Domenica 5 novembre 2023 – Festa di Ognissanti
Un’unità trascendente
La consapevolezza di far parte di un popolo, di una nazione, che ha una propria identità, lingua, storia, cultura, tradizioni, usanze, carattere, un suo territorio originale ecc. è un valore importante che va preservato e onorato. È importante affermarlo soprattutto oggi quando il globalismo ci vorrebbe omologare tutti in una massa indistinta e “grigia” di persone prive di identità per poterci meglio dominare. È e rimane importante quand’anche noi ci insediassimo, per vari motivi, in altre parti del mondo e ci mescolassimo con persone di diversa estrazione. Le nostre identità regionali e nazionali sono di arricchimento quando sono vissute rispettandoci vicendevolmente e collaborando gli uni con gli altri. Dobbiamo soprattutto sottolineare come tutto questo sia riconosciuto importante da Dio stesso, com’è scritto: “Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate e i confini della loro abitazione” (Atti 17:26).
Come cristiani, però, abbiamo un’identità che ci accomuna e che trascende, travalica, pur senza cancellarle, tutte le altre distinzioni. Questa identità superiore trascende sia lo spazio che il tempo: è quella di far parte del popolo di Dio, la gente che, nella sua grazia e misericordia, Dio ha estratto dall’umanità perduta per appartenergli in modo particolare e per rimanere in comunione con Lui per sempre.
La visione biblica
La visione multinazionale dell’unità del popolo di Dio è espressa da tutta la Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Ne scelgo solo due brani in particolare. Il libro dell’Apocalisse, in una magnifica visione, rappresenta la comunione di tutti coloro che, di ogni tempo e paese, Dio ha redento e che, nella dimensione celeste, sono visti lodare e ringraziare colui che li ha salvati. La loro origine e identità particolare non viene negata ma insieme formano, per così dire, un unico coro polifonico a lode e gloria di Dio:
“Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: ‘Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti, e regneranno sulla terra’ (…) una grande folla, che nessuno poteva contare, di tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di vesti bianche e con delle palme in mano. E gridavano a gran voce, dicendo: ’“La salvezza appartiene al nostro Dio, il quale siede sul trono, e all’Agnello’” (Apocalisse 5:9-10; 7:9-10).
Questa visione è pure espressa dall’epistola agli Ebrei che, nel capitolo 12, celebra la comunione di tutti i redenti in Cristo, passati, presenti e futuri:
“… voi siete venuti al monte di Sion e alla città del Dio vivente, che è la Gerusalemme celeste, alla festante assemblea delle miriadi degli angeli, alla chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, il mediatore del nuovo patto, e al sangue dell’aspersione che parla meglio di quello di Abele” (Ebrei 12:22-24).
Un concetto suggellato dal Credo e dalla liturgia
La comunione dei redenti in Cristo di ogni tempo e paese è celebrata come articolo di fede dal Credo apostolico, che, ad un certo punto, dopo avere affermato: “Credo … la santa Chiesa cattolica” (cioè universale), afferma: “Credo … la comunione dei santi”, vale a dire, credo che vi sia una sostanziale unità trascendente di tutte quelle persone che sono state portate al ravvedimento ed alla fede in Cristo, e che è stato loro suggellato nel Battesimo, quelle persone che sono state in Cristo, per la sola grazia di Dio, giustificate e santificate.
Ogni volta, infatti, che i cristiani recitano il Credo degli Apostoli, professiamo di credere nella comunione dei santi. Una spiegazione comune del termine “comunione dei santi” è che si riferisce all’intera comunità di fedeli seguaci di Cristo, vivi e morti, passati, presenti e futuri. Quando ci riuniamo nel culto lodiamo Dio pure con credenti che non possiamo vedere. Quando celebriamo la Santa Cena, festeggiamo con i discepoli di Cristo passati, presenti e futuri. Sperimentiamo la comunione dei santi, la comunità di credenti – vivi e morti. Questa comunità di fede si estende oltre lo spazio e il tempo. Comunichiamo con i cristiani di tutto il mondo, credenti che sono venuti prima di noi e credenti che verranno dopo di noi. Crediamo che la chiesa sia la comunione dei santi e come credente tu appartieni alla comunione dei santi.
