Domenica 4 Luglio 2021 – Sesta domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmo 48; 2 Samuele 5:1-10; 2 Corinzi 12:2-10; Marco 6:1-13
Parlare di sé stessi?
Quando udiamo una persona che racconta delle proprie esperienze, delle proprie “avventure”, di “quello che gli è capitato”, lo ascoltiamo con interesse perché è “vita vissuta”. C’è chi sa raccontare le cose e potremmo anche starlo a sentire per lungo tempo! In alcune chiese oggi si dà molto spazio a quelle che chiamano “le testimonianze”, cioè al raccontare le esperienze dei credenti quando, per esempio, hanno per la prima volta riposto la loro fede in Cristo.
Nel testo biblico proposto oggi alla nostra riflessione, l’apostolo Paolo parla di sé stesso, delle proprie esperienze personali. La sua vita era stata indubbiamente avventurosa ed oggi se ne sono fatti persino dei film. Paolo, però, non parla volentieri di sé stesso, e lo ammette esplicitamente dicendo di essere quasi stato “costretto” a farlo. Egli, infatti, era una persona umile che non amava vantare alcunché di quello che egli era o stava facendo. In effetti, Paolo si era proposto, nel suo ministero, di parlare esclusivamente del Signore e Salvatore Gesù Cristo e delle Sue virtù. Afferma, infatti, “…mi ero proposto di non sapere fra voi altro, se non Gesù Cristo e lui crocifisso” (1 Corinzi 2:2). Sapeva che quella era la cosa che più conta. Per quanto Dio avesse realizzato nella sua vita cose straordinarie, Paolo non voleva attirare l’attenzione su sé stesso. Quel che era avvenuto nella sua vita era dipeso solo da Dio, che si era compiaciuto di usare, nella Sua grazia, proprio uno come lui.
C’erano, però, altri, anche fra i predicatori cristiani a lui contemporanei, che non avevano scrupoli a parlare di sé stessi. Essi vantavano le loro esperienze, i loro titoli, la loro eloquenza, la loro influenza, i loro mezzi e persino i miracoli che avevano compiuto… Si ritenevano “predicatori di successo”. Anzi, visto che Paolo, rispetto a loro, non si vantava di alcunché e non parlava di sé, essi lo criticavano, lo discreditavano in pubblico, dicendo come lui non fosse proprio un apostolo… La gente, così, tendeva a seguire, ammirata, questi “superapostoli” che, indubbiamente, “ci sapevano fare…” e credeva loro quando sottovalutavano Paolo. Ecco così che Paolo, riluttante, ci parla un poco di sé stesso per difendere il suo apostolato. Grandi esperienze senza dubbio, ma…
Il testo biblico
Leggiamo così quanto l’apostolo Paolo dice nella seconda lettera ai Corinzi. e notiamo, alla fine, il perché egli non vanti queste cose e soprattutto, ciò che egli reputi, al contrario, molto più importante.
“Io conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa (se con il corpo o fuori del corpo non lo so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. E so che quell’uomo (se con il corpo o senza il corpo, non lo so, Dio lo sa), fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili, che non è lecito ad alcun uomo di proferire. Io mi glorierò di quel tale, ma non mi glorierò di me stesso, se non delle mie debolezze. Anche se volessi gloriarmi, non sarei un insensato perché direi la verità; ma me ne astengo, affinché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me. Inoltre, affinché non m’insuperbisca per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata data una spina nella carne, un angelo di Satana per schiaffeggiarmi, affinché non m’insuperbisca. A questo riguardo ho pregato tre volte il Signore che lo allontanasse da me. Ma egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è portata a compimento nella debolezza». Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Perciò io mi diletto nelle debolezze, nelle ingiurie, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle avversità per amore di Cristo, perché quando io sono debole, allora sono forte” (2 Corinzi 12:2-10).
Motivi di vanto?
