Domenica 24 settembre 2023
Un mondo privo di speranza
Per la maggior parte delle persone oggi: “tutte le cose continuano nel medesimo stato come dal principio della creazione” (2 Pietro 3:4), non ci sono novità, non è cambiato e non cambia sostanzialmente nulla. Caduti gli illusori miti del progresso, questo mondo non crede più alle meravigliose utopie a cui si guardava qualche generazione fa, ma prospetta con apprensione scenari distopici.
Il concetto di “distopia” è infatti utilizzato oggi per descrivere una visione rappresentativa di una società futura che è caratterizzata da gravi difetti, disfunzioni o oppressioni sistematiche. In altre parole, una distopia è il contrario di una “utopia”, che rappresenta una società idealizzata e perfetta. Gli scenari distopici che oggi vengono spesso rappresentati descrivono la società umana sottoposta a uno stretto controllo autoritario; un governo o un’autorità centrale che esercita un controllo totale sulla vita dei cittadini, spesso attraverso il monitoraggio costante, la censura, la repressione delle libertà individuali e la limitazione delle opportunità. Si pensa ad un mondo di disuguaglianza estrema: una divisione marcata tra una élite privilegiata e la massa dei cittadini, con la stragrande maggioranza che vive in condizioni di povertà, oppressione o schiavitù. Si guarda ad un ambiente degradato: un ambiente naturale pregiudicato a causa dell’attività umana o di eventi catastrofici, e che rende la vita difficile o pericolosa. Si parla di una sempre maggiore manipolazione dell’informazione: il controllo dei media e la diffusione di informazioni false o manipolate per mantenere il potere dell’autorità centrale. Il tutto è “condito” dalla perdita delle libertà individuali: la limitazione delle libertà personali e dei diritti civili, spesso attraverso la sorveglianza invasiva, la restrizione della libertà di parola e di assemblea, e la perdita di privacy. Tutte queste sono tendenze evidenti oggi, “per chi ha occhi per vedere”.
Ecco così che, per la maggior parte delle persone, “si tira avanti” fatalisticamente. Molti “temono il peggio” ma credono che i sopravvissuti, fra i quali sperano di essere, “si arrangeranno” in un modo o in un altro per continuare “come al solito”. Per essi non c’è e non vi sarà mai un altro modo di vivere, se non le futili residue illusioni di sognatori per le quali “non merita perderci il tempo”. Questo tipo di mondo è indubbiamente quello privo di speranza di tanti che, come afferma la Bibbia, sono descritti come: “… non avendo speranza ed essendo senza Dio nel mondo” (Efesini 2:13).
Una speranza viva
Oscillando fra utopie e distopie, i più non vedono che già sono state poste da Dio stesso ben altre basi per il mondo (che a Lui appartiene), “qualcosa di nuovo” incentrato nella Persona e nell’opera del Salvatore Gesù Cristo. Vi è, infatti, un vasto popolo, sparso per il mondo, che è stato introdotto ad “una migliore speranza, mediante la quale ci accostiamo a Dio” (Ebrei 7:19), o, come si esprime l’apostolo Pietro: “una speranza viva in vista di una eredità incorruttibile, immacolata e inalterabile, conservata nei cieli per voi” (1 Pietro 1:4). L’apostolo Pietro, che ovviamente riflette tutto lo spirito ed il messaggio dell’Evangelo cristiano, è persuaso, e lo vuole comunicare anche a noi, che quello che viviamo certo è “il solito”, “la normalità”, ma… la normalità solo di un mondo che sta giungendo al suo termine, di un mondo già condannato, di un mondo che è giunto ai suoi “ultimi tempi”. Difatti, con la venuta del Salvatore Gesù Cristo, qualcosa di del tutto nuovo è giunto sulla scena di questo mondo e, nonostante tutte le apparenze contrarie, si sta sviluppando coinvolgendovi tutti coloro che a Lui si affidano.
Tutto questo lo troviamo bene illustrato nelle due epistole dell’apostolo Pietro, in particolare nel brano di 1 Pietro sul quale ci vogliamo soffermare oggi. Ascoltiamolo:
“13Perciò, avendo cinti i fianchi della vostra mente e stando sobri, abbiate piena speranza nella grazia che vi sarà recata nella rivelazione di Gesù Cristo; 14come figli ubbidienti, non vi conformate alle concupiscenze del tempo passato quando eravate nell’ignoranza, 15ma, come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, 16poiché sta scritto:“Siate santi, perché io sono santo”. 17E se invocate come Padre colui che senza riguardi personali giudica secondo l’opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro pellegrinaggio, 18sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai padri, 19ma con il prezioso sangue di Cristo, come d’agnello senza difetto né macchia, 20ben preordinato prima della fondazione del mondo, ma manifestato negli ultimi tempi per voi, 21i quali per mezzo di lui credete in Dio che l’ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio” (1 Pietro 1:17-21).
