La sofferenza del creato e le nostre responsabilità (Romani 8:18-25)

Domenica 16 Giugno 2024 – Terza Domenica dopo la Trinità

(Culto completo con predicazione, 102′ 47″)

(Solo predicazione, 34′ 31″)

Il creato è in sofferenza

In questo mondo la natura – l’ambiente naturale: terra, acque, aria, vegetali, animali – è in grave sofferenza e per causa della specie umana. Non dobbiamo aspettare che ce lo dicano gli ambientalisti o ecologisti, che dir si voglia. C’è chi si ostina a negarne l’evidenza o dice che le cose si aggiusteranno, in un modo o in un altro, ma è sotto gli occhi di tutti. Si può e si deve sicuramente discutere e valutare le varie “soluzioni” che ci vengono proposte a destra e a manca (non lo farò ora). È però un dato di fatto indubitabile: la natura, il creato, sta soffrendo tanto da mettere a rischio la sopravvivenza di specie animali e vegetali, anzi, di intere popolazioni, se non dell’umanità stessa.

Non c’è modo né i mezzi per emigrare su altri pianeti… come ci descrive la fantascienza o qualche sognatore. Non ho, però, nemmeno l’intenzione di unirmi a coloro che dicono o pensano: “Tanto peggio tanto meglio” e che profetizzano la distruzione “apocalittica” di questo mondo. Essi immaginano di “essere rapiti sulle nuvole del cielo” perché dicono che la loro patria sia in cielo… Si tratta di interpretazioni delle Sacre Scritture che credo errate, ma neanche di queste intendo trattare oggi in questa sede.

Oggi vorrei esaminare (e prendere sul serio) quanto la Scrittura afferma, nella lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Roma, quando dice: “… sappiamo che fino ad ora tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio … infatti la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio”. Si, oggi non solo intere popolazioni soffrono a causa di ingiustizie, guerre, malattie e molto altro, ma è anche il creato, la natura a soffrire. Essa non solo geme, ma “aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio”. Che cosa intende l’Apostolo con queste autorevoli espressioni? Questo testo presenta qualche difficoltà tanto da aver lasciato un po’ perplessi, nel corso della storia, i suoi interpreti, soprattutto perché si tratta di un’osservazione non fatta in nessun altro testo biblico con il quale potrebbe essere paragonato.

Leggiamo così quanto troviamo in Romani 8:18-25.

“Perché io stimo che le sofferenze del tempo presente non siano per nulla paragonabili alla gloria che deve essere manifestata a nostro riguardo. Infatti la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio, perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta, non senza speranza però che la creazione stessa sarà anch’essa liberata dalla servitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Poiché sappiamo che fino ad ora tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio;  non solo essa, ma anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro noi stessi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo stati salvati in speranza. Ora la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede perché lo spererebbe ancora? Ma, se speriamo quello che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza” (Romani 8:18-25).

Le sofferenze dei primi cristiani sublimate

L’Apostolo qui inizia (v. 18) parlando delle sue sofferenze in quanto predicatore dell’Evangelo di Gesù Cristo, anzi, delle sofferenze di quelle persone che questo messaggio lo avevano accolto con fiducia e che per questo pativano le persecuzioni di un ambiente a loro ostile. Si sarebbe potuto pensare che le difficoltà e i patimenti dell’Apostolo fossero “fatica sprecata”, che non ne valessero in fondo la pena. Avrebbe potuto dire: “Tanto la gente non cambierà mai” e “il mondo rimarrà un posto pieno di ingiustizie e di violenza destinato solo all’auto-distruzione”. No, la sua fede e la sua speranza non venivano meno perché guardava alla certa gloria, ne era persuaso, che sarà un giorno manifestata quando Dio farà completa pulizia di ciò che guasta questo mondo – e noi tutti, dice, ne saremo partecipi. Di questa “completa pulizia” già poteva vedere “le primizie” evidenti nelle vite che l’Evangelo aveva iniziato a trasformare quando era stato accolto con fiducia. Le testimonianze al riguardo erano innumerevoli. Le sofferenze sue e dei cristiani erano, per così dire, sublimate e sostenute dalla certa speranza di ciò che Dio avrebbe un giorno portato a compimento.

Le sofferenze del creato

Le sofferenze, però, non erano soltanto le sue e dei cristiani, ma anche del creato che “geme” ed è altresì in attesa di essere finalmente liberato da queste sofferenze. Di chi è in attesa? “Dei figli di Dio”, dice il nostro testo. Chi sono?

