Domenica 10 ottobre 2021 – ventesima domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmo 22:1-15; Giobbe 23:1-9, 16-17; Ebrei 4:12-16; Marco 10:17-31
L’utilitarismo oggi prevalente
“Che cosa ci guadagno? Quanto ne ricavo? Che profitto ne avrò?”: questo sembra essere l’unico criterio che riesce a smuovere oggi le persone a fare qualcosa. Spesso lo si insegna pure ai bambini insegnando loro l’ubbidienza sulla perversa base della retribuzione. Quest’idea riflette la filosofia dell’utilitarismo che indica nell’utilità il criterio dell’azione morale e il fondamento dei valori. Già presente nel mondo greco, si definisce tuttavia nel diciottesimo secolo dove era stata definita la teoria del «calcolo» dell’utilità immediata e futura delle azioni e della estensione o «massimizzazione» del piacere così che i piaceri ricercati dal singolo possano promuovere la felicità generale. Non sono pochi quelli che pure valutano la religione nella stessa ottica. La praticano valutando solo “quanto ce ne ricavino”. Se sia vera oppure no e se promuova la gloria di Dio non entra per loro in conto. Si tratta di una concezione antropocentrica, cioè che ha in vista solo l’essere umano e “se serve”.
Gesù mette alle strette un utilitarista
Una tale concezione non ha a che vedere con il cristianesimo autentico. Un giorno il Signore e Salvatore Gesù Cristo incontra un uomo bene intenzionato che gli fa la domanda: “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Che cosa gli risponde Gesù? Ascoltiamolo dalla lettura di Marco 10:17-31 e poi analizzeremo questo stesso traendone delle considerazioni.
“Or com’egli usciva per mettersi in cammino, un tale accorse e inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: Maestro buono, che farò io per ereditare la vita eterna? E Gesù gli disse: Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Iddio. Tu sai i comandamenti: Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dir falsa testimonianza; non far torto ad alcuno; onora tuo padre e tua madre. Ed egli rispose: Maestro, tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia giovinezza. E Gesù, guardatolo in viso, l’amò e gli disse: Una cosa ti manca; va’, vendi tutto ciò che hai, e dàllo ai poveri, e tu avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché avea di gran beni. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: Quanto malagevolmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio! E i discepoli sbigottirono a queste sue parole. E Gesù da capo replicò loro: Figliuoli, quant’è malagevole a coloro che si confidano nelle ricchezze entrare nel regno di Dio! È più facile a un cammello passare per la cruna d’un ago, che ad un ricco entrare nel regno di Dio. Ed essi vie più stupivano, dicendo fra loro: Chi dunque può esser salvato? E Gesù, riguardatili, disse: Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché tutto è possibile a Dio. E Pietro prese a dirgli: Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguitato. E Gesù rispose: Io vi dico in verità che non v’è alcuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figliuoli, o campi, per amor di me e per amor dell’evangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figliuoli, campi, insieme a persecuzioni; e nel secolo avvenire, la vita eterna. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi, primi” (Marco 10:17-31).
“Or com’egli usciva per mettersi in cammino”, si può meglio tradurre con “Mentre Gesù usciva per la via” (NR). “La via” nei vangeli è come una frase “in codice” per indicare la “destinazione” verso la quale Gesù camminava: la Sua morte sacrificale in croce. I Suoi discepoli non lo comprendevano ancora. Pensavano ad un Suo trionfo mondano. Lui, però, non era venuto “per esser servito, ma per servire, e per dar la vita sua come prezzo di riscatto per molti” (10:45). Si tratta di un accento che viene messo a confronto nel vangelo con le diverse aspirazioni di un aspirante discepolo che cerca “la vita”, quel tale che era corso ad inginocchiarsi davanti a lui quel giorno. Ironicamente, infatti, proprio mentre Gesù sta andando a Gerusalemme per morire, quest’uomo chiede come vivere per sempre… Gesù è in cammino per dare la vita, ma quest’uomo chiede come “ricevere” la vita. Solo di recente Gesù aveva detto: “Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor di me e del Vangelo, la salverà” (8:35).
