Domenica 20 settembre 2020 – Sedicesima Domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmi 105:1-6, 37-45; Esodo 16:2-15; Filippesi 1:21-30; Matteo 20:1-16
Se c’è una cosa alla quale noi tutti siamo particolarmente sensibili, è la difesa deinostri “sacrosanti diritti” per i quali stiamo molto attenti a non essere defraudati di qualcosa che riteniamo esserci dovuto. Certo, la giustizia e l’equità sono valori importanti ma, “chissà perché”, concetti come “generosità”, “servizio non rimunerato”, “azione spontanea e disinteressata”, “spirito di sacrificio”, “rinuncia volontaria”, e simili, non sono altrettanto popolari… Oggi leggiamo e commentiamo una parabola di Gesù che mette in crisi il nostro concetto di “diritti”. Vediamo come.
Se c’è una cosa alla quale noi tutti siamo particolarmente sensibili, è la difesa dei nostri “giusti diritti” per i quali stiamo molto attenti a non essere defraudati di qualcosa che riteniamo esserci dovuto. Per la difesa di “sacrosanti diritti” si può arrivare a giustificare persino la violenza ed il furto, come dimostra la storia biblica dei fratelli di Giuseppe che, per gelosia, complottano di ucciderlo (Genesi 37:18). “Quelli no, non sia mai! …lo faccio solo se mi conviene!”.
Però: “Conviene seguire Gesù coerentemente come Suoi discepoli? Che cosa ci si guadagna?”. E’ una domanda che molti pongono ai predicatori dell’Evangelo, i quali, per indurre la gente ad accoglierlo con fiducia, si danno spesso da fare ad elencarne gli indubitabili benefici, temporali ed eterni. Lo fanno, talvolta, però, con fin troppo zelo, facendo appello proprio a quella “convenienza” che sola, pare, smuoverebbe una persona a fare alcunché. Gesù, però, evidenziava spesso come seguirlo comportasse pure fare molti sacrifici e rinunce! Gesù, a chi voleva seguirlo, ne prospettava non solo i vantaggi ma onestamente, anche le non indifferenti difficoltà, “la croce”. Spesso, proprio per questo, diversi gli voltavano le spalle e se ne andavano, cosa che i moderni evangelisti vorrebbero evitare…
E’ in questo contesto che Gesù racconta “La parabola dei lavoratori delle diverse ore”. Si tratta di una parabola molto efficace ancora oggi, che riesce a scandalizzare non pochi che l’ascoltino perché, toccandoci sul vivo, denuncia proprio sia il nostro malinteso “senso di giustizia”, che quello spirito per il quale facciamo qualcosa solo “se ci conviene”.
Ascoltiamola Si trova nel vangelo secondo Matteo, al capitolo 20, dal versetto 1 al 16.
Parabola degli operai delle diverse ore. “Il regno dei cieli infatti è simile a un padrone di casa, che di buon mattino uscì per prendere a giornata dei lavoratori e mandarli nella sua vigna. Accordatosi con i lavoratori per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso l’ora terza, ne vide altri che stavano in piazza disoccupati. E disse loro: “Andate anche voi nella vigna e io vi darò ciò che è giusto”. Ed essi andarono. Uscito di nuovo verso l’ora sesta e l’ora nona, fece altrettanto. Uscito ancora verso l’undicesima ora, ne trovò altri che se ne stavano disoccupati e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far nulla?”. Essi gli dissero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna e riceverete ciò che è giusto”. Poi fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e paga loro il salario, cominciando dagli ultimi fino ai primi”. E, venuti quelli dell’undicesima ora, ricevettero ciascuno un denaro. Quando vennero i primi, pensavano di ricevere di più, ma ricevettero anch’essi un denaro per uno. Nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa, dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato solo un’ora, e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso e il caldo della giornata”. Ma egli, rispondendo, disse a uno di loro: “Amico, io non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi ciò che è tuo e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. Non mi è forse lecito fare del mio ciò che voglio? O il tuo occhio è cattivo, perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi, perché molti sono chiamati, ma pochi eletti»” (Matteo 20:1-16).
