Domenica 28 Aprile 2024 – Quinta domenica di Pasqua
(Culto completo con predicazione, 59′ 59″)
(Solo predicazione, 32′)
Due condizioni contrapposte
In psicologia si distinguono due condizioni contrapposte, anche se collegate: “il complesso di inferiorità” e “il complesso di superiorità”. Riguardano individui, ma possono essere ampliate fino a includere nazioni, religioni, e persino civiltà.
Il complesso di inferiorità è un insieme di pensieri e sentimenti negativi riguardo a sé stessi, spesso basati sulla percezione di essere una persona inadeguata e insufficiente rispetto agli altri. Le persone con un complesso d’inferiorità sviluppano una bassa stima di sé stessi (dicono, per esempio, “non valgo nulla”) e una sensazione di essere inferiori o meno degni rispetto ad altri. Il complesso di superiorità, invece, è l’atteggiamento opposto in cui un individuo tende a sopravvalutare le sue capacità, importanza o valore rispetto agli altri. Le persone con un complesso di superiorità possono manifestare un atteggiamento arrogante, eccessivo orgoglio ai limiti dell’onnipotenza, credere di essere più intelligenti e “illuminati” e quindi di avere il diritto di governare e magari persino di eliminare tutti gli altri.
Tutti, chi più chi meno, possono certo fare esperienza di momenti d’insicurezza e sentirsi inadeguati, oppure avere sentimenti di superiorità in determinate situazioni, ma questi complessi possono diventare condizioni patologiche se influenzano significativamente il funzionamento quotidiano e le relazioni della persona. Ad esempio, un complesso di inferiorità grave potrebbe causare depressione o ansia sociale e portare persino al suicidio, mentre un complesso di superiorità eccessivo potrebbe portare a comportamenti arroganti, alienare gli altri, e persino a comportamenti irrazionali, violenti, ad imporre sé stessi senza scrupoli.
Due uomini al Tempio
Confessare umilmente e realisticamente la propria inadeguatezza, i propri fallimenti morali e spirituali e la propria indegnità, non è un complesso di inferiorità, anzi, è lodevole quando sorge da un sincero desiderio di “riaggiustare” la propria vita con l’aiuto di Dio. Il complesso di superiorità, però, di chi sentendosi “arrivato”, capace e “a posto”, disprezza gli altri, e si ritiene “di classe superiore” è riprovevole. Questa situazione la troviamo illustrata nella parabola di Gesù chiamata “il fariseo e il pubblicano”. Ascoltiamola:
“[Gesù] Disse ancora questa parabola per alcuni che confidavano in sé stessi di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio per pregare, uno fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: ‘O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; neppure come quel pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo’. Il pubblicano, invece, se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, sii placato verso me peccatore!’. Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quell’altro, perché chiunque si innalza sarà abbassato, ma chi si abbassa sarà innalzato” (Luca 18:9-14).
Una sindrome estesa
Il complesso di superiorità, l’ipocrita presunzione, non la troviamo solo in alcune persone, ma, come già avevo accennato, la troviamo ampliate fino a includere nazioni, religioni, e persino civiltà. Questa situazione la troviamo denunciata nelle parole che l’apostolo Paolo rivolge, nella sua lettera ai Romani, a molti ebrei del suo tempo. La potremmo chiamare “la sindrome di superiorità morale”. Ascoltate che cosa dice in al capitolo 2.
