Domenica 12 febbraio 2023 – Sesta domenica dopo l’Epifania
(Culto completo con predicazione, 60′)
(Solo predicazione, 30′)
Gli influencer sui quali faremmo bene a non contare (Salmo 146)
Molte persone in questo mondo sono considerate particolarmente autorevoli, delle “autorità”, degli incontestabili esperti in un campo o in un altro, o persino in tutti i campi, i cosiddetti “tuttologi[1]”. Possono essere politici, persone di fama e distinzione, ricchezza e potere e conquistano la fiducia di tanti. Esercitano così un’influenza sulla vita e i modi di pensare. Oggi è diventato popolare il termine inglese “influencer”. Un influencer è una persona che esercita influenza o ha una certa influenza sulle opinioni o sulle decisioni di un pubblico significativo, generalmente attraverso i social media. Questo può essere ottenuto attraverso una grande quantità di seguaci o un’alta interazione con il proprio pubblico. Gli influencer sono spesso utilizzati dalle aziende per promuovere prodotti o servizi. Possiamo fidarci di loro? Non ci possiamo affidare a loro acriticamente, e soprattutto per quanto riguarda le decisioni importanti della vita. Il Salmo 146 ci dice: “Non contate su gente influente: sono uomini, non possono salvarvi”: è come rende in lingua corrente il testo tradizionale del Salmo che dice: “Non confidate nei prìncipi, né in alcun figlio d’uomo, che non può salvare” (Salmo 146:3). Dobbiamo ascoltare ma sempre valutare con attenzione: “Esaminate ogni cosa e ritenete il bene” (2 Tessalonicesi 5:21), ci dice l’Apostolo. Il Salmo 146, ci dice di non riporre la nostra fiducia in nessuno o in qualcosa che non sia Dio, che è il Creatore e sostenitore di tutte le cose.
Oggi esaminiamo che cosa ci dice tutto il Salmo 146.
“Alleluia. Anima mia, loda l’Eterno. Io loderò l’Eterno finché vivrò, salmeggerò al mio Dio, finché esisterò. Non confidate nei prìncipi, né in alcun figlio d’uomo, che non può salvare. Il suo fiato se ne va, ed egli torna alla sua terra; in quel giorno periscono i suoi disegni. Beato colui che ha il Dio di Giacobbe per suo aiuto, e la cui speranza è nell’Eterno, suo Dio, che ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi; che mantiene la fedeltà in eterno, che fa ragione agli oppressi, che dà del cibo agli affamati. L’Eterno libera i prigionieri, l’Eterno apre gli occhi ai ciechi, l’Eterno rialza gli oppressi, l’Eterno ama i giusti, l’Eterno protegge i forestieri, solleva l’orfano e la vedova, ma sovverte la via degli empi. L’Eterno regna per sempre; il tuo Dio, o Sion, regna per ogni età. Alleluia” (Salmo 146).
Contesto
Il Salmo 146 è un gioioso Salmo di lode. E’ rappresentativo di un importante gruppo di cinque Salmi al termine del Salterio, i cosiddetti Salmi Hallel (146-150) che sono usati come preghiere quotidiane nella maggior parte delle sinagoghe. Collettivamente, questi Salmi dell’Hallel riflettono un senso di gioia e esultanza. Questo salmo è stato usato come testo per diversi inni scritti durante la Riforma del XVI secolo. Il Salmo 146 è un Salmo che ci invita a lodare il Signore, come pure a esercitare grande cura nella scelta di chi riponiamo la nostra fiducia. Come con altri Salmi, la paternità del Salmo 146 è sconosciuta. L’antica tradizione ebraica identifica i Salmi 146 e 147 come provenienti dai profeti Aggeo e Zaccaria, e quindi al fatto che questi Salmi siano stati scritti per essere usati nel tempio dopo il ritorno di Israele dall’esilio in Babilonia. Questo rende questi Salmi tra i più recenti scritti nel Salterio e lo concludono affermando come la parola di Dio si estenda fino agli estremi confini della terra (Salmo 149) finché tutto ciò che respira lodi il Signore (Salmo 150).
