Domenica 6 novembre 2022 – Ventiduesima domenica dopo Pentecoste – Ognissanti
(Servizio di culto completo di predicazione, 60′)
(Solo predicazione, 25′)
Degni di avere parte al mondo a venire
Due tendenze divergenti si sono sempre manifestate nelle chiese cristiane. Una la si potrebbe chiamare “ultramondana”, vale a dire la fede cristiana intesa esclusivamente come “salvezza dell’anima”, quella focalizzata nell’aldilà come unica realtà che realmente importi e verso la quale impegnarsi. L’altra tendenza è quella “intramondana”, che vede la rilevanza della fede cristiana solo nella trasformazione, nella “salvezza”, di questo mondo intesa come miglioramento delle condizioni di vita di singoli e della società, la trasformazione del loro comportamento “quaggiù”. Sebbene vi siano testi biblici che possono essere addotti in favore dell’una e dell’altra posizione, questa contrapposizione è del tutto artificiosa e influenzata piuttosto da filosofie estranee alla fede cristiana, le prime “spiritualiste” e le seconde “materialiste”. Di fatto nelle Sacre Scritture vi è equilibrio e integrazione fra ogni aspetto della realtà, spirituale e materiale, presente e futuro. Difatti: “Il mondo, la vita, la morte, le cose presenti e le cose future, tutto è vostro” (1 Corinzi 3:22).
La buona pianta dell’Evangelo è seminata oggi in questo mondo, qui cresce e si sviluppa e i suoi frutti, le primizie, possono già essere goduti. La pienezza del raccolto di questi buoni frutti, però, vi sarà solo un giorno futuro quando questa realtà verrà superata dall’insorgere della nuova creazione, “il nuovo cielo e la nuova terra”. Il Salvatore Gesù Cristo si occupava pienamente di questo mondo, guarendolo e liberandolo dai suoi problemi, ma tutto Egli lo considerava dalla prospettiva della risurrezione, cioè da dimensioni diverse della realtà, della quale Egli stesso ne era l’anticipazione. “Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando l’evangelo del regno, sanando ogni malattia e ogni infermità fra il popolo” (Matteo 4:23). Si trattava del regnare di Dio qui e ora. Infatti: “Interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», (Gesù) rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!»” (Luca 17:20-21 CEI). Gesù, però, teneva sempre in considerazione “il dopo”, “l’oltre”, e lo faceva parlando della risurrezione, Sua e dei Suoi, come compimento finale. Come dice l’apostolo Paolo: “… avendo fiducia in questo: che colui che ha cominciato un’opera buona in voi, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:16).
Una fede assurda?
Gesù, dunque, parlava del giorno della risurrezione Sua e dei Suoi e, quando lo faceva, veniva contestato da coloro che avevano prospettive molto limitate della realtà. Lo riscontriamo nel testo biblico che oggi consideriamo: Luca 20:27-38. Ascoltiamolo.
“Poi, accostatisi alcuni sadducei, i quali negano che ci sia risurrezione, lo interrogarono, dicendo: “Maestro, Mosè ci ha scritto che, se il fratello di uno muore avendo moglie ma senza figli, il fratello ne prenda la moglie e dia una discendenza a suo fratello. C’erano dunque sette fratelli. Il primo prese moglie e morì senza figli. Il secondo pure la sposò; poi il terzo e così fu dei sette; non lasciarono figli e morirono. Infine morì anche la donna. Nella risurrezione, dunque, di chi sarà moglie la donna? Perché tutti e sette l’hanno avuta per moglie”. Gesù disse loro: “I figli di questo secolo sposano e sono sposati, ma quelli che saranno reputati degni di avere parte al mondo a venire e alla risurrezione dai morti non sposano e non sono sposati, perché neanche possono più morire, perché sono simili agli angeli e sono figli di Dio, essendo figli della risurrezione. Che poi i morti risuscitino, lo dichiarò anche Mosè nel passo del ‘pruno’, quando chiama il Signore Dio d’Abraamo, Dio d’Isacco e Dio di Giacobbe. Ora, egli non è un Dio dei morti, ma dei viventi, poiché per lui vivono tutti” (Luca 20:27-38).