Quella che così è stata chiamata “la comunione dei santi” è pure celebrata, nel calendario liturgico cristiano, sin dall’anno 835, nelle chiese occidentali con il decreto del re franco Luigi il Pio su richiesta del vescovo di Roma Gregorio IV e “con il consenso di tutti i vescovi” come la Solennità di Ognissanti o “di tutti i Santi”. Questa celebrazione è riconosciuta dalle chiese cattolica-romana, ortodossa, anglicana come pure dalla maggior parte delle chiese protestanti. I Padri della Chiesa, i Riformatori e i cristiani attuali concordano dunque tutti sul fatto che la Chiesa cristiana sia una comunione di santi.
Cosa significa realmente?
La frase “comunione dei santi” si riferisce così alla comunione che esiste tra coloro che Dio ha chiamato fuori dal mondo a fare parte del popolo di Dio. Ciò che sentiamo è più di una connessione spirituale, senza dubbio pure spontanea fra ogni autentico cristiano. È edificata su un’unità fondamentale che godiamo, vale a dire, l’unione e la comunione che abbiamo mediante la fede in Cristo. Siamo uniti a Cristo nella Sua opera compiuta e abbiamo comunione con Lui nelle Sue grazie e doni; così anche noi siamo uniti gli uni agli altri nell’amore e condividiamo le grazie e i doni gli uni degli altri. Lasciando da parte ciò che pretendono di essere le comunità cristiane esclusiviste e settarie, questa è la testimonianza delle chiese che pure si identificano nella tradizione riformata.
Le confessioni di fede riformate affermano che poiché siamo uniti al Signore e Salvatore Gesù Cristo mediante la fede e godiamo con Lui delle Sue grazie, così anche noi siamo uniti gli uni agli altri nell’amore e godiamo dei doni e nelle grazie degli altri. Queste affermazioni storiche mostrano che la comunione dei santi esprime ciò che è la chiesa cristiana, e anche ciò che essa ha il dovere di esprimere localmente e concretamente.
Una nostra responsabilità
La comunione dei santi non è solo l’affermazione di un dato di fatto, ma esprimerla concretamente è pure nostra responsabilità. Non sono solo parole che confessiamo, ma una verità che dobbiamo incarnare.
Questa comunione richiede che ogni fratello e sorella in Cristo si servano a vicenda attraverso doni spirituali che hanno ricevuto in modo che la chiesa possa “edificarsi nell’amore” mentre ciascuno fa la propria parte, come dice l’apostolo Paolo: “Da lui tutto il corpo, ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare sé stesso nell’amore” (Efesini 4:16). Così pure Pietro scrive: “… come pietre viventi, siete edificati qual casa spirituale, per essere un sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pietro 2:5).
Lo Spirito Santo dà doni a ogni credente che deve usare per il bene degli altri nella famiglia della comunità cristiana: “Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l’utile comune” (1 Corinzi 12:7). Tutti noi siamo chiamati a usare i nostri doni come buoni amministratori e con la fede che Dio ci dà, secondo che è scritto: “Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo faccia valere al servizio degli altri” (1 Pietro 4:10). Tali doni possono essere pratici, poiché vediamo come la chiesa primitiva esprimesse la sua comunione in modi tangibili: condividendo il cibo (Atti 2:42) , contribuendo ai bisogni di altre chiese (2 Corinzi 8:4) e finanziariamente collaborando nel ministero evangelico (Filippesi 1:5).
Ogni cristiano è chiamato a esercitare l’amore reciproco e il servizio in quelli che spesso vengono chiamati i comandamenti del “uno verso l’altro”. Ogni cristiano è chiamato a servire, sopportare, perdonare, accettare, confortare, salutare, accogliere, incoraggiare, esortare, ammonire, insegnare, istruire, edificare, confessare il peccato, dire la verità, vivere in pace, essere gentile, fare del bene, pregare, mostrare ospitalità e amarsi gli uni gli altri. Quando obbediamo a questi comandamenti, mostriamo al mondo che siamo ciò che affermiamo. Questa si dimostra indubbiamente essere una comunità diversa dalle altre, un popolo che dimostra di amare veramente.
