Domenica 5 giugno 2022 – Pentecoste
(Servizio di culto completo con predicazione, 60′)
(Solo predicazione, 30′)
Introduzione alle letture bibliche
Letture bibliche: Salmo 104:25-35; Genesi 11:1-9; Romani 8:12-17; Giovanni 14:8-17, (25-27)
In che modo il Signore Iddio opera attivamente in questo mondo? Egli ce lo rivela nella Sua Parola quando si riferisce alla multiforme opera del Suo Spirito che impartisce la vita a ciò che altrimenti non sarebbe che materia inerte e sovranamente la preserva. Questa Sua opera vivificante è celebrata nelle parole del Salmo 104. L’immagine che usa è quella dell’alito vitale o soffio della vita, il “respiro di Dio” comunicato a ogni creatura. Esso sta alla base del linguaggio che nelle creature umane assume grande complessità. Quando esse, le creature umane, però, si sottraggono a ciò che Dio ha stabilito e si ergono a livelli che a loro non sono concessi, il linguaggio stesso si disarticola e diventa fonte di confusione. Lo troviamo rappresentato nell’episodio biblico della Torre di Babele nel libro della Genesi, la nostra seconda lettura. Nel cristiano, però, riconciliato con Dio, lo Spirito di Dio torna ad avere una funzione di guida della sua vita risollevandolo dal materialismo che l’incredulo crede essere l’unica dimensione della realtà, limitante e alienante. E’ quanto ci comunica la terza lettura, tratta dalla lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Roma. Chiude le nostre letture un brano del vangelo secondo Giovanni dove Gesù preannuncia ai Suoi discepoli che avrebbero ricevuto il dono dello Spirito di Dio in loro e con loro: “lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce”. Lo conosciamo noi?
Ambizioni imperialistiche? È sempre la stessa storia…
“È sempre la stessa storia…”: si potrebbe dire quando vediamo le ambizioni dei vari potentati di questo mondo, antichi e moderni, di dominarlo, controllarlo. Potrebbero essere singole nazioni per bocca dei loro governanti animati dai demoni di qualche ideologia politica o religiosa. Potrebbero essere blocchi di nazioni che vorrebbero mettere le mani sulle risorse altrui. Potrebbero essere, come succede oggi, singoli multimilionari a capo di gigantesche aziende private monopolistiche che, ormai troppo ricchi per voler maggiori ricchezze, si dilettano come presunti “benefattori dell’umanità” nel voler “risolvere i problemi di questo mondo” con folli idee e investendovi cifre da capogiro.
I guerrafondai “creatori d’imperi” ce ne sono sempre stati. Nessuno di loro, però, è mai riuscito a realizzare i suoi sogni e sempre fallisce miseramente dopo aver lasciato dietro di sé, naturalmente, scie di morte e distruzione. Ciononostante, c’è sempre chi vorrebbe riprovarci, sperando in maggior fortuna! Che imparino qualcosa dalla storia è vana illusione, così come non si può sperare che imparino qualcosa da ciò che al riguardo dell’imperialismo dice la Bibbia che spiega non solo come nasce, ma soprattutto come fallisce, visto chi è il vero e unico sovrano della storia…
La remota genesi e ignominiosa fine di ogni imperialismo
La remota genesi e ignominiosa fine di ogni imperialismo è descritta nel primo libro della Bibbia nell’episodio della Torre di Babele, episodio che esamineremo oggi, benché solo sommariamente.
“1Tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. 2E avvenne che, essendo partiti verso l’Oriente, gli uomini trovarono una pianura nel paese di Scinear, e lì si stanziarono. 3E dissero l’uno all’altro: ‘Avanti, facciamo dei mattoni e cuociamoli con il fuoco!’ E usarono mattoni invece di pietre, e bitume invece di malta. 4Poi dissero: ‘Venite, edifichiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo, e acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra’. 5L’Eterno discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini costruivano. 6E l’Eterno disse: ‘Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti il medesimo linguaggio; e questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. 7Venite, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio, affinché l’uno non capisca il parlare dell’altro!’ 8Così l’Eterno li disperse di là sulla faccia di tutta la terra, ed essi cessarono di costruire la città. 9Perciò a questa fu dato il nome di Babele perché l’Eterno confuse il linguaggio di tutta la terra, e di là l’Eterno li disperse sulla faccia di tutta la terra” (Genesi 11:1-9).