Gesù sosteneva la verità della rivelazione biblica. Essa afferma il carattere peculiare dell’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, la cui identità personale trascende, supera, “la carne e le ossa” che oggi lo caratterizza. Su questa base, l’essere umano, quando muore, non è destinato a scomparire per sempre nella polvere della terra, ma, in particolare, “coloro che ne saranno reputati degni”, sopravvivono in Dio alla loro esistenza materiale e saranno un giorno risuscitati, ristabiliti in quanto tali “nel mondo a venire”, la nuova creazione che seguirà a quella attuale.
Una tale concezione è generalmente rifiutata oggi come assurda, del tutto fantasiosa, “improponibile”, buona al massimo come consolazione a buon mercato per chi non sa accettare “l’ineluttabilità della morte”. Gesù si sbagliava oppure era “compiacente” verso queste “pie illusioni”? Coltivava forse “concezioni primitive” e “mitologiche” che “i moderni” rifiutano? Davvero? Queste reazioni le si riscontravano pari pari anche ai tempi di Gesù! Quando Egli ne parlava Gesù stesso ne veniva contestato, specialmente dal gruppo religioso ebraico dei sadducei, “i quali negano che ci sia risurrezione” (27). La consideravano irrazionale, priva di senso. È come se gli avessero detto: “La tua concezione della risurrezione non è logica, non è razionale – e te lo vogliamo dimostrare!”.
Ragionamenti surrettizi
Gli propongono così un ragionamento surrettizio inteso a prendersi gioco di Gesù accusandolo di dabbenaggine, d’ingenuità, di non avere riflettuto abbastanza su quest’argomento … Per questo gli presentano il caso ipotetico di sette fratelli che, uno dopo l’altro, prendono per moglie la stessa donna alla morte di suo marito. Domandano così a Gesù: “Nella risurrezione, dunque, di chi sarà moglie la donna?” (33). Gesù, infatti, insegnava pure molto sul futuro e aveva fatto intendere che credeva nella risurrezione del corpo, come allora i farisei. I sadducei si opponevano a queste concezioni perché credevano che i farisei si fossero allontanati troppo dagli insegnamenti dell’Antico Testamento. In un certo senso i Sadducei erano liberali nella loro teologia poiché negavano molto del soprannaturale, compresa l’esistenza di angeli e spiriti (cfr. Atti 23:8).
Per giustificarsi, così, propongono a Gesù tale ragionamento surrettizio, cioè, uno nel quale si ignora, si nasconde, si tace intenzionalmente qualcosa che avrebbe invalidato la loro argomentazione. Essi tacciono intenzionalmente dati rilevanti della rivelazione biblica, nella quale pur dicevano di credere e che li avrebbe smentiti! Gesù è sempre ben consapevole degli artifici retorici, delle trappole, di cui i suoi avversari si avvalevano per avversarlo e conosceva molto bene le Sacre Scritture. Nel raccontare questo stesso episodio, il vangelo di Matteo e di Marco inseriscono, infatti, un’affermazione di Gesù che la versione di Luca omette: “Non è proprio per questo che errate, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio?” (Marco 12:24, cfr. Matteo 22:29).
Gesù, così, capovolge la loro tattica e rileva come di fatto sia irrazionale e priva di senso la loro argomentazione, come pure la loro presunta conoscenza delle Sacre Scritture. Non consideravano di fatto, o nascondevano appositamente, che “alla risurrezione dei morti” saremo di fronte a una realtà dalle caratteristiche diverse da quelle attuali, dove le persone “non sposano e non sono sposate” (34).
