“Dio perdona …io no” è il titolo di un vecchio film western che mette in evidenza persone che “si fanno giustizia da sole” e si vendicano di torti subiti. Ci sono cristiani che seppure non si vendicano per veri o presunti torti subiti, reagiscono in modi difficilmente compatibili con l’insegnamento biblico. Oggi esaminiamo la parabola evangelica del creditore spietato in Matteo 18.
Sono ancora oggi disponibili, soprattutto sul web, vecchi film western prodotti in Italia, i cosiddetti “spaghetti western”, che sono diventati ormai dei “classici” nel loro genere. Storie spesso violente (la violenza nei film, come il sesso, diverte e intrattiene l’umanità decaduta…), rappresentavano criminali, difensori della giustizia ed eroi che bene illustravano i contrastanti sentimenti umani di cui spesso erano parabole. Mi ricordo film come: “Sartana non perdona” (1968), oppure quello precedente che aveva per protagonisti gli italianissimi Bud Spencer e Terence Hill, con “Dio perdona …io no” (1967), e di cui avevano fatto la parodia Franco Franchi e Ciccio ingrassia con “Ciccio perdona, io no!” (1968).
In effetti ci sono tanti anche in mezzo a noi che operano sul principio di “Dio perdona …io no” e che non temono di giustificarlo quand’anche si dichiarassero cristiani. Il perdono, però, anche e soprattutto immeritato, sta alla base dell’Evangelo stesso. Infatti Dio, in Cristo, opera per la redenzione, il ricupero dei peccatori, non la loro condanna, che rimane sicuramente solo come “ultima ratio”, espressione questa che deriva dall’espressione latina “ultima ratio regum”. Tradotta letteralmente, significa l’ultima ragione dei re, ovvero in senso metaforico indica come la forza militare sia la risorsa finale a sostegno della autorità di un sovrano.
Del principio evangelico del perdono erano ben coscienti i discepoli di Gesù. Nel vangelo secondo Matteo, al capitolo 18, troviamo questo dialogo fra Pietro e Gesù: “Allora Pietro si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?» E Gesù a lui: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Matteo 18:21-22).
Al tempo di Gesù, gli esperti nella legge di Dio insegnavano che quattro volte fosse il limite in cui si potesse perdonare una persona che avesse sbagliato. Pietro eccede nella sua stima, pensando di dover essere generoso e di aver compreso lo spirito di Cristo, ma …era ancora molto lontano dall’ideale divino! Per gli Israeliti sette era il numero della perfezione, ma moltiplicare il numero sette per sette e per dieci voleva dire comunicare una ripetizione eterna, sempre nuova! Quale conforto ci danno così le parole di Gesù! Se è così che Dio si aspetta che noi perdoniamo al nostro fratello che pecca contro di noi, quanto più possiamo contare sul perdono di Dio quando riconosciamo di aver peccato contro di Lui, e ce ne ravvediamo.
E’ allora che Gesù racconta una parabola su un uomo che era debitore di una gran somma di denaro. Sentiamola, insieme ancora al già citato dialogo fra Pietro e Gesù.
“Allora Pietro, accostatosi, gli disse: «Signore, se il mio fratello pecca contro di me, quante volte gli dovrò perdonare? Fino a sette volte?». Gesù gli disse: «Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Perciò il regno dei cieli è simile ad un re, il quale volle fare i conti con i suoi servi. Avendo iniziato a fare i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. E non avendo questi di che pagare, il suo padrone comandò che fosse venduto lui con sua moglie, i suoi figli e tutto quanto aveva, perché il debito fosse saldato. Allora quel servo, gettandosi a terra, gli si prostrò davanti dicendo: “Signore, abbi pazienza con me e ti pagherò tutto”. Mosso a compassione, il padrone di quel servo lo lasciò andare e gli condonò il debito. Ma quel servo, uscito fuori, incontrò uno dei suoi conservi, che gli doveva cento denari; e, afferratolo per la gola, lo soffocava dicendo: “Pagami ciò che mi devi”. Allora il suo conservo, gettandosi ai suoi piedi, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me, e ti pagherò tutto”. Ma costui non volle, anzi andò e lo fece imprigionare, finché non avesse pagato il debito. Ora gli altri servi, visto quanto era accaduto, ne furono grandemente rattristati e andarono a riferire al loro padrone tutto ciò che era accaduto. Allora il suo padrone lo chiamò a sé e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché mi hai supplicato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?”. E il suo padrone, adiratosi, lo consegnò agli aguzzini finché non avesse pagato tutto quanto gli doveva. Così il mio Padre celeste farà pure a voi, se ciascuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello i suoi falli»” (Matteo 18:21-35).
La parabola dei debitori mostra quale gran danno facciamo a noi stessi ed agli altri se manchiamo di perdonare. Ecco un uomo al quale era stato condonato un debito di una grossa cifra di denaro. La cosa non sembra, però, avergli insegnato nulla. Infatti, subito dopo, si dimostra spietato verso uno che aveva verso di lui solo un piccolo debito. E’ sordo alle stesse ragioni che avevano prima riempito la sua stessa bocca e dimentica tutto, se non che il debito che qualcuno aveva con lui dovesse essere saldato immediatamente.