Cerchiamo di capire bene quanto avviene in questa parabola. Come accade ancora in certi luoghi, ecco la piazza di un paese dove, di mattina presto, dei disoccupati attendono che arrivino dei caporali, inviati dai proprietari terrieri, e che li prendano per lavorare a giornata nei campi. Qui vediamo un proprietario terriero che di mattino presto esce a prendere a giornata degli uomini per lavorare la sua vigna, concordando con loro di dargli “un denaro”, che era la normale paga giornaliera di un operaio. Più tardi, intorno alle nove del mattino, il padrone viene in piazza a chiamare ancora altri, a lavorare nella sua vigna, senza concordare una paga precisa, ma promettendo di dare loro “il giusto”. Poi il padrone ritorna in piazza intorno a mezzogiorno e ne prende altri. Sorprendentemente, fa lo stesso alle tre del pomeriggio), e persino alle cinque, quando c’è la possibilità di lavorare per un’ora sola. Infine, circa alle sei del pomeriggio, arriva il momento di distribuire ai lavoratori la paga. Il padrone, così, comincia a pagare quelli che avevano lavorato per un periodo più breve, e dà loro “un denaro ciascuno”. Arrivano, poi, a prendere la paga quelli che avevano lavorato tutta la giornata, i quali pensano di ricevere di più, perché avevano “sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo”. Avevano però concordato con il padrone una determinata paga, un denaro, e quella, infatti, ricevono. Alle loro proteste, il padrone ribatte di aver diritto di fare ciò che vuole con il suo denaro, e che essi non dovevano vedere di mal occhio la sua generosità verso quelli che, non trovando altra occupazione, avevano lavorato per un periodo inferiore al loro.
Che ne pensate? Siete d’accordo che quel padrone abbia il diritto, se vuole, di dare la stessa paga sia a chi aveva lavorato tutto il giorno, sia a quelli che avevano lavorato un’ora soltanto, mostrando, così, la sua generosità verso questi ultimi? Oppure siete d’accordo con i primi operai che protestano e gridano all’ingiustizia per questa “disparità di trattamento”? Siamo di fronte ad una …palese ingiustizia da parte di quel padrone. O no?
La cosa sorprendente è che Signore Gesù, che questa parabola racconta, non solo giustifica quel padrone ma dice che “il regno dei cieli”, cioè Dio stesso, è “simile” proprio a lui! Secondo Gesù, sarebbe simile ad un padrone ingiusto e discriminatorio? Secondo i criteri umani di giustizia, di fatto, Dio è “ingiusto”. Si, il Dio che serviamo, l’unico vero Dio, l’Onnipotente, l’Onnisciente, il Creatore del cielo e della terra, è assolutamente e totalmente “ingiusto” nel modo in cui tratta l’umanità! Non sono pochi coloro che hanno protestato e protestano, ancora oggi, contro Dio stesso, di essere da Lui trattati, nella loro vita, secondo loro, in modo ingiusto. Non hanno, però, riflettuto abbastanza su due cose: che ci sono valori ancora più importanti della giustizia; che, in fondo, conviene loro che Dio sia “ingiusto”!
Se essere assolutamente giusti, per voi, è qualcosa di grande importanza, sarete sicuramente d’accordo sulla regola del “Occhio per occhio, dente per dente”. Forse siete fra quelli che dicono che “…è necessario fargliela pagare” a chi vi offende e vi fa del male.
Siete d’accordo che “chi sbaglia deve pagare”, e “fino all’ultimo centesimo”, senza remissione alcuna. Siete fra quelli che dicono “Nessuna pietà!” per chi commette questo o quel crimine, …salvo poi magari ad essere molto indulgenti verso voi stessi, ma questo è un altro discorso.
Già, se Dio si comportasse in modo giusto, secondo i nostri criteri, allora tutti noi, nessuno escluso, saremmo irrimediabilmente condannati, perché la legge di Dio è una cosa seria, e chi la infrange, deve pagarla duramente. Tutti noi, infatti, pecchiamo contro Dio in molti modi palesi e celati. Se davvero Dio ci castigasse come meriteremmo, nessuno di noi potrebbe salvarsi.
