Adoperarsi per la pace di Cristo (Giacomo 3:13-18)

Mela bacata e mela sana

Domenica 13 Ottobre 2024 – Ventesima domenica dopo quella della Trinità

[Culto completo con predicazione, 1h 4′]

[Solo predicazione, 32′]

L’irrazionalità contemporanea 

Oggi sembra che nessuno più si adoperi per la pace fra le nazioni. La diplomazia come arte di giusti e ragionevoli compromessi pare dimenticata. Organizzazioni internazionali come l’ONU sembrano del tutto impotenti e molti cominciano a credere che siano inutili o comunque necessitino di una radicale riforma. Condizionate come sono da interessi di parte opposti, esse paiono solo limitarsi a dichiarazioni di principio ed appelli che rimangono regolarmente lettera morta e sono ignorati – emanano solo risoluzioni senza alcuna reale capacità di implementarle e farle rispettare. Sono simili agli “appelli alla pace” delle chiese: belle parole regolarmente poi ignorate. Le regole internazionali di convivenza appaiono pure di fatto saltate e vige solo più “il diritto del più forte”. Sembriamo arrivati al punto che nazioni e blocchi politici ed economici contrapposti siano solo votati alla reciproca rivalsa e distruzione, in preda di una cieca e diabolica follia omicida vendicativa. O sono sicuri di poter prevalere sull’avversario ed imporre il proprio dominio globale, oppure sono preda dell’oggi irrazionale e suicida spirito del “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Intanto l’opinione pubblica è divisa in tifoserie e cerca di trovare giustificazioni anche per ogni atrocità.

D’altra parte ancora vi sono gruppi religiosi dominati da un fanatico apocalitticismo che sembrano “godere” di questa situazione, come se il “tanto peggio tanto meglio” portasse presto all’anelato “scontro finale” che, secondo loro, preluderà ad un “mondo nuovo” resettato, frutto di un non meglio precisato risolutore “intervento dall’alto” ed al quale essi sono sicuri di partecipare. Altri si limitano fatalisticamente ad allargare impotenti le braccia dicendo: “Sarà quel che sarà. Tanto non ci possiamo fare niente”.

Questi approcci, però, sono patologici [1], malsani, non conformi all’insegnamento di Cristo. Molti cristiani sembrano aver dimenticato che la Parola di Dio ci chiama ad adoperarci per la pace, ad essere proattivi per la pace, a seminare ad ogni livello, i semi della pace. La Scrittura dice infatti: “Il frutto della giustizia si semina nella pace per quelli che si adoperano alla pace” (Giacomo 3:18). Non dice forse anche Gesù chiaramente:  “Beati quelli che s’adoperano alla pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5:9)? Questo mal si concilia – nevvero? – con il fatalismo di chi dice: “Tanto non ci possiamo far nulla” oppure con la passiva attesa di avvenimenti escatologici. Di fatto dobbiamo avere lo spirito dell’agricoltore che “semina con speranza”. Se non operasse sulla base della speranza di raccogliere non farebbe mai nulla [2]! Oggi, così, ci concentreremo su quanto insegna l’apostolo Giacomo al terzo capitolo della sua lettera. Questo testo offre pure una riflessione profonda sul legame tra giustizia e pace nel contesto delle relazioni umane e della vita cristiana.

Il testo e il suo contesto 

Ascoltiamo così il testo biblico per oggi:

“Chi è saggio e intelligente fra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere in mansuetudine di sapienza. Ma, se avete nel vostro cuore dell’invidia amara e uno spirito di contesa, non vi gloriate e non mentite contro la verità. Questa non è la sapienza che scende dall’alto, anzi è terrena, carnale, diabolica. Poiché dove sono invidia e contesa, c’è disordine e ogni cattiva azione. Ma la sapienza dall’alto prima è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità e senza ipocrisia. Il frutto della giustizia si semina nella pace per quelli che si adoperano alla pace” (Giacomo 3:13-18).

