Domenica 8 Settembre 2024 – Quindicesima Domenica dopo quella della Trinità
[Culto completo con predicazione, 59′]
[Solo predicazione, 33′]
L’Evangelo nella sua purezza
L’Evangelo, nel significato che il Nuovo Testamento dà a questo termine, significa “gioioso annuncio”, la buona notizia proclamata dal messaggio cristiano che Dio concede la grazia della salvezza dalle fatali conseguenze del peccato e la conseguente riconciliazione con Lui a chiunque si affidi all’opera redentrice del Signore e Salvatore Gesù Cristo. La sua valenza universale è evidenziata dal libro dell’Apocalisse, laddove è scritto: “Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo e che aveva l’evangelo eterno da annunziare agli abitanti della terra e ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo” (Apocalisse 14:6). Questo non vuole dire che il compito dell’annuncio dell’Evangelo sia affidato a creature angeliche, ma che l’efficacia del suo annuncio da parte della comunità cristiana è sostenuto e garantito da Dio stesso. L’annuncio dell’Evangelo da parte della comunità cristiana raggiunge con certezza i suoi propositi salvifici con chi, come, dove e quando Dio ha eternamente stabilito [1].
Fin dall’inizio, però, come ogni altra cosa in questo mondo corrotto, anche l’Evangelo, o vangelo, è sottoposto, da parte di forze avverse che vorrebbero pregiudicarlo, ad innumerevoli falsificazioni. A questo proposito notiamo come anticamente anche l’apostolo Paolo era stato costretto a scrivere: “Mi meraviglio che così presto voi passiate da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, a un altro vangelo. Il quale poi non è un altro vangelo, ma ci sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire l’evangelo di Cristo. Ma, anche se noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema. Come l’abbiamo detto prima d’ora, torno a ripeterlo anche adesso: se alcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema” (Galati 1:6-9).
La verifica di che cosa sia l’autentico Evangelo eterno va fatta attraverso l’analisi attenta del messaggio contenuto in tutto il Nuovo Testamento e l’esempio dato dagli stessi antichi apostoli ai quali Cristo ha affidato il compito di proclamarlo e spiegarlo. È pur vero che c’è chi riesce a distorcere il significato anche di quello, come scrive l’apostolo Pietro a proposito delle epistole dell’apostolo Paolo: “In esse vi sono alcune cose difficili da comprendere, che gli uomini ignoranti ed instabili torcono, come fanno con le altre Scritture, a loro propria perdizione” (2 Pietro 3:16). In ogni caso, le testimonianze nella storia sono innumerevoli del fatto che chi si accosta al Nuovo Testamento col desiderio di apprendere di prima mano e senza pregiudizi l’Evangelo, chiedendo a Dio in preghiera di rivelargli il dono che Egli ci fa in Cristo non ne rimarrà deluso.
Il discorso di addio dell’apostolo Paolo
Nel desiderio di chiarire tutta la portata dell’Evangelo di Cristo, secondo l’esempio che ne aveva dato il ministerio dell’apostolo Paolo, esaminiamo quest’oggi il discorso di addio che egli aveva rivolto ai responsabili della comunità cristiana di Efeso e che troviamo al capitolo 20 del libro degli Atti degli Apostoli dal versetto 17 al 36.
L’apostolo aveva portato l’Evangelo nella provincia romana dell’Asia (l’attuale Turchia) e si era preso diligentemente cura per diversi anni dello stabilimento e consolidamento di locali comunità cristiane nominandone sovraintendenti, letteralmente “i vescovi”. Lasciando poi definitivamente quella zona, al porto di Mileto Paolo li manda a chiamare e rivolge loro un commovente discorso di addio. In quel discorso, riportato nel capitolo 20 degli Atti degli Apostoli, egli passa in rassegna lo stile ed il contenuto della sua missione apostolica in mezzo a loro. Doveva servire come loro modello per il proseguimento di quell’opera. Rimane tale anche per noi. Ascoltiamolo.
