Chiuso per fallimento   – come rimediarvi? (Romani 3:9-20)

Riflessione biblica di Domenica 1 Ottobre 2023

Il vaso di Pandora 

Conoscete Pandora? Era una figura, una metafora, dell’antica mitologia greca legata ad un celebre quanto nefasto vaso. Le era stato affidato da Zeus con la raccomandazione di non aprirlo mai, poiché la sua apertura avrebbe liberato nel mondo tutti i mali in esso racchiusi. Pandora, però, non resiste alla curiosità di sapere ciò che vi fosse contenuto, solleva il coperchio e ne escono, riversandosi nel mondo, ogni sorta di miserie, malattie e cose orrende per affliggere l’umanità. Ebbene, il cuore umano è come il vaso di Pandora [1]. Qualcuno potrebbe dire: “Meglio non aprirlo…”. In effetti contiene ogni sorta di iniquità come testimonia la storia e come pure testimoniano le scienze della mente e della società. A volte, però, come in casa nostra, dobbiamo assumere “un’impresa di pulizia” per liberarci da tutte le cose inutili che vi abbiamo accumulato e fare una pulizia radicale che rimedi alla nostra negligenza.

La Sacra Scrittura, quella che fa la diagnosi più autorevole della nostra condizione, è “impietosa” ma realista quando dice chiaramente: “Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi lo conoscerà?” (Geremia 17:9). Molti preferiscono pascersi di illusioni credendo che quello sia “in fondo un bel vaso” e che non contenga poi così tanto male… Di fatto, però è come una marmitta piena di orrendi liquidi in ebollizione che, come nera pece, ogni tanto fuoriescono da sotto il coperchio sporcando, bruciando e rendendo irrespirabile l’ambiente circostante. Sappiamo bene di che cosa si tratta dagli orrori che ogni tanto il mondo (e forse anche qualcuno fra voi) fa dolorosa esperienza, sia a livello individuale che sociale. Questa “pentola in ebollizione”, Dio, nella Sua misericordia, la tiene misericordiosamente sotto costante controllo, moderandone gli effetti, ma solo fintanto che siano compiuti i propositi di salvezza dei Suoi eletti. Un giorno, però, chi “trattiene quel coperchio” si allontanerà e da quella “marmitta” uscirà quello che a malapena oggi potremmo immaginare: sarà il Giorno del Giudizio. Come  scrive il profeta Isaia: “Ecco, il giorno dell’Eterno giunge: giorno crudele, di indignazione e di ira ardente, che farà della terra un deserto, e ne distruggerà i peccatori” (Isaia 13:9). È pure scritto: “Ora voi sapete ciò che lo trattiene, affinché sia manifestato a suo tempo. Poiché il mistero dell’empietà è già all’opera, soltanto c’è chi ora lo trattiene finché sia tolto di mezzo” (2 Tessalonicesi 2:6-7).

Ora non approfondiamo questa particolare questione. Vorrei oggi esclusivamente rilevare quanto grande sia la corruzione del cuore umano come pure quale sia l’unico suo rimedio. Teologicamente parlando, il cuore umano, nella condizione in cui attualmente si trova, è totalmente depravato. Non che le persone siano sempre tanto malvagie come potrebbero esserlo, ma non c’è nulla nel “sistema operativo” dell’essere interiore delle persone che non sia contaminato e che non sia in una qualche misura corrotto da quel malefico “virus” d’origine antica trasmessoci dai nostri progenitori: la condizione decaduta del peccato. Il peccato, infatti, deforma ogni cosa in noi, altera la bontà e bellezza della creatura umana com’era stata originalmente creata, distorce ogni cosa, ci rende incapaci di perseguire ciò che è buono, giusto e santo davanti a Dio e rovina anche le migliori intenzioni umane. Come dice la Confessione di fede di Westminster: “Da questa caduta originaria, a causa della quale noi siamo ora completamente inabili e senza forza, resi nemici di ogni bene e totalmente propensi ad ogni male, provengono tutti i nostri peccati attuali” [2].

