Domenica 29 Maggio 2022 – Settima domenica di Pasqua
(Culto completo con predicazione, 60′)
(Solo predicazione, 30′)
Introduzione alle letture bibliche
Salmo 97; Atti 16:16-34; Apocalisse 22:12-21; Giovanni 17:20-26
Nell’introduzione all’opera “La sovranità di Dio”, Arthur W. Pink scrive: “Chi è che oggi sta regolando gli affari sulla terra: Dio o il Diavolo? Che Dio regni supremo in cielo, generalmente lo si è pronti oggi a concedere; che Egli regni supremo sui fatti del mondo è quasi universalmente negato – se non direttamente, almeno indirettamente. Sempre di più sono, infatti, coloro che filosofeggiano e teorizzano relegando Dio nel retroscena”. Al di là di ogni speculazione filosofica, checché ne dicano gli increduli, la Bibbia dichiara a chiare lettere che Dio regna ed è in controllo di ogni cosa per lo svolgimento e il compimento dei Suoi propositi. Lo afferma la nostra prima lettura, il Salmo 97. Gustiamone le espressioni e valutiamone le implicazioni. La religione, però, spesso è pervertita e corrotta e utilizzata come strumento di guadagno. Ne fanno esperienza l’apostolo Paolo e i suoi collaboratori per avere “disturbato” i commerci religiosi di una città con l’annuncio dell’Evangelo. Questo certo non preclude Dio da realizzare i Suoi piani e portare al ravvedimento e alla fede anche le persone “meno probabili”. Lo vediamo nella seconda lettura, tratta dal capitolo 16 del libro degli Atti degli Apostoli. La purificazione dalla religione corrotta e il ravvedimento sono il requisito dell’ingresso nel Regno di Dio. Questa purificazione personale è possibile affidandosi all’opera redentrice del Cristo. Lo proclama la terza lettura, tratta dall’ultimo capitolo dell’Apocalisse. Chiude le nostre letture di oggi un brano tratto dal capitolo 17 del vangelo secondo Giovanni, dove Gesù prega affinché coloro che gli sono stati affidati per ricevere la grazia della salvezza siano preservati da ogni male e conservati uniti a Lui e fra di loro nell’amore. Una realtà: ieri, oggi e in eterno.
Il “lasciapassare” per l’accesso al Regno di Dio
In Italia, come pure in alcuni altri paesi del mondo, vi è stato il problema (ancora non del tutto risolto) dell’infame tessera verde (il cosiddetto “Green Pass”) richiesta per accedere a trasporti, negozi o luoghi pubblici durante la conclamata ultima pandemia. Dimostratosi del tutto inutile dal punto di vista sanitario, questo lasciapassare diviene, nelle ambizioni tiranniche di molti governanti, uno strumento discriminatorio di controllo sociale.
Il “diritto di accesso”, però, è un concetto legittimo in altri ambiti. Esso implica, per esempio, il pagamento di un biglietto per poter usufruire di un dato servizio, biglietto che certifica come l’utente abbia contribuito al suo espletamento. I servizi costano e qualcuno in ogni caso li deve sostenere finanziariamente – anche se per certi servizi si può parlare di diritto generalizzato a usufruirne.
Anche se vi è chi ne proclama l’accesso libero e gratuito, opponendosi a viva voce a “ogni discriminazione”, per entrare alla presenza salvifica di Dio e al promesso nuovo cielo e nuova terra è necessario un particolare requisito, un “lasciapassare”. Secondo l’insegnamento esplicito della Bibbia, quello è un diritto non generalizzato ma che si riceve …e non tutti lo ricevono. Si potrebbe quindi parlare legittimamente, per poter entrare nel Regno di Dio, non di un “green pass”, ma di un particolare tipo di “red pass”, di un “lasciapassare rosso”! Che, per così dire, sia “rosso” ve lo spiego fra un attimo.
Questa verità è chiaramente espressa nell’ultimo capitolo del libro dell’Apocalisse nel testo che esaminiamo oggi. Non è certamente il solo testo che lo faccia, ma è emblematico. Leggiamolo.