Nel mondo di Dio, il peccato non può in alcun modo rimanere impunito: questo è giusto. Dio, però, “commette la più grande ingiustizia” quando manda in questo mondo Suo Figlio, il Signore e Salvatore Gesù Cristo, e cosa fa? Fa ricadere su di Lui il castigo che noi meriteremmo, e Lui, innocente, muore in croce al nostro posto, affinché noi se ne possa uscire “puliti”. Noi siamo come l’assassino Barabba che è liberato ed al posto suo va a morire in croce l’innocente Gesù! Ditemi: è giusto tutto questo? No, per niente. Ma: vi conviene che Dio abbia agito in un tale “ingiusto” modo? Si, perché così, se accettate questo scambio, quest’evidente “ingiustizia” siete salvati, liberi, e vi si apre la vita eterna! Oppure preferireste, per amor di giustizia, il vostro eterno castigo, perché questo meritate?
Ditelo pure: Secondo giustizia non è giusto che Dio sia misericordioso verso di noi! Non è giusto che Dio ci dia opportunità dopo opportunità di ravvederci! Non è giusto che Dio abbia mandato il Suo unico Figlio a morire per i nostri peccati! Non è giusto che tutto ciò che noi si
debba fare è chiedere il Suo perdono ed accogliere la Sua grazia in Cristo, e i nostri peccati saranno perdonati! Non è giusto che Gesù ci dica di non abbandonarci mai! Non è giusto che Dio s’inclini verso di noi per udire la nostra preghiera ogni qual volta vogliamo dirgli qualcosa! Non è giusto che, per merito di Cristo, noi si vada a vivere per sempre in un posto chiamato Paradiso! Non è giusto che Dio ci abbia promesso che verrà il giorno in cui non sentiremo più alcuna tristezza, dolore, morte, afflizione! Non è giusto! Siete però contenti di vivere con un Dio tanto “ingiusto”?
Dobbiamo apprendere tre cose su un Dio “ingiusto”.
1. E’ Dio che cerca fedelmente di salvarci (v. 1). Ripensiamo alla parabola .Chi è andato alla ricerca di chi? Forse che sono stati gli operai, di loro iniziativa, ad andare da lui a chiedergli un lavoro? No. E’ lui, il padrone, che è uscito a prendere a giornata degli uomini per lavorare la sua vigna. E’ stato il padrone ad andare a cercare operai. Pensateci bene. Non siete voi che siete andati a cercare Gesù: è stato Lui a venirvi a cercare ed a trovarvi mentre eravamo miseri e “disoccupati”! Non siete stati voi a cercarlo diligentemente. Voi non lo avete cercato: è stato Lui a muovere cielo e terra per raggiungervi! E’ Dio l’iniziatore della salvezza. E’ Dio che compie la nostra salvezza. E’ Dio che ci conserva salvi fintanto che ci chiamerà a casa. Lui ha fatto tutto il lavoro, noi n’abbiamo raccolto i benefici! La Bibbia è il documento che registra come Dio si sia mosso per raggiungere l’umanità perduta. La Bibbia non è il documento che registra come l’umanità abbia cercato di trovare Dio.
Guardiamo in Genesi, al racconto su Abramo. Non è stato Abramo a cercare Dio per poter diventare padre del popolo eletto. La Bibbia dice che Dio cercò Abramo affinché diventasse padre del popolo eletto. La Bibbia non dice che Israele invocò il nome del Signore chiedendogli di diventare il Suo popolo. La Bibbia afferma che fu Dio a scegliere Israele affinché diventasse il Suo popolo eletto.
Guardate al Messia. La Bibbia non dice essere stato il popolo a decidere d’aver bisogno d’un Messia ed a chiedere a Dio di mandargli Suo Figlio. La Bibbia dice: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16). Dobbiamo smetterla con l’arroganza di pensare di essere stati noi a cercare Dio. Non siamo stati noi a cercare Lui, ma Lui a cercare noi!