Il versetto di Giacomo 3:18 “Il frutto della giustizia si semina nella pace per quelli che si adoperano alla pace” fa parte di un discorso più ampio sulla sapienza che proviene da Dio, contrapposta alla sapienza mondana, caratterizzata da invidia e ambizione egoistica. Nel capitolo 3 della lettera di Giacomo, infatti, l’autore ci mette in guardia contro il pericolo dell’uso scorretto della lingua (cioè di come ci esprimiamo) e del comportamento imprudente che può causare divisioni e conflitti nella comunità cristiana. Dopo aver descritto la saggezza terrena come fonte di disordine e malvagità, Giacomo illustra il contrasto con la sapienza che viene dall’alto, cioè da Dio, che è “pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità e senza ipocrisia” (17). Il versetto 18, dunque, conclude questo discorso mettendo in rilievo come la giustizia sia strettamente legata alla pace e che solo coloro che promuovono attivamente la pace possono raccogliere i frutti della giustizia.

Due tipi di sapienza 

La pace è essenzialmente il risultato di chi agisce con sapienza ed intelligenza. Sono molti, oggi, quelli che vantano di essere sapienti ed intelligenti, ma spesso confondono queste virtù con la furbizia prevaricatrice. Si dimostrano, però, essenzialmente stupidi perché il frutto, il risultato, di quest’ultima è distruttivo e non costruttivo, causa ingiustizie e sofferenze. In ultima analisi, è controproducente per quelli stessi che se avvalgono. Il nostro testo, infatti, presenta una chiara contrapposizione tra due tipi di sapienza: quella che “scende dall’alto” e quella che è semplicemente “terrena”. Queste due forme di sapienza si caratterizzano in modo diametralmente opposto, con implicazioni significative, soprattutto riguardo alla pace.

Da una parte abbiamo così la sapienza che viene definita come “terrena, carnale e diabolica” (15). Sono tre aggettivi molto forti. È definita “terrena” perché è limitata al mondo fisico, alle preoccupazioni materiali e temporali. È una sapienza che si basa sui criteri e sui valori di questo mondo decaduto, senza gli essenziali riferimenti spirituali o trascendenti. È “carnale” perché è legata ai desideri e agli impulsi della natura umana decaduta. È orientata al soddisfacimento egoistico dei propri desideri, senza preoccuparsi delle implicazioni morali o spirituali delle scelte che ispira. È “diabolica” perché sostanzialmente in linea con le forze spirituali della malvagità che, condizionando il peggio del nostro carattere, intendono solo portare divisione, discordia e ribellione contro Dio. Quella terrena è una sapienza fondamentalmente distruttiva, che alimenta conflitti e caos.

Questo tipo di “sapienza” inevitabilmente produce frutti velenosi (14):  genera rivalità, conflitti e ambizione egoistica. Chi la segue cerca solo il proprio vantaggio, alimentando divisioni e tensioni, invece di promuovere l’unità e la pace. Essa genera disordine e ogni cattiva azione (16): la sapienza terrena è la radice del caos e della malvagità di questo mondo. Invece di produrre ordine e armonia, alimenta il disordine morale e spirituale. Questo disordine si manifesta poi in conflitti sociali, interpersonali e sociali, generando un ambiente in cui la pace è assente.

In contrasto, Giacomo descrive la sapienza che viene “dall’alto”, cioè da Dio, definendola con una serie di qualità. Essa è pura: moralmente e spiritualmente pura, priva di secondi fini o motivazioni impure. È dedicata alla verità e alla santità, valori oggettivi, essendo non contaminata dall’egoismo o dalla corruzione del mondo. Essa è pacifica: orientata, cioè, alla promozione della pace e della riconciliazione. Non cerca il conflitto né alimenta tensioni, ma è propositiva nel costruire ponti e risolvere dispute. Essa à mite: si manifesta nella mansuetudine e nella gentilezza. Non è aggressiva o prepotente, ma si esprime attraverso il rispetto e la considerazione degli altri. Essa è arrendevole: è disposta ad ascoltare e a prendere in considerazione le opinioni e i bisogni altrui rinunciando volontariamente “per amor di pace” anche a qualche nostro diritto. Non è rigida o ostinata, ma aperta e ragionevole. Essa è piena di misericordia e di buoni frutti: La sapienza divina non è solo teorica, dei “pii desideri” irrealizzabili, ma produce azioni concrete di amore e compassione. Chi è saggio secondo Dio mostra misericordia e aiuta il prossimo. Essa è imparziale: non discrimina né favorisce gli uni a scapito degli altri. È giusta e equa nelle sue decisioni. Essa è sincera: la sincerità e la trasparenza per essa sono essenziali. La vera sapienza non è manipolatrice o ipocrita, ma agisce con onestà e integrità.