Il dovere del culto
Il Salmo si apre con l’invito a “lodare il Signore” (alleluia, in ebraico). Quest’appello è un imperativo (un comando) a lodare il Signore ed è seguito da un sincero desiderio di obbedire al comando: “Loderò il Signore finché vivrò”. L’idea sembra essere che ognuno di noi, come individuo, offra di tutto cuore le nostre lodi (alleluia) al Signore. Anche se ognuno di noi loda il Signore individualmente, nel Salmo è il popolo di Dio si riunisce e forma un coro di persone che lodano il Signore per tutta la loro vita. In altre parole, come popolo di Dio siamo chiamati insieme a lodare il Signore e insieme formiamo un’assemblea. Il punto è che la nostra lode a Dio non è una cosa momentanea, come se uno dicesse: “Oh sì, ho lodato il Signore una volta”, ma tale lode deve essere una costante delle nostre vite (“finché vivrò”). Non è una forzatura dire che l’applicazione contemporanea è che non siamo cristiani solo nelle “feste comandate” ma rendiamo la lode di Dio individuale e comunitaria una parte importante e frequente della nostra vita. In altre parole, l’adorazione comunitaria del Giorno del Signore è il luogo appropriato in cui il popolo di Dio loda nostro Signore e gli offre i suoi alleluia.
I principi non possono salvarci dall e conseguenze del peccato
Questo appello a lodare il Signore ha importanti ramificazioni. Poiché dobbiamo “lodare il Signore” per tutta la vita, rivolgere tale sincera lode pure ad altri sarebbe del tutto insensato. Nei versetti 3-4 il Salmista ci dice: “Non confidate nei prìncipi,né in alcun figlio d’uomo, che non può salvare. Il suo fiato se ne va, ed egli torna alla sua terra; in quel giorno periscono i suoi disegni”. Mentre dobbiamo lodare il Signore, non dobbiamo lodare “re o principi”. Tuttavia, appena diciamo questo, è necessaria una precisazione perché altrove la Scrittura sembra dire il contrario. In 1 Timoteo 2:1-3, Paolo, come Pietro, scrive: “Io esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono in autorità, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e quieta, in ogni pietà e dignità. Questo è buono e accettevole davanti a Dio, nostro Salvatore”. L’idea espressa dal Salmista non è che i principi e i re non siano importanti, e quindi non siano da onorare. Re e principi (o anche presidenti e primi ministri) svolgono un legittimo preciso compito nell’ambito dei propositi di Dio. Poiché questo è il caso, dice Paolo, dobbiamo onorare i nostri leader, pregare per loro, come pure obbedire a loro fintanto che ciò che comandano non sia in conflitto con la parola di Dio. Il salmista dice, però, che non dobbiamo fidarci di loro o lodarli nello stesso modo in cui confidiamo e preghiamo Dio! Un cristiano può servire il re, il principe o il presidente, ma non il Fuhrer o il Cesare di turno che pretende di avere diritti e prerogative divine. Un tale sovrano è un Anticristo. Il punto del salmista è che tutti i governanti nel regno civile rimangono peccatori e, nonostante il loro prestigio e potere terreni, anche loro dovranno rendere conto del loro operato a Dio nel giorno del giudizio proprio come tutti noi. Non dobbiamo confidare incondizionatamente in quegli uomini e donne che Dio ha creato, piuttosto che confidare nel loro creatore. Nel capitolo 32:5, Isaia sottolinea che nel giorno del giudizio: “Lo scellerato non sarà più chiamato nobile e l’impostore non sarà più chiamato magnanimo”. I “grandi” uomini e le donne spesso non sono così grandi. Nel Salmo 116:11, ci viene ricordata la triste realtà che “ogni uomo è bugiardo”. Perché anche loro sono caduci. “Re e regine” sono fallibili e soprattutto non possono salvarci dalla colpa e dal potere del peccato. Ci sono stati grandi leader politici che hanno guidato i popoli alla giustizia e alla libertà e continuano ad essere onorati con poster, statue e celebrazioni varie. In un certo qual modo vengono “adorati”. Per quanto valorosi siano stati, però, rimangono esseri umani, pieni di contraddizioni e difetti. Siamo riconoscenti per quanto di buono Dio abbia compiuto tramite loro e magari ci servono da esempi, ma non possiamo affidarci a loro senza riserve. In ogni caso, poiché tutti questi uomini sono essi stessi peccatori bisognosi di un Salvatore, nessuno di loro potrebbe fare una sola cosa riguardo alla colpa e al potere del peccato che corrompe la natura umana. La salvezza dal peccato può venire solo come un dono misericordioso del Signore, non da leader umani.
