Domenica 2 agosto 2020 – Nona Domenica dopo Pentecoste
Il cristiano, la cui fede è nutrita da quanto insegnano le Sacre Scritture, sa d’avere un debito permanente di onore e di riconoscenza verso il popolo ebraico. Innumerevoli ne sono le ragioni bibliche – ed è quello che esaminiamo quest’oggi commentando il testo di Romani 9:1-5
Letture bibliche: Salmo 17; Genesi 32:22-31; Romani 9:1-5; Matteo 14:13-21
Il cristiano ha un debito di particolare riconoscenza verso il popolo ebraico nel quale, come credenti in Cristo Gesù, secondo il Nuovo Testamento, noi siamo stati spiritualmente innestati. Davvero essi sono i nostri “fratelli maggiori” e intendiamo onorarli, indipendentemente dal fatto che, per il momento, la maggior parte di essi non riconosca in Gesù di Nazareth l’atteso Messia o non si dimostri fedele al patto che Dio ha stabilito con loro. Come si esprime l’apostolo Paolo in Romani 11, essi sono e rimangono la radice stessa che porta noi – “rami” cristiani dello stesso albero. Non sempre, però, purtroppo, nel corso della storia, i cristiani hanno onorato gli israeliti come avrebbero dovuto. Spesso i cristiani si sono comportanti con loro come Caino che uccide il fratello Abele – e a nostra inescusabile vergogna. Questa latente avversione verso gli Israeliti spesso rimane a tutt’oggi presso alcuni cristiani con pretesti diversi ed è sostenuta dalla falsa persuasione che la Chiesa avrebbe sostituito gli ebrei nei progetti di Dio. Cosa palesemente errata, perché, come dice Romani 11:2 e seguenti: “Dio non ha rigettato il suo popolo, che ha preconosciuto”. Come illustra quel capitolo, anche nel loro indurimento c’è uno scopo e un giorno “tutto Israele sarà salvato come sta scritto: ‘Il liberatore verrà da Sion, e rimuoverà l’empietà da Giacobbe’” (11:26). Perché? Perché Dio è fedele alle sue promesse di grazia e non le ritratta.
Il patriarca Giacobbe, nella Bibbia, è figura del popolo ebraico. E’ Dio stesso che gli cambia il nome trasformandolo in Israele, come illustra il racconto della Genesi che parla della lotta di Giacobbe al torrente Jabbok con un misterioso personaggio che rappresenta Dio stesso. Come sta scritto: “L’altro gli disse: «Qual è il tuo nome?» Ed egli rispose: «Giacobbe». Quello disse: «Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto» (Genesi 32:27-28). Come meglio traduce in italiano il Diodati: “Tu non sarai più chiamato Giacobbe, anzi Israele; conciossiachè tu sii stato prode e valente con Dio e con gli uomini, ed abbi vinto”. Giacobbe aveva infatti combattuto contro Dio, anzi, con Dio, ed aveva prevalso, anche se di questa lotta ne avrebbe continuato a portarne i segni. Quello sconosciuto, infatti, lo aveva colpito all’articolazione del femore, che si era permanentemente slogata, e questo per essere segno del suo carattere, che Dio aveva dovuto piegare e sottomettere.
Giacobbe – Israele, dunque, che come fanno tanti personaggi biblici illustrano il nostro carattere ostinato; persone che per grazia, cioè immeritatamente, Dio elegge, trasforma e utilizza, per portare avanti i suoi progetti di salvezza.
Perché dobbiamo continuare ad onorare gli Israeliti come popolo particolare? I motivi sono tanti e consistenti, come illustra l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani. Al capitolo 9, dopo aver espresso la sua profonda tristezza perché la maggior parte del popolo di Israele ha respinto Gesù di Nazareth, che è il loro atteso Messia, elenca diversi motivi per i quali – ciononostante – dobbiamo continuare ad onorarli. Egli scrive:
“Io dico la verità in Cristo, non mento, perché me lo attesta la mia coscienza nello Spirito Santo; ho grande tristezza e continuo dolore nel mio cuore. Infatti desidererei essere io stesso anatema e separato da Cristo per i miei fratelli, miei parenti secondo la carne, che sono Israeliti, dei quali sono l’adozione, la gloria, i patti, la promulgazione della legge, il servizio divino e le promesse; dei quali sono i padri e dai quali proviene secondo la carne il Cristo che è sopra tutte le cose Dio, benedetto in eterno. Amen” (Romani 9:1-5).