“(12) Ecco, io vengo presto, e con me avrò il premio da dare a ciascuno secondo le sue opere. (13) Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. (14) Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte nella città! (15) Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna. (16) Io Gesù ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io son la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella mattutina. (17) E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ode dica: Vieni. E chi ha sete venga: chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita. (18) Io lo dichiaro a ognuno che ode le parole della profezia di questo libro: Se alcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe descritte in questo libro; (19) e se alcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Iddio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della città santa, delle cose scritte in questo libro. (20) Colui che attesta queste cose, dice: Sì, vengo presto! Amen! Vieni, Signor Gesù! (21) La grazia del Signore Gesù sia con tutti” (Apocalisse 22:12-21).
L’ultima beatitudine del Cristo asceso
“Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte nella città!” potrebbe definirsi “l’ultima beatitudine” pronunciata da Gesù contenuta nelle Sacre Scritture. Ha il chiaro suono della “musica” del Nuovo Testamento ed è in pieno accordo con l’intera dottrina che scorre attraverso questo libro; ed è quasi l’ultima parola che la Sapienza fattasi uomo ci ha rivolto dal Cielo. Quindi, da questo punto di vista, desidero considerare con voi tre cose che emergono chiaramente da queste parole. Primo, il principio che se qualcuno può dirsi puro è perché è stato purificato. In secondo luogo, il fatto che sono i moralmente purificati ad avere libero accesso a Dio e alla fonte della vita. E infine, sono solo i purificati che faranno parte della società di quella città.
Se siamo puri è perché lo siamo stati fatti
La prima beatitudine pronunciata da Gesù Cristo nel Sermone sul monte era: “Beati i poveri in spirito”. L’ultima beatitudine pronunciata dal Cielo è: “Beati quelli che lavano le loro vesti”. E l’atto lodato nell’ultimo non è che il risultato dello spirito lodato nel primo. Perché coloro che sono poveri in spirito sono quelli che davanti a Dio si riconoscono peccatori; e coloro che si riconoscono peccatori sono coloro che purificheranno le loro vesti, come si esprime il linguaggio biblico, nel sangue di Gesù Cristo.
Questo simbolo della veste è usato continuamente nelle Scritture come espressione del carattere morale di una persona. Il libro dell’Apocalisse è saturo d’immagini prese dal resto della Bibbia. Questa metafora della purificazione delle vesti è un’allusione alla visione che il profeta Zaccaria aveva avuto, quando vede il sommo sacerdote in piedi davanti all’altare vestito di vesti luride. Gli dice: “Levategli di dosso le vesti sudicie” (Zaccaria 3:4). La stessa metafora la ritroviamo nella parabola dove Gesù parla dell’uomo che, invitato a nozze, non aveva l’abito nuziale: “Come sei entrato qua senza avere un abito da nozze”? (Matteo 22:12). Lo stesso nella parabola del Figlio prodigo, dove l’amore del padre ordina ai servitori: “Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo” (Luca 15:22). L’apostolo Paolo riprende la metafora e si riferisce spesso al rinnovamento morale in Cristo come a uno svestirsi del vecchio uomo e a un rivestirsi dell’uomo nuovo: “…perché vi siete spogliati dell’uomo vecchio coi suoi atti e vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a immagine di Colui che l’ha creato” (Colossesi 3:10). Nell’Apocalisse vediamo le bianche vesti dei redenti con queste espressioni: “Essi verranno con me vestiti di bianco, perché ne sono degni” (3:4), e soprattutto quelli della grande folla che “hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello” (7:14). E così che qui sono raccolte in queste ultime parole, tutte queste allusioni e ricordi quando Cristo parla dal Cielo e dice: “Beati quelli che lavano le loro vesti”.
