La salvezza dell’anima: alla base di ogni altra cosa   (Marco 8:36-37)

Domenica 20 Ottobre 2024 – 21a Domenica dopo quella dedicata alla Trinità

[Culto completo con predicazione, 59′]

[Solo predicazione, 29′]

“Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima sua? Infatti, che darebbe l’uomo in cambio dell’anima sua?”. Questa affermazione del Salvatore Gesù Cristo, che troviamo in Marco 8:36-37 è uno dei Suoi più significativi insegnamenti riguardanti il valore dell’anima dell’essere umano. L’anima, infatti, costituisce il cuore, il nucleo, della sua identità e dignità fatta ad immagine e somiglianza di Dio, suo Creatore. L’anima, così intesa, può, di fatto, essere degradata e perduta quando investiamo la nostra vita in ciò che è inferiore come i beni materiali fine a sé stessi, ma anche in ciò che è deteriore, non conforme, cioè, a ciò che Dio considera valori autentici e che noi dovremmo perseguire più di ogni altra cosa. La domanda che qui pone Gesù, infatti, è retorica perché la risposta dovrebbe essere scontata: “C’è forse qualcosa che valga più dell’anima?”. “No! Non c’è!”.

Futili discussioni 

Ciò che dovrebbe essere scontato, però, rimane per molti oggetto di futili discussioni come se l’anima non esistesse. Abbiamo o no “un’anima [1], qualcosa che caratterizzi la nostra identità personale e che trascenda la nostra stessa vita fisica? Per i materialisti no: per loro noi siamo solo un fenomeno psicofisico temporaneo che scomparirà del tutto alla nostra morte. Non sorprende quindi che la vita umana sia da molti considerata senza scrupoli come qualcosa di cui disporre e sfruttare e che questo non comporti conseguenze. La questione poi del rischio di perdere l’anima non sembra preoccupare gli scettici e gli agnostici che, in forza del principio: “Non possiamo sapere nulla di certo al riguardo”, lasciano che le cose, come dicono, “vadano come vadano” e “… poi si vedrà”.

Dal punto di vista della ricerca scientifica [2] che si occupa principalmente di ciò che è osservabile e verificabile nel mondo fisico, la scienza non ha prove concrete dell’esistenza di un’anima come la intendono le religioni, ma ci sono alcune ipotesi che esplorano l’idea di una coscienza che possa continuare dopo la morte. Ad esempio, teorie quantistiche suggeriscono che la coscienza potrebbe essere collegata a processi quantistici nel cervello e che l’informazione quantistica potrebbe in teoria sopravvivere alla morte fisica. Tuttavia, queste teorie sono speculative e non dimostrate. Alcuni studiosi hanno anche esplorato il fenomeno delle esperienze di premorte, in cui persone in situazioni di arresto cardiaco riportano visioni e sensazioni fuori dal corpo. Mentre alcuni scienziati spiegano questi fenomeni come il risultato di processi biologici nel cervello morente, altri ipotizzano che potrebbero indicare una coscienza separata dal corpo, ma non c’è consenso su questo. Infine, ci sono idee speculative sulla coscienza come un’informazione che potrebbe essere “caricata” su supporti digitali o essere un fenomeno fondamentale dell’universo. Queste teorie, che appartengono a campi come la filosofia e la fisica teorica, esplorano possibilità future o alternative, ma rimangono lontane dall’essere verificate o accettate dalla scienza tradizionale.

Noi, però, ci basiamo per fede sull’autorità del Signore e Salvatore Gesù Cristo che, consapevole dell’importanza massima della questione, aveva detto – riascoltiamolo: “Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima sua? Infatti, che darebbe l’uomo in cambio dell’anima sua?” (Marco 8:36-37). Che cosa intendeva dirci con queste parole?

Vivere all’altezza della nostra dignità 

Nel vangelo secondo Marco, al capitolo 8, vediamo Gesù che sta preparando i suoi discepoli alla realtà della sua morte sacrificale e risurrezione. Egli parla della necessità di prendere la propria croce e seguirlo, il che implica una vita di rinuncia a desideri egoistici e ad ambizioni mondane che scompaiono rispetto alla suprema importanza dei propositi di Dio che siamo chiamati a servire. È in questo contesto che Gesù chiede: “Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima sua?”.

Nel Nuovo Testamento, la parola greca psychē, che traduciamo come “anima”, ha significati diversi, ma in questo contesto si riferisce alla parte essenziale e permanente dell’essere umano, quella che definisce la sua dignità e stabilisce il suo vitale rapporto. Non si tratta solo di “vita fisica”, ma piuttosto della totalità della persona umana, fatta ad immagine e somiglianza di Dio, l’aspetto interiore che perdura oltre la morte. Quando Gesù parla dell’anima, fa riferimento alla dimensione spirituale ed eterna dell’essere umano, contrapposta a ciò che è temporale. Da cui la stupidità di investire la nostra vita in ciò che è temporaneo, fugace.

