Il servizio reso da Cristo e dal cristiano (Luca 4:14-21)

(solo predicazione – cun un canto iniziale e finale)

(Culto completo con predicazione)

Domenica 23 gennaio 2022 – Terza domenica dopo l’Epifania

Introduzione alle letture bibliche

Letture bibliche: Salmo 19; Neemia 8:1-3, 5-6, 8-10; 1 Corinzi 12:12-31; Luca 4:1

La proclamazione pubblica della Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture è sempre stata centrale nel popolo di Dio sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. La potenza e la rilevanza per noi della Parola di Dio è celebrata nel Salmo 19, la nostra prima lettura. E’ riprovevole quando nelle chiese moderne questa proclamazione diventa solo una formalità o sia sfruttata per far passare discorsi diversi. La proclamazione pubblica della Parola di Dio, la Sua Legge, data per nostro beneficio, la troviamo esemplificata nella seconda lettura di oggi, tratta dal libro di Neemia, ed è onorata e praticata da Gesù stesso, come vediamo nella quarta lettura, nell’episodio in cui Egli la legge e la applica al contesto, partecipando al culto nella sinagoga di Nazareth. Che, infine, la Parola di Dio debba essere diligentemente annunziata, spiegata, insegnata e applicata, lo troviamo nella terza lettura, dove l’apostolo Paolo parla dei vari ministeri della comunità cristiana dove, come in un corpo, ogni membro opera in modo armonioso, a gloria di Dio.

Una struttura di servizio

La comunità cristiana è stata costituita da Dio essenzialmente come una struttura di servizio. Si tratta in primo luogo del servizio reso a Dio e ai Suoi propositi nella storia. Servire Dio, però, implica necessariamente beneficare, e quindi servire, tutti coloro che Gli appartengono come i Suoi figlioli e, per estensione, tutte le Sue creature. 

Servizio, dunque. Le Sacre Scritture chiamano Gesù “il Servo dell’Eterno” per eccellenza. Gesù stesso ha detto, parlando di Sé: “Poiché anche il Figliuol dell’uomo non è venuto per esser servito, ma per servire, e per dar la vita sua come prezzo di riscatto per molti” (Marco 10:45). La comunità cristiana è chiamata “il corpo di Cristo” oggi su questa terra. Per questo è quanto mai appropriato chiamarla “una struttura di servizio”. Gesù, infatti, ha pure detto ai Suoi discepoli “Poiché io v’ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v’ho fatto io” (Giovanni 13:15). I servizi che essa è chiamata a rendere sono di molteplice natura, ordinari e straordinari. Essi sono descritti dall’apostolo Paolo, anche se non in modo esaustivo, quando egli scrive delle funzioni, o ministeri, dei vari organi della comunità cristiana, equiparati alle membra del corpo umano (1 Corinzi 12:12-31). Fra di essi vi è il servizio di assistenza, di guarigione, di comunicazione, e d’insegnamento. Ogni membro della comunità cristiana è chiamato a ingaggiarsi in un particolare servizio, a seconda dei doni (talenti) e opportunità che Dio gli ha dato, doni che deve sviluppare. Questi doni non sono dati una volta per sempre, anzi, siamo esortati a “desiderare ardentemente i doni maggiori”, i più importanti, tutti, in ogni caso, all’insegna dell’amore per Dio e per il prossimo.

Fra le attività centrali della comunità cristiana vi è quello che chiamiamo “il servizio di culto”, nel quale è prominente l’annuncio, la spiegazione, l’insegnamento e l’applicazione della Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture. Questa Parola è centrale perché è necessariamente da Dio che si devono ricevere regolarmente le Sue istruzioni, le quali costituiscono la nostra agenda “per la giornata”. Essa è simile a quello che oggi in inglese si chiama il “briefing”, cioè, nel linguaggio economico-aziendale, il rapporto o riunione nei quali la direzione di un’impresa industriale o commerciale comunica agli operatori le informazioni e le istruzioni relative a un determinato compito che viene loro affidato, o, in campo militare,  gli ordini operativi impartiti dal comandante per la giornata o prima di una missione.

Quel giorno nella sinagoga di Nazareth

Questo già avveniva (e ancora avviene) nell’ambito della sinagoga ebraica, funzione onorata da Gesù stesso quando Egli vi si recava di sabato. Lo vediamo rappresentato nel testo del vangelo di questa settimana. Ascoltiamone la narrazione nel vangelo secondo Luca, al capitolo quattro.

