Il perdono dei peccati: una morbosa ossessione religiosa? (Atti 26:15-18)

Domenica 5 Gennaio 2025 – Seconda Domenica dopo Natale

[Servizio di culto con predicazione, 60′]

[Solo predicazione, 33′]

La necessità del perdono 

Il Salvatore Gesù Cristo, era apparso un giorno a Saulo di Tarso, più tardi chiamato Paolo, nel momento della sua conversione, per affidargli una precisa missione. Gli aveva detto: “Io sono Gesù, che tu perseguiti. Alzati e sta in piedi, perché per questo ti sono apparso: per stabilirti ministro e testimone delle cose che hai visto e di quelle per le quali ti apparirò ancora, liberandoti da questo popolo e dai Gentili, ai quali io ti mando per aprire loro gli occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio e ricevano, per la fede in me, il perdono dei peccati e la loro parte di eredità tra i santificati’” (Atti 26:15-18).

Ricevere “il perdono dei peccati” è centrale nell’insegnamento del Nuovo Testamento. Per esempio, il ministero profetico del precursore del Cristo: “Sorse Giovanni il battista nel deserto predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati” (Marco 1:4). Come considera poi, Gesù stesso il Suo sommo sacrificio? Durante l’ultima cena indica in questo modo i simboli del pane e del vino. Alzando un calice dice: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati” (Matteo 26:28). L’apostolo Pietro, predicando l’Evangelo, dice: “Ravvedetevi, ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo” (Atti 2:38). L’apostolo Paolo scrive: “Poiché in lui [in Cristo] noi abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia” (Efesini 1:7), come pure: “… nel quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Colossesi 1:14). Il Nuovo Testamento, quindi, risponde in chiare lettere alla domanda e necessità: In che modo si può ottenere il perdono completo dei nostri peccati, essere così riconciliati con Dio e godere del Suo favore per il tempo e l’eternità?

Chi è condizionato dalla mentalità secolare, e quindi o non crede in Dio, oppure afferma di essere agnostico, cioè che non è possibile sapere nulla di certo su di Lui, non si pone questo problema e vive scegliendo di ignorarlo. Per essi, “il perdono dei peccati” non sarebbe altro che una morbosa ossessione religiosa. Le uniche trasgressioni morali che eventualmente importino loro di evitare sono quelle commesse contro le leggi e le convenzioni umane. Molti, però, giustamente continuano a credere che, davanti a Dio, per essere accolti da Lui, abbiano bisogno di essere perdonati. Sanno di “non essere a posto” con Lui, di non essere quelli che Dio si aspetterebbe, sanno che i loro peccati (comunque li intendano) li dannerebbero. Questo sentimento di colpa non dipende dal nostro condizionamento culturale, ma è connaturato (e non a caso) nella stessa natura umana e anche gli atei o gli agnostici lo sentono – per quanto cerchino di sopprimerlo o negarlo.

Il problema, però, è che, di fronte alla necessità del perdono, la maggior parte delle persone assume generalmente uno dei seguenti atteggiamenti. O credono che Dio sia buono e che comunque li perdonerà (questa è la persuasione più diffusa); o che per ottenere il perdono debbano impegnarsi a fare delle “opere buone” e così compiacere Dio; oppure che debbano avvalersi di ciò che prescrivono al riguardo le religioni o le tradizioni delle chiese (ad esempio cerimoniali vari o pratiche ascetiche). Questo è il caso delle pratiche prescritte dal Cattolicesimo romano in particolare in occasione del cosiddetto Giubileo 2025, istituito, così si afferma, per “offrire ai fedeli l’opportunità di ricevere l’indulgenza plenaria, che consiste nel perdono completo dei peccati attraverso pratiche come la confessione, la partecipazione all’Eucaristia, la preghiera e opere di misericordia” congiunte con “i pellegrinaggi a Roma, specialmente alle Basiliche papali dove vengono aperte le ‘Porte Sante’” [1]. Per il perdono dei peccati, e persino “completo” il Cattolicesimo romano di fatto propone pratiche non dissimili da quelle di altre religioni, come, ad esempio, l’Islam. Per noi tutte “cose da fare”, un perdono “da meritare”.