La corruzione del cuore umano 

Uno dei testi biblici più rilevanti che descrive la profondità della corruzione del cuore umano si trova nella lettera dell’apostolo Paolo ai Romani, al capitolo 3. Ascoltiamolo.

9Che dunque? Abbiamo noi qualche superiorità? Niente affatto! Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sotto il peccato, 10com’è scritto: “Non c’è alcun giusto, neppure uno. 11Non c’è nessuno che abbia intendimento, non c’è nessuno che cerchi Dio. 12Tutti si sono sviati, tutti quanti sono diventati inutili. Non c’è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno”. 13“La loro gola è un sepolcro aperto; con la loro lingua tramano inganni”; “C’è un veleno di aspidi sotto le loro labbra”. 14“La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza”. 15“I loro piedi sono veloci a spargere il sangue. 16Sulle loro vie c’è rovina e calamità, 17e non hanno conosciuto la via della pace”. 18“Non c’è timor di Dio davanti ai loro occhi”. 19Ora noi sappiamo che, tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia chiusa e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio, 20poiché per le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui, infatti la legge dà soltanto la conoscenza del peccato”≫ (Romani 3:9-20).

In questa sezione della lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Roma egli afferma che il consuntivo, il bilancio morale e spirituale dell’umanità, risulta in un completo fallimento. E questo sia che si parli del popolo ebraico al quale era stata data la legge di Dio, che di ogni altra gente – a cui Dio ha impresso i Suoi criteri di giustizia nelle coscienze di ognuno. Questo completo fallimento dipende dal fatto che tutti, ogni creatura umana, sono sottoposti al dominio invalidante e disabilitante del peccato: “tutti, Giudei e Greci, sono sotto il peccato” (9). Tutti senza eccezione alcuna, sono sottoposti all’inappellabile giudizio di condanna da parte di Dio: “… affinché ogni bocca sia chiusa e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio”(19). Tutto il mondo risulta colpevole davanti a Dio! Che nessuno tiri fuori delle scuse per giustificarsi. Non si può più accampare alcun “sì, ma e però”. Nessuno nemmeno ci provi!

Le caratteristiche dell’umana depravazione 

Per provare questo punto, così, l’Apostolo mette insieme diverse e inequivocabili espressioni delle Sacre Scritture che anche noi ora passeremo in rassegna. Apriamo dunque “il vaso di Pandora”. Non è, in effetti, un bello spettacolo…

1. “Non c’è alcun giusto, neppure uno” (10).  Nel mondo vi sono molte regole e leggi rispetto alle quali si misura l’essere “giusti”. Possono essere leggi scritte e non scritte, nazionali e internazionali, stabilite sia dal consenso delle parti che dall’imposizione di qualche “potente”. Ci sono le regole delle Nazioni Unite, affermate formalmente, a parole, ma molto più spesso ignorate ipocritamente, così come lo sono quelle della carta costituzionale di una nazione, celebrata ma spesso contraddetta dai governanti stessi con ogni sorta di pretesti e abili trucchi. Oggi, per esempio, si parla tanto di “ordine internazionale basato sulle regole”, ma è un concetto piuttosto ambiguo. Sono regole che non si sa bene dove siano scritte, regole che, di fatto, sono imposte e manipolate a piacimento dalla “potenza egemone” per servire solo ai propri interessi e usate per giustificare interferenze e creare disastri varie parti del mondo. Sia a livello privato che internazionale, con “dei buoni avvocati” è facile eludere e raggirare le leggi e essere così “dichiarati giusti”. La Legge morale suprema, però, quella stabilita sovranamente da Dio per regolare a perfezione la vita delle creature umane e rispetto alla quale saremo tutti giudicati, non è possibile eluderla, per quanto “furbi” noi si possa credere di essere. Di fronte a quella legge morale suprema, la realtà è che “Non c’è alcun giusto, neppure uno”.

