Domenica 9 ottobre 2022 – Diciottesima domenica dopo Pentecoste
(Servizio di culto con predicazione, 50′)
(Solo predicazione, 25′)
All’inizio dell’autunno molte comunità cristiane celebrano la “festa del raccolto”. È un’antica festa, tipica di una civiltà contadina. La tradizione ci ha tramandato questa festa e ci chiediamo che senso ancora essa possa avere per noi. Oggi abbondanti raccolti di cui essere riconoscenti ci sarebbero – e per tutti. Da sempre sono stati prodotti soprattutto in Russia e in Ucraina (ad esempio frumento e concimi) e da lì distribuiti al mondo intero. La stupidità criminale che anima gran parte dei governi delle nostre nazioni, che pensa solo ad appropriarsi delle risorse altrui per il profitto di pochi e al predominio di una parte sull’altra, pregiudica tali forniture (e non solo quelle) preferendo la guerra agli accordi commerciali e alla collaborazione fra i popoli. Invece che essere riconoscenti gli uni per gli altri, il dialogo e le trattative, si moltiplicano i ricatti delle sanzioni economiche verso quelli che si considerano avversari e le si giustificano. Esse, di fatto, sono sempre violenze che hanno per solo risultato quello di condannare intere popolazioni alla povertà e alla fame. Questo però a loro non sembra importare: quel che conta per questi politicanti e chi li controlla, è il dominio, la concorrenza e i profitti di pochi: della gente non importa loro nulla. Sono solo masse di manovra. Di questo torneremo a occuparcene un’altra volta, ma c’è qualcosa che dobbiamo risolvere prima in noi.
Oggi pensiamo soprattutto al significato di riconoscenza. Forse sarebbe meglio chiamare questa festa più che “del raccolto”: “Giornata della riconoscenza”, per ricordarci della sua importanza, in ogni ambito della vita. Tutta la nostra vita, infatti, può essere intesa come il risultato di un raccolto, il risultato di un’opera, prima ancora della nostra, di tante e tante persone più o meno sconosciute, la cui opera troppo spesso prendiamo per scontata, ma che è determinante.
Ancora di più, prima ancora della nostra opera, prima ancora del contributo di altre persone, c’è un Altro, Colui che ci ha creato, che sostiene la nostra vita e ci provvede del necessario e delle forze per operare in tutti i campi della nostra esistenza. Se pure si ringraziano gli altri, quanti sono quelli che si premurano di ringraziare Dio? “Poiché in lui viviamo, ci muoviamo e siamo” (Atti 17:28), dice la Bibbia. Quanti sono, poi, coloro che si premurano di ringraziare Dio perché nella persona di Gesù Cristo Egli ci provvede, del tutto immeritatamente la salvezza dalle conseguenze del peccato per darci una vita che abbia senso e prospettiva?
Il testo biblico
Ascoltate ciò che Iddio ci vuole insegnare sulla riconoscenza attraverso un episodio della vita del Signore Gesù.
“Or avvenne che, nel suo cammino verso Gerusalemme, egli passò attraverso la Samaria e la Galilea. E, come egli entrava in un certo villaggio, gli vennero incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono a distanza, e alzarono la voce, dicendo: «Maestro, Gesù, abbi pietà di noi». Ed egli, vedutili, disse loro: «Andate a mostrarvi ai sacerdoti». E avvenne che, mentre se ne andavano, furono mondati. E uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro glorificando Dio ad alta voce. E si gettò con la faccia a terra ai piedi di Gesù, ringraziandolo. Or questi era un Samaritano. Gesù allora prese a dire: «Non sono stati guariti tutti e dieci? Dove sono gli altri nove? Non si è trovato nessuno che sia ritornato per dare gloria a Dio, se non questo straniero?». E disse a questi: «Alzati e va la tua fede a ti ha guarito»” (Luca 17:12-19).
La condizione di vita più miserabile
Quale potrebbe essere per voi la condizione di vita più miserabile di questo mondo? Molte persone oggi in questo mondo vivono condizioni di vita che sono state definite “subumane”: povertà, malattia, fame, schiavitù… È una vergogna che – vantandoci della nostra “civiltà” – noi permettiamo che in questo mondo esistano situazioni di degrado estremo.