Potremmo dire che la veste di cui si parla così frequentemente nelle Scritture risponde sostanzialmente a ciò che chiamiamo il carattere, la condizione del nostro cuore. La riconosciamo oggi così quale è, cioè sporca, al di là della nostra capacità di pulirla. Potremmo dire che ognuno di noi porta con sé una sorta di telaio e continuamente tesse la trama della sua vita. Ogni pensiero, ogni azione è un filo della trama. Lo tessiamo, lo tingiamo, lo tagliamo, lo cuciamo, e poi lo indossiamo e si attacca a noi. È il nostro io, modificato dalle nostre azioni. Ma ne risulta sempre sporco, macchiato, chi più chi meno. È qualcosa di frustrante, ma la veste risulta sempre imbrattata di fango impigliato sulle vie sporche di questa vita, con macchie di cose che abbiamo detto o fatto che hanno lasciato il segno su di noi. E se poi lo confrontiamo allo splendore della vita del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, c’è da disperare! Ci si può magari qui abituare allo sporco, ma non sarà mai soddisfacente. Ciascuno anela muoversi in un ambiente pulito con un corpo pulito e delle belle vesti. Spesso è per la nostra pigrizia che non è così. Vorremmo che qualcuno, magari, “lavorasse per noi”.
Quella veste sporca, però, può essere pulita. Il nostro testo non va oltre nell’enunciazione del metodo, ma si basa sulle grandi parole di questo Libro dell’Apocalisse che dicono: “…hanno lavato le loro vesti e le hanno fatte bianche nel sangue dell’Agnello”. E lo stesso scrittore, nella sua Epistola, che ha lo stesso paradosso, e che sembra essere stato, per lui, il modo preferito di mettere la verità centrale del Vangelo: “il sangue di Gesù, suo Figliuolo, ci purifica da ogni peccato” (1 Giovanni 1:7). Giovanni vede il paradosso: che il sangue rosso che esce dalla Croce lava la veste nera, ed essa diventa bianca, limpida come cristallo, di Cristo. E’ un’immagine poetica, ma descrive qualcosa che può accedere e accade.
La colpa può essere perdonata, il carattere può essere santificato. La colpa può essere perdonata! Tanti, però, dicono: “No! Viviamo in un universo di leggi inesorabili; “ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà”. Se ha sbagliato, deve pagarne le conseguenze». La domanda non è, però, se viviamo in un universo di leggi inesorabili, ma se ci sia qualcos’altro nell’universo tranne le leggi; poiché il perdono è un atto personale, e ha a che fare solo secondariamente e remotamente con le conseguenze delle azioni di una persona. Se infatti crediamo in un Dio personale, e crediamo che Egli possa avere un qualche tipo di relazione vivente con le creature umane, possiamo credere nella dottrina del perdono. Perché il cuore della dottrina cristiana del perdono non tocca quelle leggi, ma il suo cuore. Così la colpa può essere perdonata. Il carattere può essere santificato ed elevato. C’è una tale forza nello Spirito di Cristo che ci è stata data attraverso la Sua morte per purificarci mediante la Sua presenza nei nostri cuori. Il sangue di Gesù Cristo, la potenza del Suo sacrificio sulla croce, l’ultimo e irripetibile sacrificio di espiazione, purifica da ogni peccato, sia nel senso di togliere ogni nostra colpa, sia nel senso di trasformare il nostro carattere in qualcosa di più alto, più nobile e più puro.
Qui, però, non c’è nessun automatismo come quello di chi insegna che il battesimo di per sé stesso ci purificherebbe dal peccato: quella è una tragica illusione! Il testo dice: “Beati quelli che lavano le loro vesti”. Da una parte c’è tutta la pienezza della purificazione, dall’altra c’è il mucchio di stracci sporchi che non saranno puliti se rimaniamo seduti a guardarli… Dobbiamo mettere in contatto i due. Come? Per il collegamento che unisce forza e debolezza, purezza e sozzura, il Salvatore e il penitente; la comunione della semplice della fiducia e della sottomissione di noi stessi al potere purificatore della Sua morte e della Sua vita. Qui però c’è di più che la traduzione non rende. L’idea è “Beati quelli che si stanno lavando”. Non è qualcosa di fatto una volta per tutte, ma un processo continuo che scorre lungo tutta la vita del credente. Queste sono le condizioni che Cristo afferma, nelle ultime parole che le orecchie umane Lo abbiano udito pronunciare: la vita nobile, e finalmente l’accesso a Dio sono possibili. Il carattere turpe può essere purificato, e che continuamente, con il ricorso quotidiano e il ricorso alla Fonte, si apra nel suo sacrificio e nella sua morte.