I governanti saranno giudicati
Re, principi e presidenti sono peccatori quanto noi e come tali sono soggetti alla maledizione del peccato che ci accomuna. Non possono né “salvare” e neanche i loro meriti terreni potranno salvarli. Muoiono e moriranno tutti, e affronteranno il Creatore nel giorno del giudizio. Re e principi non possono fare nulla per salvarci dai nostri peccati (la radice di tutti i nostri problemi) e quando muoiono anch’essi ritornano alla stessa terra da cui sono stati formati. Le parole del Salmista fanno eco alle parole di Genesi 3,19. “… finché tornerai nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere, e in polvere ritornerai”. Il più grande tra noi morirà e sarà sepolto proprio come il più piccolo. La morte non fa distinzione di persone perché tutti noi siamo i figli decaduti di Adamo. E proprio come tutti noi, quando muore un re o un principe, i loro piani muoiono con loro. Alcuni lasciano eredità più grandi di altri, ma è abbastanza chiaro che la costruzione delle piramidi in Egitto si era interrotta quando le dinastie che le le avevano fatte costruire si erano estinte. Le grandi città dei Greci e dei Romani giacciono in rovina. La grandezza, la grandeur, di tutti coloro che ci hanno preceduto ora sono solo tante macerie. Quando moriamo, così fanno i nostri piani e le nostre speranze per il futuro. Grazie a Dio le ambizioni di tutti gli imperi sono destinate a fallire. Non possiamo salvarci dai nostri peccati e dalle loro conseguenze e non possiamo salvarci dalla morte. Tuttavia, come ci dice il Salmista, sebbene i nostri piani evaporino, è l’eterno decreto di Dio che rimane. Questo è il motivo per cui confidiamo in Dio soltanto.