In quello stesso capitolo Gesù già aveva parlato di come trattare il problema dei torti subiti da fratelli in fede. Ne avevamo già trattato la scorsa domenica. Gesù indica quale debba essere la procedura da adottarsi in quei casi. Prima il necessario confronto delle parti in causa tu per tu, poi, se non funziona, l’incontro con la presenza di testimoni, e poi ancora, se neanche quello funziona, con i responsabili della comunità cristiana a cui apparteniamo. Se poi il colpevole non intende proprio ravvedersi dal suo errore, ancora, come ultima ratio, la sua esclusione dalla comunità cristiana stessa.
Si, nell’ambito della fede cristiana, il conflitto deve essere sempre risolto e composto con un instancabile dialogo e confronto fra le parti in causa. Può anche essere il caso che una dichiarata mala azione denunciata in realtà non sia che un pretesto che nasconde, nella stessa parte offesa, altre motivazioni non dichiarate. Starà alla sensibilità pastorale dei responsabili della comunità il rilevarlo e non prendere mai per scontato quanto denunziato. Questi conflitti, però, è imperativo che non vengano ignorati, pena il loro aggravamento, non soluzione. Possono capitare e devono essere affrontati di petto.
Possiamo, però, non perdonare, quand’anche noi fossimo assolutamente nel giusto? Già, questa è la questione che il Signore Gesù ci propone con la sua parabola. Non siamo forse anche noi tentati di abusare dell’amore di Dio che perdona per comportarci talvolta in modo censorio, vendicativo, implacabile e spietato? E’ forse “cristiano” questo? No, assolutamente no. Proviamo, infatti a capovolgerlo. Consideriamo quanto grande sia il debito che Dio, in Cristo, ha condonato a noi personalmente! Sediamoci e contiamo l’enormità del nostro debito verso Dio. Se crediamo che quello non sia il nostro caso, non ci rendiamo ancora conto di quanto grave sia il peccato, qualsiasi peccato, perché esso lede, offende la maestà e santità di Dio. Eppure, affinché questo grande nostro debito fosse saldato, Egli per noi manda il Suo Figlio Gesù Cristo che paga con la stessa Sua vita, il Giusto per gli ingiusti!
Se non siamo disposti a perdonare è molto probabile che non solo non abbiamo ancora compreso quanto Dio ha fatto per noi in Cristo, ma forse ancora non abbiamo mai veramente confessato i nostri peccati e ricevuto il Suo perdono. Spesso questo è il caso di molti che pure professano la fede cristiana, che conoscono l’Evangelo solo superficialmente o “in teoria”, ma che non hanno mai veramente preso coscienza della gravità del loro peccato, che non hanno mai veramente implorato il perdono di Dio, che non hanno mai personalmente ricevuto ciò che Dio provvede loro in Cristo. Partecipano alle attività della loro comunità cristiana ed alla Cena del Signore, magari sono anche attivi nei suoi quadri dirigenti occupandone qualche posto di responsabilità, ma non hanno mai veramente fatto l’esperienza personale della confessione e del perdono. Che tragedia! Magari osano pure pensare di non averne bisogno! Non sorprende così che il loro comportamento verso gli altri sia spesso così incoerente e non in linea con lo spirito di Cristo!
Se ci manifestiamo inesorabili, lenti a riconoscere meriti negli altri, veloci a trovare in loro cose da riprendere, pronti a fare la parte degli offesi quando abbiamo ricevuto dei torti, magari per cose avvenute molto tempo fa, se coltiviamo risentimenti, molto probabilmente non abbiamo mai veramente confessato i nostri peccati e ricevuto da Dio in Cristo il Suo perdono. Può ben essere! Esaminiamo attentamente noi stessi, prima di farlo con gli altri! Questa parabola di Gesù insegna che dobbiamo ricevere il perdono di Dio con un giusto spirito, che dobbiamo rammentarci i nostri fallimenti e peccati, e che dobbiamo essere sempre pronti a gettare il mantello dell’amore che perdona sui peccati ed i fallimenti di coloro che ci circondano.
Come dirà l’apostolo Pietro, forse rammentando la lezione di Gesù: “…avendo prima di tutto un intenso amore gli uni per gli altri, perché «l’amore coprirà una moltitudine di peccati»” (1 Pietro 4:8). Chiediamoci così, molto seriamente, prima di “invocare giustizia” se siamo più simili …a Sartana, che non perdona, che a Gesù! Quali sono le vostre scuse per non farlo, se vi trovate in quella situazione? Sicuri che reggono?
Preghiamo: O Signore, che noi si possa udirti dire: I tuoi peccati che sono molti, ti sono perdonati, va’ in pace; e noi, a nostra volta, perdonare come siamo stati perdonati affinché il sole non tramonti oggi prima di averlo fatto. Amen.
Domenica 13 settembre 2020 – Quindicesima Domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmo 114; Esodo 14:19-31; Romani 14:1-12; Matteo 18:21-35