“E Gesù, nella potenza dello spirito, se ne tornò in Galilea; e la sua fama si sparse per tutta la contrada circonvicina. E insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti. E venne a Nazaret, dov’era stato allevato; e com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga, e alzatosi per leggere, gli fu dato il libro del profeta Isaia; e aperto il libro trovò quel passo dov’era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo egli mi ha consacrato per evangelizzare i poveri; mi ha mandato a bandire liberazione a’ prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a predicare l’anno accettevole del Signore. Poi, chiuso il libro e resolo all’inserviente, si pose a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi in lui. Ed egli prese a dir loro: Oggi, s’è adempiuta questa scrittura, e voi l’udite” (Luca 4:14-21).

Gesù e la sinagoga

A differenza degli altri vangeli Luca sposta il racconto di Gesù nella sinagoga di Nazareth all’inizio del ministero di Gesù, subito dopo il suo battesimo e la tentazione. Lo fa per mettere in evidenza il paradigma o modello del messaggio evangelico come pure dell’insegnamento e prassi della chiesa negli Atti degli apostoli. Come un’ouverture a un’opera musicale, questi versetti introducono temi che Luca amplierà in seguito, dicendoci cosa aspettarci da Gesù e dalla chiesa delle origini. In particolare, Luca mette in risalto il potenziamento di Gesù da parte del santo Spirito di Dio (“E Gesù, nella potenza dello spirito”), l’importanza del Suo ministero d’insegnamento (“E insegnava nelle loro sinagoghe”) e dei suoi miracoli.

Luca, quindi, stabilisce il profondo radicamento di Gesù nella tradizione religiosa ebraica e la sua fedeltà alla sinagoga e all’osservanza del Giorno del Signore. Il centro del culto ebraico storicamente era il tempio di Gerusalemme. Tuttavia, durante l’esilio babilonese e la diaspora (la dispersione geografica degli ebrei), gli ebrei avevano stabilito sinagoghe locali come centro locale di culto e di animazione sociale. La sinagoga, infatti, non è solo un centro locale di culto, ma una scuola, centro di assistenza e di socializzazione. Queste molteplici funzioni sono state ereditate dalla comunità cristiana. 

Mentre l’enfasi del culto del tempio era il sacrificio di animali, il culto della sinagoga si concentrava sull’insegnamento e sulla preghiera. Nella provvidenza di Dio il tempio di Gerusalemme scompare per sempre. Aveva un significato simbolico, e tutto quel che prefigurava si è realizzato in Cristo. Non abbiamo più bisogno di templi e di sacerdoti. In Gesù si è realizzato il sacrificio ultimo e irripetibile per la remissione dei nostri peccati. Egli è il solo sacerdote di cui noi abbiamo bisogno, e Lui non delega le sue funzioni ad altri. Noi coltiviamo la nostra fede in casa, nella famiglia e nel centro sociale della nostra comunità cristiana. I locali dove si incontra la comunità cristiana non possono più propriamente essere chiamati templi.

Ecco, così che Gesù, “…com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga” (v. 16). Con la circoncisione, purificazione e presentazione al tempio e le visite annuali al tempio, Luca rileva come Maria e Giuseppe fossero osservanti delle tradizioni religiose ebraiche. Sicuramente avevano allevato Gesù fin dall’infanzia nella fede frequentando la sinagoga. Questo ha fatto sì che la sinagoga fosse un naturale punto di partenza per il Suo ministero. La loro fedeltà nell’educare Gesù nella fede aveva contribuito a plasmare la persona che era e rileva l’importanza dell’insegnamento familiare e comunitario dei nostri figli. L’immersione di tutta la vita di Gesù nella sinagoga aveva già dato i suoi frutti. Aveva appreso le Scritture nella sinagoga, Scritture che erano diventate la sua spada e il suo scudo di fronte agli avversari. Maria e Giuseppe ci forniscono un eccellente modello da seguire nell’allevare i nostri figli. I genitori che portano i figli anche piccoli in chiesa fanno un buon lavoro. Vengono in chiesa contro ogni pronostico, perché non è facile preparare sé stessi, il bambino e l’attrezzatura necessaria per andare in chiesa. Durante il culto, il bambino a volte distrae. I genitori sono tentati di chiedere se ne valga la pena portarceli, ma i figli educati nella fede crescono come grandi querce da minuscole ghiande. I genitori che vanno regolarmente al culto danno ai loro figli un grande vantaggio. Il bambino che si abitua a frequentare regolarmente la comunità cristiana durante l’infanzia gode nella maggior parte dei casi di una forte fede da adulto.

