Mentre nel 1557 la persecuzione contro i cristiani riformati andava facendosi sempre più feroce, il 4 settembre, a Parigi, quattrocento credenti erano stati arrestati durante una riunione di culto. Ventuno di essi erano stati condannati al rogo, fra cui diverse donne [1]. A queste, in particolare, Calvino scrive la seguente lettera [2]:
“Non mi meraviglio, amate sorelle, se siete disorientate da questi terribili assalti… Vedete che la verità di Dio, ovunque si trovi, è oggetto del loro disprezzo, che la trovino negli uomini o nelle donne, nei savi o nei semplici, nei ricchi o nei poveri, nei grandi o nei piccoli. Se si approfittano del sesso o della condizione esteriore per attaccarci ancora più furiosamente (vedendo come disprezzino le donne e i poveri artigiani, come se non sia loro diritto parlare di Dio e conoscere la loro salvezza), sappiate che tutto ciò testimonia contro di loro e a loro vergogna. Ma essendosi Dio compiaciuto di chiamarvi a sé tanto quanto gli uomini (perché Dio non ha riguardo se una persona è un uomo o una donna), è necessario che voi facciate il vostro dovere per rendergli gloria… Perché in Lui noi abbiamo una comune salvcezza, quindi è necessario che tutti, di comune accordo, tanto gli uomini quanto le donne, sostengano la sua causa… Egli ha promesso di darci una bocca e una sapienza alle quali i nostri nemici non potranno resistere. Ha promesso di dare fermezza e costanza a quanti confidano in Lui. Ha sparso il Suo Spirito su ogni carne, facendo profetizzare figli e figlie, come predetto dal profeta Gioele, il che è evidentemente un segno che Egli comunica allo stesso modo le altre Sue grazie necessarie, senza lasciare figli o figlie, uomini o donne, privi dei doni propri a mantenere la Sua gloria… Considerate il coraggio e la costanza delle donne alla morte del nostro signore Gesù Cristo, quando gli apostoli lo avevano abbandonato: com’esse persistessero con Lui con straordinaria costanza, e come fu una donna ad annunciare agli apostoli che Egli era risorto, cosa che essi non poterono né credere né capire. Se dunque Dio onorò le donne in tal modo, dandole un tale coraggio, pensate voi che Egli non abbia la stessa potenza ora, o che la Sua volontà sia cambiata? Non sono state forse le donne che non hanno risparmiato né il loro sangue né le loro vite per mantenere il nome di Gesù Cristo ed annunciare il suo regno? Dio non ha forse reso fruttuoso il loro martirio? La loro fede non ha forse ottenuto la vittoria sul mondo, come anche quella dei martiri? E senza andare più lontano, non abbiamo noi davanti agli occhi esempi di come Dio opera giornalmente mediante la loro testimonianza, confondendo i suoi nemici in modo tale che non c’è predicazione tanto efficace quanto la loro forza e perseveranza nel confessare il nome di Cristo? … Dunque, ponetevi davanti questi grandi esempi, antichi e recenti, per rafforzare la vostra debolezza e insegnarvi a riposare in Colui che ha compiuto cose così grandi attraverso vasi così deboli, riconoscendo l’onore che vi ha fatto… di poter usare questa vita mortale per la Sua gloria, per vivere poi eternamente con Lui. E’ per questo motivo, infatti, che siamo stati mandati in questo mondo e illuminati per la sua grazia, per glorificarlo nella vita e nella morte, ed essere poi pienamente congiunti a Lui. Il Signore vi dia la grazia di meditare attentamente su queste cose e imprimerle bene nei vostri cuori, così da conformarvi totalmente alla Sua buona volontà. Così sia” [3].
Note
[1] Theodoro di Beza, Histoire Ecclesiastique des Eglises Reformees av Rayaume de France, Genève, 1580, tomo 1, p. 120.
[2] Tradotta e riportata da Renato Giuliani in “Una vita e un martirio da non dimenticare: Goffredo Varaglia e le missioni evangeliche in Italia 1532-1558”, Mantova: Edizioni Passaggio, 2007, p. 206.
[3] CO XVI, lettera n. 277, settembre 1557.