La creazione, corrotta dal peccato e dalla caduta dell’uomo (come descritto in Genesi 3) attende la manifestazione dei figli di Dio come segno della sua futura liberazione dalla corruzione e dal degrado che oggi lo caratterizza. Questo implica una futura redenzione non solo per l’umanità, ma per tutta la creazione, che sarà restaurata al suo stato originale e perfetto.

Per “la creazione” (v. 19, il creato, le cose create) si intende la natura. Dato che è un tutt’uno interconnesso, interdipendente, non può che subire le conseguenze degli abusi operati dall’essere umano. La creazione “è stata sottoposta alla vanità” perché il peccato di Adamo (che rappresenta l’umanità) la scompagina, le fa perdere il suo senso e funzione originale. In Genesi troviamo infatti scritto che Dio dice ad Adamo:  “… il suolo sarà maledetto a causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi” (Genesi 3:17-18). Essa è sottoposta “alla servitù della corruzione (21). In essa si è prodotta contaminazione, deformità e infermità. Essa è imbrattata e macchiata; gran parte della bellezza del mondo è scomparsa. C’è inimicizia tra una creatura e l’altra; sono tutti soggetti alla continua alterazione e decadimento, coinvolti nel giudizio di Dio sull’essere umano. È logico quindi che la terra nella quale viviamo sia avviata, di questo passo, verso una totale dissoluzione.

Inoltre, non è l’elemento meno importante di questa vanità e schiavitù è il fatto che la natura sia usata, o piuttosto abusata, come strumenti di peccato. Le creature, infatti, vengono spesso abusate a disonore del loro Creatore, a danno dei suoi figli o al servizio dei suoi nemici. Quando la natura viene resa cibo e combustibile delle nostre concupiscenze, essa è soggetta alla vanità, è prigioniera della legge del peccato. E questo “non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta” (20 b). Tutte le creature anelano ad essere ciò a cui il Creatore le aveva originalmente destinate, la loro perfezione, ma sono rese, contro la loro volontà, strumenti di peccato. In altri termini, sono prigioniere per un peccato non loro, qualcosa che esse hanno commesso, ma per un peccato umano: a causa di colui che le ha sottomesse.

“Adamo” lo fa volontariamente. Riceve il mondo creato, la natura, per essere usata secondo la volontà di Dio, ma abusando del mandato ricevuto (il “dominio” nel mandato del Creatore in Genesi 1:28 è un termine positivo), “Adamo” le coinvolge inevitabilmente alla “servitù della corruzione”. Con la sentenza giudiziaria che Dio emana, Egli rende la natura  (il terreno) strumento del suo giudizio su Adamo: “Esso ti produrrà spine e rovi”. Questa, però, non era la funzione originaria della natura. La natura porta così un giogo, una servitù, che non doveva avere. Questo, però, si inquadra nella speranza che non sarà sempre così: “… non senza speranza però che la creazione stessa sarà anch’essa liberata dalla servitù” (21 a).

Abbiamo ben motivo di compatire le povere creature che per il nostro peccato siano diventate soggette alla vanità,  che le creature gemano e soffrano insieme nel dolore sotto questa vanità e corruzione: “sappiamo che fino ad ora tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio” (22). È un’espressione figurata: il peccato umano è un peso per l’intero globo terracqueo. Si tratta di un concetto espresso altre volte nelle Scritture. C’è un grido generale di tutta la creazione contro il peccato dell’uomo:

Giobbe è consapevole che il peccato fa gridare e piangere la terra: “Se la mia terra mi grida contro, se tutti i suoi solchi piangono” (Giobbe 31:38). Gli idoli che gli ebrei infedeli facevano trasportare dalle bestie erano un gravoso fardello per esse: “… le loro statue sono messe sopra animali, su bestie da soma; questi idoli che voi portavate qua e là sono diventati un carico; un peso per la bestia stanca!” (Isaia 46:1). Anche la pietra e il legno “grida” a causa degli imperialisti caldei: “Tu hai designato la vergogna per la tua casa, sterminando molti popoli, e hai peccato contro te stesso. Poiché la pietra grida dalla parete, e la trave le risponde dall’armatura di legno” (Abacuc 2:10-11). La crocifissione di Gesù fa sì che “la terra tremò e le rocce si schiantarono” (Matteo 27:51) sottolineandone così l’importanza e l’impatto cosmico.

