Liberarsi dalla mentalità da schiavi (Numeri 11:4-15)

Domenica 11 Agosto 2024 – Undicesima domenica dopo quella dedicata alla Trinità

(Culto con predicazione, 55′ 19″)

(Solo predicazione, 30′ 17″)

Servi e contenti di esserlo? 

Una volta Gesù aveva detto a quelli che avevano creduto in lui: “Se rimanete ben radicati nella mia parola, siete veramente miei discepoli. Così conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8:31 ss).  Al solo sentire parlare di acquisire libertà, diversi nel suo uditorio, che facevano probabilmente parte della classe dirigente di Israele, reagiscono scandalizzati dicendo: “Noi siamo discendenti di Abramo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come fai a dire: diventerete liberi?”. Mai stati schiavi? Ma non erano forse stati schiavi in Egitto? Ma non erano stati in seguito assoggettati agli Assiri ed ai Babilonesi? E poi, dopo la breve pausa nazionalista dei Maccabei, non erano forse ora sottomessi all’impero di Roma? Sembrano dire: “Questa questione dell’essere schiavi è tutta da relativizzare, così come il concetto di libertà che ‘può essere pericoloso’. Anche la servitù comporta dei vantaggi…”. Probabilmente, coloro che così contestavano Gesù, si erano adattati ad essere asserviti a potenze straniere, anzi, sfruttavano la situazione. Potenze straniere come Roma pure concedevano loro una certa qual libertà religiosa (sicuramente addomesticata), basta che pagassero a Roma i loro contributi,  e poi, accettando e servendo la dominazione straniera, molti ne potevano trarre vantaggi, profitti, privilegi e protezione. “Va bene così!”. Davvero?

No, non conoscevano la vera libertà, dono di Dio sicuramente impegnativo. Erano servi, servi di potenze straniere e conservavano una mentalità da schiavi, anche se, almeno le loro classi dirigenti, era per loro una “schiavitù dorata”. I padroni, infatti, retribuiscono bene chi li serve volentieri. Va bene “la religione” ma i benefici concessi loro dai padroni romani per loro erano pure appetitosi. Gesù dirà poi loro: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona” (Matteo 6:24). Quello era il loro peccato e, “Chi pecca è schiavo del peccato”, della loro avidità come indubbiamente dei padroni stranieri che si erano imposti.

Nostalgia della schiavitù? 

Quello della “mentalità da schiavi” era una fenomenologia simile a quella che il popolo di Israele aveva manifestato durante l’esodo, la loro marcia dalla schiavitù in Egitto verso la terra promessa. Si erano lamentati con Mosè perché il cibo della libertà era troppo scarso rispetto a quello  che i padroni egiziani largamente provvedevano. Ora erano liberi, ma la libertà si era manifestata come “troppo impegnativa”. Essere schiavi per loro aveva anche avuto dei vantaggi… Ascoltate che cosa è scritto nel capitolo 11 del libro dei Numeri.

E l’accozzaglia di gente raccogliticcia che era tra il popolo fu presa da concupiscenza; e anche i figli d’Israele ricominciarono a piagnucolare e a dire: “Chi ci darà da mangiare della carne? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto per nulla, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ma ora l’anima nostra è inaridita; non c’è più nulla! gli occhi nostri non vedono altro che questa manna”. Ora la manna era simile al seme di coriandolo e aveva l’aspetto della resina gommosa. Il popolo andava attorno a raccoglierla; poi la riduceva in farina con le macine o la pestava nel mortaio, la faceva cuocere in pentole o ne faceva delle focacce, e aveva il sapore di una focaccia con l’olio. Quando la rugiada cadeva sul campo, la notte, vi cadeva anche la manna. E Mosè udì il popolo che piagnucolava, in tutte le famiglie, ognuno all’ingresso della propria tenda; l’ira dell’Eterno si accese gravemente e la cosa dispiacque anche a Mosè. Allora Mosè disse all’Eterno: “Perché hai trattato così male il tuo servo? perché non ho trovato grazia agli occhi tuoi, che tu mi abbia messo addosso il carico di tutto questo popolo? L’ho forse concepito io tutto questo popolo? l’ho forse dato alla luce io, che tu mi dica: ‘Portalo sul tuo seno’, come la balia porta il bimbo lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? Dove prenderei io della carne da dare a tutto questo popolo? Poiché piagnucola dietro di me dicendo: ‘Dacci da mangiare della carne!’. Io non posso, da solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me. E se mi vuoi trattare così, uccidimi, ti prego; uccidimi, se ho trovato grazia agli occhi tuoi; e che io non veda la mia sventura!” (Numeri 11:4-15).

