
Domenica 2 marzo 2025, ultima domenica prima del tempo di Quaresima
[Servizio di culto completo con predicazione, 47′]
[Solo predicazione, 19′]
Introduzione
Come se fosse un grave peccato se non l’avessi fatto, i miei genitori mi imponevano sempre di accompagnare con il pane qualsiasi cosa io mangiassi. È ancora un ritornello che echeggia nella mia mente. Forse per loro era il retaggio di un tempo in cui la scarsità imponeva di risparmiare il cibo più costoso come la carne e che quindi bisognasse compensarlo in volume e quantità. In ogni caso, è il pane quello che, da sempre e in molte culture, è assunto a simbolo del nutrimento per eccellenza, essenziale per la vita. Ce lo ricorda l’espressione italiana “guadagnarsi il pane”, inteso con un duro lavoro, cosa che, probabilmente, risale al castigo che Dio aveva comminato ad Adamo per la sua trasgressione: “mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai” (Genesi 3:19). Dio aveva provveduto alla vita dei nostri progenitori su base quotidiana e gratuitamente, e ora “mangiare il pane con il sudore del volto” sarebbe stato davvero un duro castigo e il pane nemmeno così “garantito”.
Gesù ci esorta a pregare Dio nella preghiera modello del “Padre nostro”: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Nell’era moderna, molte persone, specialmente in Occidente, resistono al consumo di pane per essere in salute o perdere peso. Questo ci rende difficile cogliere l’importanza e la dipendenza espressa allora da questa preghiera. Ciò è particolarmente vero per coloro che non hanno mai dovuto chiedersi se sarebbero stati in grado di sfamare sé stessi o le proprie famiglie il giorno seguente – e questo in un mondo di grande abbondanza di risorse. Molti nel mondo, sfortunatamente, affrontano proprio questa sfida. La maggior parte degli ascoltatori di Gesù, anche se non erano disperatamente poveri, sapevano cosa significasse affrontare l’incertezza giorno per giorno nei propri bisogni fondamentali. Quale senso dobbiamo noi dare a questa petizione?
Il testo
Riascoltiamo le parole del Padre Nostro.
“Voi dunque pregate così: ‘Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra com’è fatta nel cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno’. Poiché, se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma, se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6:9-14).
Questa parte del Sermone sul Monte (Matteo 5:1–2) presenta, come abbiamo visto le scorse settimane, una preghiera esemplare esortandoci a non rivolgerci a Dio “come fanno i pagani” (Matteo 5:7). La preghiera autentica, infatti, non è presentare a Dio “una lista della spesa”: Dio non è al nostro servizio. La richiesta, il desiderio più grande di coloro che in Cristo, per sola grazia, sono stati salvati dai loro peccati è quella di vedere trionfare la gloria di Dio, rispettata l’onorabilità della Sua Persona e il compimento della Sua volontà, e questo all’insegna del: “cercate prima il regno e la giustizia di Dio” e tutto il resto ci sarà dato in più.
Una cura per l’ansia
Stabilita così quale debba essere la nostra priorità nel pregare e nel nostro agire, Gesù ci esorta a presentare a Dio con fiducia i nostri bisogni particolari per i quali spesso siamo in ansia. Più avanti Gesù, infatti, ci dice: “Non siate dunque in ansia, dicendo: ‘Che mangeremo? Che berremo?’ o ‘Di che ci vestiremo?’. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose e il vostro Padre celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose” (Matteo 6:31-32). Certo, Dio sa che abbiamo bisogno di tutte queste cose. Dio, però, nella Sua paterna condiscendenza, desidera che noi ci accostiamo a Lui esprimendogli i nostri bisogni e riconoscendo Lui come fonte unica di ogni bene. L’apostolo Paolo ribadisce: “Non siate in ansia per cosa alcuna, ma in ogni cosa siano le vostre richieste rese note a Dio in preghiera e suppliche con ringraziamenti” (Filippesi 4:6).
“Pane” è simbolo dei nostri bisogni di base. Alcuni commentatori suggeriscono che il “pane” menzionato qui significhi il cibo spirituale della Parola di Dio. I sacramentalisti, invece, credono che questo significhi le virtù dell’Eucaristia da ricevere tutti i giorni. Si tratta però di interpretazioni che estendono troppo il significato “terra terra” di questo termine. Gesù si riferiva al cibo fisico. Il termine “pane” qui indica i bisogni più basilari e importanti di una persona.
Gli antichi lavoratori, tra cui molti ebrei, in cambio dei loro sforzi, venivano pagati al termine di ogni giornata di lavoro. Spesso guadagnavano appena abbastanza per coprire la sopravvivenza di base per il giorno seguente. Essere malati o comunque perdere una giornata di paga significava un vero pericolo per loro e per coloro che dipendevano da essi. Per cui “pane quotidiano” è ciò che ci permette oggi, come discepoli di Gesù, di vivere, nel presente, senza preoccuparci eccessivamente dell’avvenire, anzi affidandoci alla provvidenza di Dio che mai ci sarà fatta mancare. “Non siate dunque ansiosi per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (Matteo 6:34), in altre parole: sarà il domani stesso a portarvi nuove preoccupazioni. Preoccupatevi di un giorno per volta.