Una certa speranza per il creato

La creazione, però, che ora è così gravata, sarà, al momento della restaurazione di tutte le cose, liberata da questa schiavitù “per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (21 b). Essa non soffrirà più perché sarà liberata dagli effetti del peccato. Vera libertà, infatti, è muoversi nell’ambito dei propositi che Dio ha disposto per le Sue creature, quelle umane comprese – allorché si dimostrano figli di Dio. Come scrive l’apostolo Pietro: “… secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia” (2 Pietro 3:13). La visione dell’Apocalisse parla di una gloriosa certezza: “Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati e il mare non c’era più” (Apocalisse 21:1). Il fuoco dell’ultimo giorno sarà un fuoco di raffinazione, non di annientamento e distruzione. Per coloro che la grazia ha reso figli di Dio vi sarà restaurazione e questo per illustrare la saggezza, la potenza e la bontà del Creatore. I gemiti della natura si trasformeranno in gioia. Come dicono i Salmi: “Si rallegrino i cieli e gioisca la terra; risuoni il mare e quanto contiene; esultino i campi e quanto contengono; tutti gli alberi delle foreste emettano grida di gioia nel cospetto dell’Eterno; poiché egli viene, viene a giudicare la terra” (Salmi 96:11-13); “I fiumi battano le mani, i monti cantino assieme di gioia, davanti all’Eterno. Poiché egli viene a giudicare la terra; egli giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine” (Salmi 98:8-9).

La creazione quindi aspetta e attende sinceramente: “… la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio” (19). Chi sono dunque “i figli di Dio” che porteranno conforto e liberazione alla natura? Gli angeli? Forse degli “extraterrestri”? No, ma creature umane rigenerate e santificate dalla fede nel Signore e Salvatore Gesù Cristo, le quali, responsabilmente “curano le ferite” della natura e la trattano “come Dio vuole”!

Ora, è vero, i santi di Dio sono come nascosti: di loro il mondo non parla, preferisce esaltare le proprie empie imprese. Il grano sembra perduto in un mucchio di pula; ma allora gli autentici figli di Dio saranno manifesti. L’apostolo Giovanni scrive: “Diletti, ora siamo figli di Dio e non è ancora stato manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è” (1 Giovanni 3:2). Allora i figli di Dio appariranno nei loro veri colori. Anche il creato verrà redento, ed essi ne sono e ne saranno lo strumento. Come con “Adamo” e a causa di Adamo la natura è caduta sotto la maledizione, così con il “Nuovo Adamo” saranno liberati.

Tutta la maledizione e la sporcizia che ora aderiscono alla creatura saranno eliminate allora quando coloro che hanno sofferto con Cristo sulla terra regneranno con Lui, non in cielo, ma sulla terra. È proprio questo a cui anela tutta la creazione; e questo potrebbe servire come motivo per cui ora un uomo buono dovrebbe essere misericordioso con animali e vegetali!

Speranza futura ma non solo

Tutto questo, però, non è riservato solo alla fine dei tempi, perché gli autentici figli di Dio già sono e devono essere “primizie” di quel mondo rinnovato, perché operano fin da oggi in sintonia con quello che sarà. L’apostolo Paolo scrive a cristiani e dice: “ … anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito” (23 a). È il fatto di aver ricevuto le primizie dello Spirito che ci mobilita, che ravviva i nostri desideri e incoraggia le nostre speranze. In entrambi i casi accresce le nostre aspettative e ci mobilita in fiduciosa ubbidienza a Dio. La grazia operante nel cristiano è “la primizia della gloria”, è la gloria iniziata. Noi, avendo ricevuto, per così dire, tali “grappoli d’uva” in questo deserto, non possiamo fare a meno di desiderare la piena vendemmia nella “Canaan celeste”, il mondo rinnovato.

Noi, avendo ricevuto oggi in Cristo i doni della grazia di Dio facciamo “opere di misericordia” e desideriamo ardentemente il compimento delle fedeli promesse di Dio. Avendo le primizie dello Spirito abbiamo ciò che è molto prezioso, ma non abbiamo tutto ciò che vorremmo. Gemiamo dentro di noi, il che denota la forza di questi desideri, con gemiti silenziosi. Si tratta di un gemito che ci stimola, non che ci deprime! È il voto unanime, il nostro desiderio comune, tutti concordi in questa invocazione: “Vieni, Signore Gesù, vieni presto”. Il gemito denota un desiderio molto serio e importuno, l’anima soffre per quello che percepisce come ritardo. Non sono come i dolori di un morente, ma come i dolori di una donna in travaglio: gemiti che sono sintomi di vita, non di morte.

