Domenica 2 Aprile 2023 – Domenica delle Palme
Letture bibliche: Salmo 31:9-16; Isaia 50:4-9; Filippesi 2:5-11; Matteo 27:11-54
(Servizio di culto completo con predicazione, 60′)
(Solo predicazione, 30′)
Apprendere “la mente di Cristo”
La scorsa settimana, esponendo il messaggio di Romani 8:6-11 mettevamo in contrasto quella che l’Apostolo chiamava “la mentalità carnale” con la “mentalità spirituale”: la prima che “conduce alla morte” e la seconda che “conduce alla vita”. Abbiamo esaminato come sia importante per noi apprendere, acquisire, cioè far diventare nostra “la mente di Cristo”, il Suo modo di pensare e quindi di comportarsi. È parte essenziale del nostro processo di salvezza dal peccato e dalle sue nefaste conseguenze. “Noi abbiamo la mente di Cristo” (1 Corinzi 2:16) dicono gli apostoli ai primi cristiani. Questo “modo di pensare” essi lo promuovevano in tutti i loro scritti e lo troviamo espresso nel testo biblico di questa settimana, Filippesi 2:5-11, che inizia con la frase: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù”.
Tradurre questo come “sentimento” (cosa che avviene nella maggior parte delle versioni italiane), però, potrebbe sviarci, perché qui non si tratta, come potremmo supporre, di “sentimento” inteso come stato emotivo più o meno stabile derivato da un moto interiore di marca positiva o negativa. No, si tratta, anche in questo caso, di “mentalità”, quella di Cristo. Lo testimoniano la gran parte delle versioni inglesi di questo testo: “Let the same mind be in you that was in Christ Jesus”. È l’esortazione a “pensare come Lui” (nell’originale greco: “Τοῦτο φρονεῖτε ἐν ὑμῖν ὃ καὶ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ”). La radice greca di φρονεῖτε cioè phroneo la si riscontra in italiano nei termini non comuni: “fronimo” che indica una persona saggia e prudente, e “sofronia” che indica moderazione e autodisciplina, come pure, in negativo, in “schizofrenia” (una divisione o una frattura della mente) o “frenesia” (un’agitazione mentale o una preoccupazione intensa).
In che cosa consiste “la mente di Cristo” questo testo ce la spiega affinché anche noi la si comprenda ed assuma. Leggiamolo:
“Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi, ma annichilì se stesso, prendendo forma di servo e divenendo simile agli uomini; essendo trovato nell’esteriore come un uomo, abbassò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte della croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Filippesi 2:5-11).
L’umiltà non è debolezza
Le nostre versioni bibliche di solito mettono come titolo a questo brano: “Cristo, esempio di umiltà”. C’è però, molto di più nella “mente di Cristo” che umiltà nel senso comune che diamo a questo termine. È vero che Paolo pure ha scritto: “… vi esorto per la mansuetudine e la mitezza di Cristo” (2 Corinzi 10:1) e che Gesù stesso pure dice: “Prendete su voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore e voi troverete riposo alle anime vostre” (Matteo 11:29), ma non si tratta affatto di “passività”!
Il mondo ha spesso considerato l’umiltà del cristiano come debolezza e servile sottomissione. Considerate, per esempio, il pensiero di un filosofo come Friedrich Nietzsche (1844-1900) come traspare nella sua opera (postuma) “La volontà di potenza”. Nietzsche sosteneva (cosa spesso condivisa oggi) che il cristianesimo avesse promosso una morale malata che ha indebolito l’uomo e lo ha reso dipendente da un’illusione di salvezza divina. Egli riteneva che il cristianesimo avesse generato una cultura della negazione, che avesse negato il valore della vita terrena in favore di un’altra vita futura, e promosso una visione debole e passiva dell’esistenza. Nietzsche criticava inoltre l’idea cristiana di peccato e redenzione, che considerava una forma di autosvalutazione dell’umanità. Secondo Nietzsche, il concetto di peccato sarebbe stato introdotto dal cristianesimo per negare il valore della vita e per imporre un’idea di colpa e di inferiorità. Inoltre, Nietzsche riteneva che la visione cristiana della morale fosse una malattia dello spirito (!), che genera una cultura di negazione e di rifiuto della vita. Ecco alcune sue sprezzanti affermazioni: “La morale cristiana è una malattia dello spirito”; “Il cristianesimo ha corrotto l’intera cultura europea con la sua morale malata e la sua visione debole della vita”; “Il cristianesimo è una religione che ha reso gli uomini deboli, incapaci di affrontare la realtà senza illudersi”; “Il cristianesimo ha dato alla vita un valore negativo, ha fatto della sofferenza una virtù e della gioia un peccato”.