2. “Non c’è nessuno che abbia intendimento” (11a).Questo è anche tradotto: “non c’è sapiente” (CEI). L’espressione originale significa: “Non c’è alcuno che sia in grado di mettere assieme i fatti per giungere alla loro più logica conclusione”. L’umanità soffre di un (colpevole) difetto di logica. Giovanni Calvino [4] così lo commenta: “L’uomo si ritiene una creatura molto saggia e comprensiva, sebbene sia nato molto ignorante. È vero, in effetti, non ha perso a causa del peccato la facoltà naturale dell’intelletto (…) ma si deve ammettere che gli uomini naturali abbiano una certa comprensione delle cose naturali, civili e morali; anche se non c’è nessuno che comprenda nemmeno queste cose (…) ma  non hanno comprensione delle cose spirituali; nessuna conoscenza spirituale di Dio; nessuna vera comprensione di sé stessi, del loro peccato e della loro miseria; né riconoscono veramente la via della salvezza mediante Cristo; né hanno alcuna esperienza dell’opera dello Spirito di Dio sulle loro anime; né alcuna conoscenza sperimentale delle dottrine dell’Evangelo. Nessuno può comprenderle da solo, con la sola forza della ragione e la luce della natura; né può comprenderli pienamente nemmeno un uomo spirituale in questa vita”. Perché? Perché la loro condizione di peccatori in questo li disabilita.

3. Di conseguenza: “Non c’è nessuno che cerchi Dio” (11b) veramente. Anche se alcuni potrebbero essere considerati “persone religiose”, essi sono incurvati su sé stessi e hanno per punto focale solo l’essere umano e non Dio. Sono solo “umanisti religiosi”, antropocentrici. Come disse Gesù, Dio lo si deve adorare “in spirito e verità”. Lo si deve cercare con tutto il cuore, con serietà, diligenza e costanza. Non così l’uomo o la donna come oggi si manifesta. Calvino a questo riguardo diceva: “Vuoto è l’uomo in cui non c’è la conoscenza di Dio, qualunque altra scienza possieda; sì, le scienze e le arti, che in sé stesse sono buone, sono cose vuote, quando sono prive di questa base”. Senza il punto di riferimento di Dio tutto perde senso e diventa incomprensibile.

4. “Tutti si sono sviati” (12a), hanno deviato e sono incamminati (e non se ne accorgono) su un sentiero che li porterà alla perdizione. Hanno deviato dal sentiero della rettitudine. La Scrittura dice: “C’è una via che all’uomo sembra dritta, ma finisce per condurre alla morte” (Proverbi 14:12). Inevitabilmente, così, “Tutti quanti sono diventati inutili” (12b), cioè privi di utilità. Da essi non se ne può trarre profitto alcuno come certi politicanti che, sebbene eletti, si sono dimostrati infedeli alle loro promesse e si sono lasciati corrompere e ricattare. Qui la metafora è presa dalla carne puzzolente, contaminata e corrotta, e quindi buona a nulla. Tali persone, essendo corrotte dal peccato, non sono di alcuna utilità, servizio e vantaggio a Dio, agli uomini o a sé stessi; ma, al contrario, sono nauseanti per Dio stesso e di tutto ciò che è buono, e dannosi per se stessi e per gli altri.

5. Ne consegue che: “Non c’è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno” (12b). Non c’è nessuno che possa fare il bene in modo spirituale, senza la grazia di Dio, la forza di Cristo e l’assistenza dello Spirito; e non c’è nemmeno una persona spirituale che possa fare il bene perfettamente, e senza peccato”. Il criterio di ciò che sia da considerarsi il bene è la Legge suprema di Dio e senza piena conformità ad essa “il bene” che noi possiamo fare è sempre difettoso, inadeguato, parziale, insoddisfacente.