Gesù non solo afferma che la rivelazione biblica a questo riguardo è verità; non solo fornisce delle Sacre Scritture l’interpretazione autentica, ma Egli può parlarne per esperienza. Anche i Suoi discepoli esprimevano spesso dei dubbi a questo riguardo, ma giungono, per grazia di Dio ad aprire la loro mente a prospettive non immediatamente accessibili a tutti. Nel vangelo secondo Giovanni troviamo a un certo punto che “I suoi discepoli dissero: «Ecco, adesso tu parli apertamente, e non usi similitudini. Ora sappiamo che sai ogni cosa e non hai bisogno che nessuno ti interroghi; perciò crediamo che sei proceduto da Dio»” (Giovanni 16:29-30). La per loro sconvolgente esperienza del Cristo risorto dai morti non solo non avrebbe lasciato in loro dubbio alcuno, ma li avrebbe sospinti ad annunciare con coraggio l’Evangelo della risurrezione in tutto il mondo.
La più ampia descrizione della verità della risurrezione la troviamo nel capitolo 15 della prima epistola ai cristiani di Corinto. Fra le altre cose, l’Apostolo ci spiega l’ordine della risurrezione: “… ma ciascuno nel suo proprio ordine: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta” (1 Corinzi 15:30). Cristo è “la primizia”. Risorgeranno dopo di Lui “quelli che sono di Cristo”, che appartengono a Lui. In un’altra epistola l’Apostolo scrive: “Poiché, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, così pure, quelli che si sono addormentati, Dio, per mezzo di Gesù, li ricondurrà con lui” (1 Tessalonicesi 4:14). Notate pure qui come si parli della morte come di “un sonno”. Questo non è solo un modo di dire, perché, secondo le Sacre Scritture, dobbiamo intendere la morte non come “la fine” di ogni cosa, ma come “un addormentarsi”, per risvegliarci poi in una nuova realtà.
Queste realtà al mondo sembrano “incredibili”. Anche l’apostolo Paolo, quando le predicava incontrava molta incredulità. Parlando in un consesso di filosofi ad Atene, molti dei quali disprezzavano le realtà materiali privilegiando il mondo dello spirito, al sentire parlare della risurrezione dei corpi lo deridono: “Quando sentirono parlare della risurrezione dei morti, alcuni se ne facevano beffe e altri dicevano: ‘Su questo noi ti sentiremo un’altra volta’” (Atti 17:23). La maggior parte dei Greci negava infatti la risurrezione della carne (1 Corinzi 15,12). Gran parte della psicologia greca considerava il corpo come la prigione temporanea dell’anima che era immortale.
A noi piacerebbe sapere come sarà l’esistenza nelle dimensioni dell’aldilà, ma di essa ci è dato di sapere molto poco. Dobbiamo astenerci dal fantasticare e dobbiamo dare fiducia a Gesù. Egli qui mette in evidenza come nella nuova creazione le categorie, per esempio, di marito e moglie non saranno più rilevanti perché, egli dice: saremo “simili agli angeli”; saremo “figli di Dio”, cioè con caratteristiche “a parte” come Lui; “essendo figli della risurrezione”, cioè la nostra vita sarà caratterizzata da una realtà completamente nuova rispetto all’attuale. Fare paragoni non è possibile. Non lo comprenderemmo. Come dice il libro dell’Apocalisse: “Colui che siede sul trono disse: “‘Ecco, io faccio tutte le cose nuove’”. E aggiunse: ‘Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere’” (Apocalisse 21:5). Sarà l’epoca della risurrezione, detto anche “il nuovo eone”.
Per dare ancora più forza alle sue affermazioni Gesù cita le Sacre Scritture e dà importanza ai tempi verbali che esse usano. Come si definisce Dio? In funzione dei tre personaggi principali della storia d’Israele: Abramo, Isacco e Giacobbe, insieme a Mosè: persone alle quali Dio si era rivelato. Noi diremmo: Egli era il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Essi sono ora morti e sepolti. “No,” dice Gesù, “Egli è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe”. Tempo presente! Perché essi continuano a vivere in una dimensione diversa dalla nostra. Dio, infatti, rispetto alle creature umane, “non è un Dio dei morti, ma dei viventi, poiché per lui vivono tutti” (38). Dio è il Dio vero e vivente e noi, come Sue speciali creature, abbiamo ricevuto la grazia di vivere, e non di morire. La morte è conseguenza del peccato, ma laddove il peccato non esiste più c’è la vita!
