Domenica 17 novembre 2024, seconda domenica prima dell’Avvento
[Culto completo con predicazione, 60′]
[Solo predicazione, 30′]
Eresie contrapposte
La fede cristiana corre sempre il rischio di assumere unilateralmente due prospettive opposte. Le potremmo considerare due opposte “eresie”. “Eresia”, infatti, non è solo una deviazione dagli insegnamenti ortodossi o una loro falsificazione, ma anche un’indebita eccessiva accentuazione di una dottrina ortodossa. Infatti, quando un aspetto della fede pur vero viene isolato, estremizzato e posto al di sopra delle altre dottrine, si produce uno squilibrio che può compromettere la coerenza e l’armonia dell’intero credo cristiano. Questo fenomeno può essere descritto come una “verità parziale divenuta totalizzante” che porta a visioni unilaterali o settarie” [1].
La prima eresia a cui voglio fare riferimento è quella di un cristianesimo che potremmo chiamare “ultramondano” o spirituale. Esso si interessa prevalentemente della “salvezza dell’anima” e di quello che viene chiamato “l’aldilà” trascurando di incidere significativamente e quindi cambiare “l’aldiqua” cioè questo mondo. Si dice scettico di poterlo fare e, per cambiare questo mondo, guarda semmai ad un futuro in cui crede vi sarà un miracoloso e radicale intervento divino di trasformazione in seguito ad una distruzione dell’attuale realtà. La seconda eresia è quella opposta, cioè un cristianesimo che potremmo chiamare “intramondano” solo inteso a migliorare le cose di questo mondo, “per questa vita soltanto”, che promuove principi etici e morali per regolare la vita di singole persone e della società e nulla di più. Chi assume questa posizione tende a relativizzare l’aldilà e persino a negarlo considerandolo al massimo un artificio consolatorio. Entrambe queste opposte tendenze sono errori non privi di conseguenze, che non rendono ragione alla dottrina biblica. Essa, infatti, sostiene ed integra “l’aldilà” con “l’aldiqua”, “l’orizzontale” con “il verticale”: due aspetti della stessa realtà che solo chi ha “la vista corta” può ignorare.
Ai pragmatisti “intramondani” le Sacre Scritture dicono: “Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini” (1 Corinzi 15:19). È questa l’affermazione che vogliamo esaminare oggi. La scrive l’apostolo Paolo nella sua prima epistola ai cristiani di Corinto, nel capitolo 15 dedicato alla realtà della risurrezione. Ascoltiamone i versetti da 12 a 25.
Il testo e contesto
“Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come mai alcuni fra voi dicono che non c’è risurrezione dei morti? Ma se non vi è risurrezione dei morti, neppure Cristo è risuscitato e, se Cristo non è risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede. Noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiamo testimoniato di Dio che egli ha risuscitato il Cristo, il quale egli non ha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano. Difatti, se i morti non risuscitano, neppure Cristo è risuscitato e, se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati. Anche quelli che dormono in Cristo, sono dunque periti. Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini. Ma ora Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati, (…) Poiché bisogna che egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte” (1 Corinzi 15:12-25).
Il versetto “Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini” (1 Corinzi 15:19) si trova in un contesto nel quale l’apostolo Paolo difende la dottrina della risurrezione dai morti. Paolo affronta idee errate su questo argomento e le difficoltà che alcuni membri della comunità avevano riguardo alla risurrezione. A Corinto, città influenzata dalla cultura greca, alcuni respingevano l’idea di una risurrezione del corpo, forse influenzati da una filosofia dualista che considerava il corpo un’entità inferiore rispetto all’anima. In 1 Corinzi 15, così, Paolo presenta una serie di argomentazioni a favore della risurrezione, centrale per la fede cristiana. Egli dichiara che, se Cristo non fosse risorto, la predicazione sarebbe vana, la nostra fede sarebbe priva di significato e i credenti stessi sarebbero ancora sottoposti alla maledizione dei loro peccati. Il versetto 19 riassume la disperazione di una fede priva della speranza nella risurrezione: una fede che avesse senso solo nel presente terreno renderebbe i cristiani miserabili, poiché li priverebbe della prospettiva eterna e li lascerebbe soli nella sofferenza e nei sacrifici che la loro fede spesso comportava.
Le implicazioni pratiche della nostra fede
La centralità della risurrezione nella fede cristiana e le eterne implicazioni della speranza cristiana stanno così alla base dell’interpretazione di questo testo.
