Domenica 25 dicembre 2022 – Giorno di Natale
(Culto completo con predicazione, 60′)
(Solo predicazione, 30′)
Condividere la gioia dell’Evangelo – nonostante tutto!
In questa nostra epoca secolarizzata, le varie festività che scandivano il calendario della società cristiana di un tempo o scompaiono del tutto, o acquisiscono significati diversi da quelli originali. È questo il destino che sembra avere anche la celebrazione del Natale, che oggi rientra sempre di più in quelle che genericamente sono chiamate “festività invernali”. Tant’è vero che vi prevale l’augurio generico di “buone feste”, il che equivale, in estate, ad augurare “buone vacanze”. Sicuramente è meglio questo che dire “celebriamo la nascita di Gesù Cristo” quando è evidente che sia l’ipocrisia di una società che non conosce, non comprende, travisa o persino disprezza l’apparizione sulla scena di questo mondo di Gesù di Nazareth. Noi cristiani, infatti, continuiamo a confessarlo come Signore e Salvatore non solo di noi personalmente come se fosse una nostra questione privata… ma proclamiamo, come afferma la Bibbia, che egli è il Salvatore del mondo.
Lasciamo stare ora la discussione di chi sia la colpa della deplorevole situazione contemporanea o se la festa del Natale sia da abolire del tutto, come affermano anche certi gruppi settari cristiani. Come afferma la Confessione di fede delle chiese riformate elvetiche del 1566, noi “approviamo ben volentieri che le chiese celebrino religiosamente, con timor di Dio e rispetto, la memoria della natività del Signore”.
Perché, allora, noi celebriamo la nascita del Signore e Salvatore Gesù Cristo, la Sua apparizione sulla scena di questo mondo? Perché per noi è occasione di grande gioia, una gioia che vorremmo condividere con tutti. La sua venuta non solo, infatti, ha costituito una svolta determinante nella nostra vita, ma è stata tale da dividere la stessa storia dell’umanità in un “prima” e in un “dopo”, gli anni “avanti Cristo” e gli anni “dopo Cristo” – e a ragione! Questo annuncio di grande gioia lo chiamiamo Evangelo, vale a dire la buona notizia per eccellenza, la più grande ed entusiasmante che possa udirsi. Questo annunzio risuona ed è spiegato nelle Sacre Scritture sia dell’Antico che del Nuovo Testamento.
La sostanza dell’Evangelo
Vi sono molti testi biblici che riassumono il messaggio dell’Evangelo e ne specificano le caratteristiche. Vorremmo oggi leggere e commentare come lo fanno alcuni versetti tratti dalla lettera dell’apostolo Paolo al suo discepolo Tito. Li troviamo nel secondo capitolo e dicono così:
“Poiché la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, è apparsa e ci insegna a rinunciare all’empietà e alle mondane concupiscenze, per vivere in questo mondo temperatamente, giustamente e piamente, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù, il quale ha dato se stesso per noi al fine di riscattarci da ogni iniquità e di purificarsi un popolo suo proprio, zelante nelle opere buone” (Tito 2:11-14).
Che cosa dice questo testo? Amplifichiamolo con parole nostre e poi ne metteremo in particolare evidenza alcuni suoi concetti chiave.