Come abbiamo già udito all’inizio, tali persuasioni non corrispondono a quanto insegna il Nuovo Testamento – se non tirandolo e distorcendolo andando oltre a quanto chiaramente insegna. Il Nuovo Testamento annuncia e espone autorevolmente l’insegnamento del Signore e Salvatore Gesù Cristo. Il resto sono solo illusioni ed inganni. La Scrittura dice: “C’è una via che all’uomo sembra dritta, ma finisce per condurre alla morte” (Proverbi 14:12). Il Nuovo Testamento insegna che, secondo i principi della giustizia di Dio, per poter “essere a posto” con Lui, è necessaria l’espiazione della pena che i nostri peccati meritano. Questa espiazione, però, a causa dell’irreparabile corruzione della nostra natura, giammai la potremmo compiere noi stessi, quali che siano anche le nostre meglio intenzionate opere. L’espiazione della condanna che i nostri peccati meritano ci è donata solo dalla grazia di Dio solo attraverso ciò che ha operato il Salvatore Gesù Cristo nella Sua vita, morte e risurrezione, e che, ricevuta con fede, conduce al ravvedimento e ad una vita rinnovata. Null’altro può servire.

La necessità dell’espiazione 

Perché è necessaria l’espiazione? Il suo presupposto lo troviamo nella lettera apostolica agli Ebrei con l’affermazione: “È stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27). Ogni creatura umana, creatura razionale e responsabile, sarà sottoposta ad un giudizio. Sì, Dio ha destinato ogni essere umano ad un giudizio post-mortem davanti a lui [2]. A meno che la riconciliazione con Dio non avvenga prima di quel momento, nessuna creatura umana potrebbe resistervi o sopravvivervi. Afferma, infatti il Salmo: “… non venire in giudizio con il tuo servitore, perché nessun vivente sarà trovato giusto nel tuo cospetto” (Salmi 143:2). Questo tipo di giudizio escatologico coinvolge gli umani e Dio. Di conseguenza, vi sono tre risposte alla domanda “Perché è necessaria l’espiazione?”: (1) perché tutti gli esseri umani sono giudicati e condannati in Adamo, loro progenitore; (2) a causa della nostra condizione decaduta e peccaminosa; e (3) a causa della giustizia – che fa parte del carattere immutabile di Dio.

Perché tutti gli uomini sono giudicati in Adamo 

La Bibbia insegna che il genere umano, così come oggi si presenta, moralmente e spiritualmente, è risultato di una caduta, di una degenerazione, di una decadenza. Il mondo ora esiste a un livello inferiore rispetto a quello previsto per essa da Dio. Parlare di “caduta”, però, non sarebbe del tutto adeguato, perché l’introduzione di questo concetto era una risposta al mito platonico della Caduta in cui l’anima considerata preesistente cadrebbe da uno “stato celeste e disincarnato” sulla terra, dove poi prenderebbe residenza nel corpo umano. La concezione biblica del mondo e della vita, però, non supporta tali idee. Il termine “caduta” non trasmette chiaramente il quadro giuridico che definisce la narrazione che troviamo In Genesi. Nell’Eden, subito dopo la ribellione della prima coppia, Dio emette un giudizio di condanna sugli esseri umani e sugli angeli, e questo esige sempre che la pena che il peccato comporta sia espiata. Questo è necessario. Il giudizio di condanna in Genesi 3 è multiforme e le sue conseguenze si riverberano ineluttabilmente in tutta la storia umana.

In primo luogo, i nostri progenitori, sulla base della loro cupidigia, avevano respinto il preciso ammonimento loro rivolto da Dio “del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché, nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai” (Genesi 2:17) e avevano dato piuttosto credito all’affermazione del tentatore: “Dio sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri si apriranno, e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male” (Genesi 3:5-6). La fiducia nella parola del tentatore piuttosto che nella parola di Dio li aveva messi in condizione di peccato e resi passibili della pena capitale che lo accompagna.

In secondo luogo, la trasgressione dei nostri progenitori aveva portato con sé un’ondata di colpa, vergogna e paura al cospetto di Dio, come indicato dal modo in cui essi si erano vestiti e nascosti dalla presenza divina: “Allora si aprirono gli occhi a entrambi e si accorsero che erano nudi; e cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture. E udirono la voce dell’Eterno Iddio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell’Eterno Iddio fra gli alberi del giardino” (Genesi 3:7-8).