6. “La loro gola è un sepolcro aperto; con la loro lingua tramano inganni” (13a). Al riguardo Calvino commenta: “[l’uomo è] così chiamato, per la sua voracità e insaziabilità; sia come strumento di parola, perché le parole degli empi sono divoratrici; e come strumento di deglutizione, e quindi può denotare l’ardente desiderio del peccatore per il peccato, il piacere e il piacere che ne trae, l’abbondanza di esso che ne assorbe e la sua insaziabile avidità per esso; allo stesso modo per il suo fetore disgustoso, la comunicazione degli uomini malvagi è corrotta; e poiché, come presso una tomba aperta, le persone possono cadervi dentro inconsapevoli ferendosi, così le cattive comunicazioni degli uomini malvagi, poiché corrompono le buone maniere, sono pericolose e dannose”. L’inganno è il parlare con adulazione, “… poiché ci sono adulatori nelle cose sacre e civili, ci sono adulatori di sé, adulatori di corte e predicatori adulatori, e tutti abominevoli (…) oppure la frase può designare il peccato di mentire, politicamente, ufficialmente, perniciosamente e religiosamente”. L’apostolo Giacomo scrive: “Così anche la lingua è un piccolo membro e si vanta di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco, che grande foresta incendia” (Giacomo 3:5).

7. Le metafore di questo testo aumentano la dose ancora: “C’è un veleno di aspidi sotto le loro labbra. La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza” (14-15). L’uomo naturale è diventato come un serpente velenoso: come ci si potrebbe, infatti, fidare di qualcuno? È come “allevare una serpe in seno” [3]. Il veleno in quanto tale, è latente e segreto, è sotto la lingua, dietro alle labbra. Esso stordisce e uccide insensibilmente, così fa la lingua malvagia, e ciò in modo mortale e incurabile. Se parlano bene, ingannano e mescolano veleno con le loro lusinghe; ma se tirano fuori ciò che hanno nel cuore, ne escono amarezza e maledizione, non ne esce quasi nulla se non imprecazioni. Tale è la triste corruzione del cuore. Ai Suoi avversari Gesù aveva detto: “Razza di vipere, come potete dire cose buone, essendo malvagi? Poiché dall’abbondanza del cuore la bocca parla” (Matteo 12:34).

8. Particolarmente pertinente alla condizione umana dalla Caduta in poi l’espressione che dice: “I loro piedi sono veloci a spargere il sangue. Sulle loro vie c’è rovina e calamità” (15-16). La violenza, la sopraffazione e la guerra sono così comuni a tutt’oggi anche nel mondo cosiddetto civilizzato, da spingere alcuni a dire: “Lo spirito della guerra ce l’abbiamo nel sangue, da sempre”. “I piedi” sono gli strumenti del movimento e dell’azione: e quando si dice che questi siano “rapidi nello spargere sangue”, denota la prontezza e l’entusiasmo nell’uccidere senza alcuno scrupolo creature innocenti; il che mostra la terribile malizia e l’odio che c’è in noi. Rovina e miseria “sono in tutte le loro vie” poiché è una rappresentazione di una ferocia oltre misura barbara, che produce solitudine e devastazione distruggendo ogni cosa ovunque prevalga”. Questo passaggio si trova in Isaia 59:7 e può essere interpretato: tutti i modi che prendono e i metodi che perseguono servono a rendere infelici i loro simili, a rovinarli e distruggerli; o passivamente, che a causa dei loro modi peccaminosi e del corso vizioso della vita, essi stessi sono portati alla distruzione e alla miseria: la via che stanno seguendo è “la via ampia, che conduce alla distruzione” (Matteo 7:13). Ovvio così come “non hanno conosciuto la via della pace” (17). L’umanità è costantemente in guerra contro Dio e contro i propri simili: sono così abituati alle saccheggi, agli atti di violenza e di ingiustizia, alla ferocia e alla crudeltà, che non conoscono la via che porta alla pace, benché tanto ne parlino.

