Domenica 7 Luglio 2024 – Settima Domenica dopo Pentecoste
(Servizio di culto con predicazione, 59′ 33″)
(Solo predicazione, 32′ 02″)
Domande retoriche mirate
Vi sono certe cose che dovrebbero essere ovvie, scontate, ben conosciute, eppure tanti si comportano come se non le sapessero illudendosi ingenuamente per vari motivi che le cose stiano diversamente o che per loro non sia il caso… È in circostanze come queste che può capitare che qualcuno, stupefatto, ci faccia la domanda: “Ma come? Non sai che…” oppure, al plurale, “Non sapete voi che…?”. Ad esempio: “Non sapete voi che il fumo danneggia gravemente la salute?”. Questo tipo di domanda retorica [1] sottintende uno scopo educativo in cui si presuppone che l’interlocutore dovrebbe già conoscere, in questo caso, i pericoli del fumo, ed essa serve a evidenziare questa consapevolezza. Lo scopo di questo tipo di domande potrebbe essere sociale, come in: “Non sapete voi che ogni cittadino ha dei diritti e dei doveri?”. Questo implica una conoscenza di base delle norme civiche che si presume ogni cittadino debba avere. Potrebbe anche essere morale o etico, come in: “Non sapete voi che aiutare il prossimo è un dovere di ogni essere umano?”. Essa rimanda a una norma etica universale che si dà per scontata.
Una domanda simile potrebbe riguardare molti giornalisti della carta stampata o della televisione: “Ma non sai che gran parte dei media non dice la verità, la inventano, la tacciono o la distorcono perché servono gli interessi privati di chi li finanzia e controlla?”. Oppure a riguardo di molti politici: “Ma non sai che gran parte dei politici di ogni tendenza dicono di essere al servizio dei cittadini, mentre in realtà servono per lo più le proprie ambizioni di potere o i propri interessi, oppure quelli dei potentati che li controllano, li ricattano o li corrompono?”.
È così che le domande che esordiscono con: “Non sapete voi che… ?” diventano un potente strumento retorico che, attraverso la sua struttura interrogativa, non solo comunica un’informazione ma coinvolge, rimprovera e invita l’interlocutore a una riflessione critica sulla propria conoscenza e consapevolezza.
Questo artificio retorico ricorre molte volte nella Bibbia. Ecco alcuni esempi che lo usano espressamente. Dall’Antico Testamento: “Non sapete voi che oggi è caduto in Israele un principe e un grande uomo?” (2 Samuele 3:38). “Di’ dunque a questa casa ribelle: ‘Non sapete voi che cosa vogliano dire queste cose?’” (Ezechiele 17:12). E nel Nuovo Testamento: “Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1 Corinzi 3:16). “Non sapete che i santi giudicheranno il mondo?” (1 Corinzi 6:2). “Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo?” (1 Corinzi 6:15). “Non sapete voi che quelli che fanno il servizio sacro mangiano di ciò che è offerto nel tempio?” (1 Corinzi 9:13). “Non sapete voi che coloro i quali corrono nello stadio, corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio?” (1 Corinzi 9:24). “O gente adultera, non sapete voi che l’amicizia del mondo è inimicizia contro Dio?” (Giacomo 4:4). A domande come queste se ne potrebbero aggiungere altre simili su verità bibliche che dovrebbero essere ovvie ma che tanti dicono di ignorare immaginandosi vero ciò che per loro è più conveniente credere.
Oggi vorrei concentrarmi sulla domanda che l’apostolo Paolo pone in Romani 6:16: “Non sapete voi che, se vi date a uno come servi per ubbidirgli, siete servi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell’ubbidienza che conduce alla giustizia?” (Romani 6:16). Questa domanda è, come vedremo, particolarmente significativa perché, per quanto inverosimile ci possa sembrare, siamo tutti in qualche modo servi, “a servizio”, …altro che “liberi”! A questo nessuno può sfuggire! La differenza per noi, in bene o in male, la fa il “di chi” o il “di che cosa” siamo a servizio!