Come vivere le primizie del mondo rinnovato
L’apostolo in questo testo scrive a persone che, di fatto, grazie al sacrificio del Cristo, “ben preordinato prima della fondazione del mondo” (20) sono state “riscattate”, liberate, dal “vano modo di vivere” (18a) tramandato dai padri (cioè ereditato dai loro antenati). Era una vita vuota, un modo di vivere futile, una condotta senza profitto, senza scopo.
Con Cristo esse si sono così incamminate in una “peregrinazione” (Diodati, 18b) al termine della quale giungeranno al “nuovo mondo” inaugurato da Cristo. Pietro non sta qui parlando di un pellegrinaggio verso un mondo ultraterreno, un non meglio precisato “aldilà”, ma della nuova realtà che Cristo ha inaugurato, di cui essi stanno già vivendo oggi le primizie e che giungerà un giorno al suo compimento. Che cos’è successo a queste persone – non diverse da noi?
Prima di conoscere e di avere abbracciato il Cristo, nel “tempo passato”, esse erano del tutto conformi a quelle che l’Apostolo chiama le concupiscenze (14) che si agitano nell’umanità decaduta ed empia, le loro voglie, desideri e vane aspirazioni umane. Illuminate dall’Evangelo di Cristo e rigenerate dallo Spirito Santo, sono passate attraverso l’esperienza del ravvedimento, sono state accolte da Cristo fra i Suoi, hanno ricevuto le promesse di partecipare al “mondo nuovo” ed ora la loro aspirazione principale è quella di essere conformi, moralmente e spiritualmente, a Cristo, com’è scritto: “Perché quelli che egli ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito fra molti fratelli” (Romani 8:29). Ora sono chiamate ad essere sante come Dio è santo, cioè moralmente e spiritualmente diverse dalla massa dei perduti e dei reprobi – a parte, separate, speciali.
Prima di conoscere e di avere abbracciato il Cristo essi erano “nell’ignoranza” (ἀγνοίᾳ, cecità spirituale, 14b) delle cose di Dio, dei Suoi progetti, ma è stata loro recata la “rivelazione di Gesù Cristo”, in greco ἀποκάλυψις (apokalupsis, 13). Il termine “agnoia” è affine al termine “agnosticismo”che deriva dal termine greco “agnostos,” che significa “sconosciuto” o “ineffabile”. L’agnosticismo è una posizione filosofica e epistemologica che si caratterizza per l’incertezza o la sospensione del giudizio riguardo all’esistenza o all’inevitabilità di Dio o degli dei e a questioni metafisiche e religiose in generale. Gli agnostici sostengono che non è possibile conoscere con certezza l’esistenza o la natura di entità divine o l’essenza di realtà metafisiche. Questa ignoranza è stata sostituita ora dalla certezza. Essa è presa di conoscenza riguardo a cose prima sconosciute, cose che fino ad allora erano sottratte alla loro vista e che ora sono state rese visibili, manifestate. Sono diventate persone di fede: “Ora la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono” (Ebrei 11:1).
Tutto questo, dice Pietro, è stato: “manifestato negli ultimi tempi per voi” (20). Come già rilevavo la scorsa settimana nella nostra riflessione biblica nell’originale greco Pietro usa qui i termini “ἐπ᾿ ἐσχάτου τῶν χρόνων δι᾿ ὑμᾶς”, letteralmente “l’escatologia dei tempi”, e che le nostre versioni bibliche traducono come “gli ultimi tempi”.
Tutto questo è notevolissimo perché qui Pietro usa i termini sia “apocalissi” (rivelazione) che “escaton”, cioè “ultimi tempi” per riferirsi non tanto ad avvenimenti futuri, ma presenti, avvenimenti che fanno parte dell’esperienza attuale dei cristiani che abbandonano “il mondo vecchio” ormai condannato e vengono coinvolti, per grazia di Dio, nel “mondo nuovo”, quello che Dio ha inaugurato in Cristo e che si sviluppa con loro e tramite essi, fino a quando giungerà, ineluttabilmente, al traguardo finale, al compimento di tutti i propositi di Dio per questo mondo.
L’escatologia inaugurata
L’escatologia è una branca della teologia che si occupa dello studio e della dottrina riguardante gli ultimi eventi della storia umana, in particolare la morte, il giudizio, il destino eterno degli esseri umani e il ritorno di Cristo. Questo campo si concentra sulle prospettive sulla fine dei tempi e sulla redenzione. Dal punto di vista etimologico, il termine “escatologia” deriva dalla parola greca “ἔσχατος” (eschatos), che significa “ultimo” o “estremo”, e dalla parola “λόγος” (logos), che significa “studio” o “discorso”. Nella Bibbia, però il futuro ha fatto irruzione, si interseca, nel presente nella Persona ed opera di Cristo e in ciò che lo Spirito Santo compie a tutt’oggi per trasformare moralmente e spiritualmente coloro che accolgono il Cristo come loro Signore e Salvatore, sia come singoli che come comunità. Si può quindi parlare di “escatologia inaugurata”, vale a dire quella che si muove nella storia e ci coinvolge in quanto cristiani, per giungere al suo compimento finale.
