
Domenica 30 Marzo 2025 – La quarta domenica del tempo di Quaresima
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Ambasciatori
Nel contesto delle relazioni internazionali, l’ambasciatore è una figura essenziale, incaricata di rappresentare un sovrano o un governo presso un altro Stato. Il suo compito principale è quello di mantenere e rafforzare i legami diplomatici, favorendo il dialogo, la comprensione reciproca e la cooperazione tra le nazioni. Gli ambasciatori operano in tempi di pace per consolidare alleanze, ma sono anche strumenti fondamentali nei momenti di crisi, quando la loro mediazione può prevenire conflitti o ristabilire la concordia tra paesi ostili. Senza di loro, la diplomazia sarebbe impossibile, e il mondo sarebbe segnato da un’incessante frammentazione e ostilità.
La diplomazia, infatti, è l’arte di negoziare la pace e di costruire ponti tra popoli diversi, spesso divisi da interessi contrastanti e da storie di conflitto. Gli ambasciatori, con la loro posizione di mediatori, rappresentano un’autorità superiore e portano un messaggio che non è loro, ma di colui che li ha inviati. Essi parlano con la voce del loro sovrano o del loro governo e hanno il compito di trasmettere fedelmente la volontà di chi li ha mandati. Se un ambasciatore fallisce nella sua missione o tradisce il suo mandato, le conseguenze possono essere gravi, poiché dalla sua fedeltà e dal suo operato può dipendere la pace o la guerra.
L’Apostolo Paolo, scrivendo ai Cristiani di Corinto, utilizza questa metafora per descrivere la missione che lui e i suoi collaboratori svolgono nel mondo: “Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro” (2 Corinzi 5:20). Il cristiano, come ambasciatore del Regno di Dio, non porta un messaggio proprio, ma annuncia la volontà di Dio, il suo sovrano. Il suo mandato è quello di trasmettere un appello fondamentale: la necessità vitale della riconciliazione tra la creatura umana e Dio, espressione della grazia di Dio. Questo incarico non è opzionale né marginale, ma sta al cuore stesso della missione cristiana.
Se nella diplomazia umana il fallimento di un’ambasciata può portare a conflitti tra nazioni, nel contesto spirituale il rifiuto della riconciliazione con Dio, per la creatura umana ha conseguenze di portata eterna. L’umanità è separata da Dio a causa del peccato, che è la ribellione all’autorità di Dio ed alle Sue leggi. L’unica via ordinata da Dio stesso per ristabilire la comunione con Lui è la grazia di accogliere il sacrificio di Cristo come suo fondamento. Come ambasciatore di Cristo, il cristiano è chiamato a proclamare con urgenza questo messaggio, affinché coloro che, eletti dalla grazia di Dio, ancora vivono lontani da Lui, possano ascoltare il Suo appello e rispondere con fede: “Siate riconciliati con Dio!”. Riflettiamo su questo appello ascoltando il brano da cui è tratto.
Il testo biblico
“Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ha dato a noi il ministero della riconciliazione; infatti Dio riconciliava con sé il mondo in Cristo non imputando agli uomini le loro colpe e ha posto in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto essere peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:17-21).
L’apostolo Paolo aveva dovuto sopportare molte sofferenze nel predicare pubblicamente l’Evangelo di Cristo. Perché? Nel capitolo 5 della seconda lettera ai cristiani di Corinto continua la sua discussione sull’eternità, paragonando i nostri corpi terreni al vivere in una tenda. Paolo preferirebbe vivere nel corpo eterno che Dio ha preparato per coloro che confidano in Cristo, liberi dal gemito e dal peso che affliggono tutti qui. Con questo a cui guardare avanti, predica con coraggio che la condizione umana può essere trasformata. Chi associa la sua vita strettamente a Cristo è una creatura rinnovata, rigenerata. In Cristo, Dio sta riconciliando i Suoi eletti, coloro che rimettono in Cristo la loro fiducia, non più imputando loro il peccato e condanna che pure meritano. Paolo così implora tutti di essere riconciliati con Dio in questo modo attraverso la fede in Cristo illudendosi magari che esistano altre vie. È importante che i suoi lettori in ogni caso comprendano che egli non è un pazzo fanatico a continuare a predicare l’Evangelo, anche se ciò gli comporta così tanta sofferenza. È l’amore di Cristo, quello stesso che lo ha personalmente raggiunto, che spinge Paolo a continuare a proclamare la riconciliazione con Dio attraverso la fede in Cristo. A chi si affida al Cristo, Dio non addebita loro più il peccato e le sue conseguenze ma accredita loro il merito della vita giusta e sacrificio redentore di Cristo. Come ambasciatore di Cristo, Paolo, così, implora di essere riconciliati con Dio attraverso la fede in Cristo. Come si configura questo appello?