9. Infine: “Non c’è timor di Dio davanti ai loro occhi” (18). Giovanni Calvino così lo commenta: “… ogni malvagità scaturisce dal disprezzo di Dio: poiché la parte principale della sapienza è il timore di Dio, quando noi ci allontaniamo da ciò, in noi non rimane nulla di giusto o di puro. Insomma, come è un freno per frenare la nostra malvagità, così, quando viene a mancare, ci sentiamo liberi di indulgere ad ogni sorta di licenziosità (…) con queste parole viene descritto il carattere degli uomini, affinché possiamo vedere cosa è l’uomo abbandonato a sé stesso; poiché la Scrittura testimonia che in questo stato si trovano tutti coloro che non sono rigenerati dalla grazia di Dio. La condizione dei credenti in Cristo non sarebbe migliore se non fosse corretta in loro questa depravazione: e affinché ricordino ancora che non differiscono per nulla dagli altri per natura, trovano nei residuati della loro carne (dalla quale sono sempre circondati) i semi di quei mali, che produrrebbero costantemente frutti, se non fossero impediti dalla mortificazione; e di questa mortificazione sono debitori alla misericordia di Dio e non alla propria natura. Possiamo aggiungere che, sebbene tutti i vizi qui enumerati non si riscontrano in modo evidente in ogni individuo, tutto ciò è potenzialmente presente in noi”.

Come svuotare il vaso di Pandora…

Tutto questo è forse ingiustamente “pessimista” sulla natura umana? No, è realista, corrisponde alla verità, perché questa è esattamente la diagnosi che Dio stesso fa di noi nella Sua Parola. Più avanti l’apostolo Paolo esclamerà ciò che pure potrebbe essere la nostra stessa esclamazione: Misero me uomo! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Romani 7:24). Buona domanda, nevvero? La risposta può solo essere trovata nell’annuncio dell’Evangelo, la buona notizia della grazia di Dio in Gesù Cristo per chiunque veracemente si affidi a Lui, alla Sua opera rigeneratrice. Difatti l’esclamazione dell’Apostolo prosegue dicendo: “Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” (Romani 7:25).

È il Salvatore Gesù Cristo che ci incammina a ristabilire in noi il “timore di Dio” che abbiamo perduto. Timore di Dio non è “paura” ma un affetto reverenziale verso Dio, quello che diventa peculiare nei figli di Dio, che scaturisce da un senso di bontà divina, è accompagnato da santità di cuore e di vita, è coerente con la fede, anzi con piena certezza di essa, e con gioia spirituale nel suo grado più alto. Esso si oppone all’orgoglio e alla superbia, e si manifesta in vero amore verso i nostri simili. Tutto questo è una benedizione del Patto di Grazia. Esso non si trova nelle persone non rigenerate, perché scaturisce dalla grazia, e non dalla natura, ed è radicato solo nel cuore nella conversione operata dallo Spirito Santo di Dio in noi. Solo questo potrà svuotare e ripulire “il vaso di Pandora” da tutto il suo orribile contenuto. Che tipo di “vaso” sono io? Che tipo di “vaso” siete voi? L’apostolo dice a coloro che sono stati purificati in Cristo: “Se dunque uno si conserva puro da quelle cose, sarà un vaso nobile, santificato, utile al servizio del padrone, preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 2:21).

Paolo Castellina, 23 settembre 2023

Note

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Pandora 

[2] Confessione di fede di Westminster, 6:4. https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Confessioni_di_fede/Westminster/Confessione_di_fede/cfw06 

[3] Il curioso detto trae origine da una favola di Esopo che narra di un contadino che nel corso dell’inverno trovò una serpe intirizzita e mezza morta dal freddo; avendone avuto pietà la raccolse e se la mise in seno per riscaldarla; la serpe, una volta ripresasi grazie al tepore del corpo dell’uomo, morse il suo benefattore uccidendolo con il suo veleno. Il contadino prima di morire disse: “Ho quello che mi merito, poiché ho avuto compassione di quella creatura definita da tutti malvagia“.[4] Tutte le citazioni da Giovanni Calvino sono tratte dal suo commentario a questo brano. È accessibile (in lingua inglese) in: https://www.studylight.org/commentaries/eng/cal/romans-3.html