È così? Forse concezioni distorte di cristianesimo. In Gesù, però, mansuetudine e mitezza non vuole dire passività, disfattismo ed evasione dal mondo. Quello di Gesù è essenzialmente, rettamente inteso, un efficace programma di azione che si contrappone all’uso che i potentati di questo mondo fanno della violenza, della forza e della sopraffazione – cosa che, di fatto, è sempre fallimentare, distruttiva e autodistruttiva. Si è visto dove porti la via tracciata da Nietsche: pompando arroganza, presunzione e prevaricazione porta alle guerre mondiali di morte e distruzione.
Gesù non si è “aggrappato” al suo “essere uguale a Dio” (così com’era) per imporre la Sua autorità con l’uso della sopraffazione, della violenza e dell’inganno. Gesù non ha illuso l’essere umano promuovendo manie di grandezza. Gesù, infatti, respinge la strategia della forza come illusoria e controproducente. Lo vediamo nell’episodio evangelico delle tentazioni alle quali Gesù resiste. “Di nuovo il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io te le darò, se, prostrandoti, tu mi adori’” (Matteo 4:8-9). I potenti di questo mondo seguono i suggerimenti di Satana e causano solo morte e distruzione degli altri ed alla fine di sé stessi (l’obiettivo ultimo di Satana). Vera autorità e forza non distrugge, ma salva attraverso l’umile servizio, “spendendo” sé stessa, e persuade attraverso l’umana redenzione, l’opera faticosa e sacrificale della trasformazione che guadagna e trasforma il cuore umano restituendogli l’umanità che si trova solo in armonia con il suo Creatore.
Il metodo non-violento di Gesù
Gesù ha rifiutato la violenza, e ha sostenuto il principio della non aggressione. Allo stesso modo i cristiani che Lo seguono praticano la resistenza non violenta al male (concetto pro-attivo e non passivo) rifiutando di ricorrere alla violenza fisica per risolvere conflitti o per imporre le proprie idee.
Una volta che alcune città non avevano ricevuto il messaggio dell’Evangelo, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni dissero a Gesù: “Signore, vuoi tu che diciamo che scenda fuoco dal cielo e li consumi?”. Ma egli, voltatosi, li sgridò. E se ne andarono in un altro villaggio” (Luca 9:54-56). È come se avessero chiesto di bombardare quelle città ingrate! “Voi non sapete quel che chiedete” (Matteo 20:22) dice loro Gesù in un’altra occasione.
Al momento del suo arresto nel giardino del Getsemani, “…uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e, colpito il servitore del sommo sacerdote, gli recise l’orecchio. Allora Gesù gli disse: “Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada periranno di spada. Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio, che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d’angeli?” (Matteo 26:51-53).
Un testo profetico di Isaia parla della resistenza passiva del Cristo: “Io ho presentato il mio dorso a chi mi percuoteva, e le mie guance a chi mi strappava la barba; io non ho nascosto il mio volto alla vergogna e agli sputi. Ma il Signore, l’Eterno, mi ha soccorso; perciò non sono stato confuso; perciò ho reso la mia faccia dura come una pietra e so che non sarò svergognato” (Isaia 50:4-9).
Di fronte ai Suoi accusatori che lo avevano arrestato e lo interrogavano Gesù tace, non risponde alcunchè o ben poco: “Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!”. Ma Gesù non rispose più nulla e Pilato se ne meravigliava” (Marco 15:4-5).
Pure la “gestione del potere” nel Regno di Dio è molto diversa dallo stile di questo mondo: “Nacque poi anche una contesa fra loro per sapere chi di loro fosse reputato il più grande. Ma egli disse loro: “I re delle nazioni le signoreggiano e quelli che hanno autorità su di esse sono chiamati benefattori. Ma tra voi non deve essere così; anzi, il maggiore fra voi sia come il minore, e chi governa come colui che serve. Poiché chi è maggiore, colui che è a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22:24-27).