“Da Mileto mandò a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa. Quando giunsero da lui, egli disse loro: “Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che entrai nell’Asia, io mi sono sempre comportato con voi, servendo il Signore con ogni umiltà e con lacrime, fra le prove venutemi dalle insidie dei Giudei, e come io non mi sono tratto indietro dall’annunciarvi e dall’insegnarvi in pubblico e per le case cosa alcuna di quelle che vi fossero utili, scongiurando Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo. E ora, ecco, vincolato dallo Spirito, vado a Gerusalemme, non sapendo le cose che là mi avverranno, salvo che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi aspettano legami e afflizioni. Ma io non faccio alcun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di compiere il mio corso e il ministero che ho ricevuto dal Signore Gesù, che è di testimoniare dell’evangelo della grazia di Dio. E ora, ecco, io so che voi tutti, fra i quali sono passato predicando il Regno, non vedrete più la mia faccia. Perciò io vi dichiaro quest’oggi che sono netto del sangue di tutti, perché io non mi sono tirato indietro dall’annunciarvi tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, la quale egli ha acquistata con il proprio sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi dei lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge, e anche fra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinare i discepoli dietro a sé. Perciò vegliate, ricordandovi che per un periodo di tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime. E ora io vi raccomando a Dio e alla parola della sua grazia; a lui che può edificarvi e darvi l’eredità con tutti i santificati. Io non ho bramato né l’argento, né l’oro, né il vestito di nessuno. Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di quelli che erano con me. In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: ‘Vi è più gioia nel dare che nel ricevere’”. Quando ebbe detto queste cose, si mise in ginocchio e pregò con tutti loro. Tutti scoppiarono in un gran pianto e, gettatisi al collo di Paolo, lo baciavano, addolorati soprattutto per la parola che aveva detta, che non avrebbero più visto la sua faccia. E lo accompagnarono alla nave” (Atti 20:17-36).
Come l’Apostolo serviva il Signore?
Interroghiamoci per prima cosa come, in che modo, l’Apostolo avesse portato avanti la sua missione. L’apostolo Paolo, nell’adempiere il mandato che Dio gli aveva affidato, era consapevole di non portare solo un messaggio verbale, ma che egli stesso, attraverso la coerenza del suo comportamento cristiano, quel messaggio doveva esemplificarlo. Egli dice: “Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che entrai nell’Asia, io mi sono sempre comportato con voi” (18), e “In ogni cosa vi ho mostrato…” (35) o dimostrato. Come lo faceva?
In primo luogo serviva il Signore Gesù Cristo con umiltà. Che cosa vuol dire questo? Altre sue lettere lo specificano: con “lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù” (Filippesi 2:5); “con la mansuetudine e la mitezza di Cristo” (2 Corinzi 10:1); “… abbassando me stesso perché voi foste innalzati” (2 Corinzi 11:7); “non cercando gloria dagli uomini, né da voi, né da altri, sebbene, come apostoli di Cristo, avessimo potuto far valere la nostra autorità” (1 Tessalonicesi 2:6); con “tenera compassione, di benignità, di umiltà, di dolcezza, di pazienza” (Colossesi 3:12); “con pazienza, sopportandoci gli uni gli altri con amore” (Efesini 4:2); “… non facendo nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma … stimando gli altri superiori a noi stessi, avendo ciascuno di noi riguardo non alle cose proprie, ma anche a quelle degli altri” (Filippesi 2:3-4).
In secondo luogo, nello svolgere la sua opera, egli ne era stato pienamente coinvolto esistenzialmente e emozionalmente (19a), non di mala voglia né per forza. Dice: “…ricordandovi che per un periodo di tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime” (31b). Egli chiamava al ravvedimento ed alla fede “scongiurando” (21a) i destinatari del suo messaggio, cioè in modo serio, fervoroso e sincero. Era lo spirito che pure Pietro avrebbe commendato: “pascete il gregge di Dio che è fra voi, sorvegliandolo, non forzatamente, ma volenterosamente secondo Dio; non per vile guadagno, ma di buon animo” (1 Pietro 5:2).
In terzo luogo, egli lo faceva non per profitto personale. Dice infatti: “Io non ho bramato né l’argento, né l’oro, né il vestito di nessuno. Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di quelli che erano con me” (33-34). Era consapevole che: Gesù aveva detto egli stesso: ‘Vi è più gioia nel dare che nel ricevere’” (35). Il suo era un ministero d’amore disinteressato. Per il suo ministero non voleva riceverne uno stipendio, perché provvedeva a sé stesso.
In quarto luogo, nel suo ministero egli era stato pure molto provato a causa delle insidie costantemente tese contro di lui da avversari che gli opponevano resistenza – nel caso specifico i giudei (19b) che lo consideravano un traditore della fede ebraica. L’apostolo, però, non si lasciava intimorire dalle difficoltà e dall’opposizione che incontrava. Non vi si sottraeva in alcun modo. Giammai si “tirava indietro” dal farlo.