Quel tale gli chiede così: “Maestro buono, che farò io per ereditare la vita eterna?” (17). E Gesù gli risponde: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Iddio” (18). E’ qui sorprendente come Gesù gli faccia quella osservazione per averlo chiamato “Maestro buono”. L’uomo arriva di corsa – sente l’urgenza di ricevere consigli da Gesù – si inginocchia per porre la sua domanda. Nulla nei suoi modi suggerisce che sia disonesto o che stia cercando di intrappolare Gesù. Il versetto 21 ci dice che Gesù lo ama, lo apprezza. Tuttavia, gli ebrei capiscono che solo Dio può essere considerato “buono” ed evitano di usare questo aggettivo per le persone per timore che si rendano colpevoli di bestemmia. Si tratta di una lusinga o di una confessione di fede da parte sua? Gesù vuole accertarsene. Gesù è, sì, buono, ma indica a quest’uomo le prerogative di Dio.
Quel tale era un uomo integro e giusto e magari voleva solo da Gesù una conferma del premio che era sicuro di ricevere per la sua condotta integra. Il premio che egli cerca, “la vita eterna”, è citato frequentemente nel Vangelo di Giovanni. La frase più comune in Marco, però, è “entrare nel regno di Dio” (24-25). I discepoli invece di “vita eterna” o “regno di Dio”, dicono: “Chi dunque può esser salvato?”.
L’uomo chiede così cosa debba fare per “ereditare” la vita eterna. Essendo un uomo benestante, ricco, comprende cosa siano le eredità terrene, considerate la rimunerazione di Dio per una vita giusta. Le Scritture ebraiche usano spesso la parola “ereditare” o “eredità” in relazione a Dio e al popolo di Dio, e gli israeliti a volte compromettevano tale eredità a causa dei loro peccati ricorrenti. Ora vuole conoscere cosa deve fare per ereditare la vita eterna, una vita che si estenda oltre l’attuale esistenza. Quali ne sono i requisiti? Cosa deve fare?
Se quello che dice l’uomo al versetto 20 è vero, come potrebbe essere, sta già facendo le cose giuste, ma, come si vedrà più avanti, …per le ragioni sbagliate. È meno interessato a servire Dio in quanto tale che a capire come Dio possa retribuirlo. Segue forse la volontà di Dio solo per ottenerne un beneficio o perché Dio dev’essere onorato in quanto tale, indipendentemente da ciò che l’uomo potrebbe ricavarne? La domanda di quel tale rivela anche come egli abbia frainteso il rapporto tra le proprie opere e la grazia di Dio. Non può raggiungere la vita eterna in virtù delle proprie azioni, per quanto virtuose. Con Dio il discorso sui “meriti” è rischioso. Ha bisogno piuttosto di riconoscere i suoi deficit spirituali e cercare la grazia di Dio.
Dio è stato indubbiamente generoso con quest’uomo, e l’uomo chiede come assicurare la continua generosità di Dio. È ricco in questa vita e vuole estendere la sua prosperità nell’eternità. La sua risposta al versetto 20 mostra che egli conosce di fatto la risposta tradizionale alla sua domanda e si sta già adeguando ai requisiti della dottrina stabilita. Forse è ansioso di assicurarsi di non aver fallito in qualche punto sconosciuto. Forse cerca rassicurazioni. Forse sta solo cercando una pacca sulla spalla: “Continua così!” In ogni caso, possiamo essere certi che non si aspetta che Gesù gli imponga una nuova significativa esigenza.
Quali sono i comandamenti più importanti?