Gesù dimostrava ed insegnava ai Suoi discepoli non l’aggressione e la rivalsa, ma li impegnava a trovare soluzioni pacifiche e costruttive ai problemi personali, sociali e politici e lo faceva attraverso un paziente servizio disinteressato. Attaccava in modo militante sì, ma attaccava le forze spirituali della malvagità, non le persone. Erano quelle che combatteva, non le persone che ne erano vittima, anzi, le liberava dalla loro malefica influenza.
Sulla base di quali princìpi?
Sulla base di quali principi Gesù operava e insegnava i Suoi discepoli ad operare?
In primo luogo, sulla base dell’amore. Può sembrare un luogo comune affermarlo, ma quanto spesso siamo lontani dal comprenderne tutte le implicazioni! Servizio e resistenza non violenta cristiana si basa sull’idea che tutti gli esseri umani sono creati a immagine e somiglianza di Dio e meritano rispetto, dignità e amorevole cura. Ciò significa trattare anche gli avversari con compassione, cercando di comprendere le loro preoccupazioni e di stabilire sempre e in ogni modo un dialogo costruttivo. “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Romani 12:18). L’apostolo Paolo, infatti, scrive: “Non rendete ad alcuno male per male. Applicatevi alle cose buone davanti a tutti” (Romani 12:17). Egli insegnava ai credenti a non ripagare il male con il male, ma a cercare sempre il bene per tutti. Questo significa che, anche quando si è vittime di ingiustizie o di offese, non si deve ricorrere alla vendetta o alla violenza, gettando ancora, magari, “benzina sul fuoco”, ma si deve cercare di rispondere con la gentilezza, la pazienza e la misericordia. In questo modo si dimostra la propria fede e si contribuisce a diffondere l’amore di Dio nel mondo. La forza letale non è sempre l’unica risposta… Si possono e si devono cercare metodi creativi per rispondere al male. Questo insegnamento è particolarmente importante in un’epoca in cui la violenza e l’odio sembrano essere sempre più diffusi e accettati, e rappresenta una sfida per tutti coloro che desiderano vivere secondo i valori cristiani. Questo non significa che non si debba difendersi in caso di attacco o pericolo imminente. La legittima difesa è un diritto riconosciuto dalla legge di Dio, ma deve essere esercitata con moderazione e proporzionalità. L’apostolo invita invece a non cercare vendetta o a rispondere alla violenza con altra violenza, ma a cercare di fare il bene anche verso coloro che ci hanno fatto del male. Gesù disse: “Amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne alcunché e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, poiché egli è benigno verso gli ingrati e i malvagi” (Luca 6:35). In pratica questo significa che dobbiamo amare e fare del bene anche alle persone che ci fanno del male o che consideriamo i nostri nemici. Certo che è “più facile a dirsi che a farsi”, ma a quello dobbiamo tendere. Siano chiamati a essere generosi e non aspettarci necessariamente nulla in cambio, perché la nostra ricompensa verrà dallo stesso Dio che è benevolo anche con coloro che non lo meritano.
In secondo luogo: perdono e riconciliazione. “Poiché, se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi” (Matteo 6:14). Gesù, inchiodato sulla croce e con sofferenze tremende aveva detto dei Suoi aguzzini: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23:34). Questo non li avrebbe giustificati, ma avrebbe portato molti di loro al ravvedimento. Quando l’apostolo Pietro predica l’Evangelo a Gerusalemme, dice: “Dunque, tutta la casa d’Israele sappia con certezza che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Udite queste cose, essi furono compunti nel cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Fratelli, che dobbiamo fare?”. E Pietro a loro: “Ravvedetevi, ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Poiché per voi è la promessa, per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, per quanti il Signore Dio nostro ne chiamerà” (Atti 2:36-39). I cristiani che praticano la resistenza non violenta credono nella potenza del perdono e della riconciliazione per superare l’odio, l’ostilità e la divisione. Essi sono disposti a perdonare gli avversari e a perseguire la cooperazione attraverso le trattative per costruire una società più giusta e pacifica.