Dove egli annunciava l’Evangelo e insegnava? “In pubblico e per le case”, sia sulla pubblica piazza che casa per casa (20), senza vergognarsene e con forza persuasiva. Così come ci racconta il libro degli Atti degli Apostoli, sia nei mercati e nella pubblica piazza, come nelle case private. Là dov’era invitato, l’Apostolo mai si tirava indietro dall’annunciare l’Evangelo, insegnare la Parola di Dio e rispondere alle domande che gli erano poste.
Il contenuto del ministerio apostolico
Qual era il contenuto del suo messaggio che annunziava e spiegava, l’Evangelo di Gesù Cristo? In che cosa si caratterizzava il messaggio evangelico che egli predicava e insegnava? Per definirlo, in questo discorso a Mileto dell’Apostolo ne troviamo molte espressioni.
La missione che egli svolgeva così la chiama e la definisce: “il ministerio che ho ricevuto dal Signore Gesù, [cioè] di testimoniare dell’evangelo della grazia di Dio” (24). Evangelo significa “buona notizia”, la migliore fra le notizie. Essa riguarda la grazia che Dio vuole concedere ad un’umanità che si è separata da Lui ribellandosi alla Sua persona e al Suo ordinamento buono e giusto – e quindi condannata e perduta. Questa perdizione, però, non è inesorabile, ma può essere rimediata attraverso l’unico strumento che Dio ci ha provveduto: l’opera del Salvatore Gesù Cristo ricevuta con fede. Attraverso la vita, morte e risurrezione di Gesù chiunque riponga in Lui la sua fede come proprio Signore e Salvatore è riconciliato con Dio, rigenerato moralmente e spiritualmente ed inizia una nuova fase della sua vita.
Questo riguarda tutti, “Giudei e Greci” (21), cioè persone di ogni provenienza, senza discriminazioni o differenze di sorta, perché tutti ugualmente si trovano in condizione di perdizione ed hanno bisogno dell’Evangelo di Cristo, “… poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3:23). Da questo sorge l’urgenza dell’appello che l’Apostolo aveva reiterato fra di loro: “Scongiurando … di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo” (21).
Questa è la prima e più importante cosa che doveva essere al centro dell’attenzione di tutti. Ciò che riguarda l’Evangelo di Cristo e che l’Apostolo proclamava ed insegnava diligentemente era stato la cosa più utile che avrebbe potuto fare per loro e alla quale egli mai se n’era sottratto, cioè: “cosa alcuna di quelle che vi fossero utili” (20). Non si era mai tirato indietro dall’esporre loro tutto ciò che ritenesse utile, di giovamento, profittevole, che promuovesse i loro migliori interessi. È come quello che Gesù un giorno aveva detto di una donna, di nome Maria, che si era seduta ai Suoi piedi per ascoltarlo. Rivolgendosi alla sorella Marta che si occupava di faccende che riteneva più importanti, le aveva detto: “Marta, Marta, ti affanni e ti inquieti di molte cose, ma una cosa è necessaria. Maria ha scelto la buona parte che non le sarà tolta” (Luca 10:41-42).
Quello, però, non era che l’inizio del percorso della vita cristiana. Paolo non si era mai sottratto, dice, dall’annunciare tutto il consiglio di Dio: “io non mi sono tirato indietro dall’annunciarvi tutto il consiglio di Dio” (27), il regnare di Dio nella vita dei credenti: “… predicando il Regno” (25). La signoria di Cristo doveva estendersi sulla vita di ogni credente in ogni suo aspetto, personale e sociale.
In che cosa consisteva quello che chiama “tutto il consiglio di Dio”? Egli si era fermato molto tempo fra di loro “… finché Cristo sia formato in voi” (Galati 4:19). Cristo doveva fare parte, infatti, per così dire, di ogni fibra della loro vita. Il credente viene innestato in Lui e questo rinnova la sua vita influenzandola completamente. Come Paolo si esprime in altre sue lettere: “… per essere rivestiti dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e santità della verità” (Efesini 4:24). “… vi siete rivestiti dell’uomo nuovo, che si va rinnovando nella conoscenza ad immagine di colui che l’ha creato” (Colossesi 3:10).
Lo strumento principe del Suo insegnamento erano le Sacre Scritture nella loro completezza. A che servivano? Per questo pure scrive: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16-17). La Parola scritta di Dio deve essere infatti quotidiano strumento di trasformazione personale.