Il racconto della Torre di Babele che troviamo nel libro della Genesi è un testo molto antico sul quale si possono fare parecchie considerazioni letterarie, storiche e archeologiche. Non possiamo, però, in questa sede, dilungarci in questioni e dettagli non pertinenti trattandolo come se fosse un testo moderno e rilevandone, come fanno certi critici, “le incongruenze”. Dobbiamo estrarne il messaggio complessivo, la funzione che esso assume nell’ambito del racconto biblico, che cosa l’autore e, indubbiamente Dio stesso attraverso di esso, ci vuole comunicare. Il libro della Genesi, come indica il titolo stesso che le è stato dato, vuol dire origine, nascita, formazione, principio, inizio. Esso contiene racconti che intendono spiegare la causa, la ragione ultima di fatti che sono ancora oggi fra di noi. Non si tratta di una “spiegazione scientifica”, ma teologica – al di là dei dettagli del suo stile letterario. Qual è l’origine di tutte le cose? Com’è sorta la corruzione del peccato? Com’è sorta la dispersione delle genti e la nascita delle nazioni? Com’è nato il popolo eletto di Dio? Ecco alcune delle domande alle quali risponde – teologicamente – il libro della Genesi. Questo è ciò che a noi, in questa sede, dovrebbe maggiormente importare.
Fra ribellione e obbedienza
Il racconto della Torre di Babele è sostanzialmente una storia di ribellione posta nel contesto di due storie di fedele obbedienza – Noè e Abramo. Per comprenderlo dobbiamo guardare indietro alla storia di Noè e del diluvio (Genesi 7-9), un’altra storia di ribellione (i contemporanei di Noè moralmente senza freno) contrapposta a una storia di fedele obbedienza (Noè). Dobbiamo pure guardare avanti alla storia di Abramo (capitolo 12), la più grande storia di obbedienza di fede dell’Antico Testamento.
Nella storia di Noè, quando le acque del diluvio erano rimaste “alte sopra la terra per centocinquanta giorni” (7:24), “Dio si ricordò di Noè” (8:1). “Dio benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: «Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra”. Dio dà a Noè e ai suoi figli certe assicurazioni e limitazioni (9:2-6), e poi riafferma il comando, dicendo: “Voi dunque crescete e moltiplicatevi: spandendovi sulla terra” (9:7). La gente di Babele cerca di evitare di essere dispersa sulla faccia di tutta la terra (11:4). Disubbidisce così al comando di Dio di ricostituire la terra: “spandetevi sulla terra e moltiplicatevi in essa” (9:7).
Interessante è notare chi era stato a dare origine a questa ribellione a Dio: “Nimrod, che cominciò a essere potente sulla terra” (10:8), “e il principio del suo regno fu Babel” (10:10), fino a estendersi con Sodoma e Gomorra (10:19). Già a menzionare queste due città potremmo aver detto già tutto!
Il contesto più ampio include anche la storia di Abramo nel capitolo 12. Dio dirà ad Abramo: “L’Eterno disse ad Abramo: ‘Vattene dal tuo paese e dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò: e io farò di te una grande nazione e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (12:1-3). “E Abramo andò, come l’Eterno gli aveva detto” (12,4-5). C’è quindi un contrasto drammatico tra la popolazione di Babele, che cerca di concentrarsi e potenziarsi rimanendo in un luogo piuttosto che riempire la terra, come Dio lo aveva chiamato a fare, e Abramo, che va volentieri dove Dio lo chiama. Quindi prima abbiamo il comando di Dio: “Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra” (9:1), poi abbiamo la ribellione di Babele, che decide di non “essere disperso sulla faccia di tutta la terra” (11:4). Da questo potremmo pure dire di dedurre il principio – sano perché contiene l’espandersi del male – non dell’omogeneizzazione “razionale” del mondo, ma la necessaria sua frammentazione e multipolarità. E’ un principio sano perché stabilisce un sistema di “pesi e contrappesi”.
Giovanni Crisostomo (344-407), vescovo e teologo greco antico, scrisse di questo racconto: “Notate come la razza umana, invece di riuscire a mantenere nei propri limiti, desidera sempre di più e cerca cose sempre più grandi. Questo è ciò che essa ha perso in particolare, non essendo pronta a riconoscere i limiti della propria condizione ma desiderando sempre di più, nutrendo ambizioni oltre le sue capacità. Anche a questo riguardo, quando le persone che inseguono le cose del mondo acquistano per sé molte ricchezze e prestigio, perdono di vista la propria natura, per così dire, e aspirano a tali altezze tali da ricadere poi nel profondo. Potresti vederlo accadere ogni giorno senza che gli altri ne siano più saggi alla vista. Invece si fermano un po’, ma subito ne perdono ogni ricordo e prendono la stessa strada degli altri e cadono nello stesso precipizio”.