Ecco quindi, un uomo che, prima di tutto, abbandona tutti i privilegi sociali e culturali di cui poteva vantarsi e che li considera ora come “tanta spazzatura”. Perché? Perché ha conosciuto Gesù di Nazareth ed ha compreso come non vi sia nulla al mondo che possa considerarsi più importante di Lui. Per questo Gesù, per portare al mondo la conoscenza della Sua Persona ed opera, è disposto a tutto, anche ad accettare, come abbiamo sentito, indicibili difficoltà e problemi.
Vantarsi delle persecuzioni ricevute a causa di Cristo? Ora che ha affidato tutta la sua vita a Gesù, il Salvatore del mondo, i valori della sua vita sono completamente cambiati. Per un cristiano diventa un onore soffrire per Cristo, soffrire per la causa della verità e della giustizia. Lo diceva lo stesso Gesù: “Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi” (Matteo 5:10-12). Paolo avrebbe così potuto vantarsi di essere un martire della causa di Cristo, perché, per un cristiano, è un segno di “essere nel giusto” e di riceverne un giorno un grande premio. La chiesa cristiana, attraverso la sua storia, ha sempre molto valorizzato i martiri della fede.
Paolo avrebbe potuto vantarsi e dire: “Guardate quanto sono stato perseguitato per Cristo e sia diventato un eroe della fede! Io sì che sono importante nella Chiesa”.
Nemmeno di questo egli si vanta, perché c’è qualcosa di più importante ancora! Vantarsi delle grandi rivelazioni che aveva avuto? Paolo non aveva personalmente mai conosciuto Gesù come gli altri Suoi discepoli, cioè prima della Sua morte e risurrezione. Paolo aveva ricevuto lo straordinario ed unico privilegio di incontrare il Gesù risorto che prima lo converte alla sua causa, e poi per poterlo inviare nel mondo come il principale fra i Suoi messaggeri, gli dà la possibilità di ricevere la rivelazione dell’Evangelo, quella che gli permetterà di scrivere testi che diventeranno le stesse Sacre Scritture di tutti i cristiani di ogni tempo e paese! Che incredibile e straordinario privilegio! Quali altri apostoli avrebbero potuto vantare altrettanto? E quali altri motivi di vanto avrebbero essere più grandi di questo! Essere, come lui dice, “rapito in paradiso” per udire “parole ineffabili che non è lecito all’uomo di pronunziare” (4). Paolo avrebbe potuto “sbandierarlo ai quattro venti”, ma non lo fa mai. Per lui c’è qualcosa di ancora più importante!
Vantarsi di queste ed altre simili cose sarebbe stato molto umano, e sicuramente anche Paolo ne era stato tentato. Per impedirgli, però, di farlo, per impedirgli di insuperbirsi e così “rovinare la sua carriera”. Dio, scrive Paolo, gli aveva messo “una spina nella carne”. Non sappiamo che cosa esattamente si trattasse, molto probabilmente un handicap fisico che lo tormentava. Forse era una vista debole, forse una balbuzie, forse un problema alla schiena che lo assillava. Sappiamo solo che lui aveva pregato insistentemente Dio di esserne liberato, ma invano. Il Signore gli aveva detto: “No, «la mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Dio negherebbe forse di guarire un suo figlio, e per altro un figlio prediletto, da un problema fisico doloroso ed assillante? Eppure Dio gli nega la guarigione che egli chiede, perché quella malattia ha uno scopo: impedirgli di insuperbirsi. Paolo, così, accetta e si sottomette alla volontà di Dio. Perché? Perché c’è solo una cosa di cui è lecito vantarsi: la consapevolezza di essere stato oggetto, da parte di Dio, della Sua grazia. La grazia di Dio che ha ricevuto in Cristo “basta e gli avanza” per ispirargli la gioia più grande, la forza più grande, la fierezza più grande. L’unica cosa che realmente conti nella sua vita è di aver ricevuto la grazia di Dio.