In terzo luogo, la trasgressione incrina immediatamente il rapporto tra gli stessi Adamo ed Eva, anche se scaricano la responsabilità delle loro azioni su altri (Genesi 3:12-13). La frattura si intensifica nella narrazione successiva con l’omicidio di Abele da parte di Caino, il che produce la necessità per Dio di vendicare i giusti [3].

In quarto luogo, Dio condanna tutte le parti coinvolte. Condanna il tentatore a una vita di inimicizia con la discendenza di Eva, sebbene ciò sia incorporato nel cosiddetto protovangelo (Genesi 3:15). Dio condanna Eva a un parto e a un matrimonio dolorosi, che si accompagna a non regnare più come aiutante di Adamo [4]. Dio maledice persino la terra e condanna così Adamo a una vita di fatica, che corrisponde a non regnare più con Eva come una creata a immagine di Dio.

In quinto luogo, l’esilio dalla presenza di Dio costituiva il giudizio essenziale contro i nostri progenitori (Genesi 3:22–24). Senza accesso alla sua presenza, Adamo ed Eva inevitabilmente muoiono, si distaccano dalla fonte della vita come Dio aveva promesso (Genesi 5:5), come una batteria che si scarica. Genesi 3, quindi, descrive di più che una caduta da uno stato idilliaco. Dio distribuisce il giudizio contro Adamo e a tutti coloro che condividono la sua trasgressione (Romani 5:12-14).

Perché, però, Dio applica la trasgressione e il giudizio di Adamo a tutti gli esseri umani che ne sono conseguiti? Le risposte possono essere complesse, ma alcuni punti sono chiari. Primo, Adamo funge da rappresentante, da prototipo per tutta l’umanità. La sua trasgressione nel giardino riflette ciò che tutti gli esseri umani farebbero nella stessa situazione, ad eccezione del “secondo Adamo” (Romani 5:15–21; 1 Corinzi 15:47), il Salvatore Gesù Cristo, infatti: “non ha conosciuto peccato” (2 Corinzi 5:21).

In secondo luogo, il peccato e la morte sono entrati nel mondo attraverso la trasgressione di Adamo, e questo ha avuto un effetto deleterio su tutti i suoi discendenti (Romani 5:12-14). Il peccato diventa sia ciò di cui gli esseri umani sono colpevoli sia un potere mortale a cui non possono sfuggire. Allo stesso modo, la morte è sia il giudizio duraturo di Dio contro il peccato sia un nemico ineluttabile.

In terzo luogo, tutti da Adamo in poi hanno commesso trasgressioni simili a quelle di Adamo. Di conseguenza, lo stesso giudizio divino si applica a tutti coloro che peccano come Adamo, cioè diffidando della promessa di Dio e trasgredendo il suo comando. Non importa se si trasgredisce un comando impresso nella coscienza umana o inciso su pietra, come nel caso della legge mosaica (Romani 2:1-16; 5:12–14).

 A causa della nostra condizione decaduta e peccaminosa 

Molto è accaduto da quando Dio ha emesso il giudizio contro Adamo e i suoi discendenti. Dalla deriva dei continenti all’alba dell’era moderna, molto è cambiato sulla terra dagli eventi dell’Eden. La scrittura storica dall’antichità ai giorni nostri ha spesso alimentato l’illusione di “progresso” all’interno di questi cambiamenti. Tuttavia, come Qohelet (o l’Ecclesiaste) ha affermato molto tempo fa, in ultima analisi “non c’è nulla di nuovo sotto il sole” (Ecclesiaste 1:9). Il mondo è stato caricato da Dio di una sorta di futilità (Ecclesiaste 1:2; Romani 8:20). Il luogo comune è che “più le cose cambiano, più rimangono le stesse”. Ciò include la condizione umana. La Scrittura insiste sul fatto che tutte le persone rimangono nella condizione successiva alla caduta sperimentata per la prima volta dai nostri progenitori. Come dichiara Paolo, “in Adamo tutti muoiono” (1 Corinzi 15:22; vedere anche Romani 5:15-19).

Paolo può fornire il miglior riassunto di questa condizione immutata nella sua lettera agli Efesini, quando scrive: “E voi pure ha vivificato, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l’andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell’aria, di quello spirito che opera al presente negli uomini ribelli, nel numero dei quali anche noi vivevamo un tempo, assecondando i desideri della carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei pensieri, ed eravamo per natura figli d’ira, come gli altri” (Efesini 2:1-3).