La visione programmatica

Ecco dunque Gesù, ormai famoso, di ritorno nella sinagoga del paese dove aveva vissuto fin da piccolo, e subito lo invitano a leggere la Scrittura e a commentarla. Era un grande onore poterlo fare, com’erano onorata la gente di Nazareth ad avere un concittadino che si era conquistata tanta fama. E’ un grande onore e responsabilità essere chiamati a leggere la Parola di Dio in chiesa. Avere poi la possibilità di commentare quella stessa lettura sottolinea come sia importante che essa tocchi l’esperienza personale.

Il nostro testo dice: E gli fu dato in mano il libro del profeta Isaia; lo apri e trovò quel passo… ” (17). Un incaricato aveva preso il rotolo del libro sacro da un’apposita teca, tolta la protezione di tessuto e gliel’aveva consegnata. Gesù aveva appositamente chiesto di avere il rotolo del profeta Isaia, oppure quella particolare lettura era prevista per quel sabato? Non sappiamo, ma il nostro testo dice che “…aperto il libro trovò quel passo dov’era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me ecc.”. Era un’occasione per Gesù di presentare la Sua identità di Messia, il contenuto della Sua missione. Non si sarebbe trattato di una lettura rituale seguita da un’esposizione noiosa e irrilevante, perché Gesù avrebbe parlato, come sempre, con autorità e rilevanza. Egli indubbiamente poteva dire e dimostrare che “lo Spirito del Signore è sopra di me”.

Quel testo del profeta Isaia sarebbe stato il programma di azione di Gesù e del movimento da Lui scaturito, il servizio che Egli avrebbe reso a Dio e al mondo perché a questo fine consacrato da Dio (“unto con l’olio della consacrazione”, la radice del termine Cristo, o Messia). Gesù era stato unto al suo battesimo, dove lo Spirito di Dio era disceso su di lui come una colomba e la voce dal cielo aveva detto: “Tu sei il mio diletto Figliuolo; in te mi sono compiaciuto” (3:22).

“Egli mi ha consacrato per evangelizzare i poveri”. Gesù sta qui parlando di povertà spirituale o economica? Con il termine “poveri”, quasi certamente stava parlando di emarginati, persone di basso rango, persone vulnerabili, indipendentemente dal fatto che i loro problemi derivassero dalla povertà economica o da altre cause. Il servizio di Gesù e del movimento cristiano si sarebbe concentrato sulle persone prive di potere, quelle considerate dai potenti di turno alla stregua di “bestiame da mungere” e da sfruttare per i loro interessi, oggi si direbbe pure considerati “carne da cannone” per le loro mire, o peggio, “gente inutile” e “improduttiva”, da eliminare. Questo è da collegarsi pure con: “… mi ha mandato … a rimettere in libertà gli oppressi”, una frase tratta da Isaia 58:6. Gesù li avrebbe “evangelizzati”, cioè avrebbe annunciato loro la buona novella di una dignità loro restituita, onorando i diritti e privilegi d’essere stati creati, essi pure, a immagine e somiglianza di Dio. Gesù e il movimento cristiano sarebbe stato al loro servizio. Che cosa implica oggi essere al servizio dei poveri?

“… mi ha mandato a bandire liberazione a’ prigionieri”. Luca illustra cosa significa questo con il primo dei miracoli di Gesù in questo Vangelo: la purificazione di un uomo posseduto da un demone (vv. 31-37). Anche se oggi tendiamo a non credere ai demoni, ci confrontiamo quotidianamente con storie di comportamenti demoniaci. Ancora oggi intere nazioni sono governate da “demoni” (o meglio, persone possedute e al servizio di demoni) e che magari si fanno considerare ingannevolmente “benefattori”. Lo rilevava anche Gesù: “I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che hanno autorità su di esse son chiamati benefattori” (Luca 22:25). I “prigionieri” da liberare sono i cittadini di tali nazioni, ma anche persone incarcerate per aver lottato per la giustizia, la libertà e la verità, ma anche per debiti, un’altra conseguenza della povertà. Oggi ci sono intere nazioni “incarcerate” per debiti che non riusciranno mai a pagare e che quindi sono state asservite. Che cosa implica oggi essere al servizio della loro liberazione?