Gesù, così gli risponde: “Tu sai i comandamenti” (19). Siete sorpresi di udire Gesù congiungere l’ubbidienza ai comandamenti con la vita eterna? Gesù non ha forse inaugurato la dispensazione della grazia? La fede non vince forse sull’obbedienza alla legge? Si, ma i comandamenti di Dio rimangono espressione importante ed essenziale di una fede autentica. Gesù qui cita cinque comandamenti, quelli della seconda tavola del Decalogo – e uno che non fa parte dei dieci originari – tutti riguardanti i rapporti umani: “Non uccidere” (v. 19) è il sesto comandamento (Esodo 20:13). “Non commettere adulterio” è il settimo comandamento (Esodo 20:14). “Non rubare” è l’ottavo comandamento (Esodo 20:15). “Non dire falsa testimonianza” è il nono comandamento (Esodo 20:16). “Non frodare” non fa parte in quanto tale dei Dieci Comandamenti. Gesù lo sostituisce a “Non desidererai” – il decimo comandamento (Esodo 20:17). Ha senso che lo faccia, perché è meno probabile che un uomo ricco desideri i beni degli altri piuttosto che frodare le persone alla ricerca di ulteriore ricchezza.
Così l’uomo replica: «Maestro, tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia giovinezza» (v. 20). Gesù non contesta la sua risposta. E’ stato sicuramente meticoloso e crede di aver osservato i comandamenti. Notate, tuttavia, che Gesù non ha menzionato i primi quattro comandamenti che riguardano i nostri doveri verso Dio, quindi l’uomo non ha affermato di obbedirli. Li prende forse per scontati? Possono esserlo, però?
I comandamenti da uno a quattro hanno a che fare con la nostra relazione con Dio. Il decimo comandamento, “Non desidererai”, a prima vista, sembra avere a che fare con i rapporti umani, ma riflettiamo. Concupire beni materiali significa dare ad essi grande importanza, lasciare che riempiano i nostri cuori, permettere loro di riempire lo spazio di Dio nella nostra vita. In un certo senso, una violazione del decimo comandamento è anche una violazione del primo e del secondo comandamento: fare dei beni materiali e del proprio “interesse” una sorta di dio, che diventa più importante del Dio vero e vivente.
Quindi sembra che, nel versetto 19, Gesù abbia elencato solo i comandamenti che questo ricco avrebbe trovato facili. L’uomo dice di averli osservati, e potrebbe averlo fatto, ma i comandamenti che hanno a che fare con le relazioni con Dio rappresentano un livello più alto di discepolato, uno in cui quest’uomo è oggettivamente carente. Ora, Gesù dice all’uomo cosa deve fare per conformarsi al primo e al secondo comandamento.
Certo, quell’uomo è sincero, difatti: ”Gesù, guardatolo in viso, l’amò”. Egli era, però, carente della cosa più importante, che Gesù rileva con una richiesta provocatoria: “Una cosa ti manca; va’, vendi tutto ciò che hai, e dàllo ai poveri, e tu avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi” (21). Questa è una richiesta particolarmente scioccante in una cultura che presumeva che le ricchezze costituissero l’approvazione da parte di Dio della vita della persona benestante. Quest’uomo probabilmente aveva attraversato la sua vita credendo di essere gradito a Dio e che le sue ricchezze lo dimostrassero.
Questa chiamata è anche scioccante se confrontata con altre chiamate al discepolato nei Vangeli. Nella maggior parte dei casi, Gesù chiamava le persone dicendo semplicemente: “Seguimi!”. Gesù non chiede ai pescatori di vendere le loro barche o abitazioni (1:17). Simone e Andrea avevano la loro casa a Cafarnao (1:29). Marta e Maria possedevano una casa (Luca 10:38). Non si fa menzione di Levi, l’esattore delle tasse, che pure aveva dovuto rinunciare ai suoi guadagni illeciti (2:14). Diverse persone ricche erano diventate discepoli senza spogliarsi delle loro ricchezze.