“Ora, se tu ti chiami Giudeo, ti riposi sulla legge, ti glori in Dio, conosci la sua volontà, distingui la differenza delle cose essendo istruito dalla legge e ti persuadi di essere guida dei ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre, educatore degli insensati, maestro dei fanciulli, perché hai nella legge la forma della conoscenza e della verità, come mai, dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? Tu, che predichi che non si deve rubare, rubi? Tu, che dici che non si deve commettere adulterio, commetti adulterio? Tu, che detesti gli idoli, saccheggi i templi? Tu, che ti glori della legge, disonori Dio trasgredendo la legge? Infatti, come è scritto: “Il nome di Dio, per causa vostra, è bestemmiato fra i Gentili”. La circoncisione è certo utile, se tu osservi la legge, ma, se tu sei trasgressore della legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione. Se l’incirconciso osserva i precetti della legge, la sua incirconcisione non sarà essa reputata circoncisione? Così colui che per natura è incirconciso, se adempie la legge, giudicherà te, che con la lettera e la circoncisione sei un trasgressore della legge. Poiché Giudeo non è colui che è tale all’esterno né la circoncisione è quella esterna, nella carne, ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini ma da Dio” (Romani 2:17-29).
Paolo, apostolo del Cristo e “ebreo di ebrei”, qui esprime una spietata critica dell’arroganza e presunzione dell’ebraismo del suo tempo o di alcuni suoi settori. Erano ebrei che si consideravano, in forza della loro divina elezione, “una razza superiore” con la vocazione di “civilizzare il mondo”. Paolo qui non mette in questione il valore supremo della legge morale rivelata da Dio tramite Mosè, anzi, ma la fondamentale ipocrisia in senso lato di un popolo che, non vedendo le proprie palesi inadempienze a quella stessa legge, pretendeva di andare in giro ad insegnare agli altri. Di fatto, egli osserva, vi sono “incirconcisi” che la legge morale suprema di Dio, la osservano meglio di voi, pur non identificandosi nella vostra religione – e questo è ciò che per Dio più conta! Dire però così sarebbe stato da loro considerato sommamente offensivo!
A quale fine Paolo denuncia e dimostra tutto questo? “… affinché ogni bocca sia chiusa e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio” (Romani 3:19) e quindi portare tutti (ebrei e pagani) al Salvatore Gesù Cristo, l’unico che ha titolo ad incarnare e quindi a trasmettere la giustizia di Dio.
Il mondo in balia di presuntuosi ed arroganti
La “sindrome di superiorità morale”, per altro, era allora condivisa dallo stesso mondo greco che si vantava della loro alta cultura filosofica e consapevolezza “civilizzatrice” – basta guardare a come la predicazione di Paolo era stata accolta ad Atene: “Quando sentirono parlare della risurrezione dei morti, alcuni se ne facevano beffe e altri dicevano: “Su questo noi ti sentiremo un’altra volta”. Così Paolo uscì dal mezzo di loro” (Atti 17:32-33). I romani, altresì, vantavano la loro superiorità tecnologica, economica e militare tanto da allargare sempre di più il loro dominio imperiale ai danni di quelli che consideravano popolazioni barbare e incivili. Insomma, il mondo in balia di presuntuosi ed arroganti… Gesù diceva ai farisei del suo tempo: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché scorrete mare e terra per fare un proselito e, quando lo avete fatto, lo rendete figlio della geenna il doppio di voi” (Matteo 23:15).
Gesù, il Salvatore, era ben cosciente della diabolica dinamica del potere che mobilitava gli affetti dalla “sindrome di superiorità”. Ai Suoi discepoli insegnava: “I re delle nazioni le signoreggiano e quelli che hanno autorità su di esse sono chiamati benefattori. Ma tra voi non deve essere così; anzi, il maggiore fra voi sia come il minore, e chi governa come colui che serve. Poiché chi è maggiore, colui che è a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22:25-27). Era come se dicesse “guardatevi dai presunti ‘benefattori’, come certi moderni plutocrati che si considerano pure “benefattori” e che, con il loro denaro e potere vorrebbero “salvare il mondo”. Per questo tramano con i loro folli progetti come quello che, seriamente vorrebbe “oscurare il sole” per salvarci dal presunto surriscaldamento ambientale – naturalmente dopo aver ridotto il numero della popolazione mondiale con i loro potenti mezzi e risorse.
