Il migliore psico-fisioterapista (Luca 10:13-17)

Domenica 21 Agosto 2022 – Undicesima domenica di Pentecoste

(Culto completo con predicazione, 65′)

(Solo predicazione 30′)

Introduzione alle letture bibliche

Letture bibliche: Salmo 71:1-6; Geremia 1:4-10;  Ebrei 12:18-29; Luca 13:10-17

C’è chi dice che la sua vita, la sua stessa esistenza, sia solo un fatto accidentale e che, a parte dal nostro naturale istinto di sopravvivenza, noi siamo solo una delle tante “formiche” che possano essere calpestate e sparire ininfluenti senza che l’umanità o il mondo ne sia sostanzialmente condizionato. Anzi, che noi siamo solo come dei “vuoti a perdere”. Non così dalla prospettiva biblica. Davanti a Dio siamo ciascuno di noi è importante, è ben conosciuto, ha valore e finalità. Ce lo ricorda il Salmo 71, che già abbiamo udito. Possiamo infatti dire: “Tu sei stato il mio sostegno fin dal grembo materno, sei tu che mi hai tratto dal grembo di mia madre”. Lo stesso poteva dire il profeta Geremia di sé stesso nella seconda lettura: “Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto”. Anche se noi potremmo non avere i compiti che Dio aveva affidato a quel profeta, noi abbiamo i nostri ed è nostra responsabilità cercarli e trovarli in Dio. La terza lettura ci racconta quanto era avvenuto in occasione della solenne proclamazione della Legge di Dio al monte Sinai per mezzo di Mosè. Per metterne in evidenza la grande importanza, questo evento era stato accompagnato da fenomeni del tutto spaventosi per quanti vi avevano assistito. Ora però, in Gesù siamo di fronte a uno che è infinitamente più grande di Mosè, tanto che rifiutarsi di prestargli ascolto dovrebbe ispirarci un timore ancora più grande, viste le conseguenze del suo rifiuto. Nella quarta lettura, tratta dal vangelo secondo Luca, una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito d’infermità, era tutta curvata e incapace di raddrizzarsi in alcun modo. Era ignorata ed emarginata dalla sua stessa comunità, ma Gesù la fa venire avanti e le restituisce valore e dignità. Indubbiamente ciascuno di noi è importante davanti a Dio. Preghiamo che chi non lo crede possa scoprirlo!


Il migliore psico-fisioterapista

Sintesi: Avete voi “la schiena diritta”? Vi sono persone che soffrono di lesioni alla colonna vertebrale e che procedono curve, dolenti. Per muoversi devono usare dei bastoni. In senso figurato, avere la schiena dritta significa “essere tutto d’un pezzo” e vivere con dignità. Rimanda a un’idea di stabilità e sicurezza, all’essere ligi al dovere, moralmente integri, affidabili, seri, ma soprattutto coerenti e fedeli. Una persona con la schiena dritta non la pieghi, non la corrompi, non la distrai dal suo dovere. Nel testo del vangelo che esaminiamo oggi (Luca 13:10-17) una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito d’infermità, ed era tutta curvata e incapace di raddrizzarsi in alcun modo, viene liberata dal Salvatore Gesù Cristo. Di che cosa era afflitta e come questo ci parla oggi?

Avete voi “la schiena diritta”? Vi sono persone che soffrono di lesioni alla colonna vertebrale, congenite o indotte per varie ragioni, e che procedono curve, dolenti, e che per muoversi devono usare dei bastoni. Io stesso soffro di difficoltà alla schiena a causa di una stenosi spinale molto fastidiosa. Non è però tanto questo ciò a cui mi riferivo. In senso figurato, avere la schiena dritta significa “essere tutto d’un pezzo” e vivere con dignità. Rimanda a un’idea di stabilità e sicurezza, all’essere ligi al dovere, moralmente integri, affidabili, seri, ma soprattutto coerenti e fedeli alle proprie idee. Una persona con la schiena dritta non la pieghi, non la corrompi, non la distrai dal suo dovere. 

Servile e senza dignità, d’altro canto, è chi vive piegandosi al potente di turno e compiacendolo per acquisire una porzione di quel potere, onori e privilegi. C’è però anche chi ha “la schiena curva” a causa dei colpi e delle battiture che ha subito nella vita a causa dell’oppressione o di duro lavoro. Che dire, poi, di chi “ha la schiena curva” per motivazioni psicosomatiche, cioè d’origine psicologica e anche spirituali? L’oppressione può infatti sorgere “dall’interno” e provenire dalla depressione o dalla repressione. Interessante, infine, è pure un’altra accezione del tutto opposta dell’espressione “avere la schiena dritta” e che origina nel mondo contadino. Veniva definito “schiena dritta” il fannullone, dal momento che per lavorare nei campi la schiena la si piegava eccome, mentre sul versante opposto la nobiltà ostentava un portamento altero, tenendola ben dritta.