Questo è proprio ciò che Cristo disse: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35) . L’amore che esprimiamo nel nostro servizio reciproco incoraggia i nostri fratelli e sorelle in Cristo, ma dimostra anche la credibilità di ciò che affermiamo di essere davanti al mondo: che siamo seguaci di Gesù Cristo sia nelle parole che nelle azioni.
Quante persone arrivano alla porta delle nostre nazioni e dei nostri locali di culto schiacciate da un mondo di crudeltà, malizia e bruttezza! Quando vengono ricevuti con gentilezza, tolleranza, perdono, servizio e con la bellezza di un amore cristiano, rimangono il più delle volte quasi increduli. Trovano qualcosa di reale, qualcosa che va oltre ciò che hanno sperimentato in passato. Cose belle accadono quando la comunione dei santi non è solo parole che confessiamo, ma una verità che incarniamo. Ma per poter essere all’altezza di tale affermazione, c’è una cosa importante da ricordare.
Ciò che dobbiamo rammentare
Cristo disse: “Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” (Giovanni 15:5). Nel contesto, Cristo discute della necessità che noi “tralci” dimoriamo in Lui, la “vite”, se vogliamo portare frutto. Senza la nostra connessione, comunione, con Lui, non c’è frutto. Allo stesso modo, tutta la vitalità della comunione dei santi scaturisce dalla nostra unione e comunione con Cristo. Siamo in grado di amare, perdonare e mostrare misericordia gli uni agli altri perché Dio ci ha amati, perdonati e mostrato misericordia in Cristo. Tutto ciò presuppone che la comunione che abbiamo gli uni con gli altri sia sostenuta da quella che abbiamo con Dio Padre, da Dio Figlio e attraverso Dio Spirito. L’apostolo Giovanni scrive: “… quello, dico, che abbiamo visto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, affinché voi pure abbiate comunione con noi e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo” (1 Giovanni 1:3).
Tutte le benedizioni di cui godiamo dal Dio vivente confluiscono in ciò che condividiamo insieme. Senza Cristo non possiamo fare nulla, ma con Cristo possiamo fare tutto. Continuiamo a essere comunione dei santi per il bene del mondo, per il bene di ogni persona che viene in mezzo a noi e forse per la prima volta vi trova qualcosa di reale.
Conclusione
Come dunque è doveroso rispettare e valorizzare le nostre rispettive identità lingua, storia, cultura, tradizioni, usanze, carattere, e il territorio originale di provenienza come valori importanti da promuovere, così, in quanto cristiani valorizziamo ed onoriamo la nostra identità ultima di popolo di Dio che trascende ogni altra differenza. Questo popolo, di ogni tempo e paese, redento e purificato dal peccato e che per grazia, gode della comunione con Dio, è quello espresso dalla frase del credo apostolico che dice: “Credo … la Comunione dei Santi”, la stessa che siamo chiamati a celebrare in questo periodo dell’anno liturgico. Pertanto, le persone dovrebbero trovare qualcosa di diverso in noi quando si rivolgono alla comunità cristiana. I cristiani dovrebbero elevarsi al di sopra della comunità del nostro posto di lavoro, della nostra scuola, del nostro quartiere e forse anche della nostra famiglia. Le persone dovrebbero trovare un livello di accettazione, comprensione, accessibilità e cura genuina diverso da qualsiasi altro luogo. Come disse il nostro Signore e Salvatore: “Se sapete queste cose, siete beati se le fate” (Giovanni 13:17).
Paolo Castellina, 27 ottobre 2023
Preghiera
”Dio Onnipotente, hai riunito i tuoi eletti in comunione e fratellanza nel corpo mistico del tuo Figlio Cristo nostro Signore: concedici la grazia di seguire i tuoi santi benedetti in ogni vita virtuosa e pia affinché possiamo giungere a quelle gioie inesprimibili che hai preparato per coloro che ti amano veramente; per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore, che è vivo e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, un solo Dio, ora e sempre. Amen” [Colletta per il giorno di Ognissanti].
This sermon, based on Revelation 5:9-10; 7:9-10 discusses the importance of preserving and honoring one’s identity as part of a nation or people with their own language, history, and culture. It argues against homogenization and emphasizes the richness that regional and national identities bring when respected and collaborated upon. As Christians, though, there is a higher identity that transcends these distinctions, being part of the people of God of all times and places: the communion of saints. This awareness has important practical implications.