Gli esempi di presunta (e catastrofica) “superiorità morale” potrebbero essere moltiplicati. Joseph Goebbels, il ministro della propaganda nazista durante il regime di Adolf Hitler, aveva fatto affermazioni simili riguardo alla superiorità morale della Germania nazista. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Goebbels e il regime nazista si erano infatti impegnati attivamente nella propaganda per sostenere la guerra e per influenzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale. Una delle tattiche utilizzate era proprio quella di dipingere la Germania nazista come moralmente superiore alle nazioni nemiche, in particolare agli Alleati da una parte e i comunisti dall’altra. Goebbels e altri leader nazisti promuovevano l’idea di una “comunità del popolo” tedesco, rafforzando l’idea di una superiorità etica e culturale del popolo tedesco rispetto agli altri. Questo concetto di superiorità morale veniva spesso associato alla retorica antisemita e razziale del regime nazista, che dipingeva gli ebrei e altre minoranze come inferiori e degenerate. Questo non rappresentava certo una valutazione accurata o obiettiva della realtà. Questo “dominio dei migliori” però, era condiviso in altro ambito da molti altri come dall’imperialismo islamico o dall’ideologia comunista.
La sindrome della superiorità morale dell’Occidente
La “sindrome della superiorità morale dell’Occidente” è pure un termine utilizzato per descrivere un atteggiamento particolarmente dei paesi occidentali industrializzati, che si presume abbiano una percezione di superiorità morale rispetto ad altre culture o paesi. Questa percezione di superiorità morale è spesso associata a una serie di atteggiamenti e comportamenti che vengono osservati nei contesti politici, culturali e sociali. Le caratteristiche rilevate di questa sindrome possono includere:
(1) Etnocentrismo: un atteggiamento che giudica altre culture o modi di vita in base ai valori e agli standard occidentali, considerandoli superiori o più “civilizzati”. (2) Colonialismo culturale: un’imposizione dei valori occidentali su altre culture o nazioni, spesso attraverso influenze culturali, economiche o politiche. (3) Arroganza culturale: un senso di superiorità che porta a un disprezzo o a una mancanza di rispetto verso altre culture, ritenute inferiori o primitive. (4) Interventismo politico o militare: un’interferenza negli affari interni di altri paesi o culture basata sulla convinzione che l’Occidente abbia il dovere morale di “civilizzare” o “democratizzare” altre nazioni. (5) Paternalismo: un atteggiamento che assume che l’Occidente sappia cosa è meglio per altre culture o nazioni, senza considerare le loro prospettive o esigenze. (6) Monopolio della verità: Un’affermazione della propria visione del mondo come la sola vera e giusta, senza riconoscere o rispettare la diversità di opinioni e prospettive.
Tutto questo è inevitabile che alimenti tensioni interculturali e internazionali, minando la cooperazione e il dialogo. La consapevolezza di queste dinamiche può aiutare a promuovere un approccio più inclusivo e rispettoso verso la diversità culturale e le prospettive globali come il multipolarismo.
Un sottoprodotto della nostra fede?
Potrebbe la “sindrome della superiorità morale dell’Occidente” essere considerata come un sottoprodotto dell’ambizione “evangelizzatrice” e “missionaria” dell’Occidente cristiano? Nel corso della storia, l’espansione del cristianesimo ha spesso coinciso con l’espansione dei territori e delle influenze occidentali, portando talvolta a un’interpretazione della missione come una missione di civilizzazione e superiorità morale. Davvero era ed è così?
Durante il periodo delle esplorazioni e dell’imperialismo, l’Occidente cristiano ha esportato spesso con la forza la propria cultura e religione in molte parti del mondo, accompagnando queste influenze con una convinzione intrinseca nella superiorità della propria fede e cultura. Questo ha contribuito a una visione etnocentrica e paternalistica che ha visto l’Occidente come il portatore della “vera” civiltà e dei valori “corretti”. L’idea di “civilizzare” le popolazioni indigene attraverso la diffusione del cristianesimo e l’adozione dei costumi occidentali ha alimentato così una sorta di superiorità morale che giustificava l’espansione coloniale e l’assimilazione culturale. Questo atteggiamento è stato giustamente criticato per il suo disprezzo per le culture locali e per il suo impatto negativo sulla diversità culturale e sulla sovranità delle nazioni non occidentali.