L’iniziativa del Salvatore

Un giorno il Salvatore Gesù Cristo incontra una donna “che da diciotto anni aveva uno spirito d’infermità, ed era tutta curvata e incapace di raddrizzarsi in alcun modo”. Ne trovate il racconto nel vangelo secondo Luca, al capitolo 13. Ascoltiamolo.

“Gesù stava insegnando in una delle sinagoghe in giorno di sabato. Ecco una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito d’infermità, ed era tutta curvata e incapace di raddrizzarsi in alcun modo. E Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». Pose le mani su di lei e in quell’istante fu raddrizzata e glorificava Dio. Or il capo della sinagoga, indignato che Gesù avesse fatto una guarigione in giorno di sabato, prese a dire alla folla: «Ci sono sei giorni nei quali si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire, e non in giorno di sabato». Ma il Signore gli rispose e disse: «Ipocriti, ciascuno di voi non scioglie, di sabato, il suo bue o il suo asino dalla mangiatoia per condurlo a bere? E questa, che è figlia di Abramo, e che Satana aveva tenuto legata per ben diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?». Mentre diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, e la moltitudine si rallegrava di tutte le opere gloriose da lui compiute” (Luca 13:10-17).

Questa donna era “tutta curvata” e incapace di raddrizzarsi non per una condizione congenita, ma, come ci dice Gesù stesso, perché “Satana l’aveva tenuto legata per ben diciotto anni”. Non conosciamo altri dettagli della sua situazione, ma quel che più conta è che Gesù prende l’iniziativa e la scioglie da quello che esplicitamente definisce “un legame”. In questo testo c’è poi indubbiamente pure il contrasto fra questa donna incurvata e il presidente della sinagoga, sostenuto da molti che erano lì presenti, che vantava di essere ligio all’integrità dottrinale e morale della religione ma del tutto privo di compassione. Era indubbiamente uno che vantava di avere “la schiena diritta”, ma che era spiritualmente legato da una mentalità gretta, disumana e quindi – lui sì – colpevolmente “curvo”. Si tratta di un simile contrasto quando Gesù, in un’altra occasione, rende la vista a un uomo nato cieco lo contrappone a coloro che pensavano di vedere, di avere “la vista buona” ma che di fatto erano (spiritualmente) ciechi (Giovanni 9).

Ipotesi sulla condizione di quella donna

“Gesù stava insegnando in una delle sinagoghe in giorno di sabato”. Il sabato era un giorno particolarmente dedicato a Dio. Gesù e quella comunità onorava Dio e si recano in sinagoga, il locale luogo di culto, per ascoltare la Sua Parola e apprendere così sempre meglio di Lui e sullo stile di vita buono e giusto che essa insegna. Dopo la lettura delle porzioni di Scrittura per quel giorno, un espositore la applicava alla vita delle persone, riflettendo ciascuno come metterla in pratica nella sua situazione concreta. Il giorno del Signore era una scuola di libertà, perché solo vivendo in modo conforme all’espressa volontà di Dio l’essere umano trova la migliore realizzazione di sé stesso. Inoltre, quale migliore insegnante essi quel giorno potevano avere: Gesù, che conosceva più di chiunque altro “il cuore di Dio”. Che meravigliosa opportunità!

“Ecco una donna”. Il testo non ci dice nulla del “cuore” di quella donna. Non sappiamo se si fosse recata al culto semplicemente “per formalità”, oppure con il sincero desiderio di onorare Dio. In ogni caso, essa, “da diciotto anni aveva uno spirito d’infermità, ed era tutta curvata e incapace di raddrizzarsi in alcun modo”. Poteva esservisi recata per pregare Dio di essere sciolta, liberata da quella sua condizione straziante? Lo aveva già fatto per molti anni, ma non si dava per vinta, persisteva nella preghiera. Era questa la sua situazione? 

Non trovandone risposta, la considerava forse un castigo per qualche suo peccato? Possibilmente. Voleva apprendere il modo di sopportarla pazientemente e creativamente? Anche questo poteva essere il caso e anche questo potrebbe insegnarci qualcosa. La malattia, infatti, può essere un’esperienza didattica e, attraverso di essa, crescere umanamente e spiritualmente. 

Quella sua condizione era forse il risultato di una vita grama di lavoro a coltivare la terra? Era forse vedova e priva di un marito che la sostenesse come pure di una società che si occupasse di lei? Non sappiamo. Si era forse indebitata ed era stata trattata come una schiava da parte di un padrone senza scrupoli che l’aveva sfruttata fino a causarle una condizione invalidante? In Cristo Gesù c’è la soluzione.