Il frutto della vera saggezza è quindi la giustizia, quella misurata non secondo i nostri criteri, ma quelli di Dio e si manifesta in un ambiente di pace. Le persone guidate da questa sapienza non solo vivono in modo giusto, ma anche promuovono la giustizia tra gli altri, mantenendo relazioni pacifiche.

In sintesi, la “sapienza terrena” è una delle cause principali di divisione, conflitto e disordine. Essa porta all’invidia, alla competizione e all’egoismo, che sono radici di contese e tensioni. Questo tipo di sapienza, dominata dall’ego e da impulsi carnali, rende impossibile la pace, sia a livello individuale che sociale. Le relazioni sono caratterizzate da rivalità e sospetto, mentre l’armonia e la cooperazione vengono distrutte. La sapienza dall’alto, invece, promuove pace autentica e duratura. Essa si radica nella purezza morale e nella giustizia, che sono condizioni indispensabili per la pace. Solo dove c’è giustizia e dove le persone agiscono con misericordia, gentilezza e sincerità, si può costruire una vera pace. Coloro che possiedono questa sapienza diventano pacificatori e promuovono la riconciliazione, vivendo secondo i principi del regno di Dio.

La pace è il frutto della giustizia 

Il nostro testo dice che la pace è “Il frutto della giustizia”. Per “giustizia” nel contesto biblico, si deve intendere “ciò che Dio considera giusto” e che come tale ha rivelato nella Sua legge morale suprema. La giustizia qui non si riferisce semplicemente all’osservanza della legge morale, ma alla condotta rettamente orientata dal credente in ogni ambito della sua vita. È il risultato di un cuore trasformato da Dio attraverso il ravvedimento e la fede nell’opera redentrice di Cristo. È il credente rigenerato spiritualmente e moralmente in Cristo quello che agisce secondo i principi divini di amore e rettitudine e quindi persegue la pace in ogni ambito della vita. Il “frutto della giustizia” è ciò che emerge da una vita trasformata in Cristo e vissuta nella fedeltà a Dio, come l’amore, la misericordia, la compassione e il rispetto per gli altri. Ecco così che quando qui si parla di giustizia vi sono quindi due livelli da considerare [3]. Il primo è legato alla giustizia conseguita da Cristo nella Sua vita, morte e risurrezione che viene accreditata per grazia di Dio a chi si affida a Cristo come proprio Salvatore e Signore. Il secondo livello è legato agli effetti di tale giustizia nella vita presente del credente allorché questi si impegna nella trasformazione del proprio carattere e condotta. Grazie alla misericordia di Dio, i  discepoli di Cristo sono chiamati a vivere in modo sobrio, giusto, devoto e pacifico (questa è la santificazione, vedasi Romani 6:22). Chi vive secondo la giustizia di Dio, in pace con gli altri, raccoglie benefici immediati come la pace della coscienza e il piacere spirituale. La giustizia vissuta quotidianamente, con una saggezza pacifica, crea un ambiente di pace che porta frutti concreti sia nella vita individuale che nella comunità.

Questo non deve avere solo conseguenze a livello personale e comunitario. Compito della comunità cristiana è pure testimoniare e insegnare alle nazioni la via della pace, secondo quanto Gesù ci ha comandato: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, …  insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Matteo 28:19).

Il carattere proattivo della pace 

Tutto questo implica che uno stile di vita impostato alla pace dev’essere qualcosa da vivere e promuovere proattivamente. Il cristiano non attende solo il compimento finale del Regno di Dio in cui governerà “il principe della pace”, ma si impegna fin da oggi a impararla e promuoverla in ogni ambito della vita. Infatti, il testo dice: “Il frutto della giustizia si semina nella pace per quelli che si adoperano alla pace”. Nell’originale greco del testo, la parola usata è eirēnopoioí, che letteralmente significa “coloro che fanno la pace” o “i pacificatori”. Il verbo poiein (fare, creare) è particolarmente attivo e indica un’azione concreta e intenzionale. Essere “pacificatori” non si limita, infatti, a evitare conflitti o a mantenere uno stato di quiete in attesa di interventi miracolosi “dall’alto”, ma suggerisce un impegno attivo nel creare e promuovere la pace, prevenendo e sanando divisioni e conflitti. Questo implica non solo reagire a situazioni di conflitto, ma anche prevenire le tensioni e promuovere riconciliazione, rendendo la pace un obiettivo costante da perseguire. In altre parole, chi si adopera per la pace, nelle parole di Gesù, è chi, proattivamente, cerca di costruire una società armoniosa, umilmente, nello spirito di Cristo, secondo il Suo comando e con la Sua forza abilitante. Questi, e solo questi, saranno partecipi di un mondo rinnovato.