Il testo biblico
Ascoltiamo il testo nel suo contesto:
“(12) Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidirgli nelle sue concupiscenze (13) e non prestate le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma presentate voi stessi a Dio come di morti fatti viventi e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio, (14) perché il peccato non vi dominerà più, poiché non siete sotto la legge ma sotto la grazia. (15) Che faremo dunque? Peccheremo noi perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? Assolutamente no! (16) Non sapete voi che, se vi date a uno come servi per ubbidirgli, siete servi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell’ubbidienza che conduce alla giustizia? (17) Ma sia ringraziato Dio che eravate servi del peccato, ma avete di cuore ubbidito a quel tenore d’insegnamento che vi è stato trasmesso (18) e, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. (19) Io parlo alla maniera degli uomini, per la debolezza della vostra carne, poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità per commettere l’iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. (20) Poiché, quando eravate servi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia. (21) Quale frutto dunque avevate allora delle cose delle quali oggi vi vergognate? Poiché la loro fine è la morte. (22) Ma ora, essendo stati liberati dal peccato e fatti servi a Dio, voi avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna, (23) poiché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:12-23).
Liberati dall’asservimento al peccato
Cerchiamo di capire il discorso che sta facendo l’Apostolo in questo testo.
Ciò che Dio, nella Sua Parola, considera come “peccato” non solo è un’attentato alla maestà divina, un’infrazione alla Legge morale suprema che Egli ha stabilito per la condotta umana e che quindi è causa della nostra giusta condanna. Il peccato va sempre contro ai nostri migliori interessi ed è deleterio per la creatura umana che, ignorandone la realtà, si illude di averne un qualche vantaggio. Il Creatore, infatti, con la Sua legge morale suprema, ha provveduto al nostro migliore bene. I cristiani, coloro che Dio ha rigenerato e riconciliato con Sé attraverso la fede nell’opera redentrice di Cristo, hanno compreso l’azione deleteria del peccato su di loro, se ne sono ravveduti e, con gioia e persuasione, apprendono ed assumono “lo stile di vita” insegnato dal Salvatore Gesù Cristo.
“Più facile a dirsi, che a farsi”, si potrebbe dire. Il peccato, che l’Apostolo qui personifica, cerca sempre astutamente di sedurci con le sue bugie – che ci sembrano plausibili. Attraverso la forza della concupiscenza (le brame, le voglie) esso vorrebbe imporsi e regnare su di noi (12). Di questo dobbiamo esserne ben coscienti, ci dice l’Apostolo, e respingerlo. Non sapete voi che il peccato è un seduttore bugiardo?
Gli increduli di fatto sono sfruttati dal peccato tanto da “prestare le loro membra”, le loro facoltà, più o meno consapevolmente, come suoi strumenti, e questo per far prevalere, nella nostra vita e nella società, l’ingiustizia, l’anarchia, e, di fatto, per far prevalere il caos, cioè grande disordine e confusione finalizzato a distruggere l’essere umano e “far saltare” il creato (13a). Non sapete voi che il peccato crea il caos?
Dovrebbero, così, i cristiani che, rispetto al peccato, sono come morti, permettere che le loro membra diventino strumenti di ingiustizia? Certo che no! Essi sono stati resi spiritualmente viventi in Cristo, “risuscitati” con Lui a nuova vita e ben volentieri, piuttosto, prestano le loro membra come “strumenti di giustizia” (13b), vale a dire di ciò che Dio considera giusto, per contribuire così alla causa di Dio, giusta e buona, per la Sua gloria e il nostro bene. A questo siamo chiamati. Non sapete voi che siete chiamati ad essere strumenti di giustizia?
L’incredulo è dominato dal peccato (14) e si trova costantemente sottoposto alla condanna della Legge di Dio – di cui inevitabilmente ne sente il peso. Della Legge di Dio l’incredulo non vuole neanche sentirne parlare, ma non può liberarsene perché essa lo perseguita attraverso la voce della propria coscienza, quella che vanamente tenta di sopprimere. Questo vuol dire essere “sotto la legge”. Indubbiamente è una condizione di servitù ben dura. Coloro che però sono stati raggiunti dalla grazia di Dio in Gesù Cristo non sono più ineluttabilmente dominati dal peccato. Possono liberarsi dal suo potere, dalla sua forza, perché in Cristo, attraverso l’opera dello Spirito Santo questo per loro diventa possibile. Ora vivono “sotto la grazia”, una condizione di grandi potenzialità. Non sapete voi che siete “sotto la grazia”? Che cosa implica?