L’insegnamento dell’Apostolo non aveva però solo una dimensione individuale, ma anche comunitaria. Paolo doveva promuovere la formazione di comunità cristiane. Attraverso l’Evangelo, Dio, infatti, si forma un popolo speciale, unico: “la chiesa di Dio, la quale egli ha acquistata con il proprio sangue”. Allora si erano formati nuclei di persone che dovevano testimoniare nel mondo “lo stile di vita di Cristo”, persone così edificate e santificate, come egli pure dice: “E ora io vi raccomando a Dio e alla parola della sua grazia; a lui che può edificarvi e darvi l’eredità con tutti i santificati” (32). Erano nuclei di persone che avrebbero influenzato l’intera società in cui vivevano in ogni suo aspetto, allargando il regno di Dio come sale che dà sapore e luce che illumina le tenebre di questo mondo.
Alla fine del suo ministerio in quella regione l’Apostolo poteva dire di avere assolto a tutti i compiti che Dio gli aveva affidato. Poteva affermare: “… che sono netto del sangue di tutti” (26). Con questo egli intendeva che ora egli aveva adempiuto pienamente il suo dovere di apostolo, proclamando tutto il consiglio di Dio senza omissioni. Questa espressione richiamava il concetto biblico della responsabilità profetica, come descritto in Ezechiele 3:17-19 [2], dove il profeta è ritenuto responsabile se non avverte il popolo dei pericoli spirituali in cui sarebbero incorsi se non l’avessero ascoltato. Paolo, avendo annunciato fedelmente il messaggio dell’Evangelo, dichiara di non essere considerato responsabile del destino spirituale di coloro che lo avrebbero ascoltato: aveva fatto tutto ciò che poteva per avvertirli e guidarli.
La responsabilità dei conduttori delle comunità
Quando Paolo dice: “Sono netto del sangue di tutti” (26) doveva servire anche come esempio per i responsabili delle comunità cristiane, esortandoli a prendere con grande serietà e diligenza la loro responsabilità pastorale, vale a dire assicurandosi di nutrire il gregge dei cristiani con tutta la verità dell’Evangelo, seguendo il suo stesso esempio trasmettendo il messaggio cristiano nella sua completezza. “Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, la quale egli ha acquistata con il proprio sangue” (28). In questo dovevano vegliare attentamente, vigilare: “Perciò vegliate” (31 a), dice loro.
Qui Paolo diventa profeta e li mette in guardia contro il rischio concreto che, dopo la sua partenza si infiltrassero furbescamente nelle loro comunità “lupi rapaci”, cioè insegnanti di cose false e divergenti che avrebbero pregiudicato l’integrità delle comunità cristiane fondate. Questo avrebbe alterato l’Evangelo eterno, modificando a loro danno l’insegnamento apostolico che avevano ricevuto: “Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi dei lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge, e anche fra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinare i discepoli dietro a sé” (29-30).
Di tali idee devianti dall’insegnamento apostolico contenuto nel Nuovo Testamento purtroppo oggi non c’è carenza, anzi, sembra al riguardo regnare la massima confusione. Tant’è vero che i più evitano di entrare al riguardo in qualsiasi discussione. Quante idee distorte e difformi vi sono oggi rispetto all’insegnamento apostolico! Alcuni lo trasformano in un vago umanesimo, altri in un non meglio precisato “amore di Dio” che tutto tollera; altri ancora in un’ideologia al servizio di un’istituzione religiosa, chiesa o setta che sia. Dobbiamo però riscoprire il significato originale dell’Evangelo, di questo gioioso annuncio che trasforma la vita perché infonde quella vita che il Signore e Salvatore Gesù Cristo ancora ci vuole donare.
Alziamo quindi gli occhi per ricuperare l’Evangelo originale, quello della visione di Giovanni “Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo e che aveva l’evangelo eterno da annunziare agli abitanti della terra e ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo” (Apocalisse 14:6). Come la luce che scende e passa attraverso un prisma, esso viene definito e spiegato attraverso gli scritti del Nuovo Testamento ed è in grado di produrre straordinari effetti a gloria di Dio. Diffidate dalle imitazioni!
Paolo Castellina, 29 Agosto 2024
Note
[2] “Figlio d’uomo, io ti ho stabilito come sentinella per la casa d’Israele; quando tu udrai dalla mia bocca una parola, tu li avvertirai da parte mia. Quando io dirò all’empio: ‘Certo morirai’, se tu non lo avverti e non parli per avvertire quell’empio di abbandonare la sua via malvagia, e salvargli così la vita, quell’empio morirà per la sua iniquità; ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano” (Ezechiele 3:17-18).