L’Evangelo, la buona notizia al riguardo della persona e opera di Gesù Cristo, è apparsa sulla scena di questo mondo e ancora giunge fino a noi come un annuncio di grazia rivolto a ogni genere di persone. L’uso del termine “grazia” presuppone che coloro ai quali questo annunzio è rivolto sono persone che, per aver trasgredito la legge morale stabilita da Dio per le creature umane, non solo sono state rovinate, guastate dal peccato, ma sono state pure giustamente da Lui condannate. L’annuncio è che Dio vuole tirarle fuori, salvarle, dalla misera condizione in cui si trovano attraverso il ravvedimento e la fede nella persona e opera di Gesù Cristo. Questo vuol dire impegnarle in un cammino di trasformazione della loro vita come espressione della loro riabilitazione davanti a Dio. Questo cammino comporta imparare, com’è scritto, a rinunciare all’empietà e alle mondane concupiscenze per vivere in questo mondo in maniera temperante, giusta e pia. Alla fine di questo cammino vi è “la beata speranza” che di fatto è la certezza del compimento ultimo di quest’opera di trasformazione, vale a dire l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù. Egli, infatti, come dice l’apostolo, ha dato sé stesso per noi. A qual fine ha dato sé stesso per noi? Per riscattarci da ogni iniquità formandosi un popolo suo proprio che sia zelante in ciò che davanti a Dio è buono e giusto e quindi non può che rivelarsi benefico per noi personalmente e per il mondo in cui viviamo.
Il contesto
Il testo che abbiamo letto condensa il contenuto dell’Evangelo cristiano in una lettera che l’apostolo Paolo scrive a Tito, un greco di origine pagana che era stato portato alla fede in Cristo probabilmente da lui stesso. Gli è frequentemente vicino durante tutti i suoi viaggi missionari, particolarmente nei difficili rapporti con l’irrequieta comunità di Corinto. Attorno all’anno 50 accompagna Barnaba e Paolo al concilio di Gerusalemme. Durante il terzo viaggio missionario, è inviato da Paolo a Corinto quale messaggero di pace, per ristabilire l’armonia fra i cristiani della città. Il rapporto tra Paolo e Tito appare improntato all’amicizia fraterna, cementato da una comunanza di sentimenti, di spirito, di cuore. Paolo lo definisce come «mio vero figlio secondo la fede che ci è comune» e si dice che Tito era stato posto alla guida della comunità cristiana dell’isola di Creta, per poi recarsi in seguito a servire il Signore in altre zone. Il Santo Spirito di Dio ha voluto che questa epistola diventasse parte delle Sacre Scritture perché affronta questioni importanti della vita comunitaria dei cristiani. Nei versetti che precedono immediatamente il nostro testo, Paolo menziona il problema dei falsi maestri, problema attuale sia allora come oggi. Dice poi a Tito l’importante: “Tu esponi le cose che si convengono alla sana dottrina“ (2:1), incluse istruzioni specifiche per varie categorie di persone. Queste istruzioni promuovono una serie di valori, tra cui la temperanza, la sobrietà, la fede, l’amore, la pazienza, la riverenza, la gentilezza, l’integrità, la serietà, l’incorruttibilità e la correttezza di parola. Promuovono anche una serie di comportamenti, tra cui il non calunniare, il non bere troppo vino, l’insegnare ciò che è buono, la castità, la volontaria sottomissione e il non bestemmiare. Che questa lettera sia rivolta a un convertito di origine pagana è altresì particolarmente importante perché mette in rilievo come l’Evangelo di Gesù Cristo sia finalizzato alla concreta trasformazione morale e spirituale di chi lo riceve e che sia ben lungi dall’essere solo “una credenza privata” senza precise implicazioni sociali, o magari solo una sorta di “assicurazione per l’aldilà”.
L’apparizione della grazia
Il testo dice: “Poiché la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, è apparsa” (11). Questo “poiché” collega questo versetto ai versetti precedenti che promuovono determinati valori e comportamenti. Perché li promuove? Per quale motivo i cristiani si differenziano necessariamente nel loro comportamento dall’andazzo di questo mondo? Perché la misericordia di Dio li ha liberati in Cristo da comportamenti fondamentalmente autodistruttivi e alienanti; e questo sollecitati dalle forze spirituali della malvagità che li dominano e determinano la loro vita e destino. Nella lettera agli Efesini, l’apostolo afferma: “Anche voi, tempo fa, vi comportavate alla maniera di questo mondo, ubbidivate al capo delle potenze che regnano tra cielo e terra, cioè a quello spirito malefico che ora agisce negli uomini ribelli a Dio. Così, avendo commesso molti errori e molti peccati, eravate senza vita” (Efesini 2:2 TILC). La grazia di Dio indica la misericordia, la generosità di Dio che libera dal mortale asservimento a Satana che corrompe e rovina l’essere umano, creato all’immagine e somiglianza di Dio, fino a portarlo all’autodistruzione. Dio strappa uomini, cioè esseri umani, dal fatale destino in cui sono incorsi, li rigenera e gradualmente li trasforma moralmente e spiritualmente. Egli li salva dal potere mortale del peccato e dà loro prospettive di vita vera e significativa in una ristabilita comunione con Dio. Liberati così dal potere malefico di comportamenti che sovvertono l’ordinamento buono e giusto stabilito da Dio, essi imparano a vivere secondo la volontà di Dio.