Il contesto 

Il Libro dei Numeri, il quarto libro del Pentateuco, narra principalmente gli eventi accaduti durante il lungo viaggio nel deserto degli Israeliti, il loro esodo, sotto la guida di Mosè, dopo la loro liberazione dalla schiavitù in Egitto. Il libro di Numeri combina elementi legislativi e narrativi, mettendo in evidenza sia le leggi date da Dio attraverso Mosè sia le esperienze del popolo israelita. In particolare, il testo biblico di Numeri 11:4-15 è emblematico delle difficoltà e delle tensioni che sorgono durante il lungo peregrinare del popolo verso la Terra Promessa. Nel capitolo 11, gli Israeliti, stanchi e insoddisfatti, iniziano a lamentarsi per la mancanza di cibo variegato. Dopo essersi nutrito principalmente di manna, il cibo miracoloso fornito da Dio, il popolo esprime il desiderio di avere carne, ricordando nostalgicamente le buone pietanze che consumavano in Egitto. Nei versetti 4-15, la lamentela del popolo diventa particolarmente intensa. La “accozzaglia di gente raccogliticcia” o miscuglio di gente, indica come fra di loro non vi fossero solo discendenti di Abraamo, Isacco e Giacobbe, ma anche altre persone di origine diversa, che avevano avevano condiviso sia la schiavitù, sia ora l’avventura della liberazione e della marcia verso una terra che loro appartenesse. Questo li aveva attratti, ma si rendono conto che la libertà comporta sacrifici e responsabilità. Questa “accozzaglia di gente” aveva iniziato a lamentarsi, influenzando l’intero popolo. Ecco così che gli Israeliti, così, ricordavano con rimpianto i pesci, i cetrioli, i meloni, i porri, le cipolle e l’aglio che avevano avuto a disposizione in Egitto, e si lamentano della monotonia della manna: “gli occhi nostri non vedono altro che questa manna”! Mosè, esasperato dalla continua insoddisfazione e dalle lamentele del popolo, si rivolge a Dio. Nei versetti 11-15, esprime il suo profondo scoraggiamento e senso di impotenza. Mosè si sente sopraffatto dal peso della leadership e arriva a chiedere a Dio di liberarlo dal fardello di gente indisposta all’impegno che la libertà esigeva.

Proprio così, quegli ex-schiavi continuavano ad avere “una mentalità da schiavi”. Erano stati schiavi, ma i loro padroni pure avevano loro dato il necessario, abitazioni e buon cibo, per mantenerli in forze e continuare a sfruttarli. Pensavano che il buon cibo che ricevevano fosse “gratuito”. Il Dio vero e vivente li aveva liberati, ma non accettavano le difficoltà, i sacrifici e le responsabilità della vita come persone libere. Non potevano pretendere, però, di avere sempre “la pappa pronta”, come si dice, dipendere dalle provvigioni date loro dal Faraone. Dio non sfrutta ma responsabilizza. L’alternativa per loro, si potrebbe dire, era “grassi ma schiavi” oppure “magri ma liberi”. Quale avreste scelto voi?

Due mentalità contrapposte

Durante il loro viaggio nel deserto verso la Terra Promessa, gli Israeliti avevano incontrato numerose difficoltà e disagi. Questo aveva portato molti di loro a idealizzare la vita in Egitto, nonostante le dure condizioni di schiavitù, perché ricordavano i benefici materiali di cui godevano. Di fatto, avevano mantenuto una mentalità da schiavi. Quella dovevano abbandonare per poter entrare nel mondo della libertà, quella che Dio, nella Sua misericordia, stava loro offrendo. In che cosa consisteva la loro vecchia mentalità?