Il libero accesso illimitato alla fonte della vita
“Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte nella città!”: questi purificati, e di conseguenza solo questi, hanno libero accesso alla fonte della vita. Questo, naturalmente, ci porta torna alla vecchia narrativa misteriosa all’inizio del Libro della Genesi.
L’ultima pagina dell’Apocalisse venga piegata, per così dire, a toccare la prima pagina della Genesi. La storia della creatura umana inizia con angeli dalle spade fiammeggianti che sbarrano la strada all’Albero della Vita: “Così egli scacciò l’uomo; e pose a oriente del giardino d’Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita” (Genesi 3:24). Ora però, i cherubini hanno ricevuto un nuovo ordine: la porta è chiusa e nessuno può forzarla, ma non per coloro che portano “il lasciapassare rosso” di Cristo, perché esso certifica che per loro il debito verso la giustizia di Dio è stato pagato. Tutto ciò che c’è in mezzo fra le prime e l’ultima pagina della Bibbia – il peccato, la miseria, la morte – è una parentesi. Il proposito di Dio non sarà vanificato e la fine della Sua marcia attraverso la storia umana sarà l’accesso riaperto all’Albero della Vita.
L’Albero della Vita si erge qui come il simbolo di una fonte esterna di vita. “Vita” qui non è la nuda continuità nell’esistenza, ma una piena, beata perfezione e attività di tutte le facoltà e possibilità dell’uomo, che questo stesso Apostolo si identifica con la conoscenza di Dio e di Gesù Cristo: la conformità morale e spirituale alla Legge di Dio. E quella vita, dice Giovanni, ha una sorgente esterna in Cielo come in terra. Coloro che lavano le loro vesti hanno diritto di accesso libero a Colui alla cui presenza, in quello stato più elevato, nessuna impurità potrebbe stare. La pienezza della vita è concessa solo a coloro che, avvicinandosi a Gesù Cristo mediante la fede e imparando a vivere secondo il Suo insegnamento, sono stati così purificati da ogni sozzura della carne e dello spirito.
I purificati fanno parte della società di quella città
Anche qui abbiamo tutta una serie di metafore dell’Antico e del Nuovo Testamento raccolte insieme. Per Giovanni, nel suo tempo, le forze del male erano tutte concentrate a Roma la città sui Sette Colli. Per lui le forze antagoniste che erano la speranza del mondo erano tutte concentrate nella vera città ideale che aspettava “discendere dal Cielo”: la nuova Gerusalemme. Come pure lo scrittore dell’Epistola agli Ebrei, Giovanni ci insegna la stessa lezione: “…aspettava la città che ha i veri fondamenti e il cui architetto e costruttore è Dio” (Ebrei 11:10).
La Genesi è iniziata con un giardino, il peccato dell’uomo lo espelle dal giardino. Dio, però dal male, fa uscire il bene, e per il giardino perduto viene una cosa migliore, una città ritrovata. Perché certamente è meglio, in un certo qual senso, vivere nelle attività della città che nella dolcezza e nell’indolenza di un giardino. Il Paradiso, il nuovo cielo e una nuova terra, non è stare su una nuvola del cielo …a suonare l’arpa, ma essere impegnati in un mondo rinnovato a realizzare i propositi ultimi della natura umana, in comunione con Dio e insieme agli altri. Certo, le città sono oggi spesso oggi luoghi invivibili e preferiremmo vivere in campagna, ma è così a causa del peccato umano. L’aggregazione di grandi masse, però, se bene organizzata genera una forma di carattere, libera energie e attività che nessun altro tipo di vita potrebbe produrre.
Si intraprende un grande passo in avanti quando leggiamo della condizione finale dell’umanità come il suo raduno nella città di Dio. La città è l’emblema della sicurezza e della permanenza. La vita non sarà più come una marcia nel deserto, con cambiamenti che portano solo dolore e una tetra monotonia. Abiteremo in mezzo a realtà durature, noi stessi fissi nella completezza e nella pace immutabili ma sempre crescenti. Le tende saranno finite, abiteremo le solide dimore della città che ha fondamenta che non saranno più scalzate.