Anche se l’evangelizzazione e la missione cristiana hanno spesso avuto buone intenzioni nel diffondere la fede e aiutare gli altri. così come il Signore Gesù comanda ai Suoi discepoli di fare, l’interpretazione distorta di queste missioni come strumenti di dominio e superiorità dell’Occidente ha contribuito alla formazione della sindrome di superiorità morale che discredita la fede cristiana e causato persecuzioni. Questo fenomeno richiede una riflessione critica e un impegno per promuovere, pur senza scadere nel relativismo, come dovremmo, un dialogo interculturale rispettoso e una comprensione reciproca tra tutte le culture e le tradizioni.
La denunzia dell’Apostolo
I concetti che hai qui sopra giustamente evidenziato li vedo espressi nella denunzia che l’apostolo Paolo fa nella lettera ai Romani 2:17-29. Questa denunzia riguardo ai Giudei del suo tempo può indubbiamente essere vista come rilevante anche per discutere i concetti di superiorità morale e paternalismo nell’ambito dell’evangelizzazione e della missione cristiana, sia nel contesto storico che in quello contemporaneo.
Nel passaggio menzionato, Paolo critica i Giudei che si basano sulla legge e si vantano della loro relazione speciale con Dio, ma allo stesso tempo trascuravano di vivere secondo gli insegnamenti della legge. Questo atteggiamento di presunzione e arroganza morale rifletteva una forma di superiorità che non si traduceva in una vera comprensione e pratica della volontà di Dio.
Anche oggi, ci sono cristiani che possono cadere nella trappola di sentirsi superiori moralmente a causa della loro fede o della loro comprensione delle Scritture, ma allo stesso tempo trascurano di praticare con diligenza, gli insegnamenti di amore, compassione e umiltà insegnati da Gesù Cristo. L’atteggiamento paternalistico e l’etnocentrismo che possono emergere dall’evangelizzazione possono essere visti come una manifestazione moderna della stessa presunzione denunciata da Paolo nei confronti dei Giudei. Questo sottolinea l’importanza di riflettere noi criticamente sull’atteggiamento e sulle motivazioni che stanno dietro l’evangelizzazione e di assicurarsi che sia guidata dall’amore, dal rispetto e dalla volontà di servire gli altri anziché da un senso di superiorità morale o dalla volontà di imporre la propria cultura e fede agli altri.
Che dunque?
Molto si potrebbe ancora dire su questa sindrome di presunta superiorità morale. Basti, però, osservare la sua origine malefica: “Poiché tutto quello che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non è dal Padre, ma è dal mondo” (1 Giovanni 2:16). Tale sindrome, infatti, è la caratteristica dell’anticristo: “… l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto, fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio” (2 Tessalonicesi 2:4).
La conclusione del discorso non può che essere quella dell’Apostolo stesso: “Che dunque? Abbiamo noi qualche superiorità? Niente affatto! Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sotto il peccato” (Romani 3:9). Anzi, “Se bisogna vantarsi, io mi vanterò delle cose che concernono la mia debolezza” (2 Corinzi 11:30). La superiorità non sta in noi, ma in Dio e nella Sua Legge, e la giustizia appartiene solo al Cristo. “Colui che viene dall’alto è sopra tutti; colui che viene dalla terra è della terra e parla come uno della terra; colui che viene dal cielo è sopra tutti” (Giovanni 3:31). “E gridavano a gran voce, dicendo: ‘La salvezza appartiene al nostro Dio, il quale siede sul trono, e all’Agnello’” (Apocalisse 7:10).