Attaccamento al Passato: Gli Israeliti mostrano un attaccamento emotivo alle relative comodità materiali del passato, anche se erano ottenute sotto condizioni di oppressione. Questo rifletteva una mentalità che preferisce la sicurezza e la stabilità, anche a costo della libertà e della dignità.

Mancanza di visione e coraggio: La nostalgia per il passato indicava una mancanza di visione per il futuro e di coraggio per affrontare le incertezze e le difficoltà del viaggio verso la libertà. La paura dell’ignoto e la resistenza al cambiamento sono, infatti, caratteristiche tipiche di una mentalità da schiavo.

Sottomissione e dipendenza: La descrizione dei cibi apparentemente gratuiti implicava una dipendenza dal padrone egiziano, che forniva queste comodità in cambio di lavoro forzato. Questa dipendenza limita la capacità di autogestione e di autodeterminazione, elementi essenziali per una mentalità libera.

Altra cosa è la mentalità della persona libera, quella che Dio stava insegnando a Israele durante l’esodo.

Una mentalità libera è caratterizzata dalla capacità di vedere oltre le difficoltà presenti e di avere speranza in un futuro migliore. Mosè, come leader, cercava di infondere questa visione tra gli Israeliti, incoraggiandoli a fidarsi delle promesse di Dio che si sarebbero compiute a tempo e a luogo.

La libertà, poi, comporta una maggiore responsabilità e l’assunzione di rischi. La mentalità della persona libera implica la capacità di prendere decisioni sulla base dell’espressa volontà di Dio e di accettare le conseguenze delle proprie azioni.

Affrontare il deserto richiedeva coraggio e resilienza, tratti distintivi di una mentalità libera. La capacità di perseverare di fronte alle difficoltà e di adattarsi alle nuove situazioni è essenziale per una persona libera.

Un raffronto fra due diverse mentalità 

La contrapposizione tra la “nostalgia per la schiavitù” in Egitto e il viaggio verso la libertà nella Terra Promessa rappresenta indubbiamente una potente metafora della lotta interna tra la paura e la speranza, tra la sottomissione e l’autodeterminazione. Questa dicotomia è centrale non solo nel contesto biblico, ma anche nella comprensione moderna delle dinamiche psicologiche e sociali della libertà e dell’oppressione. Sicuramente anche fra i cristiani di oggi, sia pure liberati dall’opera di Cristo nella Sua vita e morte in croce, rimane spesso una “mentalità da schiavi” che devono abbandonare. Anche questo fa parte in quello che la Scrittura chiama “santificazione”. In che cosa consiste?

Il cristiano con una “mentalità da schiavo” tende a percepirsi come impotente, senza valore intrinseco e privo di controllo sul proprio destino, quello al quale Dio lo chiama. Questa percezione negativa di sé stessi è spesso il risultato di un lungo processo di indottrinamento e oppressione, quello della nostra natura carnale e dell’ambiente corrotto in cui viviamo. In campo cristiano è persino favorito da interpretazioni fallaci della sottomissione alle autorità. Questo può essere sia esplicito che implicito. Una persona libera si percepisce come un individuo di valore, capace e meritevole di rispetto e autodeterminazione. Ha una consapevolezza acuta del proprio valore intrinseco e delle proprie potenzialità in Cristo.

Persone con mentalità da schiavi mostrano frequentemente passività, obbedienza incondizionata e conformismo. Hanno una forte tendenza a evitare il conflitto e a sottomettersi all’autorità, anche quando tale autorità è ingiusta o tirannica. La paura e l’ansia sono emozioni prevalenti, spesso accompagnate da una mancanza di iniziativa personale. Le persone libere mostrano assertività e un alto grado di autonomia. Sono disposte a sfidare l’autorità quando necessario e a prendere rischi per difendere i propri diritti e convinzioni. La fiducia in sé stessi e l’auto-efficacia  sono tratti distintivi.