Troviamo qui una triade di qualità che descrivono la condizione umana immutata: (1) morti nel peccato; (2) viventi sotto il dominio di Satana; e (3) sotto l’ira di Dio. Essere morti nelle colpe e nei peccati ma camminare in quello stato è un paradosso (Efesini 2:1-2). Come può una persona morta camminare o vivere? Paolo risponde che gli esseri umani esistono in uno stato di morte spirituale che alla fine porta alla morte eterna. La separazione dalla presenza vivificante di Dio definisce questo stato di esistenza, che si traduce in stoltezza piuttosto che saggezza, morte piuttosto che vita, condanna piuttosto che giustificazione e sconfitta piuttosto che liberazione.

Simultaneamente alla vita nella morte c’è la vita sotto il dominio di Satana (Efesini 2:2-3). Mentre le riflessioni popolari sulla demonologia potrebbero dare l’impressione che il dominio satanico sia sinonimo di descrizioni estreme di figure possedute da demoni come l’indemoniato di Gerasa (Marco 5:1-20), Paolo amplia la portata di tale dominio a tutti gli esseri umani al di fuori di Cristo. Altri scrittori del NT confermano questa portata antropologica più ampia, come Giovanni che descrive Satana come “l’ingannatore di tutto il mondo” [5]. Il risultato di questa regola ingannevole include la devozione ai desideri carnali, la rottura, il dolore e una paura della morte per tutta la vita [6].

Insieme al vivere nella morte e all’essere sopraffatti dal dominio di Satana, la condizione umana immutata include la vita sotto l’ira di Dio (orghē). Paolo descrive specificamente gli esseri umani come “figli dell’ira per natura”, il che significa che è una condizione ereditata alla nascita e si contrappone ai contemporanei stoici che sottolineavano l’importanza di vivere secondo natura come un modo per compiacere gli déi. Dalla prospettiva di Paolo, la “natura” (physis) dell’umanità include la loro esistenza sotto l’ira divina, il che significa che non possono “naturalmente” compiacere Dio. Infatti, come giudizio per le loro diverse pratiche idolatriche, Dio pone ebrei e gentili sotto la sua ira consegnandoli al potere del peccato (Romani 1:18–3:20).

Naturalmente, questi pezzi della condizione umana tripartita e immutata sono interconnessi. L’opera espiatoria di Dio in Cristo li districa tutti nelle loro varie macchinazioni: “Colui che non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto essere peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:21).

A causa del carattere immutato di Dio 

La giustizia, che è espressione del carattere immutabile di Dio stesso, della Sua natura, sostiene l’universo creato e ad essa non sono ammissibili eccezioni. La trasgressione delle leggi che regolano il funzionamento dell’universo implica l’eliminazione di quanto o quanti le trasgrediscono, l’eliminazione “dell’elemento di disturbo”. Il principio vale ancor di più per le creature ragionevoli, come quelle umane e angeliche, che, dotate di senso di responsabilità, se ne rendono colpevoli. La Scrittura dice: “il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23a).

La giustizia intrinseca di Dio, come il Suo potere o la Sua sapienza, è una proprietà essenziale di Dio che Egli possiede oggettivamente e anche indipendentemente dal fatto che esistano o meno esseri umani. La giustizia di Dio, insieme al Suo amore, alla Sua santità e a tutti gli attributi indivisibili, sono eterni o immutabili. Il principio della giustizia deve essere sempre onorato, il debito deve essere sempre pagato, la morte del colpevole deve essere sempre eseguita, la pena prevista deve essere sempre espiata. Se ne deduce che il giudizio di condanna pronunciato da Dio nell’Eden rimane valido, perché il carattere santo e giusto di Dio esige che Egli rimanga nell’identica disposizione verso i trasgressori. Il carattere giusto di Dio dimostrato nel suo giudizio contro Adamo e la sua progenie è dunque di valenza eterna.