Il perdono è indubbiamente una forza creativa perché incoraggia le persone a superare il dolore e la rabbia che provano nei confronti di coloro che le hanno ferite. Il perdono permette alle persone di liberarsi dal peso del rancore e di trovare la pace interiore. Inoltre, il perdono può portare alla riconciliazione e alla ricostruzione di relazioni danneggiate. Questo può creare un ambiente di amore e di armonia che può influenzare positivamente le persone intorno a noi. Inoltre, il perdono può essere un esempio per gli altri, incoraggiandoli a seguire lo stesso cammino di guarigione e di rinnovamento. In questo modo, l’esortazione cristiana al perdono può diventare una forza creativa che porta alla crescita personale e alla costruzione di relazioni più sane e felici.
Alla fin fine: fede in Dio
L’abbassarsi e la resistenza non violenta creativa cristiana si fonda sulla fede in Dio e sulla convinzione che la giustizia e la pace alla fine trionferanno. Questo dà ai cristiani la forza e la determinazione di resistere alle ingiustizie e di lottare per un mondo migliore, anche di fronte a difficoltà e persecuzioni. Gesù “si abbassa”, si umilia, pur essendo quel che è cioè l’eterno Figlio di Dio fra noi. Quale ne è il risultato? “Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre”. Potremmo dire che le cose torneranno a posto allorché ciascuno ritorni ad occupare il posto che gli è proprio: Dio e il Suo Cristo, glorioso Re di giustizia e la creatura umana redenta dalle potenze del male, vale a dire la creatura nobile che doveva essere fin dall’inizio, non ignobile come lo è ora!
Certo, dobbiamo essere anche realistici. L’abbassamento servizievole vuol dire talvolta essere disprezzati. Inoltre, la nonviolenza non sempre pone fine alla violenza. Viviamo in un mondo malvagio e, a volte, il male vince. Quindi non dobbiamo pensare che la nonviolenza “funzioni” sempre e sia il magico toccasana per tutto ciò che affligge il mondo. Non sempre “funziona”. Allora perché praticare la non violenza? Perché anche se la nonviolenza è “problematica”, questa è comunque meglio della violenza, che non funziona mai! La violenza crea sempre e solo altra violenza. Ma a volte la nonviolenza crea la pace e quindi ha una migliore percentuale di successo. Alla fine, però, grazie a Dio, trionferà. Per questo dobbiamo cominciare a darne testimonianza fin da oggi. Questo fa parte del “modo di pensare” di Cristo.
Possiamo dire anche noi oggi: “Noi abbiamo la mente di Cristo” (1 Corinzi 2:16)? Questo significa che, come cristiani, dobbiamo acquisire la capacità di comprendere e percepire la volontà di Dio attraverso lo Spirito Santo di che viene a dimorare in noi. Possiamo avere una comprensione più profonda delle verità spirituali e della saggezza di Dio, perché abbiamo accesso alla mente di Cristo. Ciò ci permette di pensare e agire come Cristo, seguendo il suo esempio e la sua volontà, e di avere una prospettiva divina sulla vita e sul mondo che ci circonda – per la gloria di Dio e la nostra salvezza.
Paolo Castellina, 25 marzo 2023
Riassunto:
Il messaggio di questo passo biblico è che dobbiamo avere “la sua mente”, lo stesso atteggiamento di umiltà e di servizio che Cristo ha dimostrato durante la sua vita terrena, uno stile di vita costruttivo. Nonostante fosse Dio, Cristo si è fatto uomo e ha accettato di morire sulla croce per il perdono dei peccati e la redenzione di coloro che ripongono in Lui la loro fede. Per questo Dio ha innalzato Cristo sopra ogni nome e ogni lingua confesserà che Gesù Cristo è il Signore. La Sua vittoria sul male deve ispirare e sorreggere la nostra azione in questo mondo.
Domande per approfondire:
- In che modo possiamo imitare l’atteggiamento di umiltà e servizio di Cristo nella nostra vita quotidiana?
- In che modo possiamo applicare nella nostra vita lo stile creativamente non violento di Cristo?
- Quali sono alcune sfide che incontriamo nel cercare di essere umili e servizievoli come Cristo?
- Come possiamo incoraggiare gli altri a piegare il ginocchio e confessare che Gesù Cristo è il Signore?
- Quali sono alcune delle implicazioni di questo passo biblico per la nostra fede e la nostra vita cristiana?