Gesù, infatti, mette in grande rilievo il fatto che nessun successo materiale, potere o accumulo di ricchezze possa compensare la perdita dell’anima. In altre parole, una vita dedicata esclusivamente alla ricerca di apparente profitto, guadagni e piaceri materiali, fama o potere, senza attenzione alla propria condizione spirituale, porta a una perdita irreparabile e drammatica. Il “mondo”, simbolo di tutte le ambizioni umane, non può offrire nulla di abbastanza prezioso tanto da “riscattare” un’anima perduta. Infatti, l’anima è così preziosa che nemmeno il possesso dell’intero mondo sarebbe sufficiente a compensare la sua perdita.

Gesù, quindi, invita i suoi ascoltatori a riflettere sulla priorità che è essenziale dare ai valori spirituali rispetto a quelli materiali, ai valori stabiliti come tali da Dio rispetto a quelli di una prospettiva falsata. La domanda retorica “Che darebbe l’uomo in cambio dell’anima sua?” sottolinea così la sproporzione tra i beni materiali e la realtà spirituale, tra ciò che è inferiore e ciò che ha valenza eterna. L’anima umana, creata per essere in eterna comunione con Dio, ha un valore incalcolabile, e il suo destino ultimo dipende dal nostro rapporto con Dio piuttosto che dal successo mondano, perché il nostro significato come creature umane è trascendente.

Il passo di Marco 8:36-37 è un richiamo a vivere una vita orientata non solo al presente terreno, ma ad una prospettiva eterna, quella che corrisponde ai propositi ultimi che Dio ha assegnato all’esistenza umana. La perdita dell’anima è irreparabile, è una tragedia di portata esistenziale, perché inevitabilmente porta alla separazione definitiva da Dio, il doloroso svuotamento e “smontaggio” della nostra esistenza. Nella prospettiva cristiana è la condizione più tragica che vi possa essere per l’essere umano. In quest’ottica, l’anima rappresenta così, il nucleo stesso della persona umana, la fonte di vita significativa ed eterna che non deve essere sacrificata per nulla al mondo.

Vivere all’altezza della nostra vocazione ultima

Nella prospettiva della fede cristiana, quindi, il concetto di anima non è semplicemente una dimensione eterea o immateriale dell’essere umano, ma è strettamente legato alla nostra identità più profonda e al rapporto con Dio, quello che determina la nostra stessa natura creata. L’anima, in questa visione, rappresenta la parte essenziale di noi che trascende la mera esistenza fisica e temporale. È la sede della nostra coscienza, della nostra volontà, del nostro rapporto con l’eterno e con il divino, quello a cui eravamo destinati sin dall’inizio.

L’anima è ciò che dà continuità e significato alla nostra esistenza. Non si tratta semplicemente di una “parte” dell’uomo in contrasto con il corpo, ma dell’essenza che dà unità all’intera persona, conferendole una dignità che non dipende da fattori contingenti o materiali. Questa visione emerge chiaramente nella concezione biblica, dove si afferma l’importanza di ogni singolo essere umano davanti a Dio, che deve essere onorato, difeso, preservato, coltivato, promosso. L’anima non è un’entità impersonale, ma la realtà che identifica l’essere umano, ciascuno di noi, in quanto unico e irripetibile.

Dal punto di vista cristiano, l’anima è destinata alla comunione eterna con Dio, ma può anche indubbiamente essere rovinata e perduta. Questa “perdita” non è una semplice estinzione, ma implica la separazione da Dio e dal significato ultimo della nostra esistenza. Perdere l’anima significa diventare alieni rispetto alla propria vocazione originaria, che è vivere in relazione con Dio e in conformità alla Sua volontà. Ecco perché la finalità ultima dell’Evangelo, l’opera redentrice del Signore e Salvatore Gesù Cristo è così importante. Il degrado della vita umana sottoposto alla corruzione del peccato, in Cristo è combattuto e la dignità di ogni essere umano ristabilita, rigenerata, promossa.

La “perdita” dell’anima si configura, quindi, come lo spreco ultimo della nostra stessa identità, in quanto l’anima è il fondamento della nostra capacità di conoscere, amare e adorare Dio. Il peccato, la nostra ribellione a Dio, la nostra folle ambizione di essere dio e legge a noi stessi, è eminentemente distruttivo. La misericordia di Dio, però, nella Persona ed opera di Gesù Cristo, accolta per fede, ci riporta in condizione di salvezza. Essa ci rammenta che la nostra identità spirituale trova il suo senso ultimo nella riconciliazione con Dio e la durevole comunione con Lui. Se l’anima non è ancorata in Dio, essa è soggetta alla corruzione del peccato e alla condanna eterna, che pure non è annientamento, ma  completa e permanente perdita di significato – un’immane  catastrofe.