C’è quindi l’interazione fra il “già” e il “non ancora”. Nel contesto del “già e non ancora” il “già” si riferisce alle realizzazioni parziali degli eventi escatologici nel presente, mentre “non ancora” fa riferimento alla loro piena e definitiva realizzazione che è attesa in futuro. Ad esempio, nella prospettiva cristiana, si crede che con la venuta di Gesù Cristo, il Regno di Dio sia stato “già” inaugurato, ma la sua completa realizzazione è “non ancora” avvenuta e sarà completata nel futuro. Allo stesso modo, la redenzione attraverso la morte e la risurrezione di Gesù è vista come un evento escatologico “già” avvenuto, ma l’esperienza completa e definitiva di questa redenzione per i credenti è ancora “non ancora”, da venire. Ebrei 1 riprende quell’uso dell’Antico Testamento e parla del fatto che negli ultimi giorni Dio ci ha parlato nel Figlio. In altre parole, la lettera agli Ebrei sottolinea che quegli ultimi giorni profetizzati dai profeti dell’Antico Testamento stanno già avvenendo. Cristo è venuto. Il suo regno di salvezza è iniziato, l’adempimento è già in corso. Cristo ha portato questo adempimento; la sua morte e risurrezione sono state un grande evento culminante che ha portato definitivo la salvezza da parte di Dio. È inaugurato ma non è completo, perché stiamo ancora aspettando la seconda venuta. Quindi nel Nuovo Testamento troviamo un linguaggio usato sia rispetto al presente che rispetto al futuro. Ad esempio, ora abbiamo la vita eterna. Gesù dice: «Chi crede in me ha la vita eterna», ma parla anche della vita eterna come di qualcosa di futuro, cioè che avremo quando avremo corpi risorti. Ebbene, qual è la verità? Entrambi sono veri perché la salvezza di Dio si realizza in due fasi. Questa è la fase inaugurale, fin dalla prima venuta di Cristo, e la fase del compimento è quando Cristo ritornerà. La venuta di Cristo ha segnato l’inizio del compimento delle promesse escatologiche, anche se la loro realizzazione completa è ancora futura.
Quali implicazioni?
Il concetto di escatologia inaugurata ha enormi implicazioni per l’interpretazione di numerosi motivi della Scrittura. Un tema spesso trascurato è il suo rapporto con la dottrina della santificazione, quello di cui parla Pietro nel nostro testo. Gli scrittori biblici alludono spesso all’identità dei credenti come cittadini del regno dell’epoca a venire per esortarli a vivere la loro fede nel mondo presente. Il ritratto che ne danno le Scritture è che i credenti sono un popolo che vive nella convergenza ostile di due epoche antitetiche che si sovrappongono, creando così una sorta di universo parallelo. Da un lato, la nostra redenzione non è culminata a livello esperienziale perché lottiamo ancora con la tentazione, il peccato e l’immaturità spirituale. Il risultato netto di queste duplici verità è uno scontro di lealtà perché ora noi, come credenti, siamo ammoniti a ripudiare i modi immorali della nostra vecchia identità di figli creati a immagine di Adamo camminando nella potenza dello Spirito in modo da poter essere continuamente conformati alla immagine del secondo Adamo. Pertanto, a causa della dinamica dell’escatologia inaugurata, la santificazione biblica non si concentra sul mantenimento di un certo stile di vita per ottenere qualcosa che non abbiamo ancora. Dobbiamo piuttosto crescere nella grazia per riflettere l’identità che è già pienamente nostra. Questo è il motivo per cui i credenti nel Nuovo Testamento non sono descritti come peccatori che dovrebbero cambiare per poter un giorno essere chiamati santi. È perché sono già santi posizionalmente che devono esibire praticamente un certo stile di vita, quello conforme a Cristo.
Quindi, in un certo senso, ogni mandato etico posto davanti a noi come credenti implica un contesto escatologico che ne convalida l’autorità. Ad esempio, cerchiamo quelle cose che onorano Cristo perché è lì che siamo già stati seduti. Perdoniamo coloro che ci fanno del male perché siamo stati perdonati. Viviamo come servitori amorevoli in tutti i contesti sociali perché coloro che sono esaltati nel futuro sono coloro che servono nel presente. Manteniamo la purezza fisica perché siamo abitati dallo Spirito che ci è dato come promessa di una futura riunione escatologica. Inoltre, alla fine vediamo che, poiché la regalità di Cristo è una realtà adesso, il peccato nella nostra vita non deve essere inteso solo come ribellione contro Dio nostro Creatore. È anche contrario a chi siamo come popolo redento di Cristo perché nell’era a venire, i cittadini del regno cammineranno in piena obbedienza al loro Signore.
È una visione davvero affascinante questa. Che il Signore vi dia di testimoniarla coerentemente: “affinché siate irreprensibili e schietti, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale voi risplendete come luci nel mondo, tenendo alta la Parola della vita” (Filippesi 2:15).
Paolo Castellina, 15 settembre 2023