La risurrezione di Cristo è l’evento che garantisce la risurrezione futura dei credenti. Senza di essa, la fede cristiana sarebbe priva di potenza e significato ultimo. Paolo dichiara che, se la speranza in Cristo fosse limitata alla sola attuale esistenza terrena, i cristiani avrebbero fondato la propria vita su un inganno e sarebbero soggetti solo alle sofferenze e alle rinunce della vita presente senza una prospettiva di ricompensa eterna.
Per i cristiani del I secolo, la fede implicava spesso persecuzioni, sacrifici e rinunce. Qui sta il paradosso della vita cristiana: senza la risurrezione e la speranza nella vita eterna, tutti quei sacrifici sarebbero tragicamente vani. Di conseguenza, la fede richiede una prospettiva trascendente per avere senso e per dare valore e significato alla vita stessa.
La risurrezione, inoltre, ha una portata missionaria. Paolo rafforza l’importanza del messaggio evangelico, che è radicato in una speranza che supera la mortalità. Questa visione, rivolta sia ai credenti che ai non credenti, sottolinea la necessità della risurrezione come verità centrale per la salvezza.
L’argomentazione di Paolo, inoltre, è una critica alla riduzione della fede cristiana a un insieme di principi etici o morali utili solo in questa vita. In altre parole, se la fede cristiana fosse limitata alla moralità o alla filosofia di vita, non si distinguerebbe da altre religioni o ideologie che offrono saggezza pratica per l’esistenza. Paolo insiste invece che la fede cristiana trascende le categorie morali e ha uno scopo esistenziale e salvifico che si compirà pienamente solo nella risurrezione. Questo pure contesta la nostra tendenza moderna di considerare la fede solo come una fonte di benessere psicologico o di successo personale. La critica di Paolo alla “speranza solo per questa vita” diventa, così, un avvertimento contro il ridurre la fede cristiana a una funzione di auto-miglioramento o di felicità temporanea. Senza la speranza della vita eterna, i benefici della fede sarebbero limitati e transitori, privando i credenti della loro identità e chiamata di pellegrini verso una nuova condizione di vita.
Questo versetto, dunque, ci invita a considerare la fede cristiana in una prospettiva escatologica. Paolo incoraggia i credenti a tenere fissa la speranza nella risurrezione, non solo come un articolo di fede, ma come una realtà che trasforma oggi il modo in cui vivono e affrontano le difficoltà. La fede cristiana non è progettata per rispondere solo alle esigenze e alle domande di questa vita perché questo ci lascerebbe nella “miseria” spirituale e morale di una fede limitata alla sola esistenza terrena.
Il paradosso della fede cristiana senza speranza
Immaginiamo un cristianesimo che offre risposte solo a questioni terrene, che non parla di eternità ma si limita a offrire conforto o progettualità solo per la vita presente. In tale scenario, i cristiani diventerebbero un gruppo di persone che vivono una vita moralmente elevata, ma priva di speranza trascendente. In che senso sarebbero “miserabili”? Paolo ci dice che questa “miseria” deriva dalla mancanza di senso e ricompensa per le difficoltà, le sofferenze e le rinunce che spesso la fede cristiana comporta. Per il cristiano che vive nella prospettiva della risurrezione, questi sacrifici sono motivati dalla consapevolezza che la vita terrena non è la fine, ma l’inizio di un percorso che culminerà nella vita eterna.
Per Paolo, quindi, la fede cristiana senza risurrezione è come un percorso che non porta da nessuna parte. Questa visione della fede come strumento puramente morale o psicologico lascia il cristiano senza la speranza che ciò che ha seminato nella sofferenza troverà un compimento eterno.
Un altro aspetto di questa “miseria” riguarda la solitudine che i cristiani sperimenterebbero senza la prospettiva eterna. Se la speranza cristiana si limitasse al tempo presente, ogni sacrificio di amore, ogni atto di rinuncia e di fedeltà non sarebbe che un peso, una realtà priva di valore eterno. Paolo, infatti, era consapevole del prezzo che molti credenti pagavano per seguire Cristo. Pensiamo alle persecuzioni, alle ingiustizie e all’emarginazione che molti cristiani affrontano ancora oggi. È proprio la speranza della risurrezione a dare senso e scopo a tali prove, poiché essi sanno di non essere abbandonati e che la loro fedeltà troverà una risposta nella vita a venire.