“… mi ha mandato …. per proclamare ai ciechi il ricupero della vista”. La frase “recupero della vista ai ciechi” non è citata direttamente dall’Antico Testamento, ma sembra essere ispirata da Isaia 35:5 o 42:7. In questo Vangelo, Gesù ridarà la vista ai ciechi, e dirà anche agli orgogliosi di «chiedere ai poveri, agli storpi, agli zoppi o ai ciechi» di venire la loro tavola del banchetto (14:13). L’interesse di Gesù non si limita alla vista fisica, ma comprende anche la visione spirituale. In seguito, Gesù darà a Saulo/Paolo la sua missione: “… per aprir loro gli occhi, onde si convertano dalle tenebre alla luce e dalla potestà di Satana a Dio, e ricevano, per la fede in me, la remissione dei peccati e la loro parte d’eredità fra i santificati” (Atti 26:18, scritto anche da Luca). L’enfasi in quel verso ha chiaramente a che fare con la visione spirituale. Tanti oggi “non vedono” quel che accade loro e al mondo. Che cosa implica oggi essere al servizio del ricupero della loro vista?

“… mi ha mandato … a predicare l’anno accettevole del Signore”. (v. 19). Isaia aveva scritto queste parole originariamente come incoraggiamento per gli ebrei in esilio. La salvezza di cui parla Isaia si trova ora in Gesù. L’anno accettevole del Signore potrebbe riferirsi all’anno giubilare. La Torah richiede al popolo ebraico, ogni anno di sabato, di lasciare la propria terra incolta, di rimettere i debiti e di liberare gli schiavi (Esodo 21:1-6; 23:10-11; Deuteronomio 15:1-18). L’anno giubilare era un anno sabbatico, sette volte sette anni. La Torah richiede al popolo ebraico, nell’anno giubilare, di restituire le terre ancestrali ai loro proprietari storici (Levitico 25:8-17). Con questa esigenza, Dio ha mostrato la sua preoccupazione per le persone all’estremità inferiore dello spettro economico. Queste disposizioni erano progettate per ridurre lo svantaggio dei poveri, per assicurare che i ricchi non potessero accumulare tutta la terra e consolidare tutto il potere. Che cos’ha da dire questo con coloro che al giorno d’oggi monopolizzano la ricchezza delle nazioni per dominarle? E soprattutto, che cosa implica oggi essere al servizio delle loro vittime?

Gesù omette dalla sua “dichiarazione programmatica” Isaia 61:2b, che parla del “giorno della vendetta del nostro Dio”, perché l’enfasi oggi è la salvezza, non la vendetta e il giudizio. Il giudizio (il giorno dell’ira di Dio) verrà in seguito. Questi versetti d’Isaia danno a Gesù il suo incarico, la sua dichiarazione di missione, il suo faro guida. Isaia 61 è il canto del Servo di Dio. È anche il mandato del movimento cristiano. In Luca-Atti vediamo Gesù e la chiesa portare buone notizie, proclamare liberazione. È anche il nostro mandato oggi. Quante volte le chiese, invece, stanno dalla parte degli oppressori, si accordano con loro, li servono e ne ricevono gli onori! Quelle non sono la chiesa di Cristo.

Il compimento è “oggi”

Al termine del brevissimo ma esplosivo sermone di Gesù Luca scrive: “Poi, chiuso il libro e resolo all’inserviente, si pose a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi in lui. Ed egli prese a dir loro: Oggi, s’è adempiuta questa scrittura, e voi l’udite”

La predicazione di Gesù inizia e termina con la parola “Oggi”. Il popolo d’Israele aveva atteso per secoli il compimento delle promesse che Dio ha fatto nel corso della sua storia, a cominciare da Abramo. Ora Gesù dichiara che l’attesa è finita – che è giunto il giorno – che le promesse si sono compiute – che la salvezza è giunta! Questa è davvero una buona notizia!

L’adempimento di questa scrittura era iniziata con la vita, la morte e la risurrezione di Gesù, ma continua nella vita del movimento cristiano oggi. In tutto il mondo esso porta una buona novella ai poveri, proclama la liberazione dei prigionieri, aiuta i ciechi a recuperare la vista, aiuta a liberare gli oppressi e proclama l’anno di grazia del Signore. Che si tratti di difendere i diritti umani o di fornire fondi di soccorso alle vittime dell’uragano o di perforare un pozzo per le persone di un villaggio o di addestrare persone al ministero, la chiesa è chiamata a portare avanti la missione di Gesù, e nel Suo nome, a realizzare ciò che ha identificato in questi versetti come una parte fondamentale della Sua missione. 


E’ così oggi? Il popolo di Nazareth avrebbe allora rifiutato in gran parte il vangelo di Gesù a causa dei pregiudizi che avevano contro il loro compaesano e forse anche perché il conformismo e l’adattamento allo status quo lo ritenevano preferibile. Che cosa possiamo dire per noi oggi? Come cristiani stiamo compiendo il discorso programmatico di Gesù o abbiamo agende diverse? Al termine di una Sua parabola Gesù dice: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Luca 12:37 CEI).