La giustizia, poi, non può essere forzata né imposta con la forza. Deve essere seminata in un ambiente di pace, poiché la pace è il terreno in cui la giustizia può crescere e portare frutto. Questo implica che la pace è una condizione preliminare necessaria per la giustizia: dove c’è conflitto, ingiustizia, disarmonia, la giustizia non può prosperare. Seminare in pace significa creare un contesto di rispetto, dialogo e comprensione, dove le persone possono vivere insieme in armonia. La pace non è semplicemente un’assenza di conflitto, ma il risultato di un impegno attivo e continuo per promuoverla e conservarla. Coloro che si adoperano per la pace sono coloro che lavorano per risolvere le divisioni, guarire le ferite e promuovere l’unità. Giacomo invita a un atteggiamento attivo, non passivo: essere operatori di pace implica un impegno costante per evitare il conflitto e promuovere riconciliazione.

Verità e pace 

Forse che, però, la promozione della pace fra le persone e fra le nazioni implica compromettere la verità rivelata ed accettare compromessi fra diverse le persuasioni religiose ed ideologiche che si trovano nel mondo? Essere “tolleranti” di ogni posizione e comportamento? No, c’è modo e modo di affermare la verità rivelata. Come dice Efesini 4:15 “… dite la verità con amore, crescendo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo” (ND). “Consapevoli dunque del timore del Signore, noi cerchiamo di convincere gli uomini (2 Corinzi 5:11 CEI). “… santificate Cristo come Signore nei vostri cuori, sempre pronti a rispondere a vostra difesa a chiunque vi domanda ragione della speranza che è in voi, ma con dolcezza e rispetto, avendo una buona coscienza” (1 Pietro 3:15).

Commentando il testo di Giacomo, il riformatore Giovanni Calvino scrive: “… essi stessi, sebbene tollerino mansuetamente molte cose nei loro vicini, non cessano ancora di seminare la giustizia. È, tuttavia, un’anticipazione di un’obiezione; perché coloro che sono portati a parlare male dalla brama di calunniare, hanno sempre questa scusa: “Cosa! Possiamo allora rimuovere il male con la nostra cortesia?”. Quindi Giacomo dice che coloro che sono saggi secondo la volontà di Dio, sono così gentili, mansueti e misericordiosi, da non coprire ancora i vizi né favorirli; ma al contrario in modo tale da sforzarsi di correggerli, e tuttavia in modo pacifico, cioè con moderazione, così che l’unione sia preservata. E così egli testimonia che ciò che aveva detto finora non tende in alcun modo a eliminare i calmi rimproveri; ma che coloro che desiderano essere medici per guarire i vizi non dovrebbero essere carnefici” (Commento di Giovanni Calvino su Giacomo 3:18).

Conclusione

Giacomo 3:18: “Il frutto della giustizia si semina nella pace per quelli che si adoperano alla pace” è un appello a vivere una vita cristiana che rifletta l’equilibrio tra giustizia e pace. L’applicazione pratica si manifesta in diversi modi:

Relazioni interpersonali: Nel contesto della comunità cristiana, e più ampiamente nella società, il cristiano è chiamato a essere un pacificatore. Questo significa evitare l’uso di parole dure o comportamenti che possano innescare conflitti, e invece promuovere il dialogo e la riconciliazione. Giacomo avverte i credenti che il linguaggio divisivo e l’atteggiamento arrogante non portano frutti di giustizia, ma solo disordine.

Giustizia sociale: A livello più ampio, il versetto può essere applicato al contesto della giustizia sociale. La pace e la giustizia sono spesso viste come realtà separate, ma in realtà sono inseparabili. Dove manca la pace, la giustizia è compromessa, e dove c’è ingiustizia, la pace è impossibile. Gli operatori di pace sono coloro che cercano di creare società giuste, lavorando per eliminare le ingiustizie e le situazioni che causano divisioni e conflitti.