Dettagli significativi
La stessa “lingua”. “1Tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. 2E avvenne che, essendo partiti verso l’Oriente, gli uomini trovarono una pianura nel paese di Scinear, e lì si stanziarono” (1-2). Questo versetto segue subito dopo La Tavola delle Nazioni (capitolo 10) che dipinge la nascita delle nazioni dai discendenti di Noè. Tuttavia, nonostante la menzione dell’esistenza di lingue particolari nel capitolo 10, il versetto 11:1 dice che essi godevano ancora di una lingua comune mentre intraprendono il loro piano per costruire una città e una torre. Non si tratta di una contraddizione: spesso infatti la Bibbia, dopo aver stabilito un fatto, torna indietro spiegandone l’origine.
All’inizio del racconto, tutti hanno la stessa lingua e le stesse parole. Riflettono così l’unità del popolo. Alla fine del racconto, il linguaggio viene confuso e le persone sono disperse, riflettendo così la conseguente loro disunione (9). Sono costrette a fare ciò che originalmente Dio aveva loro comandato! Avere una lingua comune, un’interlingua, è cosa indubbiamente utile e razionale, e se ne parla ancora oggi – e questo non in sostituzione delle lingue locali, che sono un prezioso valore culturale, ma accanto a esse. Qui, però, non è tanto il concetto di lingua a essere sottolineato, ma il fatto di comprendersi o meno. Caos, confusione e conflitti insorgono quando la vita è regolata non dalla Parola di Dio, ma da ambizioni egoistiche come quelle degli imperialisti.
Un distanziamento da Dio. “…essendo partiti verso l’Oriente” (2a). La parola “oriente” ci ricorda la storia della creazione in cui Dio “…scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita” (3:24). Ci ricorda anche che “Caino si allontanò dalla presenza dell’Eterno e dimorò nel paese di Nod, a oriente di Eden” (4:16). L’oriente è considerato la direzione del movimento di distanziamento da Dio.
Nuove tecnologie ma ambizioni di durata. “3E dissero l’uno all’altro: ‘Avanti, facciamo dei mattoni e cuociamoli con il fuoco!’ E usarono mattoni invece di pietre, e bitume invece di malta. 4Poi dissero: ‘Venite, edifichiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo, e acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra’” (3-4). Mentre gli israeliti costruivano con pietre, i babilonesi costruivano con mattoni. Gli israeliti certo avevano familiarità con gli ziggurat babilonesi (grandi torri piramidali a gradini) costruiti con mattoni di fango per l’interno e mattoni cotti per l’esterno. Il mattone cotto è molto più resistente del mattone di fango e il bitume (asfalto o catrame) è una malta resistente. La determinazione di queste persone cuocere i loro mattoni e a usare la malta migliore riflette il loro interesse per un’architettura duratura: il tipo di sicurezza che può essere raggiunta con la loro ingegnosità e duro lavoro, piuttosto che per il tipo di sicurezza che può essere trovato attraverso la fede in Dio.
Ambizione all’autonomia. Quel «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima raggiunga il cielo, e facciamoci un nome, per non essere dispersi sulla superficie di tutta la terra» riflette la loro ambizione all’autonomia. Decidono di costruire una città dove potersi riunire in un unico luogo senza dover obbedire al comando di Dio di «riempire la terra» (9:1). Mentre alcuni studiosi hanno interpretato questo versetto come una polemica contro le città, sembra più probabile che il problema qui sia la ribellione, un problema difficilmente limitato alle città. Come già notato, gli ziggurat babilonesi erano grandi torri piramidali a gradini. Le rovine della più grande ziggurat rimasta sono 102 metri quadrati e 24 metri di altezza. Si pensa che questo ziggurat fosse alto più del doppio in origine: l’altezza di un moderno edificio di sedici piani.
Superare la distinzione fra l’uomo e Dio. “…la cui cima giunga fino al cielo” (v.4b). Mentre sarebbe possibile che questa frase rifletta solo un’alta struttura, come la nostra parola “grattacielo”, la risposta di Dio suggerisce che questo riferimento ai “cieli” rifletteva la loro ambizione del popolo di superare il divario tra il regno umano (la terra) e il regno divino (i cieli). È un’ambizione ribelle, proprio come quella dell’uomo e della donna nell’Eden (3:6) e del popolo dei giorni di Noè (6:1-4). Dio è e deve rimanere distinto dalla creatura umana che, sicuramente, non potrà mai condividerne la sovranità nelle sue decisioni.
Ambizione di fama sugli altri. “…e acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra” (4). Nel capitolo seguente Dio prometterà ad Abramo di rendere grande il suo nome (12:2), ma queste persone intendono prendere in mano loro la questione. Piuttosto che dipendere da Dio per rendere grande il loro nome, decidono di “farsi un nome”. Come notato sopra, Dio li ha chiamati a “ricostituire la terra” (9:1), ma stanno resistendo alla chiamata.
