Domenica 14 Marzo 2021 – Quarta domenica di Quaresima
Testi biblici:Salmo 107:1-3, 17-22; Numeri 21:4-9; Efesini 2:1-10; Giovanni 3:14-21
In molti locali di culto di chiese evangeliche, in alto, di fronte a tutti, vi è la scritta: “Noi predichiamo Cristo crocifisso”. Più comunemente, nella maggior parte delle chiese, pure troneggia il simbolo di una croce, che proclama lo stesso messaggio. Una croce è pure comunemente innalzata sulla sommità di campanili e tetti di edifici ecclesiastici. Innalzare la croce di Cristo rimane a tutt’oggi, per il mondo, “scandalo e follia”. Nei regimi dittatoriali, il simbolo della croce viene sistematicamente abbattuto: lì nulla in alcun modo deve sfidare l’autorità suprema dello stato e di chi lo guida. Una croce innalzata non viene spesso tollerata, con vari pretesti, neppure in paesi “liberali” dove il laicismo viene imposto con la forza. I cristiani, però, insistono a innalzare il Signore e Salvatore Gesù Cristo non solo “nel loro cuore”, ma anche pubblicamente. Farlo, per loro, è un dovere indiscutibile. Perché? Perché “bisogna” che Egli sia innalzato e non c’è nessuna conclamata “correttezza politica” che ce lo possa impedire. Questa necessità è espressamente prescritta nel vangelo secondo Giovanni al capitolo 3 dal versetto 14 al 21. Ascoltate:
“E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Giovanni 3:14-21).
I.
Questo testo è una parte di ciò che Gesù dice a Nicodemo, un capo dei Giudei, fariseo, che viene da Gesù una notte perché vuole saperne di più, direttamente, su cosa Gesù insegni. E’ in quella circostanza che Gesù gli parla della necessità di “nascere di nuovo”, di una personale rigenerazione spirituale come indispensabile premessa per poter “vedere il regno di Dio”. Come può avvenire? Guardando con fede il Cristo innalzato. A questo riguardo, Gesù fa un paragone con quanto era avvenuto nella storia di Israele quando il popolo di Israele, in marcia verso la terra promessa, si ritrova l’accampamento infestato da serpenti velenosi che mordono e uccidono molti fra loro. Questo avvenimento è raccontato nel libro dei Numeri 21:4-9. Mosè, che li guidava, aveva loro spiegato che questa disgrazia era loro avvenuta perché essi avevano commesso il peccato di lamentarsi a gran voce che, rispetto a quanto avevano in Egitto nonostante la loro schiavitù, in quel deserto non avevano abbastanza da mangiare. Sarebbero stati salvati però dal veleno di quei morsi se solo avessero confessato il loro peccato e guardato verso un serpente di bronzo che Dio stesso aveva istruito Mosè di innalzare simbolicamente su un palo nel mezzo dell’accampamento. Chiunque lo avesse guardato sarebbe stato risanato, avrebbe ricevuto “nuova vita”. Un avvenimento per noi misterioso, certo, ma pure un’illustrazione efficace. Gesù gli dice: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (14-15).
Il parallelo fra quell’antico racconto e la vicenda di Gesù assume diversi aspetti. (1) Le persone correvano il pericolo di morire a causa del loro peccato. (2) Dio fornisce l’agente di salvezza: il serpente di bronzo nel primo racconto e “il Figlio dell’uomo”, Gesù, nel secondo. (3) L’agente di salvezza è innalzato su un legno. (4) Le persone trovano la loro salvezza guardando con fede ciò che Dio aveva disposto per renderla effettiva.
Tuttavia, ci sono due differenze significative: (1) Il serpente di bronzo era solo un pezzo di bronzo che non aveva alcun potere salvifico in sé stesso. Quando gli israeliti avevano iniziato a fare offerte al serpente di bronzo, trattandolo come un idolo, il re Ezechia lo fa distruggere (2 Re 18:4). Gesù, tuttavia, è investito di potere salvifico ed è degno della nostra adorazione. (2) Guardare con fede il serpente di bronzo “innalzato” avrebbe solo prolungato la vita degli israeliti. Guardare Gesù con fede “innalzato” ci dà una vita dal carattere eterno.
Il termine “innalzato” ha molteplici significati in questo Vangelo. Si riferisce alla croce di Gesù, ma si riferisce anche alla sua risurrezione / ascensione / glorificazione. Gesù sarà innalzato sulla croce, il grande sacrificio pasquale; risorgerà il terzo giorno, sconfiggendo la morte. La sua croce e la sua risurrezione / ascensione sono aspetti diversi della Sua glorificazione.