Qual è l’oggetto di questa nostra aspettativa? Che cosa desideriamo e aspettiamo in questo modo? “… aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo” (23 b). La salvezza in Cristo riguarda anima e corpo. Il Signore si è dichiarato anche per il corpo e ha provveduto molto onore e felicità per il corpo. La risurrezione è qui chiamata redenzione del corpo. Sarà allora liberato dal potere della morte e dalla schiavitù della corruzione; e, sebbene sia un corpo ancora soggetto a debolezza e malattia, tuttavia sarà raffinato e abbellito e reso simile al corpo glorioso di Cristo. Come dice la Scrittura, Dio “…  trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa” (Filippesi 3:21).

Ora, in Cristo siamo figli adottivi di Dio, ma allora Dio riconoscerà pubblicamente tutti i suoi figli. L’atto di adozione, ora scritto, firmato e sigillato, verrà poi riconosciuto, proclamato e pubblicato. Come è stato Cristo, così saranno i santi, dichiarati figli di Dio con potenza, mediante la risurrezione dai morti. I figli di Dio hanno sia corpi che anime; e, finché quei corpi non saranno portati nella gloriosa libertà dei figli di Dio, l’adozione non sarà perfetta. Ma allora sarà completa, quando il Capitano della nostra salvezza porterà alla gloria i Suoi numerosi figli: “Infatti, per condurre molti figli alla gloria, ben si addiceva a colui a causa del quale sono tutte le cose e per mezzo del quale sono tutte le cose, di rendere perfetto, per via di sofferenze, l’autore della loro salvezza” (Ebrei 2:10).

Questo è ciò che aspettiamo. Aspettiamo operosamente  tutti i giorni del tempo stabilito, finché non avverrà questa trasformazione, quando egli chiamerà e noi risponderemo, ed egli avrà desiderio dell’opera delle sue mani. “Poiché siamo stati salvati in speranza. Ora la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede perché lo spererebbe ancora? Ma, se speriamo quello che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza” (24-25). La nostra felicità presente non è completa: siamo salvati in speranza. Coloro che vogliono trattare con Dio devono agire sulla fiducia. La speranza è una delle maggiori grazie del cristiano (1 Corinzi 13:13). Questo implica necessariamente un bene futuro, che è oggetto di quella speranza. La fede è l’evidenza, la speranza l’attesa di cose non viste. La fede è la madre della speranza. Attendiamo con pazienza nonostante le possibili evidenze contrarie. Nel sperare in questa gloria abbiamo bisogno di pazienza, di sopportare le sofferenze che incontriamo nel cammino verso di essa, nel nostro operare e i relativi ritardi. La nostra strada è dura e lunga; ma colui che verrà, verrà e non tarderà; e quindi, anche se sembra tardare, tocca a noi aspettarlo, svegli, “con le lampade accese” e operanti.

Conclusione

Oggi non solo rimangono in questo mondo schiere di persone e popolazioni che soffrono a causa di ingiustizie, guerre, malattie ecc. ma è anche la natura stessa a soffrire a causa degli abusi che l’umanità costantemente le infligge. Per sanare le questioni ambientali si avanzano molte proposte più o meno efficaci e sicuramente discutibili. Non possiamo, però, “fare finta di nulla” o peggio disinteressarci di questo mondo “perché tanto…”.  Dobbiamo agire in maniera responsabile soprattutto come cristiani perché indubbiamente Dio ci dà un preciso mandato di prenderci cura del bene della natura creata, dell’ambiente in cui viviamo. Ne siamo, infatti, interdipendenti. È un dato di fatto, così, come ci dice la stessa Parola di Dio, “la creazione geme insieme ed è in travaglio … e aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio”. Chi sono questi figli di Dio? Siamo noi, coloro che Dio ha adottato in Cristo nella Sua famiglia. Come allevieremo le sofferenze della natura ne dobbiamo parlare e discutere, ma passare all’azione è un nostro preciso dovere, tanto come operare misericordia verso il nostro prossimo. Lo faremo per raccogliere fin da oggi le primizie dei buoni frutti che verranno un giorno a compimento quando Dio porterà a compimento i Suoi propositi di ristabilimento della terra, finalmente purificata da ogni elemento di corruzione. L’apostolo Paolo, che ha scritto il testo ispirato da Dio che oggi abbiamo esaminato, non veniva meno nella sua fede ed impegno, nonostante le difficoltà che aveva nell’annuncio e nell’applicazione dell’Evangelo perché guardava al certo futuro glorioso che Dio ha promesso. Procediamo, dunque, nello spirito che lo animava.

Paolo Castellina, 7 giugno 2024.