Tutto questo è l’opera efficace di Gesù di Nazareth, l’eterno Figlio di Dio che “appare” (per quanto non improvvisamente perché era stato ben preannunciato) intersecando la vita di ogni genere di persone. Nel suo tempo egli le chiamava al ravvedimento e, seguendolo come suoi discepoli, Gesù diventava il loro Signore e Salvatore. Similmente Gesù “appare” oggi, cioè si rende ancora presente, attraverso l’annuncio dell’Evangelo, a molte persone, efficacemente rigenerandole e trasformandole attraverso il discepolato. Egli rimane così ancora “portatore di salvezza”. L’Apostolo afferma che l’Evangelo: “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Romani 1:16), come pure: “… difatti tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Romani 3:23-24).
L’istruzione della grazia
Quando una persona, così, accoglie la grazia di Dio in Gesù Cristo, entra in una “scuola di vita”. Il versetto 12 difatti dice: “… e ci insegna a rinunciare all’empietà e alle mondane concupiscenze, per vivere in questo mondo temperatamente, giustamente e piamente” (12).
La grazia di Dio ci istruisce, ci insegna, ci educa, aiutandoci a resistere alle tentazioni (sempre presenti) di un comportamento empio, cioè lontano e ribelle a Dio e all’ordinamento da lui stabilito, e questo ci eviterà di soccombere “alle mondane concupiscenze”. Ci insegna a rinunciare a tutto ciò che è contrario a Dio, cioè ai peccati e ai cattivi desideri, e per vivere in questo mondo con equilibrio, giustizia e amore verso Dio. Per tutto questo Dio ci abilita e aiuta. Ricevere questo aiuto è un passo essenziale, perché il mondo in cui viviamo è opposto a Dio, un mondo che ci tenta centinaia di volte al giorno a pensare pensieri e a compiere atti che sarebbero dannosi e fondamentalmente autodistruttivi per noi stessi e gli altri, e che ci separerebbero da Dio. Come disse qualcuno, vivere in questo mondo, così com’è diventato a causa del peccato, è come nuotare in una fogna. Per questo la grazia di Dio insegna ai redenti di rinnegare l’empietà e le concupiscenze che troviamo tutto intorno a noi. Ogni tentazione negata di fatto ci rende più forti per affrontare e respingere la tentazione successiva. Rinnegare l’empietà e le concupiscenze mondane oggi ci renderà più forti per negarle domani.