Qual è la condizione di vita più miserabile in cui possano vivere degli esseri umani? La maggior parte della gente al tempo di Gesù avrebbe detto che vivere in una colonia di lebbrosi è la forma più bassa di esistenza umana. I dieci uomini che incontrano Gesù probabilmente sarebbero stati d’accordo. Essi erano dei totali emarginati perché affetti da una malattia contagiosa e inguaribile in cui si moriva lentamente, perdendo pezzo a pezzo le membra del corpo. La legge richiedeva che essi annunciasse la loro presenza con campanelli e gridando: “Impuro! Impuro!”, cosicché la gente non li avrebbe incontrati inavvertitamente …e che vivessero in un luogo appartato, il “lazzaretto”. Quando si spostavano, essi dovevamo mantenere una certa distanza di sicurezza dai passanti. Ogni giudeo che si rispettasse avrebbe evitato del tutto il lebbrosario. Non Gesù.
Dieci lebbrosi sulla strada di Gesù
Gesù e i suoi discepoli stavano in quei giorni recandosi a Gerusalemme. I dodici discepoli, forse speravano che il Maestro avesse preso una strada diversa per recarsi in Samaria. I Giudei normalmente attraversavano il Giordano per recarsi in Perea, muovendosi lungo la riva orientale e attraversando di nuovo per recarsi a Gerusalemme. Gesù a questo non pensa nemmeno. Si era diretto proprio verso la Samaria e, come se questo non bastasse, avvicinandosi a un villaggio samaritano, ecco a una certa distanza sul loro sentiero addirittura dieci lebbrosi. Il massimo delle disgrazie per una persona di quel tempo. Non si trattava però di un incontro casuale. Gesù non chiudeva gli occhi sulla triste realtà di questo mondo, ma appositamente andava a cercare i più disgraziati, noncurante delle leggi e delle convenzioni umane. Era venuto proprio per questo.
I lebbrosi avevano una sorta di speranzoso cinismo nei loro occhi. Erano speranzosi perché avevano udito del potere di Gesù di guarire, ma erano anche dubbiosi perché, dopo tutto, “Chi mai si sarebbe interessato a dei lebbrosi?”. Tutt’e dieci avevano una cosa in comune, il desiderio d’essere guariti. A parte questa somiglianza, in molti modi essi erano diversi l’uno dall’altro. Ciascuno di essi aveva la propria personale storia da raccontare. Almeno uno proveniva dalla Samaria. Ciascuno di noi ha “la propria storia”, ma comune è il nostro problema esistenziale e quando incontriamo qualcuno con il quale possiamo identificarci, ci accompagniamo a lui per consolarci e diciamo “Mal comune, mezzo gaudio”. Anche oggi consigliano addirittura di cercare persone nella nostra stessa situazione e, condividendo i problemi comuni, aiutarsi reciprocamente.
Notate la loro comune richiesta: «Maestro, Gesù, abbi pietà di noi». Quando si è in grave bisogno si diventa istantaneamente e sorprendentemente religiosi. La gente usa tutti i termini religiosi corretti quando vuole ottenere qualcosa da Dio! “Maestro, Signore, Onnipotente Iddio, Salvatore, Padre nostro che sei nei cieli… tutto ciò che vuoi, dammi solo ciò di cui ho bisogno!”. Gesù ci ammonisce dicendo: “Non chi dice: “Signore, Signore” entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7:21).
In ogni caso gridano da lontano: “Abbi pietà di noi!” tutti vogliono che si abbia di loro compassione quando si trovano nel più bel mezzo di una crisi. Ciascuno vorrebbe salvezza quando si rende conto di essere totalmente perduti e in pericolo mortale. Tutti vorrebbero il perdono quando vengono sorpresi a fare qualcosa di sbagliato. Lo fanno “da lontano”, certo per rispettare “le distanze di sicurezza”, ma quanto spesso è vero che molti hanno paura della persona di Gesù Cristo e “se ne tengono a distanza” per non essere costretti ad “impegnarsi troppo”.
Gesù sceglie di venire incontro al loro bisogno e guarire la loro malattia. Gesù è in grado di fare cose straordinarie e di operare miracoli. Non ne fa però uno spettacolo richiamando l’attenzione dei media come oggi per celebrare il proprio personale successo, per fare sensazione e per guadagnarci su. Non fa e non dice nulla di speciale se non “Andate!”… Nessuno spettacolo, niente strani gesti e strani riti. Semplicemente: “Andate…”.