Senza una prospettiva eterna, la sofferenza diventa insostenibile; un peso senza senso che porta i cristiani a una condizione di solitudine spirituale. In questo modo, Paolo rivela che la fede non è un semplice sostegno morale, ma una promessa di comunione eterna che dona forza nella prova.
Paolo sa che la speranza nella risurrezione è ciò che rende la fede cristiana unica e distintiva. Senza questa speranza, la fede non sarebbe diversa da altre dottrine morali o filosofie che offrono valori per una vita migliore. Tuttavia, una fede cristiana che non guardi all’eternità non sarebbe altro che una “morale cristiana”, una serie di norme e comportamenti etici che, per quanto validi, mancherebbero di quell’elemento essenziale che è la speranza eterna. È un richiamo importante per i credenti oggi, affinché non riducano la loro fede a una “migliore qualità di vita” o a una semplice “guida morale”.
Paolo ci esorta a mantenere una visione completa dell’Evangelo, ricordandoci che la speranza cristiana va oltre le benedizioni materiali o il benessere psicologico. In altre parole, il Vangelo non è solo una soluzione per il presente, ma una chiamata a una vita di senso e di compimento eterno. In un’epoca in cui molti cercano nel cristianesimo solo un supporto per migliorare il proprio benessere, Paolo ci ricorda che una fede senza risurrezione e senza speranza eterna porterebbe solo frustrazione e delusione.
Paolo parla di “miseria” anche perché, senza la risurrezione, la fede sarebbe priva di gioia e pienezza. L’assenza di una prospettiva eterna potrebbe portare alla disperazione, soprattutto nelle difficoltà. La speranza cristiana non è un’illusione, ma una realtà fondata sulla risurrezione di Cristo, che diventa un “ancoraggio” spirituale per affrontare anche le situazioni più dolorose. Se togliamo questa speranza, il cristianesimo rischia di ridursi a un ideale etico irraggiungibile, lasciando i credenti scoraggiati e abbattuti.
Un cristiano senza la speranza nella risurrezione diventa come un costruttore che non può vedere mai completata la propria opera, come un lavoratore senza salario o come un viaggiatore senza una meta. La speranza della risurrezione, dunque, dà pienezza alla vita cristiana, poiché porta con sé la promessa che ogni lacrima sarà asciugata e che ogni dolore avrà una redenzione.
Escapismo?
L’obiezione, poi, secondo cui la speranza nell’eternità sarebbe un “escapismo” dalle responsabilità di questa vita è comune e merita una risposta, soprattutto in un contesto di pragmatismo moderno, dove il valore di un’idea o di una fede viene spesso misurato unicamente in base ai suoi effetti tangibili nel presente. Questo tipo di critica suggerisce che concentrarsi troppo sulla vita futura e sulla risurrezione possa portare i credenti a ignorare le necessità immediate del mondo o a limitarsi a una “spiritualizzazione” che evita il confronto con i problemi reali. Non è necessariamente così.
Lungi dall’incitare all’inerzia, la speranza della risurrezione alimenta nei cristiani la forza per affrontare con maggiore intensità e perseveranza le sfide della vita presente. Nella stessa lettera ai Corinzi, Paolo, infatti, conclude il suo discorso sulla risurrezione con un’esortazione pratica: “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58). Egli sottolinea che la speranza nella risurrezione non giustifica un disimpegno, ma dà senso e motivazione a un impegno attivo e duraturo.
La prospettiva della risurrezione non sminuisce le responsabilità presenti; al contrario, offre ai credenti la certezza che ogni loro azione, sacrificio e opera di bene hanno valore eterno. Questa certezza li spinge ad agire con coraggio e a servire gli altri, poiché sanno che ciò che fanno nel nome di Cristo ha un impatto che supera i limiti temporali.
Una critica che si limitasse a considerare l’eternità come “escapismo” rischia di ridurre il cristianesimo a una mera ideologia sociale o a un progetto di miglioramento umano, anziché riconoscerne la dimensione trascendente. Paolo ribadisce che l’Evangelo non è solo una serie di principi morali per questa vita, ma è, innanzitutto, l’annuncio di una salvezza eterna attraverso la risurrezione. Senza questa prospettiva, la fede cristiana rischia di essere appiattita a un’etica filantropica, perdendo la propria forza profetica e trasformativa.