La nostra attenzione rivolta alla fedeltà di Dio
Poiché dobbiamo lodare Dio e non gli uomini, è importante che il Salmista ci presenti la grandezza di Dio. Concentrarsi sulla grandezza di Dio e sulla sua fedeltà alle sue promesse, prenderne coscienza, in realtà suscita la fede. Come leggiamo nei versetti 5-6, “Beato colui che ha il Dio di Giacobbe per suo aiuto, e la cui speranza è nell’Eterno, suo Dio, che ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi; che mantiene la fedeltà in eterno”. Il Salmista ci invita a considerare come Dio davvero benedica coloro che si rivolgono a lui per riceverne aiuto. Questa è l’ultima delle ventisei “beatitudini” in tutto il Salterio. Il fondamento di questa benedizione è la bontà del Signore nel quale dobbiamo confidare e nel quale dobbiamo riporre la nostra speranza. La nostra vita terrena e tutti i nostri progetti giungeranno al termine, ma i propositi di Dio, i suoi progetti, rimarranno in eterno: per questo dobbiamo “sintonizzarci con essi” e tenercene stretti. Interessante come qui il Salmo specifichi che Dio è “il Dio di Giacobbe” al quale, nonostante tutte le sue alterne vicende e paure, egli dice: “Certo, io ti farò del bene, e farò diventare la tua progenie come la sabbia del mare, la quale non si può contare per quanta ce n’è” (Genesi 32:8-12). Non solo Dio era stato fedele a Giacobbe e aveva mantenuto tutte le promesse che gli aveva fatto, ma Dio è colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contengono. Sul creato Dio ha pieno potere e lo conduce allo scopo per il quale è stato fatto. Notevole pure come tre volte nel Libro degli Atti degli Apostoli questo brano del Salmo 146 venga citato o alluso, per ricordare a quanti ascoltano il vangelo che Dio (il padre di Gesù Cristo) ha fatto tutte le cose. Se Dio, che ha fatto tutte le cose, ha cura anche della sua creazione e mantiene per sempre le promesse del suo patto, il Salmista ci esorta ad avere certa speranza per il futuro. Poiché Dio è il Creatore di tutte le cose, egli ha sia il potere che il desiderio di benedirci noi che confidiamo in lui ogni volta che gli chiediamo aiuto[2]! Dio è il Creatore e il sostenitore di tutte le cose, e agisce in modo da adempiere tutte le promesse del suo patto.
Nei versetti 7-9, il salmista ripete alcuni dettagli della cura di Dio per il suo popolo. È il Dio di Giacobbe, «che fa ragione agli oppressi, che dà del cibo agli affamati. L’Eterno libera i prigionieri, l’Eterno apre gli occhi ai ciechi, l’Eterno rialza gli oppressi, l’Eterno ama i giusti, l’Eterno protegge i forestieri, solleva l’orfano e la vedova, ma sovverte la via degli empi». Notate come il Signore faccia giustizia, dia cibo, liberi, apra gli occhi, innalzi, ami, vigili, sostenga come pure rovini! Dio non è che crea tutte le cose, le mette in moto e poi si sieda e guardi le cose che si svolgono come una sorta di osservatore distaccato. Al contrario, secondo la testimonianza del Salmista, Dio è coinvolto praticamente in ogni ambito della nostra vita. Questo coinvolgimento riflette il principio di benedizione e maledizione del Patto. Dio benedice i suoi in innumerevoli modi e tuttavia porta alla rovina tutti coloro che lo ignorano e credono che i loro progetti possano essere realizzati.
Jahvè è il Grande Re
Nell’ultimo versetto del Salmo (v. 10), ci viene ricordato che Jahvè è il grande Re che governa su tutte le cose. “L’Eterno regna per sempre; il tuo Dio, o Sion, regna per ogni età. Alleluia”. Jahvè dimora in mezzo al suo popolo e governa. Il suo dominio è senza fine – a differenza di tutti quei re e principi umani che tornano alla polvere. Jahvè è degno di essere adorato (“lodato”) per tutta la vita, sapendo che è stato e sarà adorato dal suo popolo e dalle sue creature per tutta l’eternità.