Chi sarà reputato degno del mondo a venire?
Ora non ci rimane che esaminare un ultimo punto importante nel nostro testo, quello che dice: “… quelli che saranno reputati degni di avere parte al mondo a venire e alla risurrezione dai morti” (35). La questione è “saremo noi, voi e io, degni di avere parte al mondo a venire”? Proprio così, le Sacre Scritture parlano di una discriminante: quello non sarà il caso di tutti! Non potremo ora esporre tutto ciò che le Sacre Scritture dicono al riguardo, ma possiamo trovare indicazioni che ci danno speranza.
Nel libro dell’Apocalisse troviamo chi possa aprire il libro sigillato del mondo a venire per comprenderne le caratteristiche e parteciparvi. L’evangelista Giovanni dice: “Io piangevo forte perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro o di guardarlo” (Apocalisse 5:4). In effetti, chi di noi potrebbe mai entrare nel mondo a venire, contaminato dal peccato così com’è, ne sarebbe solo un elemento di corruzione, lo rovinerebbe! Infatti è scritto: “… nulla d’impuro né chi commetta abominazione o falsità vi entrerà; ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello” (Apocalisse 21:27).
Ed è proprio questo misterioso “Agnello” a essere la chiave di questo dilemma. Nello stesso capitolo 5 di Apocalisse troviamo infatti questo “cantico nuovo” che, rivolto a questo Agnello, cioè al Signore e Salvatore Gesù Cristo, dice: “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Apocalisse 5:9). C’è dunque chi vi entrerà e ne sarà degno, vale a dire Gesù, il “nuovo Adamo”, come pure gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione. Come? Coloro che Egli, il Cristo, ha “acquistato a Dio”, riscattato dalla maledizione del peccato attraverso il Suo sacrificio espiatorio. Essi sono quelli che Gli appartengono, coloro che sono “scritti sul suo libro” e che condivideranno con Lui il mondo a venire e la risurrezione dai morti.
Noi tutti abbiamo ereditato e condividiamo con il nostro progenitore Adamo la corruzione del peccato, ma c’è chi, ravvedendosene e affidandosi all’opera di purificazione del Salvatore Gesù Cristo si ritroverà a far parte di quel popolo eletto e redento. Come dice l’apostolo Paolo: “Perché, se per la trasgressione di quell’uno la morte ha regnato a causa di quell’uno, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo di quell’uno che è Gesù Cristo” (Romani 5:17).
Siamo indubbiamente una massa di gente perduta e indegna di Lui, ma l’apostolo Pietro, rivolgendosi alle folle nel giorno della Pentecoste: “… con molte altre parole li scongiurava e li esortava, dicendo: ‘Salvatevi da questa perversa generazione’. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone” (Atti 2:40-41). Questa è la parola dell’Evangelo di salvezza in Gesù Cristo, questa è la gente che il Salvatore Gesù Cristo redime e rende degna del mondo a venire. Siete voi i legittimi eredi di quelle tremila persone? Si, se fate come loro.
Questo non è in alcun modo un messaggio di “fuga dalla realtà di questo mondo”, perché coloro che accolgono Cristo di tutto cuore come loro Signore e Salvatore sono la primizia del mondo a venire e si impegneranno fin da oggi in ogni ambito per testimoniare dello stile di vita che farà parte un giorno del nuovo cielo e della nuova terra. Le primizie, infatti sono i primi frutti del Regno di Dio. Come potrebbe essere altrimenti?
Paolo Castellina, 29-10-2022