Il fallimento delle empie ambizioni umane
Qual è l’epilogo di questo episodio? “5L’Eterno discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini costruivano. 6E l’Eterno disse: ‘Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti il medesimo linguaggio; e questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. 7Venite, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio, affinché l’uno non capisca il parlare dell’altro!”
Dio non è assenteista e disimpegnato negli affari del mondo, ma il Sovrano, il vero sovrano che “scende” dal regno celeste a quello terreno per “ispezionare” la città e la torre. L’ironia è che la torre, che il popolo intendeva raggiungere il cielo, è così bassa che il Signore deve scendere per ispezionarla! Pure gli forzi delle religioni umane per “raggiungere Dio” sono destinati al fallimento, sono futili. E’ Dio stesso che è sceso nella Persona di Gesù Cristo per riconciliarci con Dio ed essere il nostro Signore e Salvatore. Ciò che sembra grandioso e sublime dal punto di vista umano è sempre insignificante per dimensioni rispetto a Dio. Tuttavia, Dio non ritiene che le loro motivazioni siano per loro insignificanti. La loro ambizione è raggiungere il cielo con le proprie forze e Dio non subirà la loro arroganza (orgoglio) alla leggera. Si tratta di forzi futili.
La frase: “i figli degli uomini” (ben ha adam), collega il popolo di Babele con ha adam (l’uomo) del giardino dell’Eden. L’orgogliosa ribellione del popolo di Babele è come l’orgogliosa ribellione nell’Eden. Entrambe le ribellioni cercano di elevarsi al di sopra dei limiti umani e di assumere prerogative divine. Gesù disse: “Chiunque s’innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato” (Luca 14:11)·
L’ironia di Dio. Poi Dio osserva: “…questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare”. Il senso qui non è che Dio trovasse minaccioso il potenziale potere di queste persone. Si tratta di una sua ironia, come dice il Salmo 2 “Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si befferà di loro” (Salmo 2:4). Il problema certo non è che la gente possa prendere d’assalto i cieli e strappare il potere a Dio, ma che la gente, se gli viene concesso di riuscire nella sua grande avventura sulla torre del cielo, potrebbe essere incoraggiata a impegnarsi in ribellioni ancora più serie, certo futili ma distruttive per loro stessi. “7Venite, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio, affinché l’uno non capisca il parlare dell’altro!” (v. 7). Qui il “venite”, plurale, riflette la complessità dell’essenza divina, la Sua pluralità in uno.
Il castigo loro comminato. La frustrazione delle empie ambizioni umane è l’inevitabile loro castigo: “8Così l’Eterno li disperse di là sulla faccia di tutta la terra, ed essi cessarono di costruire la città. 9Perciò a questa fu dato il nome di Babele perché l’Eterno confuse il linguaggio di tutta la terra, e di là l’Eterno li disperse sulla faccia di tutta la terra” (8-9). Uno degli obiettivi primari di quel popolo nella costruzione di una città e di una torre era quello di evitare di essere “dispersi sulla faccia di tutta la terra” (v. 4), ma ora sono comunque dispersi, costretti a rispettare quello che era stato loro comandato (9:1). Non sono più così in grado di perseguire la costruzione della città. Il peccato porta alla dispersione e a relazioni interrotte. Mentre il peccato a volte porta conquiste iniziali impressionanti, il peccato getta i semi della propria distruzione. Lo impareremo mai?
Quella gente voleva “farsi un nome”, ma il nome che hanno ottenuto è Babel, che finisce per significare confusione, caos. Un esito inevitabile per le smodate ambizioni umane. Se nella loro lingua Babel significava letteralmente “la porta di Dio” essa diventa solo confusione, un’altra accezione del termine. La parola “Babele” è legata a Babilonia, la nazione dominante del secondo millennio a.C. Nabucodonosor conquista Giuda nel 586 a.C. e costringe gli ebrei a un esilio di mezzo secolo a Babilonia (2 Re 24-25 ). Questo esilio avrebbe familiarizzato gli ebrei con gli ziggurat babilonesi, che sicuramente aveva influenzato il racconto della storia di Babele, uno schiaffo del narratore ebreo agli oppressori babilonesi e magari una lezione di Mosè, al quale è attribuito il Pentateuco, alla grandezza e alle pretese del faraone egiziano. Come ripetutamente poi predicato da profeti come Ezechiele, tutte questi imperi finiranno nel caos e nella distruzione. La domanda è se questo apprenderanno i moderni aspiranti imperatori. Se non lo faranno, sarà la realtà della sovranità di Dio nel Suo giudizio a trascinarli nella polvere della realtà. Quali lezioni ne trarremo noi, anche nel nostro piccolo?
Paolo Castellina, 29 maggio 2022