L’Appello Apostolico: ‘Siate riconciliati con Dio’
Si tratta di un’esortazione molto accorata. Non è un invito generico, ma qualcosa a cui rispondere subito, senza ritardo, un comando. In un mondo allora sia pur “religioso”, l’apostolo non dà in alcun modo il suo appoggio a indefinite spiritualità e a divinità generiche, ma fa riferimento al Dio vero e vivente ed alla necessità vitale di essere veramente in comunione con Lui nei termini con i quali Egli si è rivelato e alle condizioni che Egli stabilisce.
Il verbo che traduciamo con “siate riconciliati” [καταλλάγητε (katallágēte)] è nell’originale espresso in una forma imperativa passiva: indica una riconciliazione ricevuta, non qualcosa che noi si possa conseguire di nostra iniziativa. Si tratta, infatti, di un’azione iniziata misericordiosamente da Dio stesso e realizzata attraverso l’opera efficace del Suo Cristo.
Essere riconciliati con Dio comporta un cambiamento profondo nel rapporto con Dio, il che presuppone – bisogna sempre sottolinearlo – un conflitto tra la creatura umana corrotta dal peccato e il Dio Santo.
Chi sono così gli ‘ambasciatori’ in questo contesto? I primi apostoli (quelli che hanno redatto il Nuovo Testamento) in primo luogo, e poi tutti coloro ai quali Dio, in ogni tempo e paese, conferisce il dono della proclamazione pubblica dell’Evangelo. In ogni caso, pure la testimonianza fedele di ogni cristiano al suo Signore e Salvatore lo rende virtualmente ambasciatore del Cristo. Da qui pure la responsabilità che abbiamo di rendergli così un adeguato servizio, una buona testimonianza.
La separazione della creatura umana da Dio
Si, c’è davvero “un problema” nella condizione umana. La condizione naturale dell’essere umano è chiaramente delineata dal Nuovo Testamento come ribellione, alienazione, inimicizia con Dio. Da questo non si può sfuggire né lo possiamo minimizzare: “difatti tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3:23). Le conseguenze del peccato sono la separazione spirituale da Dio, fonte di vita, e l’essere soggetti così al giusto giudizio divino di condanna. L’apostolo parla di “morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati”, di un’umanità soggetta allo “spirito che opera al presente negli uomini ribelli”, dell’essere: “per natura figli d’ira”. Da questo se ne esce solo con un atto di “vivificazione” che solo Dio può compiere (Efesini 2:1-3). L’incapacità dell’essere umano di riconciliarsi da sé con Dio è pure un fatto insormontabile. Se suppone di poterlo fare con religiosità esteriore, moralismo o conformità con la filosofia umanistica, solo si inganna clamorosamente. Quello non avrà effetto alcuno.
“Non è vero che io odio Dio e gli sono nemico”, dice chi vorrebbe tenersi “a distanza” da Dio. In realtà nella Bibbia Iddio non ammette l’indifferenza o il rapporto formale con Lui. La mancanza di amore equivale ad odio. Gesù disse: “Chi non è con me, è contro di me e chi non raccoglie con me, disperde” (Matteo 12:30). E non è forse vero che siamo impegnati in una guerra “difensiva” contro Dio? Si, perché, nella nostra arroganza non vorremmo che niente e nessuno avesse alcunché da dire sulla nostra vita, Dio compreso. Nulla di buono, però potrebbe venire da simili atteggiamenti.
