tribolazioni che io patisco per voi, poiché esse sono la vostra gloria” (Efesini 3:13). L’apostolo è preoccupato che i credenti non si scoraggino e non si affloscino di fronte alle sue tribolazioni, piuttosto che per quello che lui stesso ha dovuto sopportare. Sottolinea l’importanza della forza dello Spirito di Dio “nell’uomo interiore”; la forza nell’anima; la forza della fede, per servire Dio e fare ciò che è giusto, sempre. Se la legge di Cristo è scritta nei nostri cuori e l’amore di Cristo vi è diffuso, allora Cristo vi abita. In Lui troviamo la nostra forza, nelle multiformi dimensioni del Suo amore per noi. Coloro che ricevono grazia su grazia dalla pienezza di Cristo, possono dirsi riempiti della pienezza di Dio. Tutto questo ci permette di perseverare senza essere turbati dalle circostanze temporanee.
Come Gesù
È facile, dunque anche per i seguaci di Gesù scoraggiarsi. La vita può abbatterci e possiamo affrontare l’opposizione se facciamo del bene. Può sembrare che stiamo facendo tutto questo duro lavoro per niente. La stanchezza nel fare il bene è un pericolo costante. Paolo esorta i suoi lettori a non perdersi d’animo, a non stancarsi nel fare il bene. Anche se potrebbe sembrare che il bene che facciamo sia vano, non lo è. I propositi di Dio prevarranno.
Ogni tanto come durante una gara vedremo la persona davanti guardarsi indietro per vedere dove si trova il corridore più vicino a lui. Ma così facendo rallentiamo. Molti corridori hanno perso la posizione perché hanno distolto lo sguardo dal traguardo. Allo stesso modo, molti cristiani hanno distolto lo sguardo dal premio dell’eternità. Guardiamo alle nostre spalle ciò che il mondo ha da offrire. E cosa succede? Rallentiamo. Non si può correre a tutta velocità guardando indietro. Ciò che è peggio per i seguaci di Gesù è che spesso ci distraiamo. Quando ci sentiamo stanchi e affaticati concentriamoci sul premio che ci aspetta; la gloria di Dio e di chi Gli appartiene.
Fai del bene continuamente, dice l’apostolo. Gesù ha fatto questo. Non si stancava mai di fare il bene. Mentre stava morendo aveva ordinato a Giovanni di prendersi cura di Maria, sua madre. Incoraggiava i suoi discepoli quando erano ansiosi, mostrando così la sua preoccupazione per il loro benessere mentale. Al ladrone sulla croce parla del Paradiso, mostrando così la sua preoccupazione per l’anima del ladrone morente. Gesù viveva ed è morto facendo del bene alle persone. Soprattutto Gesù è morto con l’aspettativa di un raccolto. Il profeta Isaia diceva: “Egli vedrà il frutto del tormento della sua anima e ne sarà saziato”. (Isaia 53:11) Stava parlando di Gesù. Gesù sopportò la croce, disprezzando la vergogna, e vide la gioia posta davanti a lui. Noi condivideremo la gioia di Gesù. Dovremmo aspettarci “un buon raccolto” mentre andiamo in giro facendo il bene. Noi seminiamo semi di bontà. Proprio come Gesù si è rivolto agli ebrei e ai gentili, così anche noi dobbiamo cercare di fare del bene a tutti. Paolo insegna che dovremmo fare del bene “a tutti” (Galati 6:10), ma soprattutto ai compagni credenti. Paolo parla dei credenti come della famiglia della fede.
Quando facciamo il bene stiamo seguendo il nostro Signore Gesù che “è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui” (Atti 10:38). Noi suoi discepoli seguiamo il suo esempio. Non stanchiamoci di fare il bene. Dio non si è mai stancato di farci del bene. Ha tollerato la nostra incredulità e ribellione. Ha operato un’opera di grazia nei nostri cuori portandoci alla fede in Cristo. Se Dio non ha mai cessato di farci del bene, non stanchiamoci di fare del bene a tutti. Pertanto: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli». (Matteo 5:16).
Nota
[1] La legge di causa ed effetto, anche conosciuta come principio di causalità, è un concetto fondamentale in diversi campi, tra cui la filosofia, la scienza e la metafisica. Questo principio afferma che ogni evento è causato da un precedente evento, e che ogni causa produce un effetto. In altre parole, nulla accade senza una ragione o una causa che lo precede. Questo principio è alla base della comprensione del funzionamento del mondo naturale e dell’universo.
Paolo Castellina, 13 Gennaio 2024
“La vittimizzazione è il grande killer della responsabilità personale. Finché dai la colpa ai tuoi genitori, al tuo coniuge, alla tua chiesa, al tuo capo, al tuo lavoro, ai politici, alla femminilizzazione, al socialismo, all’economia digitale, al dominio maschile, al razzismo sistemico, all’azione affermativa, al tuo aspetto, alla tua personalità, alla tua età , la tua intelligenza, il tuo status socioeconomico, ecc. – rimarrai nella tua abissale situazione. Esci dalla tua situazione difficile quando smetti di incolpare tutti e tutto il resto e inizi a incolpare te stesso” (A. P. Sandlin).