Possiamo dunque resistere alla seduzione del peccato, per noi essa non è più irresistibile. Consideriamo le cose, però, anche da un altro punto di vista, sembra dirci pure qui l’Apostolo. Forse che indulgere nel peccato ci è forse ora consentito perché non siamo più sotto la condanna e la maledizione della legge ma sotto la grazia? Dal momento che la grazia di Dio ci ha liberati dalla condanna e dalla maledizione comminata ai trasgressori della Legge, significa forse che possiamo continuare a peccare senza preoccuparcene? Ovviamente no! Assolutamente no!” (15). Non sapete voi che è insensato indulgere nel peccato?
Ora, come cristiani, siamo alle dipendenze di un nuovo e migliore padrone, il Signore e Salvatore Gesù Cristo. Prima eravate asserviti al potere del peccato che vi condizionava completamente. Vi lusingava ma vi costringeva ad ubbidirgli! Per un po’ eravate persino contenti di servirlo, ma, come ogni malvagio padrone, dopo avervi sfruttato, vi abbandona, vi conduce alla morte. Paga, ma non vi provvede una “pensione di anzianità”. Pensavate vi convenisse di servirlo, pensavate di averne profitto, ma esso vi ingannava: si tratta di vantaggi effimeri. Non così il Signore Gesù Cristo! L’ubbidienza a Lui, per quanto alcuni ne dicano altrimenti, è per il vostro migliore bene, è “secondo giustizia”, è com’è giusto che sia, porta ad una vita retta (16). Non sapete voi che ubbidire al Signore Gesù Cristo è per il vostro migliore bene?
Ecco così che l’Apostolo, rivolgendosi ai cristiani di Roma, mette in evidenza il miracolo che è avvenuto nella loro vita. La grazia di Dio li ha raggiunti, sono fuggiti dalle grinfie del peccato, loro empio padrone, e sono stati accolti sotto la tutela del Signore Gesù Cristo, a cui ora ubbidiscono di tutto cuore (17). Essi gli ubbidiscono in quanto Egli parla loro attraverso “quel tenore d’insegnamento che è stato loro trasmesso”, vale a dire quella “forma di insegnamento” [2] o modello strutturato di dottrina cristiana che essi hanno ricevuto dalla bocca degli apostoli di Cristo e seguito con cuore sincero: l’Evangelo e la dottrina degli Apostoli. Questo efficace insegnamento li ha portati a una trasformazione radicale della loro vita e li ha inseriti in una tradizione di fede condivisa e ortodossa. Certo, ora sono al servizio di un padrone ben diverso, un principe, anzi, il Re dei re ed il Signore dei signori. Possono veramente ringraziare Dio per quello che è avvenuto nella loro vita! Non sapete voi che Dio comunica con noi attraverso la Sua Parola a cui dobbiamo ubbidienza?
La metafora usata dall’Apostolo in questo testo quando parla dell’essere “servi di” (di fatto “schiavi” nell’originale), prima del peccato e poi “della giustizia” (18), potrebbe sembrare a noi sgradevole e inopportuna. Nessuno di noi vorrebbe essere uno schiavo! Ma, come egli stesso afferma, “Io parlo alla maniera degli uomini” (19), cioè, per farsi meglio capire [3], fa uso di un’immagine allora ben conosciuta, quella della schiavitù, un’istituzione sociale comune nell’antica Roma. Oggi si potrebbero usare altre immagini, ma rimane inalterata l’idea di servitù morale e spirituale. La scelta di utilizzare la metafora della schiavitù serviva per illustrare il cambiamento radicale nella vita del cristiano, rendendo evidente il contrasto tra la vita sotto il dominio del peccato (un crudele padrone) e la vita sotto la guida di Gesù Cristo, Signore e Salvatore. Prima “prestavamo le nostre membra” al servizio di ciò che è sporco ed iniquo, finalizzato a creare disfunzioni, caos e morte nel mondo di Dio, ora, liberati da quella soggezione, “prestiamo le nostre membra” al servizio di ciò che è buono, giusto, costruttivo, “per la nostra santificazione”, vale a dire il riscatto morale e spirituale nostro e del mondo come popolo eletto di Dio, popolo santo, speciale. Siamo in Cristo un popolo che ha ricevuto la grazia e l’onore di lavorare per la giustizia, cioè il ristabilimento di tutte le cose così come Dio le aveva create fin dall’inizio. Non sapete voi che siete un popolo speciale chiamato ad alte finalità?