Paolo riconosce quanto il cristiano sia in debito verso gli Israeliti, ne è riconoscente e rende loro un tributo di onore, e lo fa mettendo in evidenza chi sia il popolo di Israele nel suo insieme, dalla prospettiva di Dio stesso. Vediamo meglio.
(a) Ad Israele appartiene “l’adozione“. Iddio stesso proclama: “Israele è mio figlio,
il mio primogenito” (Esodo 4:22). E’ Dio stesso, infatti, che ha scelto il popolo di Israele rendendolo suo figlio adottivo affinché fosse in questo mondo lo strumento privilegiato dei Suoi eterni propositi e nel cui ambito sorgesse il Salvatore Gesù Cristo. A tanti oggi non piacciono le scelte di Dio come la Bibbia chiaramente le afferma. Le considera una sorta di discriminazione verso altri… Non ci è lecito, però, sindacare ciò che Dio fa – perché è sempre buono e giusto per principio – che lo comprendiamo oppure no. In ogni caso, Dio sceglie qualcuno non perché se lo meriti. In questo mondo corrotto dal peccato, nessuno merita alcunché se non una giusta condanna. Dio fa le sue scelte per sola grazia, così come ogni credente in Cristo è salvato per grazia – cosa che non dipende da noi in alcun modo. Noi così onoriamo Dio ed onoriamo gli Israeliti, i primi ad essere stati adottati da Dio.
(b) Ad Israele appartiene “la gloria” di Dio. E’ in mezzo all’assemblea di Israele che
anticamente Dio si compiaceva di manifestare la Sua gloriosa presenza. In nessun altro luogo “la gloria del SIGNORE riempiva la casa del SIGNORE” (1 Re 8:11). Prima in una peregrinante tenda e poi nel tempio di Dio edificato in Gerusalemme, Dio manifestava la sua gloria. Gerusalemme era la città dove Dio ha scelto di manifestarsi, prima nelle varie sue teofanie e poi in Gesù Cristo. Sarà lì dove pure si manifesterà il ritorno del Signore: “aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro, Gesù Cristo” (Tito 2:13). Onoriamo dunque il luogo dove si è manifestata e si manifesta la gloria di Dio, Gerusalemme, e gli Israeliti a cui appartiene.
(c) Ad Israele appartengono i patti. Dio, infatti, si era compiaciuto più volte di
legarsi al Suo popolo con specifici patti (o alleanze) in cui Egli stesso si impegnava verso di loro (v. Ge. 15:18; 2 Sam 7:12-16; Gr. 31:31-34). I patti che Dio stabilisce hanno un valore permanente. “Riconosci dunque che l’Eterno, il tuo DIO, è DIO, il Dio fedele, che mantiene il suo patto e la sua benignità fino alla millesima generazione verso quelli che lo amano e osservano i suoi comandamenti” (Deuteronomio 7:9). Onoriamo Israele perché è a quel popolo che Dio si è legato con un patto al quale Egli rimane fedele, così come la terra che per precisa promessa di Dio, rimarrà per sempre di Israele, com’è scritto: “E a te, e alla tua discendenza dopo di te, darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, in proprietà per sempre; e sarò il loro DIO” (Genesi 17:8).
(d) Ad Israele appartiene “la promulgazione della legge“. E’ ad Israele, infatti, che Iddio ha affidato la custodia della Sua legge, i Suoi comandamenti, regola buona e giusta perché, osservandola, potessero avere una vita sana e felice (v. Es. 20). Attraverso di loro questa legge è stata consegnata al mondo intero, ed essa ha ispirato gran parte delle legislazioni moderne ed è criterio di giustizia e equità. La Legge di Dio, data ad Israele, il mondo ha sempre cercato si alterarla, sostituirla o cancellarla, ma, se lo fa, lo fa solo a suo danno. Il Signore Gesù stesso ha detto: “Non pensate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti; io non sono venuto per abrogare, ma per portare a compimento” (Matteo 5:17). Quella Legge Dio l’ha data in custodia al popolo di Israele. Noi lo onoriamo perché ad esso Dio ha affidato la Sua legge.