Se è vero com’è vero che la pena prevista per la trasgressione alle leggi di Dio deve essere espiata, la possibilità della grazia del perdono, espressione dell’amore di Dio, necessariamente non potrà che passare da Qualcuno che la prende su di Sé al posto dei trasgressori, e quel Qualcuno, l’unico che lo possa fare, è il Salvatore Gesù Cristo – vero Dio e vero uomo. Infatti l’Apostolo conclude la frase che inizia “… poiché il salario del peccato è la morte” con: “ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23). Dio preserva il principio della Sua giustizia assumendo su di Sé in Cristo, per coloro che Egli fa oggetto della Sua grazia, l’espiazione necessaria della pena del peccato. Il peccatore che così si affida all’opera redentrice della Persona ed opera del Salvatore Gesù Cristo è liberato dalla condanna che merita. Si preserva così sia la giustizia di Dio che il Suo amore.

Conclusione 

Il quadro che abbiamo fin ora delineato, e che le Sacre Scritture espongono chiaramente e autorevolmente, presuppongono una concezione del mondo e della vita molto diversa da quelle prevalenti nel nostro mondo. Atei e agnostici se ne prenderanno sicuramente gioco, e gente religiosa di varia natura preferiranno seguire le loro illusioni come se “buone opere” e cerimonie varie potessero guadagnare loro il perdono dei peccati, e persino, risibilmente, il “completo perdono”. Contrariamente al suggerimento di chi sostiene di non aver bisogno di essere perdonato e che presuppone che l’espiazione sia superflua, la Scrittura autorevolmente insegna chiaramente il contrario. Tale insegnamento include il giudizio immutato contro l’umanità istituito per la prima volta nell’Eden, l’immutata condizione di peccaminosa colpevolezza dell’umanità e gli immutati attributi di Dio, in particolare la sua giustizia.

La soluzione? L’espiazione della pena che i nostri peccati meritano, e quindi il perdono e la riconciliazione con Dio sono nelle sole mani del Signore e Salvatore Gesù Cristo. Così come annuncia la predicazione degli Apostoli: “In nessun altro è la salvezza, poiché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12). Essa ci chiama a rinunciare alle nostre vane pretese di giustizia, alle vane nostre illusioni di facile perdono, oppure alle altrettante vane e ingannevoli illusioni proposte dalle religioni di questo mondo, e questo per abbracciare con fede l’unico strumento di perdono che, nella Sua grazia, Dio ci ha concesso: l’opera redentrice del Suo eterno Figlio Gesù Cristo.

Paolo Castellina, 26 Dicembre 2024

Note 

[1] Nel contesto del Cattolicesimo romano, il Giubileo 2025, noto anche come Anno Santo, è un evento speciale che si celebra ogni 25 anni. Il tema del Giubileo del 2025 è “Pellegrini di Speranza”. Gli obiettivi principali includono: (1) Riconciliazione e perdono: Offrire ai fedeli l’opportunità di ricevere l’indulgenza plenaria, che consiste nel perdono completo dei peccati attraverso pratiche come la confessione, la partecipazione all’Eucaristia, la preghiera e opere di misericordia. (2) Rinnovamento spirituale: Promuovere un rinnovamento personale e comunitario della fede, incoraggiando pellegrinaggi a Roma, specialmente alle Basiliche papali dove vengono aperte le “Porte Sante”. (3) Carità e misericordia: Incentivare i fedeli a compiere atti di carità e misericordia, enfatizzando la giustizia sociale e la cura per i più bisognosi. (4) Unità e speranza: Fomentare un senso di unità tra i fedeli e speranza per il futuro, in un momento in cui il mondo affronta varie sfide. Per i fedeli, gli effetti includerebbero una maggiore consapevolezza spirituale, il rafforzamento della fede attraverso la partecipazione a eventi giubilari, e la possibilità di un’esperienza di grazia e perdono divino che può portare a una vita più autenticamente cristiana.

[2] Ebrei 9:27; vedi anche Proverbi 24:12; Matteo 12:36; 16:27; Romani 2:6; 14:12; 2 Corinzi 5:10.

[3] Genesi 4:1–16; cfr. Matteo 23:25; Luca 11:51; Ebrei 11:4; 12:24).

[4] Genesi 3:16; vedi anche Genesi 1:26–30; 2:18–25; 5:1–2.

[5] Apocalisse 12:9; vedi anche 2 Corinzi 4:4; 11:14; Efesini 5:5; 6:11; 1 Timoteo 2:13; 1 Pietro 5:8).

[6] vedere Luca 13:16; Atti 10:38; Ebrei 2:14–15; 1 Giovanni 3:8.[7] vedere anche 1 Samuele 15:29; Salmi 102:27; Giacomo 1:17.