Dobbiamo imparare a vivere “in questo mondo temperatamente, giustamente e piamente”. La temperanza è la virtù della moderazione nel soddisfacimento dei bisogni e dei desideri naturali, delle passioni e dei piaceri ed è frutto di una mente sobria e composta. Questo non vuol dire vivere una vita noiosa, frustrante e priva di gioia, ma vivere con discernimento pensando sempre alle conseguenze di ciò che facciamo o che ci piacerebbe fare. Ci dobbiamo sempre chiedere: “Che effetto avrebbe su noi stessi e sugli altri?”. Vivere giustamente vuol dire vivere secondo giustizia, secondo ciò che Dio dichiara buono e giusto, conformandosi alla volontà rivelata di Dio. Vivere piamente, cioè, secondo pietà, vuol dire vivere con profonda devozione e amore per Dio. L’Apostolo prega che “il Dio della pace (…) vi renda compiuti in ogni bene, affinché facciate la sua volontà, operando in voi ciò che è gradito davanti a lui, per mezzo di Gesù Cristo” (Ebrei 13:20-21)
La speranza della grazia
Il nostro testo poi dice: “… aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù” (13). Questo testo biblico ci parla di una seconda “apparizione”. Gesù si era reso presente fisicamente ai suoi discepoli solo per pochi anni, ma, scomparendo egli dalla loro vista, è loro detto: “ … perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo” (Atti 1:11 NR). Oggi continuiamo a vivere in un mondo decaduto, ma Dio ha promesso cose ancora migliori per coloro che gli rimangono fedeli. Cristo Gesù è l’Emmanuele, cioè “Dio con noi”. Egli non “scompare” ma porterà a sicuro compimento ciò che ha iniziato a fare in noi e con noi. L’Apostolo continua ancora oggi a dirci: “… avendo fiducia in questo: che colui che ha cominciato un’opera buona in voi, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:6), come pure: “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58).
L’impresa della grazia
Come per ricapitolare la spiegazione che il nostro testo ha fatto fin ora del contenuto del messaggio dell’Evangelo, esso torna a farci concentrare la nostra attenzione sull’opera compiuta per noi da Dio in Cristo e sulla sua finalità: “… il quale ha dato se stesso per noi al fine di riscattarci da ogni iniquità e di purificarsi un popolo suo proprio, zelante nelle opere buone” (14).
Coloro ai quali Dio concede la grazia della salvezza in Cristo sono come un gruppo di atleti che l’allenatore prepara alla corsa in vista della vittoria. Di fatto sono “un popolo” di atleti! L’allenatore è l’apostolo che rende i loro muscoli all’altezza della sfida che devono cogliere. Egli, per così dire, li accompagna a essere “purificati” da tutto ciò che fisicamente e psicologicamente potrebbe pregiudicare la loro corsa e vittoria e questo affinché corrano in modo zelante, con determinazione. Queste sono le loro “opere buone”. Non solo, ma li motiva, come pure dice l’Apostolo che, rivolgendo la loro attenzione a quelli che prima di loro “ce l’hanno fatta”, dice: “Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deposto ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, riguardando a Gesù, autore e compitore di fede, il quale, per la gioia che gli era posta dinanzi, sopportò la croce disprezzando l’infamia e si è posto a sedere alla destra del trono di Dio” (Ebrei 12:1-2). Davvero questa è una potente motivazione per chi è chiamato a vivere vittoriosamente la vita cristiana.
Il Cristo, dunque, ci ha riscattato, ha pagato un prezzo: ha dato l’intera sua vita fino a morire della morte più terribile, quella su una croce. Se una persona fosse ridotta in schiavitù o imprigionata a causa di debiti, la sua famiglia cercherebbe di mettere insieme abbastanza soldi per riscattarla, per liberarla. Cristo ha dato sé stesso per redimerci dall’iniquità (anomia nell’originale, una vita “da fuorilegge”, per altro condannati), ha pagato quel “riscatto” con l’intera sua vita per liberarci dalle conseguenze temporali ed eterne del nostro peccato.
Se questo è, come lo è, l’annuncio dell’Evangelo, esso davvero è fonte per noi di una straordinaria gioia, la stessa gioia che vogliamo condividere con tutti in particolare celebrando “l’apparizione” in questo mondo del Salvatore Gesù Cristo. Che Egli possa così “apparire” nella vostra vita perché la Sua opera in voi e con voi è davvero straordinaria ed efficace. Come dice l’Apostolo: “Poiché io non mi vergogno dell’Evangelo, perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Romani 1:16), come pure: “Ora il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, affinché abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo” (Romani 15:13).
Paolo Castellina, 15 dicembre 2022