Secondo la legge mosaica, che Gesù sempre osservava, essi avrebbero dovuto andare a mostrarsi ai sacerdoti, i quali avrebbero confermato di essere stati veramente guariti, come per riceverne il timbro dalle autorità. Questo avrebbe loro permesso di tornare alla vita normale. Certamente alcuni di loro erano scettici nel dover recarsi alla casa di un sacerdote. Con una tipica manifestazione di autocommiserazione e di amarezza, sono sicuro che qualcuno di loro aveva detto: “In fondo, che razza di predicatore è mai questo? Non ci ha nemmeno imposto le mani!”. Un altro magari aveva detto: “lo sapevo che non si sarebbe incomodato per noi”. “Ah, nemmeno è stato a specificare la nostra richiesta. Ci ha solo mandati via”. “Quei predicatori sono tutti uguali, fanno sempre grandi discorsi, e poi non fanno mai nulla per noi lebbrosi”.
C’era però almeno uno di loro che se n’era rimasto in silenzio mentre camminavano. Guardava solo stupefatto che qualcosa stava accadendo alla sua mano. La lebbra era così progredita ora che gli mancava un dito. Aveva ferite aperte che costantemente trasudavano pus giallo. Quando avevano lasciato la presenza di Gesù, lui aveva cominciato a sentire una strana sensazione alla mano. Mentre gli altri si lamentavano e borbottavano, egli comincia a togliersi le fasciature. Con grande stupore guarda il suo dito che davanti ai suoi occhi lentamente cominciava a ricostruirsi. Le ulcere cominciavano a chiudersi e la sua mano guarisce completamente! “Ehi, amici,” grida, “che sta succedendo?”. Essi volevano continuare a godersi i loro mormorii, ma ecco c’era qualcosa nella sua voce che li aveva fatti guardare. Egli ora teneva in alto la sua mano che prima aveva quelle amputazioni e quelle ferite. Ora, con loro più grande sorpresa, era guarita! Immediatamente così anche loro avevano cominciato a strapparsi le loro bende per trovare solo che la loro lebbra era sparita. Potevano ora tornare alla loro vita normale, fra i loro cari e al lavoro.
Così corrono via in direzioni differenti. Niente lacrime, niente abbracci, niente strette di mano, nessun ricordo più delle prove che avevano dovuto affrontare insieme. È come se in batter d’occhio il loro rapporto avesse cessato di esistere. L’unica cosa che a loro importasse, ora, era tornare alla loro vita precedente. Volevano solo dimenticare quel terribile incubo. Non appena cessa il problema ci si dimentica degli altri!
Così erano tutti corsi via per continuare la loro vita, …tutti meno uno. Si era appena accorto che gli altri erano andati via, perché ancora guardava alla sua mano, e lacrime di gioia stavano scendendo sulle sue guance. La cosa che però maggiormente lo meravigliava, non era la guarigione stessa, ma il fatto che quel rabbino giudeo avesse trascurato i suoi intensi programmi per guarire lui, un lebbroso samaritano. A quel punto si gira e torna indietro da Gesù, e con un grido di gioia esclama: “Sia lode a Dio! Sia lode a Dio!”. In quel momento a lui non importa se qualcuno lo vede che cosa avrebbe pensato. Quando davvero siete riconoscenti, non vi importa più della vostra immagine… Egli semplicemente era sbottato in un impulso spontaneo di lode e di adorazione. L’ex lebbroso era caduto ai piedi di Gesù e aveva cominciato a ripetere: “Grazie, grazie, grazie!”.
Poi Gesù fa una domanda. Non era però una domanda rivolta al Samaritano, quanto ai Suoi discepoli che l’accompagnavano, che probabilmente ancora si mantenevano a distanza di sicurezza dall’ex-lebbroso… Si volta verso di loro e dice: “Ma non erano dieci i lebbrosi che avevo guarito? Perché solo uno di loro è ritornato a dare gloria a Dio e a ringraziarmi? E perché non è ritornato che questo straniero?”. Gesù dice ai Suoi discepoli: “Nel caso che non l’aveste notato, ecco qualcosa qui che si distingue. Ecco, voi avevate qui nove israeliti, con un lungo retaggio di purezza rituale e fedeltà dottrinale, depositari della molteplice grazia di Dio per secoli, chiamati da Dio stesso ‘Mio popolo”, eppure non uno di loro che ritorni a ringraziare Dio. D’altro canto ecco uno “straniero”, questo Samaritano “mezzosangue”, membro di una setta e che non ha cessato di ringraziarmi!”.