(e) Ad Israele appartiene “il servizio divino“. Iddio non solo ha rivelato ad Israele
sé stesso, ma pure il modo in cui Egli vuole essere onorato con il culto. Ogni minimo dettaglio del culto di Dio dato ad Israele è importante perché quello, e non altri, prefigura la vicenda e il sacrificio ultimo del Cristo. Inoltre, l’adorazione ed il culto di Dio, infatti non è più cosa che possa essere lasciata al nostro arbitrio, ma qualcosa che Egli ha stabilito rivelandola ai profeti di Israele, Mosè in primis, e poi agli apostoli di Cristo, tramite il loro messaggio ed esempio. Potremmo noi ignorare che Iddio a loro ha rivelato come Egli voglia essere onorato? Onoriamo gli Israeliti perché ad essi è stato rivelato il servizio divino.
(f) Ad Israele appartengono “le promesse“. E’ ad Israele che Iddio ha rivelato ciò
che Egli ha in serbo per questo mondo, e soprattutto la via per la salvezza dell’umanità dal peccato e da tutte le sue conseguenze: attraverso la persona e l’opera del Cristo. Egli, infatti, ha fatto conoscere prima di tutto ad Israele: “…il mistero della sua volontà secondo il suo beneplacito, che egli aveva determinato in se stesso, per raccogliere nella dispensazione del compimento dei tempi sotto un sol capo, in Cristo, tutte le cose, tanto quelle che sono nei cieli come quelle che sono sulla terra” (Efesini 1:9,10). Potremmo mai disprezzare o ignorare ignorare ciò che Iddio ha stabilito di realizzare attraverso Israele? No di certo.
(g) Ad Israele appartengono “i padri” della fede biblica. Dove altrimenti, infatti, potremmo trovare i modelli di fede e di condotta che ci indicano quali siano le persone che a Dio sono gradite? Nella storia religiosa di Israele: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, ecc. In positivo o in negativo, sono loro “le lezioni” che Dio ci dà per ammaestrarci in ciò che è giusto davanti a Dio, e nessun altro. E’ presso di loro che noi troviamo i nostri modelli di salvezza. “Infatti tutte le cose che furono scritte in passato furono scritte per nostro ammaestramento, affinché mediante la perseveranza e la consolazione delle Scritture noi riteniamo la speranza” (Romani 15:4). I patriarchi del popolo di Israle sono pure i nostri padri della fede, padri del popolo in cui noi stessi siamo stati innestati per fede. Potremmo forse ignorarli?
(h) Ad Israele appartiene il Cristo, Gesù di Nazareth, nostro Signore e Salvatore. Quello che fin ora abbiamo rilevato è già molto importante, ma c’è una cosa ancora più grande di questa, per la quale noi dovremmo onorare Israele: ad Israele appartiene il Cristo, il fatto che il nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo, umanamente sia stato proprio un Israelita, un ebreo. Egli non è, per altro, un israelita fra i tanti, ma “sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno”. Iddio stesso, Creatore del cielo e della terra si è compiaciuto, per la nostra salvezza, di assumere umanità nella persona di un Israelita. Non è questo, forse, stupefacente? Per alcuni questo è intollerabile, ma non basterebbe solo questo per ispirarci un senso di alto rispetto per tutto ciò che Israele è e rappresenta? Sicuramente. Onestamente: potreste ignorare tutto questo?
Come cristiani, dunque, onoriamo gli Israeliti e ne siamo riconoscenti, perché è proprio tramite loro che la salvezza in Cristo è giunta a noi, “le genti”, noi “che non eravamo un popolo” e che, per grazia di Dio, siamo con loro il popolo eletto di Dio, aspettando e pregando il giorno in cui loro e noi saremo tutti sottomessi a quell’unico nome per il quale troviamo salvezza presso Dio, Gesù Cristo.