Sottoposti al dominio incontrastato del peccato prima eravamo “liberi riguardo alla giustizia” (20) dice l’Apostolo. Si tratta di un’affermazione indubbiamente paradossale. È come dire: “Prima non sentivamo di avere alcun obbligo di onorare Dio e la Sua Legge di giustizia. Non avevamo alcun vincolo verso di essa, anzi, eravamo ostili a Dio ed alla Sua Legge. Strana “libertà” questa, ma piuttosto comune nel mondo. Gli increduli vorrebbero “essere liberi da Dio”, si sentono autorizzati a commettere ogni tipo di abuso e credono di rimanerne impuniti da parte del tribunale di Dio che disconoscono. Ora, però, coloro che sono stati raggiunti dalla grazia trasformatrice di Dio, i redenti, si vergognano (21) di essere stati così arroganti, ribelli a Dio, e, per così dire, di aver sputato sulla Sua volontà rivelata. Ora si sono resi ben conto che l’asservimento al peccato è espressione di morte ed è finalizzato a morte, quella che, in tale loro condizione, era ineluttabile. Grazie però alla misericordia di Dio ricevuta in Cristo, tramite l’annunzio efficace dell’Evangelo sono stati liberati dall’asservimento al peccato. Passati al servizio di Dio, ora la loro vita è impostata alla vita, vita autentica, vita dalle prospettive eterne (22). Non sapete voi che siete destinati a vita significativa ed eterna?
L’affermazione riassuntiva dell’Apostolo sottolinea con forza l’esito finale di questi contrapposti “servizi”. Ora possono rispondere alla domanda “Non sapete voi che il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (23)? Si, grazie a Dio ora ce ne rendiamo pienamente conto e ringraziamo Dio di tutto cuore impegnandoci con sempre più grande energia al servizio della Sua causa.
Conclusione
Tanti oggi pensano di vivere, qui in Occidente, in un mondo “libero e democratico”: è quello che vogliono farci credere. In realtà tutto e tutti è sotto il controllo di oligarchie economiche, politiche e militari sovranazionali che, ingannandoci, ci manipolano come vogliono. Per questo fanno uso di governi compiacenti e corrotti e di giornalisti ugualmente asserviti che riportano solo quello che gli ordinano “dall’alto” di dire. Certo, possiamo votare, ma ci è permesso di scegliere solo fra coloro che essi hanno autorizzato e che controllano. Alle vere opposizioni non danno spazio. Certo, possiamo scegliere fra giornali e emittenti diverse, ma solo quelle che essi permettono. I giornalisti della stampa libera sono boicottati, censurati, incarcerati e non raramente fatti fisicamente sparire. L’unica “verità” autorizzata è quella che serve gli interessi del potere. Riescono persino a controllare ciò che viene predicato dai pulpiti delle chiese, accertandosi che non formi coscienze critiche e che anzi promuova una cittadinanza sottomessa al sistema “di chi comanda”. Non sapete voi che la maggior parte dei politici, dei giornalisti e degli ecclesiastici sono più o meno consapevolmente servi del potere e non della popolazione?
Allo stesso modo, dal punto di vista morale e spirituale tutti noi siamo servi del peccato che ci domina e, più o meno consapevolmente, noi prestiamo le nostre membra al servizio dell’ingiustizia – come si esprime la Parola di Dio. Finché… sì, finché l’annuncio dell’Evangelo della grazia di Dio in Gesù Cristo non ci libera da quella servitù tanto da consacrare noi stessi al servizio di ciò che è vero, giusto e buono, al servizio di Dio. Qui sta il paradosso: è al servizio del Dio vero e vivente, al servizio del Dio di Cristo Gesù che possiamo trovare vera libertà. Non conoscete voi ciò che dice la Scrittura: “Gesù allora prese a dire a quelli che avevano creduto in lui: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Essi gli risposero: “Noi siamo discendenza di Abraamo e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: ‘Voi diverrete liberi’?”. Gesù rispose loro: “In verità, in verità vi dico che chi commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non dimora per sempre nella casa: il figlio vi dimora per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi” (Giovanni 8:31-36).
Paolo Castellina, 29 Giugno 2024.
Note
[1] Sulle domande retoriche vedasi: https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Teopedia/Domanda_retorica
[2] Sul termine “forma di insegnamento” vedasi qui un approfondimento: https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Predicazioni%2FRomani%2FChe_cosa_vuol_dire_forma_di_insegnamento
[3] Sul metodo pedagogico usato qui dall’apostolo Paolo, vedasi: https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Predicazioni%2FRomani%2FIl_metodo_pedagogico_dell%27apostolo