Poi Gesù dice al Samaritano: “Alzati. Puoi andare. La tua fede ti ha salvato”. Mi domando se Gesù nel dire questo non intendesse due cose allo stesso tempo. Era vero che la sua fede lo aveva guarito dalla lebbra. C’era però un altro senso in cui quest’uomo era guarito spiritualmente, perché aveva ora il giusto atteggiamento. Aveva un atteggiamento di riconoscenza, e questo faceva tutta la differenza al mondo. Attraverso questa esperienza Gesù sperava che i Suoi discepoli, che voi e me, avessero imparato che cosa veramente fosse la forma di vita umana più miserabile. La forma di vita umana più miserabile è una vita priva di gratitudine, e si può soffrire di questo male sia essendo un lebbroso emarginato che vivendo nel palazzo lussuoso di un onorato re.
La gratitudine è rara
Di chi è il merito? La festa del raccolto e della riconoscenza in una società come la nostra può diventare una formalità. Molti dicono: debbo solo ringraziare me stesso se sono quello che sono. Altri hanno certo contribuito, ma… E Dio come entra nel conto?
“Solo uno su dieci è tornato a ringraziare”: il numero sembra accurato se si pensa alla natura umana. Uno su dieci, o cento su mille: è probabilmente il livello di gratitudine che ci si può aspettare da un qualsiasi campione di persone. La gratitudine è necessaria per una vita spirituale ed emotiva sana. Essa è il solo atteggiamento che adeguatamente corrisponda alle realtà della vita. Coloro che soffrono oppressi da sentimenti di costante amarezza e di biasimo verso altri o magari verso Dio stesso, stanno vivendo un’illusione. Un atteggiamento di gratitudine ci risparmia da un terribile ABC: Amarezza, Biasimo e Cecità. Coloro che mancano di riconoscenza sono ciechi rispetto a ciò che hanno. Passano l’intera loro vita a biasimare altri o Dio stesso per i propri difetti e fallimenti.
Come molte altre qualità cristiane, la gratitudine non è qualcosa di cui si possa dire: segui queste cinque istruzioni e domani sarai una persona riconoscente. Una cosa è certa: la gratitudine prende inizio dall’esperienza personale della grazia di Dio nei nostri confronti. Noi tutti sappiamo chi siamo e come siamo fatti. Sappiamo bene, però, che nonostante le nostre debolezze e i nostri fallimenti, Dio in Cristo ha versato il Suo sangue per pagare il prezzo della nostra riabilitazione davanti a Sé. Com’è possibile, infatti, che uno comprenda ciò che Gesù fece al Calvario senza avere una riconoscenza viva, gioiosa e spontanea?
Dobbiamo certo essere indignati verso coloro che potrebbero essere la causa dei nostri mali, oppure che ci stanno portando alla guerra e alla miseria per le loro smodate ambizioni. Dobbiamo reagire e agire per contrastarli. Non dobbiamo però permettere che l’amarezza, la frustrazione o il pessimismo paralizzante – che è come una lebbra – abbia la prevalenza su di noi. La riconoscenza verso Dio, l’unico che mai ci deluderà, quella che ci porta a saperci accontentare e ad avere un atteggiamento positivo, fa parte delle risorse spirituali che sono donate a chi si affida al Signore e Salvatore Gesù Cristo. Questo solo potrà permetterci di affrontare qualsiasi situazione “a testa alta”, come quel samaritano che Gesù guarisce e che apre a una vita rinnovata.
Solo in Cristo la vita può avere un senso. Dice un canto cristiano: “Contate le vostre benedizioni, nominatele una per una… contate tutte le benedizioni e sarete sorpresi di tutto ciò che Dio ha fatto per voi”. Grazie Signore, Ti voglio ringraziare per la Tua presenza, grazia e doni: da Te dipende tutto ciò che sono e posseggo. Voglio essere riconoscente ubbidendoti con fiducia e perseveranza.
Paolo Castellina, 1-10-2022; riduzione e adattamento di una mia predicazione del 6-10-1996.