Se io chiedessi a me stesso: “Perché amo Dio?”, ci sarebbe una sola ragione biblica soltanto per il fatto che posso dire d’amare Dio, ed è quella registrata in 1 Giovanni 4:19: “Noi Lo amiamo perché egli ci ha amati per primo”. Chi è stato il primo ad amare chi?
Dio. Chi è stato ad “innescare” quest’amore? Dio. Non solo è vero che non sono stato io ad amarlo per primo, ma è vero che io non mi sarebbe mai venuto in mente di farlo da solo! Non sono stato io ad amare Dio per primo… Non avrei mai potuto amare Dio per primo… Da solo, sarei stato incapace ad amare Dio! Mai avrei deciso d’amare Dio se Lui non si fosse accostato a me per primo! Se sono onesto con me stesso, vale per me ciò che vale per chiunque altro: io non mi sarei mai inclinato spontaneamente verso Dio se Lui non si fosse avvicinato a me per primo! Gesù disse: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni 6:44). No, questo comportamento da parte di Dio …non è affatto giusto! Lui che cerca fedelmente di salvarmi, quando a me di Lui non m’importava nulla? Sono contento di servire un Dio tanto “ingiusto”!
2. Dio tratta personalmente con noi. In secondo luogo, un Dio “ingiusto” tratta
individualmente con ciascuno di noi. Notate come, in quella parabola, il proprietario terriero vada ripetutamente a cercare gli operai. Alcuni erano pronti alle 6 della mattina. Per altri, alle sei della mattina …è troppo presto, e si presentano alle nove! Altri ancora non erano pronti se non alle tre del pomeriggio, oppure addirittura alle cinque! Quel padrone torna a metà giornata e quasi alla fine della giornata e …li prende! E a chiunque prenda darà poi la paga di un intero giorno di lavoro! Chiamatela ingiustizia, questa! Ad alcuni piace interpretare questo testo per giustificare “la conversione sul letto di morte”. Qualcuno mi ha detto: “Ora sono giovane e forte. Voglio divertirmi. Ci sono tante cose interessanti che posso fare. Quando sarò più anziano mi darò una calmata, ed allora penserò a Dio e gli chiederò di salvarmi prima di morire…”. Un ragionamento così, però, non funziona per niente! In primo luogo, non sappiamo quando la nostra vita dovrà terminare. Non possiamo essere certi nemmeno del nostro prossimo respiro. In secondo luogo, non possiamo andare a Dio alle nostre condizioni. Quando magari saremo vecchi e pronti a ravvederci, la nostra anima potrebbe essere così indurita dal respingere Dio, che sarebbe solo naturale respingerlo un’ultima volta e pregiudicarci per sempre la possibilità del ravvedimento, scacciati per sempre dalla Sua presenza. Non rimandate mai: sarebbe veramente sciocco da parte vostra!
La “ingiusta” misericordia di Dio, però, salverà anche chiunque Lo invocherà con sincerità, persino sul letto di morte, senza rinfacciare nulla. Gesù disse: “Colui che viene a me, non lo caccerò fuori” (Giovanni 6:37). Sarebbe proprio triste, però, profittarne. In ogni caso, questo testo ci parla di un Dio ingiusto ed amorevole che tratta ciascuno di noi individualmente. Dio ci ha fatti uno per uno in modo diverso. Dio ci conosce individualmente, meglio di quanto noi ci conosciamo da noi stessi. Ognuno risponde a Dio in tempi diversi, in circostanze diverse, in modi diversi. Oggi fanno vestiti “prêt à porter” e fanno taglie, a loro dire, che vanno bene per tutti. Che stupidaggine! Io non riesco mai a trovare, per esempio, pantaloni lunghi abbastanza con la misura in vita che vada a bene per me. Anche se sono più cari, i vestiti su misura sono i migliori. Anche Dio sa che una “taglia” non va bene per tutti. Un Dio “giusto” tratterebbe tutti allo stesso modo e si rifiuterebbe di prendere chi non si presentasse …alle sei del mattino! Eppure torna ripetutamente sulla piazza e chiede: “Perché ve ne state qui tutto il giorno, inoperosi?” e loro rispondono: “Perché nessuno ci ha preso a giornata”. Avrebbe potuto replicare: “E dov’eravate voi stamattina all’alba? A dormire? Sfaticati che siete! Adesso, arrangiatevi!”. Non ha, però, detto così. Osservate quanto Dio sia misericordioso, se invece fosse “giusto”, secondo i nostri criteri… Potrei non essere contento di un Dio tanto “ingiusto” che si adatta a me individualmente?