L’ultimo invito di Cristo dal trono
«Vieni. E chi ode dica: Vieni. E chi ha sete venga: chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita” (Apocalisse 22:17). Certo, purificare la nostra vita da soli non lo potremmo mai fare, né con programmi di detossicazione né con sedute dallo psicanalista… Non vi sarebbero che risultati frustranti. E’ come dice la Bibbia: “Quand’anche tu ti lavassi col nitro e usassi molto sapone, la tua iniquità lascerebbe una macchia dinanzi a me, dice il Signore, l’Eterno” (Geremia 2:22). Rimane però vero che “Il sangue di Gesù Cristo purifica da ogni peccato”. Dobbiamo sottometterci alla sua potenza purificatrice, con umile fede. Allora avremo il vero possesso della vera vita significativa ed eterna e saremo cittadini attivi della città di Dio, fin da oggi, e il processo verrà un giorno completato. Quando poi verrà il momento per noi di lasciare “questa tenda”, ci risveglieremo, senza sapere dove o cosa stia succedendo, di fronte alla porta di una nuova realtà che si aprirà per noi. Allora sapremo con certezza che il Signore ci ha condotto nella città di Dio, nella quale entrano come suoi degni abitanti coloro che “lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello”.
L’invito finale è “chi ha sete venga”. Le persone alle quali questo invito è rivolto sono di due tipi: quelle che hanno ‘sete’ e quelle che ‘vogliono’. La prima designazione è universale, l’altra no perché ci sono molti che hanno sete e, per quanto strano possa sembrare, la loro sete non sarà soddisfatta. Certo, quando uno ha sete sa di averla. C’è un bisogno universale impresso nel cuore di ogni creatura umana: il compimento della loro natura in Dio. La mente è irrequieta finché non afferra questa realtà e verità. Tutta la natura umana proclama: “L’anima mia è assetata di Dio, dell’Iddio vivente” (Salmo 42:2). Nessuno riposa se non vive in cosciente amicizia con Dio. Voi e io siamo fatti per nutrirci della comunione con Dio, ma ci nutriamo di noi stessi, gli uni degli altri, del mondo e di tutta la spazzatura che offre. A volte sembra come se fossimo come gli attori che fingono con grande gusto di bere da coppe ornate ma dentro non c’è nulla. È come quando un assetato sogna e beve; ma si sveglia: non c’era nulla che di fatto beveva. Molti che non sono consapevoli di questa sete dell’anima. Possiamo sopprimerla ma presto riaffiorerà. Siate certi di questo, che, finché non andrete dal Cristo, dimorerete in ‘una terra arida e assetata dove non c’è acqua’.
Accogliere Gesù Cristo come nostro Signore e Salvatore è il primo passo, ma poi occorre lavorare seriamente su noi stessi. Tutte le categorie di persone prive del “lasciapassare rosso” alle quali sarà precluso l’accesso nel regno di Dio sono in questo testo bene identificabili e rappresentano gran parte di tutto ciò di cui dobbiamo essere liberati. Dovremmo approfondirne il significato, ma non lo possiamo fare in questa riflessione – non ce ne sarebbe il tempo. La cosa dobbiamo lasciarla a un’altra occasione o approfondirle personalmente. Non possiamo, però, sottrarci a questo impegno. E’ essenziale chiarire bene il carattere di chi nel Regno di Dio non entrerà, scoprire in che misura di quello fa parte della nostra vita e abbandonarlo. Assicuriamoci, però, di avere accolto l’invito di grazia di Cristo – quella è la prima cosa da fare: “Vieni. E chi ha sete venga: chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita”. Sarà l’inizio di un cammino e l’arrivo a destinazione, per grazia di Dio, è certo e sicuro. “Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte nella città!”.
Paolo Castellina, 21 maggio 2022.
Rielaborazione di una parte di un messaggio di Alexander Maclaren in: https://biblehub.com/commentaries/revelation/22-14.htm