L’Apostolo ribadisce: “Dov’è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede, perché riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede, senza le opere della legge. Dio è soltanto il Dio dei Giudei? Non è anche il Dio dei Gentili? Certo lo è anche dei Gentili, poiché c’è un Dio solo, il quale giustificherà il circonciso per fede e l’incirconciso ugualmente per mezzo della fede. Annulliamo dunque la legge mediante la fede? Così non sia, anzi confermiamo la legge” (Romani 3:27-21). Che Dio dia a tutti noi il discernimento necessario per porre attenzione a tutto questo.
Paolo Castellina, 20 aprile 2024.
Per approfondire
L’origine del concetto di superiorità morale può essere rintracciata nella storia della filosofia morale e nella teoria psicologica. Filosofi come Kant e Nietzsche hanno affrontato il tema della moralità e dell’orgoglio morale in modi diversi, contribuendo alla nostra comprensione contemporanea del concetto. In psicologia, teorie come l’autostima e l’identità sociale forniscono un quadro per esaminare come le persone sviluppano e mantengono un senso di superiorità morale. L’uso del termine “superiorità morale” può variare a seconda del contesto e dell’intenzione dell’individuo che lo utilizza. Può essere impiegato in modo positivo per promuovere valori etici elevati e comportamenti altruisti, o può essere abusato per giustificare il pregiudizio, la discriminazione o l’egemonia culturale.
Come esiste il complesso di inferiorità esiste pure quello di superiorità. Si tratta di una reazione umana, un atteggiamento che si deve assimilare alla naturale tendenza a considerare giusto quello che pare giusto a noi, a pensare che uno sia nel giusto scrivendo o parlando in base al fatto che abbia scritto e detto le stesse cose che pensiamo noi, perché? Perché tutti, prima o poi, vengono presi dalla presunzione di essere bravi e di aver capito la faccenda. Da quando sono nato sento di gente che passa la giornata a sbattere in faccia agli altri la propria “superiorità morale”, ogni categoria, ad ogni livello, in ogni tipo di contesto, e così ovviamente anche in politica, dal capo partito al sostenitore. Noi siamo i più bravi, abbiamo la superiorità morale dalla nostra parte. La cosa è stancante, tanto più che si tratta spesso di gente che blatera senza fornire uno straccio di prova di questa supposta superiorità morale, né fornisce una definizione precisa di cosa sia tale superiorità o dia un semplice elenco di esempi. Così la discussione rimane a livello di mera terminologia, tu dici superiorità morale, io dico innata nobiltà, l’altro dice divina provvidenza. Non se ne esce.
La superiorità morale può manifestarsi nella vita quotidiana in diversi modi, tra cui:
- Giudizio e critica costante: Una persona con un senso di superiorità morale potrebbe essere incline a giudicare e criticare costantemente gli altri per le loro azioni, scelte o opinioni, considerandole inferiori o sbagliate.
- Condotta condiscendente: Chi si sente moralmente superiore potrebbe adottare un atteggiamento condiscendente verso gli altri, comportandosi in modo paternalistico o arrogante.
- Rifiuto di ascoltare e considerare le opinioni altrui: La persona potrebbe rifiutarsi di ascoltare e considerare le opinioni altrui, convinta che le proprie convinzioni siano superiori e non abbiano bisogno di essere messe in discussione.
- Mancanza di empatia: La superiorità morale può portare a una mancanza di empatia verso coloro che vengono considerati moralmente inferiori, riducendone il valore e ignorandone i bisogni.
- Comportamento ipocrita: Chi si sente moralmente superiore potrebbe essere incline a comportarsi in modo ipocrita, applicando standard diversi a se stessi e agli altri.
Questi sono solo alcuni esempi, ma la superiorità morale può manifestarsi in molti altri modi, influenzando le interazioni quotidiane e le relazioni personali.
https://www.huffingtonpost.it/blog/2021/08/30/news/il_tarlo_della_superiorita_morale-5205525