Nulla di più importante che la grazia
Sì, la grazia è uno dei concetti fondamentali della fede cristiana, la grazia di Dio che il credente riceve quando si affida di tutto cuore al Signore e Salvatore Gesù Cristo.
La Scrittura dice: “…la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Giovanni 1:17); e ancora: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Romani 3:23,24).
L’apostolo Paolo poteva dire: “…per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana” (1 Co. 15:10). Se molto probabilmente non condividiamo l’entusiasmo di Paolo per la grazia di Dio, è segno che non abbiamo idea di che cosa si tratti e di quanto essa sia preziosa! Se la grazia di Dio per noi è qualcosa che ci lascia indifferenti probabilmente siamo tragicamente le vittime della sua moderna banalizzazione! Nella nostra società, infatti, al riguardo della grazia di Dio, vige la più totale confusione.
Un semplice vocabolario della lingua italiana ci presenta le varie accezioni del termine grazia, ma esse non contribuiscono molto a farci comprendere quel che la Bibbia intenda con grazia, anzi, il concetto di grazia che oggi prevale è completamente fuorviante ed errato! Il concetto biblico di grazia presuppone l’esistenza di Dio Creatore che esercita la Sua sovranità su ogni cosa. Egli ha rivelato Sé stesso, nel contempo, come Dio di giustizia che regola il creato secondo leggi buone e giuste, ma anche come Dio d’amore, bontà e compassione. Inoltre la Bibbia presuppone che il genere umano sia una Sua speciale creazione e che da Lui dipenda non solo per la sua esistenza ma anche per il senso stesso della sua vita. La Bibbia, infatti, vede il compimento ultimo della nostra umanità proprio nella qualità del nostro personale rapporto con Lui.
Essenziale alla comprensione del concetto di grazia è pure quello di peccato, cioè del fatto che il genere umano si sia tragicamente staccato da Dio pretendendo autonomia da Lui ed incorrendo, così, in fatali conseguenze. Pretendendo di poter stare senza Dio e rifiutando di vivere secondo le sue sante e giuste leggi, l’umanità [e in essa ciascuno di noi] si è sottoposta a quella che la Bibbia chiama “l’ira di Dio” cioè alle sanzioni penali che le Sue leggi infrante comportano. Queste sanzioni prevedono il completo abbandono da parte di Dio dell’umanità al suo tragico ed ineluttabile destino di sofferenza,morte e distruzione. La Bibbia, così, vede l’umanità [e quindi ciascuno di noi] come inesorabilmente condannata e perduta. La condanna dell’umanità è giusta perché Dio è un Dio di giustizia, cioè un Dio che si attiene rigorosamente ai principi ed alle leggi di vita che Egli ha stabilito.
È proprio a questo punto che subentra il concetto di grazia. Dio non solo è un Dio di giustizia, ma anche di compassione e di amore. Dio, nella Sua misericordia, concede la grazia, cioè di liberare da questa condanna e riabilitare davanti a Sé, coloro che, riconoscendo i propri peccati e la giustizia della loro condanna, invocano la misericordia di Dio su di loro affidandosi completamente alla Persona ed all’opera di Gesù Cristo. Gesù, infatti, l’eterno Figlio di Dio, offre di espiare Lui stesso, nella Sua persona, la condanna che noi giustamente meritiamo affinché, chi a Lui si affida, ne sia liberato. Questo Egli compie morendo in croce, così condannato per peccati che Egli non ha commesso.