Astenia

Quella donna aveva, letteralmente, “uno spirito di debolezza o d’infermità” (in greco “pneuma astheneias”). L’astenia (lettalmente “mancanza di forza”) è un sintomo che consiste nella riduzione di energia dell’individuo colpito, comparendo come fatica persistente e fuori luogo, ed esauribilità del muscolo. Oggi questo lo si chiama sindrome da fatica cronica ed è spesso il risultato di un indebolimento del sistema immunitario dovuto ai vaccini. Quello, però, non poteva essere il suo caso perché i vaccini ancora non erano stati inventati. L’astenia, in ogni caso, si manifesta in numerose condizioni morbose, sia fisiche (quali anemie, epatiti virali, disturbi metabolici, miopatie, malattie neuromuscolari, cardiopatie, patologie della tiroide, influenza stagionale, ecc.) sia psicologiche (ad es. la depressione). 

Nel versetto 16, la sua condizione è descritta come schiavitù a Satana, allo spirito del male che aveva avuto la meglio su di lei, ma Gesù non tratta questa guarigione come un esorcismo. Possiamo magari vedervi una causa psicosomatica. Perché quella donna aveva un tale spirito? Da dove era uscito? Come aveva fatto a prenderselo? Che cosa aveva causato la sua depressione, tanto da diventare una condizione invalidante? Non aveva forse abbastanza amor proprio? Si considerava indegna o brutta e non poteva trovare marito? Stava invecchiando e si considerava ormai senza speranza? Il corpo trova il suo modo per disabilitarsi quando la psiche non trova ragioni per vivere. 

Il fatto che quella donna fosse alla presenza di Gesù e non ne avesse profittato per chiedergli di essere guarita era probabilmente segno di fatalistica disperazione – soprattutto se nel caso di vana attesa di risposta da parte di Dio. Un’altra donna che aveva incontrato Gesù ed era stata guarita da costanti emorragie aveva già speso tutte le sue risorse e inutilmente da vari medici, ma quella aveva cercato Gesù come ultima sua speranza. La donna del nostro episodio, però, aveva persino rinunciato a chiedere l’intervento di Gesù. Può essere: l’astenia può condurre dopo molto tempo alla passività, al “lasciarsi andare” e persino al desiderio di morire, a dire “non ne vale più la pena”. La rigenerazione del corpo e dello spirito ne vale sempre la pena: è un miracolo che solo Dio può realizzare.

L’iniziativa di Gesù

Tutte queste sono le nostre ipotesi e per ogni situazione c’è una risposta da cercare. In ogni caso, Gesù conosce il cuore di tutti, vede quella donna e prende Lui l’iniziativa d’intervenire, anche se non glielo chiede. E Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». È l’iniziativa di Gesù – la chiamata di Gesù alla donna – la fede di Gesù – che pone le basi per questa guarigione.

Che cos’è che ci salva giustificandoci davanti a Dio? La nostra fede in Cristo? Ma com’è possibile una tale fede se siamo spiritualmente morti, passivi? Nessuno oggi cerca veramente Dio e nessuno e tanto meno il Salvatore Gesù Cristo – per quanto noi si “evangelizzi” con le nostre “tecniche di persuasione”. L’unica fede che ci possa salvare è la fede di Cristo, la Sua fedeltà, il Suo intervento sovrano. La fede è sicuramente lo strumento per abbracciare Cristo ai fini della nostra salvezza temporale ed eterna, ma una tale fede è solo Dio che sovranamente ce la può impartire. Essa è un suo dono. Le traduzioni più antiche del Nuovo Testamento lo mettono in evidenza meglio di quelle moderne, che talora danno per scontato ciò che il testo non dice e senza esitare! “Sapendo, come non è giustificato l’uomo per le opere della legge, ma per la fede di Gesù Cristo, crediamo anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati per la fede di Cristo” (Galati 2:16, Martini). “Sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della legge, ma per la fede di Gesù Cristo, abbiamo ancora noi creduto in Cristo Gesù, acciocché fossimo giustificati per la fede di Cristo, e non per le opere della legge” (Diodati). Il Diodati traduce qui rettamente “fede di Cristo”. La fede che opera la nostra salvezza è quella di Cristo, la fede dell’efficacia della Sua potenza, la stessa fede che risuscita i morti. I morti, infatti, in ogni senso, non chiedono di essere risuscitati, ma prima vengono vivificati, risuscitati, e poi messi in condizione di esprimere la loro fede.