Perché allora Gesù dovrebbe esigere un tale sacrificio da quest’uomo? Come rivela questo racconto, la ricchezza di quest’uomo era molto importante per lui, persino più importante della vita eterna, a meno che non presuma di poter ottenere la vita eterna senza vendere la sua proprietà. La sicurezza offerta dai beni materiali ci tenta di confidare nei beni piuttosto che in Dio. Ma questa storia segue subito dopo la storia dei bambini in cui Gesù disse: «In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un piccolo fanciullo, non entrerà punto in esso» (10 :15). L’uomo ricco è molto diverso da quei bambini. Erano poveri, ma lui è ricco. Loro erano dipendenti, ma lui no. Non avevano status o potere, ma lui ha entrambi. Non avevano alcuna sicurezza a parte da coloro che si prendevano cura di loro, ma il ricco è abbastanza sicuro di per sé. Forse Gesù sta semplicemente chiedendo al ricco di diventare come un bambino davanti a Dio, di spogliarsi di quelle cose che gli danno sicurezza in modo che possa trovare la sua sicurezza solo in Dio. È possibile, quindi, che Gesù abbia adattato l’esigenza di vendere tutto specialmente per quest’uomo, per soddisfare i suoi particolari bisogni spirituali. Non dobbiamo però immaginare che Gesù non ci chiederà qualcosa di altrettanto difficile. Dipende: Dio e lo stesso Gesù sono per noi il valore supremo?
“Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché avea di gran beni” (v. 22). L’uomo è rimasto scioccato dal cartellino del prezzo che Gesù ha messo sulla vita eterna. Anche noi dovremmo essere scioccati quando ascoltiamo questo racconto. L’unica grazia a buon mercato è per i bambini che non hanno nulla da dare (10:13-16). Il resto di noi può aspettarsi che Gesù faccia richieste dolorose. Chi o che cosa per noi è più importante?
Una questione di priorità
Di fronte a questo fatto i discepoli stessi di Gesù comprendono, e, perplessi, si spaventano. Era stato loro insegnato che la ricchezza è un segno dell’approvazione di Dio, quindi come può essere difficile per una persona ricca entrare nel regno di Dio? Come fa spesso, Gesù capovolge il pensiero religioso convenzionale: capovolge ogni cosa. Non c’è da stupirsi che i discepoli siano perplessi.
“Figliuoli, quant’è malagevole a coloro che si confidano nelle ricchezze entrare nel regno di Dio! È più facile a un cammello passare per la cruna d’un ago, che ad un ricco entrare nel regno di Dio. Ed essi vie più stupivano, dicendo fra loro: Chi dunque può esser salvato?”. Gesù qui sta usando un linguaggio iperbole, qualcosa di esagerato, per arrivare ad un punto preciso. Invece di prendere l’immagine alla lettera, prendiamola sul serio. È una parola di giudizio, non solo per quel ricco, ma per tutti noi che abbiamo molti beni o cose molto importanti che di fatto superano il valore che dobbiamo dare solo a Dio.
I discepoli fanno la domanda ovvia: “Allora chi può essere salvato?” (v.26). Se questo uomo onesto, timorato di Dio e rispettoso della legge, che Dio ha benedetto con ricchezze, non può essere salvato, chi può? “E Gesù, riguardatili, disse: Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché tutto è possibile a Dio”. A parte la grazia, quest’uomo onesto, timorato di Dio e rispettoso della legge non ha speranza. Solo per grazia di Dio c’è la possibilità che possa entrare nel regno di Dio. Lo stesso vale per tutti noi. La nostra sfida è accettare il nostro status di “bambini” davanti a Dio, senza un soldo e senza speranza se non per la grazia di Dio. Né la perfetta partecipazione al culto, né il servizio nell’alto ufficio ecclesiastico, né l’ordinazione, né la decima, né nulla che possiamo fare può salvarci senza la grazia di Dio.