Un tempo Paolo si considerava “a posto” davanti a Dio. La sua “moralità”, la sua religione, le sue “buone opere” lo facevano illudere che “non ci fossero problemi” tra lui e Dio e che sarebbe stato salvato, se non dalla sua propria bontà, almeno dalla tolleranza di Dio che avrebbe “chiuso un occhio” sulle sue mancanze. Si illudeva, come si illudono ed avranno “brutte sorprese” coloro che presumono di essere a posto con Dio e di non avere bisogno di alcun Salvatore. Si illudono pure coloro che, nonostante quello che dice la Bibbia sul giudizio e sull’ira di Dio, preferiscono credere a chi predica una grazia ed una salvezza a buon mercato! Paolo, incontrando Cristo, si rende conto che tutte le sue “certezze”, ciò che presumeva su sé stesso e su Dio, non erano che inconsistenti castelli di carte, pie illusioni, tragici ed infondati inganni. Paolo si rende conto di essere veramente perduto, soggetto all’ira ed alla condanna inappellabile di Dio e che nulla avrebbe potuto sottrarlo al destino di un’eterna separazione da Dio tra i tormenti dell’Ade.
Ecco così che, confessando i suoi peccati, invoca la grazia e la misericordia di Dio e la
trova proprio in quel Cristo che stava perseguitando. È in Cristo che Paolo trova la grazia di Dio che lo salverà per l’eternità. Che cosa ci può essere di più grande di questa consapevolezza nella vita di una persona: trovare che Dio, in Cristo, da nemico e giudice implacabile, si trasforma in Salvatore ed Amico, Padre amorevole e clemente? Grazie all’amore di Cristo! Paolo scrive “…prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità; e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l’amore che è in Cristo Gesù. Certa è quest’affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me, per primo, tutta la sua pazienza, e io servissi di esempio a quanti in seguito avrebbero creduto in lui per avere vita eterna” (1 Timoteo 1:13-17). …e perché nessuno al mondo si facesse illusioni ritenendo magari di essere migliore di Paolo e di meritarsi la salvezza, nella lettera ai Romani egli scrive: “…Ora però, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono – infatti non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Romani 3:19-24). Ecco, dunque, perché a Paolo “gli basta” la grazia di Dio: è un bene così prezioso! Che potrebbe esserci di più importante?
Conclusione
Ecco così che, in un mondo come il nostro, in cui tutti suppongono di “essere in grazia di Dio” e di averla come loro diritto, “senza far nulla”, senza ravvedimento, senza reale trasformazione della loro vita, oppure perché loro sarebbero già abbastanza bravi per meritarla, un mondo che così disprezza, svaluta e rende volgare la grazia, le parole dell’apostolo suonano davvero “incomprensibili”, ma sono vere! Il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer denunciava con forza l’inganno moderno della grazia a buon mercato che la svaluta e la rende “scontata”: «Grazia a buon mercato significa predicare il perdono senza chiedere il pentimento, il battesimo senza disciplina ecclesiastica, comunione senza confessione, assoluzione senza confessione individuale. Grazia a buon mercato vuol dire grazia senza discepolato, grazia senza la croce, grazia senza Gesù Cristo, vivente e incarnato». Egli non si stancava di sottolineare l’importanza che alla grazia precede il ravvedimento e la fede. Diversamente, diceva, ci si pone sul piano di una cosiddetta “grazia” che non viene da Dio ma che siamo inclini a concedere a noi stessi, senza che la nostra vita possa esserne trasformata. Ed aggiungeva: “La fede cristiana può solo essere, ormai, discepolato; il tempo in cui un cristianesimo sociologico, che non costa nulla, poteva essere teoricamente immaginabile, è ormai finito per sempre”.
Questa è l’esperienza di Paolo e di innumerevoli persone che hanno avuto il coraggio di prendere sul serio il messaggio biblico della grazia incentrato sulla Persona ed opera di Cristo e che si riceve ravvedendosi dai nostri peccati ed affidandoci completamente a Lui. Rifiutiamo i falsi e comodi vangeli della grazia a buon mercato e riceviamo quella autentica, la sola che ci permetta di valorizzarla come il bene supremo a cui potremmo aspirare nella vita e solo oggetto del nostro vanto.
Paolo Castellina, riduzione della mia predicazione del 16 febbraio 2006.