3. Dio retribuisce sempre i Suoi operai. Notate, infine, come quel proprietario terriero retribuisca coloro che l’avevano servito fedelmente, chi per undici ore, o anche solo per un’ora. Il nostro Dio è fedele a retribuire coloro che Lo servono fedelmente. E’ ingiusto, però a dare a tutti “una paga” uguale? Abbiamo visto come noi non si possa pretendere da Dio proprio nulla, essendo noi realmente peccatori e giustamente meritevoli solo di condanna. Quello che riceviamo è sempre un’indebita ed immeritata grazia. Che cosa potrebbe dire, però, chi l’avrà servito fedelmente e con grande spirito di sacrificio per lunghi anni, come Pietro, che chiede a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?» (Matteo 19:27).
Gesù, però, insegnava che nessuno poteva ritenersi esente da obblighi morali, e che la semplice obbedienza non dà titolo alcuno a speciali privilegi. Egli dice, infatti, “Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato? Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: “Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare” (Luca 17:9,10).
E poi quale premio potrebbe aspettarsi chi entra nel regno di Dio? Il solo fatto di esserci non è già “il massimo”? Quale “gradazione” d’eterna beatitudine potrebbe aspettarsi? Certo, Gesù dice ai Suoi discepoli: “Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli” (Matteo 5:12), il “premio”, però, è essere alla presenza gloriosa di Gesù. Quale “gradazione” vorresti di questa mai aspettarti? Che vorresti di più? Per il Signore Gesù il premio è il regno di Dio stesso, o la vita del mondo a venire, e questa è data a tutti coloro Egli chiama efficacemente, chi prima, chi dopo. Non dovrebbe forse essere contento chi vi è entrato prima, di vederci pure altri? Alla luce di questo, tutti gli altri premi sono triviali, e tutti i tentativi di fare un raffronto fra la retribuzione di uno e quella d’un altro, sono fuori luogo e non rendono giustizia a Dio.
A noi, dunque, sempre molto “sensibili” al concetto di giustizia, Gesù propone qualcosa di più e di meglio, proprio quei valori dei quali dicevamo, all’inizio, che di solito “stranamente” si dimenticano: “generosità”, “servizio non rimunerato”, “azione spontanea e disinteressata”, “spirito di sacrificio”, “rinuncia volontaria”, che possono riassumersi nel concetto biblico di grazia. L’Apostolo lo riassume così: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti” (Efesini 2:8,9). Molti devono fare ancora parecchia strada prima di comprendere questo concetto fondamentale del carattere di Dio, il quale deve diventare anche caratteristica fondamentale del nostro modo di pensare e d’agire. Per questo abbiamo bisogno di conversione. Senza dubbio, nella nostra vita, è importante il concetto di merito, come lo è quello di giustizia e d’uguaglianza. Gesù non intende insegnare che i padroni terreni possano fare tutto ciò che vogliano con quello che loro appartiene, né che tutti i dipendenti debbano ricevere uguale paga, indipendentemente dal lavoro che fanno. Il Signore vuole che ragioniamo ed operiamo con il concetto di grazia, che è superiore a quello di giustizia. E’ vero, allora, che, secondo i criteri umani, il nostro Dio è sommamente “ingiusto”, ma vi assicuro che “conviene” che per noi sia così: un Dio “ingiusto” non si stanca di venire fedelmente alla nostra ricerca, di trattarci uno per uno in modo diverso, e di retribuire sempre con il regno dei cieli chi lo serve. Dovreste essere ben contenti di servire un Dio tanto “ingiusto”!
Paolo Castellina, da una predicazione del 13.02.2003