Vita spirituale: Sul piano personale, questo versetto invita il credente a coltivare una vita di pace interiore, che nasce da una personale e stretta relazione con Dio. Solo chi vive in pace con sé stesso e con Dio attraverso l’opera efficace di Cristo può effettivamente seminare il frutto della giustizia. Questa pace interiore si riflette poi all’esterno, nelle relazioni con gli altri nella misura in cui il credente si impegna nel percorso della santificazione. La comunità cristiana deve testimoniare ed istruire le nazioni nella desiderabilità della legge di Dio, che è giusta e buona.

  Giustizia e la pace sono inseparabili. Solo coloro che si adoperano attivamente per promuovere la pace possono sperare di raccogliere il frutto della giustizia. Per il cristiano, questo significa adottare un atteggiamento pacifico e giusto in tutte le circostanze della vita, promuovendo la pace attivamente, in famiglia, nella chiesa e nella società. Solo così il frutto della giustizia, che è il riflesso della sapienza divina, può crescere e portare beneficio a tutti.

Paolo Castellina, 4 Ottobre 2024

Note

[1] Patologico. Il termine “patologico” si riferisce a condizioni, comportamenti o stati che sono legati a una malattia o a un disturbo. In medicina, indica qualcosa che è anomalo o che deriva da una malattia. Può anche essere usato in contesti psicologici per descrivere comportamenti o stati mentali che sono considerati devianti o eccessivi, come nel caso di “comportamento patologico”. In generale, implica una deviazione dalla norma che ha conseguenze negative.

[2] Il concetto è ripreso dalle Scritture. Il paragone con l’opera del contadino che semina con la speranza di raccogliere, e che senza questa speranza non si darebbe da fare, si trova principalmente in 1 Corinzi 9:10. In questo versetto, l’apostolo Paolo utilizza l’immagine del contadino che lavora con la speranza di raccogliere frutti come metafora per il ministero e la vita cristiana. Il testo dice: “O non lo dice affatto per noi? Certo che è per noi che è stato scritto, poiché chi ara deve arare con speranza, e chi trebbia il grano lo deve fare nella speranza di averne la sua parte.” (1 Corinzi 9:10, CEI). Paolo qui parla del diritto di chi predica il Vangelo di vivere del Vangelo, usando l’immagine del lavoro agricolo per sottolineare il principio che chi lavora deve farlo con la speranza di ottenere i frutti del suo lavoro. Così come il contadino ara e semina con l’aspettativa di una raccolta futura, anche chi serve Dio e lavora nel ministero del Vangelo lo fa con la speranza di una ricompensa spirituale o materiale. L’immagine del contadino che semina con speranza si ritrova anche in altri passaggi, come in Giacomo 5:7, dove il contadino è usato come esempio di pazienza: “Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con pazienza il prezioso frutto della terra, finché non abbia ricevuto le prime e le ultime piogge”. In entrambi i casi, la figura del contadino illustra la pazienza e la perseveranza che il credente deve avere nella vita cristiana, sapendo che il lavoro fatto per il Signore non sarà vano, ma porterà un raccolto, sia spirituale che materiale, nel tempo giusto.[3] Che è la vita eterna, il frutto della giustizia di Cristo, che sarà goduto da tutti coloro che sono giustificati da essa; e che, in conseguenza di essa, tramite la grazia di Dio, vivono sobriamente, rettamente e devotamente; vedi (Romani 6:22) o altrimenti ciò di cui si gode in questa vita, come frutto ed effetto di una conversazione giusta e santa, che è pace di coscienza; e può essere veramente chiamato il frutto pacifico della giustizia; vedi (Isaia 32:17). è seminato in pace da coloro che fanno la pace; cioè, o coloro che sono in possesso di quella saggezza che è pacifica, e li rende tali; quella pace che fanno, perseguono, esercitano e mantengono, è un seme, che, essendo seminato da loro, sarà, alla fine, seguito da felicità e felicità eterne; vedi (Matteo 5:9) o coloro che vivono una vita e una conversazione pia, e sono ripieni dei frutti della giustizia, e, tra i riposo, con questo di fare e preservare la pace tra gli uomini, godrà, come ciò che germoglierà da tale buon seme seminato, molta pace di coscienza e piacere spirituale della mente: giustizia e pace” (Commento di John Gill).