Nelle relazioni interpersonali, persone con mentalità da schiavi tendono a dipendere fortemente dagli altri per l’approvazione e il riconoscimento. Possono sviluppare una tendenza a servilismo e ad essere eccessivamente accomodanti, sacrificando i propri bisogni e desideri per compiacere gli altri. La persona libera, invece, tende a instaurare rapporti basati sul rispetto reciproco e sulla reciprocità. Valorizza l’autenticità e la trasparenza e cerca di mantenere un equilibrio tra i propri bisogni e quelli degli altri.

Persone con mentalità da schiavi hanno una prospettiva sul futuro spesso limitata e pessimistica. Non si aspetta cambiamenti positivi se non miracolosamente in un vago futuro e può accettare il suo stato attuale come immutabile. La speranza e l’aspirazione sono minimizzate o assenti. La persona libera ha una visione del futuro è ottimistica e orientata al cambiamento. La persona crede nella possibilità di migliorare la propria situazione e quella degli altri. La speranza e la motivazione sono elementi centrali.

Persone con mentalità da schiavi hanno capacità di pensiero critico ridotta. Le decisioni sono spesso prese sulla base della paura o dell’obbligo piuttosto che su un’analisi razionale delle opzioni disponibili. L’iniziativa personale e la creatività sono compromesse. D’altro canto, la persona libera ha una capacità di pensiero critico altamente sviluppata. Le decisioni le prende attraverso un processo deliberativo e informato, basato su una valutazione razionale delle opzioni. Innovazione e creatività sono incoraggiate e valorizzate.

Conclusione 

Sebbene, come abbiamo visto, la mentalità da schiavi spesso continui a prevalere anche fra il popolo di Dio, antico e moderno, la formazione di persone libere e dotate di spirito critico fa parte del cristianesimo evangelico autentico, nutrito dallo studio e dall’applicazione della Legge di Dio interiorizzata dallo Spirito Santo. Questo è quanto mai importante oggi dove le tendenze autoritarie e tiranniche si impongono anche in contesti formalmente liberi. Che accade, infatti, oggi? Situazioni di emergenza sempre più frequenti come terrorismo, degrado ambientale, pandemie, malefici nemici esterni, ecc. fanno sì che i governi dell’Occidente mettano in atto nella società restrizioni della libertà e misure di controllo sempre più stringenti che vengono reputate necessarie per garantire ordine e sicurezza. A tutto questo la popolazione viene forzata e la maggior parte di essa si adegua riconoscente persuasa che le autorità “agiscono per il nostro bene”. Diventa così sempre più dipendente e sottomessa alle autorità, sviluppando una “mentalità da schiavi” che pregiudica quella libertà e democrazia per le quali si era lottato in passato. Solo una minoranza di persone libere e dotate di spirito critico comprendono come le emergenze siano ingannevoli e in gran parte artificiosamente indotte, denuncia le restrizioni della libertà come funzionali solo al mantenimento del potere tirannico di élite politiche ed economiche e dei loro programmi di dominio e profitti.

Lottare contro la frustrante “mentalità da schiavi” e liberarsene sviluppando il senso di libertà nella responsabilità, molto più impegnativo della sottomissione, era l’obiettivo prima di Mosè con l’antico popolo di Israele e poi in modo supremo, con Gesù di Nazareth nell’originale movimento cristiano. La Legge mosaica era infatti, e rimane, una legge di libertà per un popolo libero sottomesso solo a quanto Dio stabilisce per il nostro bene. Ancora più importante, la sua “interiorizzazione” rimane l’obiettivo dell’Evangelo cristiano operata tramite il discepolato di Cristo. Come scrive l’apostolo Giacomo: “Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera, questi, non essendo un ascoltatore smemorato ma facitore dell’opera, sarà beato nel suo operare (…) Parlate e agite, perciò, come dovendo essere giudicati da una legge di libertà” (Giacomo 1:25; 2:12).

Paolo Castellina, 3 agosto 2024