Lo “spreco” dell’anima si verifica quando l’individuo vive ignorando la dimensione spirituale e si concentra esclusivamente su valori mondani e temporali. Quando Gesù dice: “Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima sua?”  Egli pone l’accento sul pericolo di dedicare la vita a perseguire ciò che è transitorio, trascurando ciò che è eterno.

Lo “spreco” dell’anima è legato all’idea del peccato, inteso non solo come trasgressione morale della Legge di Dio, ma come una vita vissuta lontano dal progetto di Dio, incentrata sull’autosufficienza umana e sull’idolatria dei beni terreni. In questo senso, perdere l’anima significa non realizzare la propria vera identità e vocazione in Cristo, bensì confinarla a un’esistenza limitata e priva di prospettive. L’anima può essere preservata solo se è ancorata alla grazia di Dio. La fede in Cristo è il mezzo attraverso cui l’anima viene salvata, rigenerata e riconciliata con il suo Creatore.

L’anima umana, corrotta dal peccato, viene salvata non da presunte nostre opere meritorie, ma attraverso la fede nella redenzione operata da Cristo. Questa fede non è un semplice assenso intellettuale, ma una fiducia personale in Dio che rigenera e purifica l’anima.

L’anima, quindi, è preservata nella sua comunione con Dio, la quale si realizza mediante la rigenerazione spirituale. L’individuo trova la sua vera identità non nei successi mondani, ma nella sua relazione con Cristo, che rinnova l’anima e la conduce verso una vita significativa ed eterna. La preservazione dell’anima è un processo che dura tutta la vita terrena, reso possibile dalla continua azione dello Spirito Santo, che santifica il credente e lo conforma all’immagine di Cristo.

Indubbiamente vi è grande importanza nella responsabilità personale di prendersi cura della nostra identità ultima. Il discepolo di Cristo è chiamato a vivere la propria vita nella consapevolezza che la sua anima ha un destino eterno. Le scelte fatte nella vita quotidiana riflettono questa tensione tra l’eterno e il temporale. Salvaguardare l’anima significa orientare la propria esistenza verso Dio, vivere una vita di fede e obbedienza alla Sua Parola.

Preservare l’anima implica, inoltre, una vita di discernimento spirituale, in cui il cristiano deve saper riconoscere le tentazioni del mondo e rinunciare a ciò che potrebbe allontanarlo da Dio. In questo senso, la frase di Gesù in Marco 8:36-37 è un ammonimento a valutare continuamente le nostre priorità e a non cedere alla tentazione di scambiare il valore eterno dell’anima con presunti guadagni temporali e mondani.

Conclusione 

La salvezza dell’anima, strettamente intesa, non è “il tutto” dell’Evangelo, del messaggio cristiano, perché un’anima salvata deve essere indubbiamente pure rieducata affinché contribuisca, insieme agli altri discepoli del Salvatore Gesù Cristo, alla redenzione, al restauro, alla ricostruzione di questo mondo. La salvezza dell’anima individuale, però, di tutto quello ne sta alla base.

È essa che promuove il valore intrinseco dell’essere umano. L’idea dell’anima, infatti, conferisce un valore unico all’essere umano, considerato non solo come un’entità biologica, ma come portatore di una realtà spirituale destinata all’eternità. Questo valore implica conferire all’essere umano una dignità innata, che richiede rispetto e cura. La salvezza dell’anima diventa così il segnale indicatore del suo destino eterno. Essa comporta conseguenze sul modo in cui le persone concepiscono il loro destino ultimo ed influisce sul nostro comportamento morale e sulla ricerca del bene.

L’anima rappresenta la nostra identità trascendente e il centro della nostra relazione con Dio. La sua perdita è la più grande tragedia possibile, poiché comporta la separazione da Dio e da una vita significativa di valore eterno. Attraverso la fede in Cristo, l’anima può essere preservata e rigenerata. Vivere nella consapevolezza di questa realtà richiede una continua tensione spirituale verso Dio, abbandonando le illusioni unidimensionali del mondo e scegliendo di custodire la nostra identità più profonda in Lui.

Valorizziamo, dunque la riflessione filosofica e teologica sull’anima per esplorare l’identità profonda dell’essere umano e il suo rapporto con il trascendente. Lungi dall’essere attività futile ed alienante, essa comporta implicazioni di ordine morale ed esistenziale di primaria importanza.

Ecco perché l’appello che fa l’Apostolo Paolo conserva tutta la sua rilevanza: “Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto essere peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:20-21).

Per questo, come pure dice la Scrittura: “… noi non siamo di quelli che si tirano indietro a loro perdizione, ma di quelli che hanno fede per salvare l’anima” (Ebrei 10:39).

Paolo Castellina, 11 Ottobre 2024

Note

Vedasi pure la mia predicazione del 1997: https://www.tempodiriforma.it/tdr2005/predicazioni/annate/1997/pr970810.htm

[1] https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Teopedia/Anima_-_rassegna_filosofica_e_religiosa  

[2] https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Teopedia/Anima_-_ipotesi_scientifiche