Alla luce del comando del Salmista di lodare il Signore in conformità alla fedeltà dell’alleanza di Jahvè con il suo popolo, notate infine come Gesù inizi il ministero pubblico affermando di essere proprio colui che, conformemente alle profezie, che esegue la giustizia, dà cibo, libera, apre gli occhi, innalza, ama, vigila, sorregge e anche rovina. L’elenco delle cose esposte nel Salmo 146:7-9. che il Dio di Giacobbe compirà a favore del suo popolo si trova anche nelle parole di Isaia 61. Lì Isaia parla della venuta del Messia che predicherà la buona novella, fascerà i cuori spezzati, libererà i prigionieri e dispenserà le benedizioni e le maledizioni del patto. Sono proprio le parole di Isaia 61 (con forti echi del Salmo 146) che Gesù legge quando annuncia l’inizio della sua missione messianica. Pertanto, è attraverso la missione messianica di Gesù che la fedeltà all’alleanza del Dio di Giacobbe si rivela al suo popolo. È Gesù che fa giustizia agli oppressi, dà da mangiare agli affamati, libera i prigionieri, e apre gli occhi ai ciechi. Egli rialza chi è caduto, ama i giusti, veglia sugli stranieri, sostiene la vedova e l’orfano, ma rovina la via degli empi. È Gesù che compie tutte queste cose attraverso la sua perfetta obbedienza, la morte sacrificale e la risurrezione trionfante. Nell’Evangelo troviamo tutto ciò che Dio promette al suo popolo. E’ così che, quando leggiamo il Salmo 146 alla luce della persona e dell’opera di Gesù Cristo, possiamo vederne la chiave che altrimenti ci mancherebbe. È la predicazione dell’Evangelo che rende giustizia agli oppressi. Gesù è il pane vivo disceso dal cielo, gli affamati sono nutriti. È l’Evangelo che libera le persone dalla colpa e dal potere del peccato. È lo Spirito Santo che ci dà la fede (e quindi) gli occhi spirituali di cui abbiamo bisogno per vedere la verità dell’Evangelo. È il giogo di Gesù (giogo dolce e il cui carico è leggero) che solleva chi è caduto. Il Signore rende la perfetta giustizia di Gesù liberamente disponibile a tutti coloro che la cercano attraverso la fede in lui. È Gesù che ci rende accettabili davanti al padre e che ci rende parte della famiglia di Dio. E’ Gesù che prepara i suoi discepoli, di ieri e oggi a seguire le sue orme e diffondere nel mondo il suo regno benefico. Ed è Gesù che dice a chi non si affida di lui: “Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, operatori di iniquità”. È Gesù che, nella sua missione messianica, assicura e dispensa tutte le benedizioni e le maledizioni dell’alleanza descritte nel Salmo 146. Gesù è il Dio di Giacobbe e quel grande Re che regna da Sion.
Questo è il motivo per cui il popolo di Dio si riunisce per “lodare il Signore” e offrire i loro “alleluia” al nostro Creatore, Redentore e Signore dell’alleanza. Gesù compie tutto questo. Egli ci chiama a seguire le sue orme realizzando opere in sintonia alle sue. Facciamo dunque come ci esorta a fare il Salmista. Non riponiamo la nostra fiducia nei futili prìncipi di questo mondo, ma riuniamoci insieme per l’adorazione nel Giorno del Signore imparando a seguire le sue vie come persone da lui rigenerate.
Paolo Castellina, 4 febbraio 2023
Note
[1] Il termine “tuttologo” è una parola che viene usata per descrivere una persona che si vanta di sapere tutto o che ha una conoscenza superficiale su molte diverse materie. Si può anche interpretare come una persona che ha un atteggiamento di presunzione o di superiorità nei confronti di chi non conosce le stesse cose. Tuttavia, il termine viene spesso usato in tono scherzoso o ironico.
[2] Questa speranza è meravigliosamente riassunta in D/R 26 (Nona domenica) del Catechismo di Heidelberg: “Che cosa credi quando dici “Io credo in Dio Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”? R. Che l’eterno Padre di nostro Signore Gesù Cristo ha creato dal nulla il cielo e la terra e tutto ciò che vi si trova e che Egli continua a conservarli ed a governarli mediante il Suo eterno consiglio e la Sua provvidenza e che Egli è anche il mio Dio e mio Padre per amore di Suo Figlio Gesù Cristo. In Lui io confido, al punto da non dubitare che Egli si prenda cura di tutto ciò di cui io ho bisogno per il corpo e per l’anima e anche che volga in bene per me tutte le avversità che mi manda in questa valle di lacrime; Egli infatti, come Dio onnipotente, può farlo e, come Padre fedele, vuole anche farlo”. Ciò riflette certamente il linguaggio del Salmo 146.