“…perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (15a). Quel “chiunque” rende pas, cioè “tutti” e serve come indicatore per Nicodemo che la salvezza avrebbe interessato non solo gli israeliti, ma anche persone di ogni nazione, fatto che Gesù rende più esplicito più avanti (16). L’autore di Ebrei definisce la fede come “certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono” (Ebrei 11: 1). La fede consente alle persone di vivere con sicurezza in ogni circostanza. Fondamentale, però, è la persona nella quale si ripone la nostra fede. C’è chi ripone la sua fede, come soluzione di ogni problema, nello stato, altri nell’appartenenza ad un’istituzione ecclesiastica o in un sistema politico. Questo può portare a risultati catastrofici. La promessa che Gesù fa in questi versetti è per coloro che credono in Lui – che Lo seguono con fiducia come Suoi discepoli, che trovano la loro speranza nelle sue promesse.
Che cosa significa, però, “vita eterna” (15b). Questa è la prima menzione della vita eterna in questo Vangelo, dove è menzionata diciassette volte, quindici da Gesù stesso. Anche la parola vita, che spesso ha lo stesso senso, vi compare frequentemente. Il termine greco aionios (tradotto con “eterno, vita eterna”) letteralmente significa età, un periodo di tempo, come pure “età a venire” (la vita di risurrezione). Nel Vangelo di Giovanni, Dio concede la vita eterna al credente già nel presente (Giovanni 3:36; 5:40). Questo lo chiamiamo “escatologia realizzata”, sottolineando come la vita eterna sia una realtà presente per coloro che si affidano al Salvatore Gesù Cristo. Si tratta di una realtà che comincia nel presente e che si compirà perfettamente nel futuro. “Vita eterna” è soprattutto una qualità della vita vissuta alla presenza di Dio: quel che più conta. Più tardi, nella sua preghiera, Gesù definirà così la vita eterna: “questa è la vita eterna, che conoscano te, il solo vero Dio, e Gesù Cristo che tu hai mandato” (17: 3).
II.
Il testo, poi, giunge a quello al versetto oggi più citato dell’intero Nuovo Testamento, un “Evangelo in miniatura”: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Si tratta di un’affermazione sorprendente data la visione generalmente negativa del kosmos (mondo) in questo Vangelo: (1) Il kosmos (mondo) è venuto all’esistenza tramite la Parola, ma il kosmos non l’ha conosciuta (1: 9). (2) L’Agnello di Dio è venuto per togliere i peccati del kosmos (1:29). Dio ama il kosmos e ha inviato Suo Figlio per salvare il kosmos (3:16-17) —ma il popolo del kosmos “ha amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvagie” (3:19). (3) Gesù ha dato la sua carne come pane per la vita del kosmos (6:51), ma il kosmos lo odia perché Egli testimonia di lui, che le sue opere sono malvagie” (7: 7). (4) I discepoli di Gesù sono “di questo kosmos” ma Gesù “non è di questo kosmos ” (8:23). (5) Gesù è entrato in questo kosmos per fare un giudizio (9:39). Tuttavia, i farisei sono gelosi di Lui perché “il kosmos gli va dietro (a Gesù)” (12:19). (6) Il kosmos non può ricevere lo Spirito della verità, “perché non lo vede e non lo conosce” (14:17). (7) Gesù prega per i suoi discepoli, che devono rimanere nel kosmos mentre Gesù ritorna al Padre (17:11 ss.). Il regno di Gesù “non è di questo kosmos” (18:36).
Come poteva Dio amare un mondo del genere? Lutero disse: “Se fossi come il nostro Signore Dio, e queste persone vili fossero disobbedienti come lo sono ora, farei a pezzi il mondo”. Il miracolo è che Dio non lo fa! Dio manda il Figlio “affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna”. La motivazione di Dio è l’amore e l’obiettivo di Dio è dare la grazia della salvezza dal peccato e dalle sue conseguenze a chi, essendosene ravveduto, ripone in Lui solo la sua fede.
Che Dio voglia fare questo anche per tutte le altre nazioni, per Nicodemo è stupefacente e inaudito. Capisce che Dio ama Israele, il popolo eletto di Dio, ma trovava difficile credere che Dio amasse “il mondo”. La formulazione di questo versetto è molto simile a quella della storia di Abrahamo, a cui Dio ha comandato: “Prendi ora tuo figlio, il tuo unico figlio, colui che tu ami, Isacco, va’ nel paese di Moriah e là offrilo in olocausto sopra uno dei monti che io ti dirò” (Genesi 22:2). Abrahamo si era preparato a obbedire a questo comando, ma un angelo di Dio gli impedisce di sacrificare suo figlio. Dio, tuttavia, non si risparmia. Il dono di suo Figlio Gesù Cristo da parte di Dio inizia con l’incarnazione, ma esige la croce.
Sarebbe stato molto meno costoso se Dio avesse ignorato i peccati del mondo ed avesse consentito alle persone di vivere nelle tenebre. Quello sarebbe stato non amore, ma apatia. Pensiamo a dei genitori. Costa loro molto di più in termini di tempo ed energia sorvegliare un bambino piuttosto che lasciarlo correre. Alcuni genitori preferiscono non costringere il loro bambino, ma quello che sembra essere un dono di libertà invece mette a repentaglio il benessere del bambino. Non è una politica di laisser-faire che dimostra amore, ma una volontà di fare i sacrifici necessari per mantenere il bambino al sicuro. Dio ha fatto proprio un tale sacrificio mandando il Figlio a salvare il mondo.