La speranza escatologica non è una “spiritualizzazione indebita”, ma piuttosto il cuore del messaggio cristiano, poiché ricorda ai credenti che il regno di Dio trascende le strutture e le logiche di questo mondo. È proprio l’attesa della vita futura che permette ai cristiani di vivere nel presente senza conformarsi ai valori effimeri e agli idoli culturali, mantenendo un’identità profonda e una libertà che viene dall’essere radicati in una realtà che non può essere scossa.
La fede cristiana invita a vivere con uno sguardo rivolto all’eternità, ma non a spese delle responsabilità presenti. Paolo stesso è stato un esempio di come la speranza nella risurrezione porti a un impegno profondo verso gli altri, fino al sacrificio personale. Nei suoi scritti, Paolo parla spesso di fatica, sofferenze e sacrifici compiuti per il bene delle chiese e per portare il Vangelo ai non credenti. È proprio la speranza nella risurrezione a motivare e sostenere questa dedizione. La vita di Paolo è un esempio concreto di come una fede che guarda oltre la vita presente possa, paradossalmente, portare a una cura più intensa per il mondo e per coloro che lo abitano.
Se dunque la speranza della risurrezione fosse mera illusione, come Paolo afferma, i cristiani sarebbero “i più miserabili di tutti gli uomini” (1 Corinzi 15:19). Ma poiché questa speranza è reale, essa diventa la base per un impegno presente motivato da uno scopo eterno. È una speranza che permette ai cristiani di affrontare il dolore, la perdita e l’ingiustizia senza disperare, poiché sanno che il bene che fanno ha un valore eterno. Questo rifiuto della disperazione non è un’illusione, ma una dimostrazione di fiducia nel fatto che, come dice Paolo, “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che deve essere rivelata in noi” (Romani 8:18).
È proprio la prospettiva della vita eterna che ha sostenuto e motivato i grandi protagonisti di trasformazioni sociali e caritatevoli della storia cristiana. Questi cristiani non agivano come “escapisti”, ma come persone che avevano compreso che il loro servizio agli altri era già una partecipazione alla realtà futura del regno di Dio. In sintesi, la speranza nella risurrezione è la base di una visione cristiana che dà senso al presente senza limitarsi ad esso. Essa non è un invito a evadere, ma un invito a vivere con intensità il tempo presente, vedendo ogni atto d’amore e di giustizia come una anticipazione del regno di Dio. La speranza della risurrezione motiva i cristiani ad assumersi con responsabilità le loro vocazioni nel mondo, vivendo la loro fede con quella profondità che nasce dal sapere che nulla di ciò che fanno per amore di Cristo andrà perduto.
Conclusione[
Paolo ci ricorda che la fede cristiana non è solo per il presente, ma per l’eternità. I cristiani sono chiamati a vivere nella tensione tra il “già” e il “non ancora”: già redenti, già risorti in Cristo spiritualmente, ma in attesa della risurrezione finale. Senza questa prospettiva eterna, la fede cristiana sarebbe svuotata della sua forza trasformante, della sua promessa di compimento, e ridotta a una mera ideologia, vulnerabile alle difficoltà della vita e priva di significato eterno.
Come motiva la speranza nella risurrezione il tuo impegno quotidiano verso gli altri? Ti spinge a servire con maggiore dedizione e amore sapendo che ogni tuo sacrificio ha valore eterno? La tua fede si limita a rispondere ai bisogni immediati di questa vita, oppure si radica in una speranza che trascende la realtà presente? In che modo questa speranza trasforma il tuo modo di affrontare le difficoltà? Se la tua vita fosse osservata da chi non conosce l’Evangelo, emergerebbe come una testimonianza di speranza eterna o come una mera adesione a principi morali? Come puoi vivere in modo più coerente con la prospettiva della risurrezione? Se credi nella realtà del regno di Dio che verrà, in che modo questa convinzione influisce sulle tue priorità, sui tuoi valori e sul modo in cui scegli di vivere oggi? C’è qualcosa che senti di dover cambiare o rafforzare? Quando affronti sofferenze o difficoltà, ti lasci sopraffare dalla disperazione o trovi forza nel sapere che la tua fatica “non è vana nel Signore”? Come puoi radicare maggiormente la tua speranza nella risurrezione per affrontare meglio le sfide?
Paolo Castellina, 8 novembre 2024
Note
[1] Eresia: https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Teopedia/Eresia