La riconciliazione attraverso Cristo
L’urgenza dell’annunzio apostolico è dunque opportuna e ben mirata. La riconciliazione con Dio è possibile perché: “Colui che non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto essere peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:21). Questa riconciliazione con Dio è il risultato del sacrificio espiatorio di Cristo sulla croce compiuto sulla base dei termini legali del patto che lega l’umanità a Dio, suo Creatore, “la giustizia di Dio”.
L’apostolo scrive: “Perché se, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, essendo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Romani 5:10), “… poiché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23). Ogni altra pretesa di aver stabilito comunione con Dio attraverso mezzi diversi da questo si può dunque dire che sia “illegale” e, comunque, sarà del tutto inefficace. L’apostolo, infatti, scrive: “… è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti” (Efesini 2:8-9). È in Cristo che noi agiamo “secondo giustizia”, l’unica possibile, quella di Dio.
Le implicazioni della riconciliazione
La riconciliazione con Dio sulla base dell’opera di Cristo ricevuta con fede, inevitabilmente comporta delle implicazioni, delle conseguenze, non solo al livello dell’eternità, ma qui ed ora caratterizzando il modo in cui il cristiano vive. La riconciliazione con Dio comporta, su quella stessa base, attiva riconciliazione fra di noi e con il nostro prossimo. La pace con Dio è il fondamento della pace fra le creature umane. Essere riconciliati con Dio implica per noi essere “riconciliatori”, com’è scritto: “Beati quelli che s’adoperano alla pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5:9). Questo non significa fare compromessi con l’andazzo di questo mondo dal punto di vista morale, ma promuovere riconciliazione in ogni modo possibile. La Scrittura dice: “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini” (Romani 12:18).
Il perdono ricevuto diventa modello per il perdono offerto. Lo afferma il Padre Nostro: “rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori” (Matteo 6:12), come pure: “… sopportandovi gli uni gli altri e perdonandovi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi” (Colossesi 3:13).
La conciliazione e la collaborazione sulla base di patti o contratti nell’ambito dell’umanità deve essere la missione degli “ambasciatori di Cristo”. Questo non vuol dire essere “diplomatici” nel senso di cercare compromessi, ma essere fedeli al messaggio di Dio in Cristo vivendo coerentemente come testimoni dell’Evangelo, nello spirito del Cristo che dice: “Prendete su voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore e voi troverete riposo alle anime vostre” (Matteo 11:29).
La riconciliazione con Dio in Cristo deve essere per noi un appello urgente. Infatti: “Vi supplichiamo nel nome di Cristo”: non è solo un invito, è una supplica accorata. Tale riconciliazione non può essere rimandata: “Ecco ora il tempo accettevole, ecco ora il giorno della salvezza” (2 Corinzi 6:2). L’appello vale sia per la rigenerazione morale e spirituale della creatura umana in Cristo, che come testimonianza che un mondo di rispettosa cooperazione fra i popoli è possibile.
Conclusione
Il diplomatico Dag Hammarskjöld ebbe a dire negli anni 1950: “La diplomazia è l’arte di costruire ponti dove altri vedono solo abissi, ma troppo spesso il suo valore è oscurato dal clamore di chi preferisce il fragore delle armi al silenzio della pace”. Questa citazione elogia il ruolo della diplomazia come strumento di costruzione e riconciliazione, sottolineando implicitamente come, in un contesto bellicoso, essa tenda a essere sottovalutata o ignorata da chi privilegia soluzioni aggressive.
Se questo vale per l’opera conciliatrice della diplomazia e degli ambasciatori di questo mondo, tanto meglio dovremmo fare come ambasciatori del Regno di Dio in questo mondo: promuovere la pace con Dio attraverso la proclamazione dell’Evangelo ed essere testimoni di riconciliazione in questo mondo, nello spirito del Salvatore Gesù Cristo.
Accertiamoci di essere noi stessi riconciliati con Dio nei Suoi termini accogliendo l’efficacia del sacrificio di Cristo e siamone con gioia e determinazione i Suoi ambasciatori in ogni contesto. “E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4:7). Quanto è grande, meraviglioso vedere giungere un ambasciatore di pace che, annuncia che essa è possibile. I disprezzati ed autentici ministri della Parola di Dio non possono essere altro che ambasciatori di pace. Paolo Castellina, 20 marzo 2025