III.
La terza parte del testo dice poi: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
“Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. Questo versetto afferma lo scopo di Dio nell’inviare il Figlio. Non per “giudicare”, cioè condannare il mondo, ma per salvarlo.
Non arrischiamoci di prendere alla leggera il dono del Figlio di Dio! È stato un dono enormemente costoso per Dio, e ignoreremmo questo dono solo a nostro rischio e pericolo. Questo versetto sembra essere in conflitto con 9:39, dove Gesù dice: “Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio”. Non dovremmo immaginare, tuttavia, che Gesù sia venuto nel mondo per chiudere le porte del cielo. E’ venuto per tenere aperta la porta del regno di Dio in modo che coloro che vi entrano alle condizioni di Dio sarebbero stati salvati. La condanna è già operante in chi rifiuta di accogliere Cristo. Egli è come un salvagente che ci viene gettato: se lo rifiutiamo non ve ne saranno altri.
L’opera salvifica di Gesù rivela un lato oscuro della vita umana. Se è necessario che Dio mandi il Figlio a salvare il mondo, deve essere perché il mondo ha bisogno di essere salvato: è perduto. Se fossero “bastate” le religioni di questo mondo non lo avrebbe fatto. L’opera del Figlio è efficace solo attraverso il ravvedimento e la fede del peccatore. Giovanni la mette in questo modo: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (v. 18). Il nome di Gesù è l’equivalente greco dell’ebraico Giosuè, che significa “Yahweh (Dio) salva”. Il Nuovo Testamento dà a Gesù molti titoli (Cristo, Messia, Signore, Maestro, ecc.), ma Gesù (“Dio salva”) è il suo nome. Colui che non crede nel nome del Salvatore non ha accolto la salvezza offerta dal Salvatore e quindi “è già stato giudicato o condannato”.
Proprio come avevamo una chiara dichiarazione dello scopo di Gesù nel v. 16 – che è venuto per salvare il mondo – così ora abbiamo una chiara dichiarazione del problema: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (v. 19). Una persona del genere “odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere” (v. 20). Le immagini evocate da tale linguaggio sono sinistre ma fin troppo reali. Ci ricordano il pericolo delle strade buie – transazioni illecite compiute in luoghi fuori mano – persone vestite con abiti scuri per rendersi invisibili di notte. Sia la nostra storia che i nostri giornali sono pieni di esempi di persone che amano le tenebre perché le loro azioni sono malvagie. Il ventesimo secolo è stato pieno di esempi di mostruosi malvagi regimi e dittatori, responsabili degli omicidi di milioni di persone e sembrava che non ci fosse fine alla loro sete di sangue. Il ventunesimo secolo è giovane, ma ha già dimostrato che molte sono le persone che amano le tenebre piuttosto che la luce perché le loro azioni sono malvagie. Non verranno alla luce perché perseguono il male e odiano ciò che è buono.
Siamo riluttanti a giudicare le altre persone, ed è giusto che sia così. Non possiamo conoscere tutte le sfumature della vita di una persona, quindi è meglio lasciare il giudizio a Dio. La realtà, tuttavia, è che in ogni cuore si nasconde sicuramente amore per l’oscurità, segreti oscuri che preferiamo non rivelarli. C’è un certo senso in cui tutti noi viviamo nell’ombra.
Ed ecco il versetti finale del nostro brano: “Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (v. 21). Proprio come chi ama le tenebre compie opere malvagie (v. 19), così anche chi ama la luce compirà opere buone. L’immagine qui è una persona in pace con Dio che fa il suo buon lavoro senza ostentarlo, ma vive nella fede che le sue opere saranno “rivelate che sono state fatte in Dio”. La salvezza è disponibile solo attraverso la grazia, come un dono di Dio ricevuta con il ravvedimento e la fede in Cristo. Ma l’apostolo Giacomo dice che la fede genuina si tradurrà necessariamente in opere, e qualsiasi fede che non produce opere buone non è vera fede (Giacomo 2: 14-18). L’apostolo Paolo, pur sottolineando che non possiamo ottenere la salvezza con le nostre buone opere, dice anche: “Non sapete voi che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?” (1 Corinzi 6: 9). Ci ingiunge di vivere, non secondo i nostri desideri carnali, ma secondo lo Spirito, e dice che i frutti dello Spirito sono “amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, fede, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:22).
Noi innalziamo, dunque, il Cristo crocifisso, che per il mondo rimane “scandalo e follia” ma che è l’unica via di uscita da un mondo di tenebre che va verso la perdizione. E solo in ciò che Cristo ha compiuto morendo in croce che vi sono le basi dell’autentica rigenerazione del cuore umano e di conseguenza, della società. Non ci stancheremo di innalzare Cristo in privato ed in pubblico. Solo “innalzando il vessillo della croce” (come dice un famoso inno cristiano) essa attirerà persone alla salvezza eterna. Non c’è altra via. Qual è la vostra risposta di fronte ad essa?Paolo Castellina, 8 marzo 2021