Questo testo ci ammonisce non solo sulla seduzione del denaro e dei beni di questo mondo, ma su tutto ciò che pensiamo che ci faccia “ricchi” e che non siano gli eterni tesori celesti, Dio stesso, il servizio di Dio e della causa del Suo Cristo.
Il seguito del racconto rivela la preoccupazione dei discepoli che pure essi si sentono sfidati. Hanno sacrificato tutto per seguire Gesù. Dicono: “Riceveremo qualche ricompensa?”. Sì, e non solo in un lontano futuro o “nell’aldilà”, ma “quaggiù” e in abbondanza – ma non necessariamente nei termini che ci aspetteremmo! “Gesù rispose: Io vi dico in verità che non v’è alcuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figliuoli, o campi, per amor di me e per amor dell’evangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figliuoli, campi, insieme a persecuzioni; e nel secolo avvenire, la vita eterna. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi, primi”. Magari non saranno i nostri parenti di sangue, ma fratelli e sorelle in fede: Magari non le nostre attuali proprietà, ma beni condivisi. Sicuramente anche difficoltà, persecuzioni, ma ne vale sempre la pena, se è per la sola gloria di Dio e l’avanzamento del Suo Regno in Cristo.
Vale sempre quel che ci dice Gesù: “Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte” (Matteo 6:33). Prima di tutto noi dobbiamo cercare la gloria e l’onore di Dio, il trionfo della verità della Sua legge di giustizia, quand’anche noi non ne ricevessimo alcuna utilità. Ne avremo indubbiamente i vantaggi, ma solo come conseguenza. Qual è il nostro, il vostro, atteggiamento al riguardo? Da che cosa dobbiamo ravvederci al riguardo?
Paolo Castellina, 3 ottobre 2021
Introduzione alle letture bibliche di questa domenica
Letture bibliche: Salmo 22:1-15; Giobbe 23:1-9, 16-17; Ebrei 4:12-16; Marco 10:17-31
Introduzione alle letture
Non parla e dà consigli dall’alto di una comoda situazione di privilegio, ma è venuto in mezzo a noi soffrendo in prima persona le nostre infermità e tentazioni. Può quindi simpatizzare pienamente con le nostre infermità, rafforzarci e tirarcene fuori. Di chi si tratta? Del Signore e Salvatore Gesù Cristo, le cui sofferenze ed opera salvifica era stata ampiamente preannunciata nelle Scritture ebraiche, e delle quali troviamo un impressionante esempio nel Salmo 22 ed una prefigurazione nelle espressioni di Giobbe 23. Questa verità viene evidenziata nella lettera agli Ebrei quando dice: “Perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare”. Quest’ultimo testo mette anche in evidenza quanto sia “tagliente” ed efficace la Parola di Dio, allorché essa denuncia e colpisce atteggiamenti biasimevoli dei quali spesso neanche noi stessi siamo consapevoli. Lo faceva il Signore Gesù – così come vediamo nella lettura dal vangelo secondo Marco, dove Egli – di fronte ad una bene intenzionata persona religiosa, con una richiesta provocatoria, rivela come il suo cuore non fosse a posto perché, di fatto, al di sotto della sua moralità e religiosità esteriore, nascondeva un cuore non veramente consacrato a Dio ma ai beni di questo mondo.
Musiche utilizzate nel culto
- Thine Be the Glory – The Presbyterian Piano
- Inno 52 (IC) Il Signore è il mio pastore
- Il giovane ricco (La Tenda di Davide)
- Preludio in D Minor BWV 940 (J.S. Bach) – Ramiro Schiavoni
- Minuet Trio in G Minore BWV 929 (J.S. Bach) – Ramiro Schiavoni
- Kyrie Eleison – Gen Rosso, Gen Verde
- Padre nostro – Gen Rosso, Gen Verde
- Pace sia, pace a voi – Gen Rosso, Gen Verde