Tutti i nodi sono sciolti

“Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». Pose le mani su di lei e in quell’istante fu raddrizzata e glorificava Dio”, La parola “liberata” (in greco “apolelusa”) deriva dal verbo che significa sciogliere, slegare, e quindi liberare. Proprio come la parola creatrice di Dio ha potenza tanto da infondere il soffio della vita alla materia (la “polvere della terra” che Egli modella in essere umano), così anche la parola di Gesù ha potenza. La parola qui è congiunta al tocco delle Sue mani. Potremmo dire che Gesù è il migliore fisioterapista che esista perché opera su tutta la persona: psiche e corpo. L’imposizione delle mani è solitamente accompagnata dalla preghiera, ma qui non si fa menzione della preghiera. La sua guarigione, però, è immediata: “…e in quell’istante fu raddrizzata e glorificava Dio”.

Se quella donna si era recata al culto solo “per formalità” ora essa glorifica Dio di tutto cuore! O se aveva perseverato a pregare per molti anni senza darsi per vinta chiedendo di essere liberata da quella sua condizione straziante, era finalmente giunto il momento di essere esaudita. Dio è fedele. Se considerava quella sua situazione un castigo per qualche suo peccato essa trova in Gesù chi le impartisce il perdono di Dio. Se la sua condizione doveva essere per lei un’esperienza didattica, ora la lezione è imparata e ne esce una donna migliore. Se quella sua condizione era il risultato di una vita grama di lavoro a coltivare la terra essa trova in Gesù riscatto e riabilitazione. 

Quella donna probabilmente era caduta nella dinamica disabilitante di una condizione psicosomatica, diventando così “l’ambiente ideale” per Satana con i suoi malvagi spiriti demoniaci, ora Gesù la libera. Ritrova l’amor proprio. Non avrebbe più considerato le sue fattezze o persino il nubilato come una disgrazia. Avrebbe trovato in Dio la ragione della sua vita. Avrebbe abbandonato la sua fatalistica disperazione. Con Gesù vi è sempre speranza anche di fronte a ciò che potremmo considerare impossibile da vedersi realizzato.

Se, poi, era stata indebitata e trattata come una schiava da parte di un padrone senza scrupoli che l’aveva sfruttata fino a causarle una condizione invalidante, essa ora vede riaffermata la sua dignità di donna, di “figlia di Abramo”, membro a pieno titolo del popolo di Dio. Era stata discriminata, forse proprio come donna e disabile. Ora Gesù, davanti a tutti, la ristabilisce nella sua piena dignità.

La vergogna degli astanti

Interessante che “…mentre diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano”. Di che cosa si erano vergognati? Del loro malinteso zelo religioso, della durezza del loro cuore, della loro mancanza di solidarietà, delle ingiuste e colpevoli discriminazioni che avevano fatto verso quella donna. Anche un’assemblea religiosa avrebbe molto di cui vergognarsi e da cui ravvedersi. Da che cosa dovremmo noi vergognarci e ravvederci come comunità cristiana? L’atteggiamento critico verso noi stessi, il metterci costantemente a confronto con la Parola di Dio per esaminare attentamente il nostro comportamento anche come cristiana è essenziale. Molte comunità oggi nel loro culto hanno lasciato da parte la confessione di peccato o ne hanno fatto una formalità. Quand’è, però, l’ultima volta che nell’udire proclamare la Parola di Dio che ci metteva in questione ci siamo vergognati di noi stessi e ci siamo ravveduti?

La gioiosa conclusione

Alla fine “… la moltitudine si rallegrava di tutte le opere gloriose da lui compiute”. C’è veramente da rallegrarsi e glorificare Dio che presso il Signore e Salvatore Gesù Cristo tutto viene “raddrizzato”! Vale anche oggi quando vi è sostanza e non formalità nella vita cristiana, quando Egli opera fra di noi comunicandosi attraverso la Sua Parola e ordinanze, quando tutto è compiuto in spirito e verità. Come dicevamo all’inizio della nostra riflessione, questo vuol dire vivere “con la schiena diritta”. Vuol dire stabilità e sicurezza, diventare ligi al dovere, moralmente integri, affidabili, seri, ma soprattutto coerenti e fedeli. Una persona con la schiena dritta non la pieghi, non la corrompi, non la distrai dal compiere quel che è giusto e buono davanti a Dio. Dice la Parola del Signore: “Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo faccia valere al servizio degli altri. Se uno parla, lo faccia come annunziando oracoli di Dio; se uno esercita un ministero, lo faccia come con la forza che Dio fornisce, onde in ogni cosa sia glorificato Iddio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e l’imperio nei secoli dei secoli. Amen” (1 Pietro 4:10-11).

Paolo Castellina, 14 agosto 2022