Gesù, così, non istruisce i Suoi discepoli a pregare per una soluzione permanente, una tantum, ai loro bisogni quotidiani. Non dice loro di chiedere abbastanza soldi per garantire per sempre di poter sfamare le loro famiglie per giorni, settimane o anni. Il punto che Gesù qui sottolinea è di pregare in dipendenza quotidiana dal Padre; di chiedergli di soddisfare i bisogni di ogni giorno. Così facendo, Egli smonta ogni idea che i Suoi seguaci dovessero essere per lo più autosufficienti, consultando Dio solo quando si trovavano di fronte a un bisogno critico. Al contrario, Gesù mostra chiaramente che, fatto salvo lo svolgimento di ogni nostro dovere, ogni figlio di Dio deve essere dipendente da Dio, dalla Sua grazia, per il bisogno di ogni giorno.
I genitori spesso insegnano ai figli la differenza tra “bisogni” e “desideri”. È bene notare la differenza tra sopravvivenza e lusso. Allo stesso tempo, la dipendenza da Dio significa rendersi conto che ciò di cui “abbiamo bisogno” è direttamente correlato alla Sua volontà e ai Suoi piani (Matteo 6:10). Ciò di cui abbiamo veramente “bisogno” è definito in base agli scopi che Dio ha per noi in quel momento, la vocazione che Dio personalmente ci ha rivolto, in rapporto alla Sua volontà rivelata ultima. Il figliolo di Dio, reso integro dalla grazia di Dio, è destinatario della promessa di Dio: “Egli non rifiuterà alcun bene a quelli che camminano nell’integrità” (Salmo 84:11).
In ogni caso, che scegliamo di riconoscerlo o meno, noi dipendiamo da Dio per ogni cosa momento dopo momento. Ogni buon dono che riceviamo viene da Lui e non da noi stessi. “Ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto, discendendo dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento” (Giacomo 1:17).
La preghiera della comunità cristiana
La scelta delle parole nella preghiera insegnata da Gesù è pure significativa: Egli non dice “dammi”, ma “dacci”, includendo tutta la comunità dei cristiani. Questo dettaglio ci ricorda che il cristianesimo non è una fede individualistica, ma profondamente relazionale. La richiesta del pane quotidiano non riguarda solo il proprio sostentamento personale, ma il benessere dell’intera famiglia di Dio. Ogni dono che riceviamo da Lui non è mai destinato esclusivamente a noi stessi, ma è un’opportunità per benedire gli altri. Questo principio è evidente nell’Antico Testamento, dove Dio provvede la manna a tutto il popolo d’Israele nel deserto, con l’istruzione di raccogliere solo ciò che serve per il giorno, evitando accumuli egoistici (Esodo 16:16-18).
L’idea del pane come dono da condividere è fortemente radicata nel Nuovo Testamento. In 1 Giovanni 3:17, l’apostolo pone una domanda retorica e tagliente: “Ma se uno ha dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe dimorare l’amore di Dio in lui?”. Qui il bisogno materiale è un banco di prova dell’autenticità della nostra fede. Non possiamo pregare con sincerità “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” e poi ignorare chi è nel bisogno intorno a noi. Gesù stesso, nel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, mostra come la provvidenza divina passi attraverso la condivisione: quel poco che un ragazzo aveva con sé è diventato abbondanza per tutti (Giovanni 6:9-11).
Questo principio è anche una chiamata a contrastare la mentalità egoistica e consumistica del nostro tempo. In una società che spinge all’accumulo e alla sicurezza personale, l’Evangelo ci invita alla generosità e alla fiducia in Dio. Quando condividiamo il nostro “pane”, non solo rispondiamo a un bisogno pratico, ma testimoniamo concretamente l’amore di Dio. Così facendo, diventiamo strumenti della Sua provvidenza e partecipiamo all’opera del Regno. La chiesa primitiva lo comprendeva bene: “Tutti quelli che credevano erano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (Atti 2:44-45). Questa visione non promuove una dipendenza passiva, ma un senso di responsabilità reciproca, in cui ciascuno riceve con gratitudine e dona con amore.
Considerazioni finali
La richiesta del “Padre nostro”: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” mobilita indubbiamente chi la fa con sincerità. Vuol dire prima di tutto, riconoscere la dipendenza da Dio. Viviamo in un’epoca di autosufficienza, ma ogni respiro, ogni pasto, ogni giorno di lavoro sono un dono di Dio. La gratitudine e l’umiltà dovrebbero caratterizzare la nostra preghiera.
In secondo luogo è una cura per l’ansia. La preghiera non è un rito magico, ma un atto di fiducia nel Padre.
In terzo luogo ci rende strumenti di risposta alla preghiera degli altri. Se chiediamo “dacci” e non “dammi”, riconosciamo che il pane è un dono da condividere. Se vediamo una persona nel bisogno, siamo chiamati ad agire.
In quarto luogo ci porta a distinguere bisogni e desideri. Il mondo ci spinge a desiderare il superfluo, ma la preghiera del pane quotidiano ci richiama all’essenziale. Cerchiamo prima il Regno di Dio, fidandoci che Egli provvederà il necessario per tutto il resto.
Ancora una volta osserviamo come il Padre Nostro ci insegni che la preghiera non è solo “spirituale”, ma coinvolge tutta la nostra vita. Chiedere il pane quotidiano è un atto di fede, di umiltà e di dipendenza che ci porta a vivere con gratitudine, fiducia e condivisione. Indubbiamente, apprendere e fare nostre il significato coinvolgente delle espressioni del “Padre nostro” è una sfida piuttosto impegnativa. La sapremo accogliere?
Paolo Castellina, 20 febbraio 2025